Altri mondi altre storie

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Niente più sogni per Rosa «Tenente Giulio Moroni a rapporto.» Rosa Maider sollevò lo sguardo e fissò il giovane ufficiale. Emise un profondo sospiro poi tornò a esaminare alcuni documenti. Aveva quasi cinquant’anni, ma ne mostrava molti di più. Fitte rughe le segnavano la pelle olivastra del viso, le labbra erano piccole, appena un livido taglio sopra il mento. Il naso sottile leggermente all’insù e due orecchie piatte aderenti alla testa ricoperta da capelli brizzolati. Ma gli occhi erano un’altra cosa. Limpidi quasi da specchiarsi. Profondi, intelligenti. Strinse le labbra e girando il capo verso il maggiore Michele Finzi che le stava accanto in paziente attesa chiese: «E lui sarebbe...» «Già, il rimpiazzo che attendevamo.» La donna mutò espressione. Con uno scatto d’ira batté un pugno violentemente sulla scrivania e: «Cazzo!» sbottò, «quei bastardi del Comando mi vogliono sfottere? Prendono due dei miei migliori ufficiali e mi spediscono un pivello. Uno, dico, uno solo, quando ce ne vorrebbero otto per sostituire quei miei due uomini. Cazzo!» Era furibonda. «Questa volta mi sentiranno, e sì se mi sentiranno. Maggiore, prenda un vocabolario, cerchi le più pesanti ingiurie che esistono e le mandi al Comando, in cablo. Che mi denuncino pure per turpiloquio. Alla fine aggiunga che se si ripresentano a fregarmi qualche altro uomo darò ordine di sparare a vista.» Riportò lo sguardo sul tenente che era visibilmente impallidito. «E lei cosa fa lì impalato? Esigo che nessuno su questa astronave resti nello stesso posto per più di dieci secondi. 87


Muova le chiappe e si infili in una cabina. Dove diavolo vuole, ma le consiglio di trovarla il più vicino possibile alla Sala Rilevamenti. Perché quando qualcuno arriva in ritardo mi arrabbio sul serio. Qui si suda sangue, non si lasci illudere dal fatto che oggi sono particolarmente tranquilla. Maggiore...» «Sì, Comandante.» «Gli cerchi un alloggio» senza staccare gli occhi dal giovane. «Spero che il suo compito lo conosca bene. Vede, tenente, io non sono come quegli imbecilli di Comandanti delle altre navi che si limitano a stroncare la carriera agli incapaci. Se mi combina qualche pasticcio io le stacco semplicemente il collo. Chiaro? Ora vada e cerchi di non farmi rimpiangere a lungo i due ufficiali che quei figli di cagna si son presi.» E fece un cenno con la mano che significava ‘aria’. Il tenente era diventato paonazzo e stava per protestare quando i suoi occhi incrociarono quelli del maggiore che scosse piano il capo ammonendolo. Allora si morse le labbra, salutò militarmente e, rigido come una statua, uscì. «Vuoi proprio che spedisca un cablo di protesta?» chiese Finzi quando il giovane fu fuori. «A che servirebbe?» rispose la donna con rassegnazione. «Continuo a chiedermi se quei bastardi sanno che questa è una delle più avanzate navi esplorative di tutta la flotta. Hanno almeno un’idea dei pericoli che affrontiamo quotidianamente? Possibile che non riescono a capire che qui c’è bisogno di gente maledettamente in gamba? Perché continuano a prendersi uomini validi e a sostituirli con pivelli dell’Accademia con ancora il latte sul bavaglino?» Il maggiore non seppe trattenere un leggero sorriso: «La tua è una domanda retorica, Rosa. Qui i pivelli imparano tante cose e sono trasferiti soltanto per posti di comando. Dovresti esserne orgogliosa.» «Ci mancava l’orgoglio, porco diavolo! Conosco questa musica. Ma ogni volta che un uomo lascia questa baracca, finché il suo sostituto non impara bene il proprio compito, corriamo un pericolo maggiore del normale. Che è già elevato.» 88


Si alzò a fatica, quasi fosse stanchissima. Fece qualche passo pensierosa poi accennò col capo verso la porta dietro la quale attendeva il ragazzo: «Michi, tiragli fuori tutto quello che di buono nasconde, fallo diventare in gamba, come gli altri. E in fretta, ne abbiamo bisogno.» «Sta’ tranquilla.» «Tranquilla? Cosa significa?» Lo congedò attendendo sempre in piedi che uscisse richiudendosi la porta alle spalle. «Maggiore, io... io non permetto che...» «Calma, tenente, non è il caso d’agitarsi.» «Ma io non sono stato trattato così neanche quand’ero recluta, dal più stupido e arrogante sergente.» «Bene» sorrise il superiore, «ora avrà capito che questo è un altro mondo. Qui conta la sostanza, non la forma. Le consiglio di mettere da parte quello che le è stato insegnato all’Accademia, cancelli dalla mente per il momento di essere un ufficiale e ricordi che qui il meno esperto dei soldati può insegnarle molte cose. In ogni caso starà a lei imparare presto e farsi... rispettare.» «Questo non giustifica un comportamento asociale e...» «Ora basta. Si metta sugli attenti e non dimentichi di stare parlando a un superiore che esige il suo rispetto. Almeno fino a quando non sarà riuscito a capire. Le ordino di applicarsi al massimo delle sue capacità. C’è in gioco la vita di tutti. E molto di più. Se la sua scheda personale dice il vero, confido che in breve tempo sarà all’altezza di tutti gli altri. Sergente...» era comparso da una porticina laterale. «Trovi un alloggio al tenente. E faccia in modo che sia messo al corrente degli orari della Prima Fase di Apprendimento. A cominciare da domani. Ora potete andare entrambi.» E tornò alle sue occupazioni. Il sergente gli fece strada a passo sostenuto. «Dal viso direi che ha conosciuto Zuccherino, signore.» «Cosa dice?» «Sì, il Comandante. Sa, tutti la chiamiamo Zuccherino per via del suo carattere... dolce.» Ridacchiò. 89


«Le proibisco di parlare in questo modo di un superiore benché il suo comportamento non si possa definire ortodosso.» «Mi scusi» mormorò il sottufficiale e tacque. Poco dopo furono nella cabina. Piccola ma pulita. «Ecco, signore, questo è il suo alloggio. Siamo a corto di uomini, per cui non dovrà dividerla con un altro ufficiale.» «La ringrazio. Quando il numero degli effettivi verrà reintegrato sarò ben lieto d’avere compagnia.» «Oh no, non tema. Da questa astronave prendono gli uomini. E con la scusa che siamo capaci di portarla avanti da soli, li rimpiazzano raramente e col contagocce. Del resto pochi chiedono questa assegnazione.» «Posso capirlo, con quel genere di Comandante...» Stranamente il sergente scosse il capo: «Mi permette di dirle una cosa, signore?» «Purché sia lecita.» «Oh, non ci sono dubbi. Senta, il Comandante non è poi così cattivo come può sembrare. Nell’intimo è... è una donna infelice. Pochi ne conoscono la ragione, io no, ma prima o poi lei se ne accorgerà. Resta il fatto che sotto la sua guida si diventa bravi. E se lei, mi perdoni l’ardire, non si mostrerà all’altezza del resto dell’equipaggio il Comandante la farà trasferire. Se invece sarà in gamba non solo la difenderà con i denti, ma le farà fare una rapidissima carriera. Non è raro che da questa astronave vengano fuori ufficiali d’alto grado molto giovani. Che ricevono il comando di una unità tutta per loro. Vede, tenente, qui deve capovolgere le sue convinzioni. Il massimo di considerazione che potrà avere sarà quello di non essere mai, dico MAI, chiamato a rapporto. Questo accade soltanto per un cicchetto più o meno sonoro. Il silenzio e l’apparente indifferenza riguardo il suo operato saranno le più valide note di merito. E faccia attenzione, Zuccherino tiene d’occhio i nuovi ventiquattr’ore su ventiquattro.» Moroni per nulla impressionato non batté ciglio: «La ringrazio, sergente. C’è altro che dovrei sapere?» «Tra un’ora c’è la cena. Le raccomando la puntualità.» «Non ritarderò d’un secondo, non tema. Vorrei solo sapere che uniforme devo indossare.» 90


L’altro parve non capire. Restò qualche attimo con la fronte aggrottata, poi afferrò il significato della domanda e allargando le labbra in un ampio sorriso: «Venga in pigiama» e con un rapido saluto si allontanò. «Michi, sei tu?» Il maggiore era entrato senza bussare: «Ti disturbo?» «No, vieni, vieni pure.» La stanza era immersa in una soffice luminosità. Lei era in un letto che pareva assurdamente grande per il suo corpo emaciato, quasi rinsecchito. I grigi capelli scomposti sul cuscino le davano un aspetto ancor più scostante. Soltanto gli occhi erano luminosi come sempre. Michele si sedette: «Mi chiedevo come mai l’hai trattato così duramente.» La donna girò lo sguardo dall’altra parte imbarazzata: «Lo sai. È giovane, molto giovane. E smettila di fissarmi così, mi vergogno d’avercela a morte con i giovani, ma è più forte di me.» «D’accordo, Rosa, questa volta però sei stata più indisponente del solito. C’è sotto qualcos’altro?» Vide che lei non rispondeva per cui mutò discorso: «Va bene, ne riparleremo. Sono venuto a riprendere la olosfera. O vorresti tenerla ancora?» «No, cercamene un’altra. Magari un film in bianco e nero. Non so che darei per rivederne uno.» «Non credo ve ne siano nella oloteca di bordo. In ogni caso controllerò.» Si alzò prendendo la sfera che la donna gli porgeva e fece per andarsene. Sulla porta si fermò. La penombra nascondeva il suo viso così le parole parvero venir fuori dal buio: «È da qualche giorno che volevo chiederti una cosa.» «Dì pure.» «L’altra sera t’ho sentita parlare nel sonno. Non ho capito ciò che dicevi, ma... Rosa, tu... SOGNI?» Lei non parve sorpresa da quella domanda e mormorò: «Sì, Michi, sogno. Però faccio un solo sogno, sempre lo stesso.

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In mille luoghi diversi, in mille modi diversi. Ma sempre quello.» «Un solo sogno è poco, troppo poco, Rosa.» «A me basta. Buon riposo, Michele.» «Buon riposo a te, Comandante» e uscì silenziosamente. E alla donna la solitudine portò il sonno. E il sonno il sogno. E il sogno la felicità. Poi, brusco, il risveglio. Con l’amaro in bocca e la disperazione nel cuore. Adattarsi non fu facile. Eppure, man mano che il tempo passava, Giulio Moroni si rendeva conto di quanto fosse importante il suo lavoro. C’erano immense parti dell’universo ancora inesplorate e pianeti di riportare sulle carte, da visitare, sciami di meteore da segnalare specie se in orbita regolare. E comete, soli traballanti asteroidi vaganti, nubi di gas in condensazione. Raramente trovavano grandi sistemi planetari. Bisognava sondare, analizzare, scoprire. Poi c’era Zuccherino che si aggirava per la nave come un usuraio che controlla avidamente i suoi denari. E redarguiva, consigliava, a volte modificava l’impostazione di un lavoro avendo alla fine sempre ragione. A lui quasi faceva rabbia la sicurezza e l’abilità di quella vecchia. Specie quando lo rimproverava. Stranamente un paio di volte l’aveva sorpresa immobile a fissarlo. Era giunta alle sue spalle come un’ombra senza che lui se ne accorgesse e questo bastava a dargli i brividi. Eppure non gli erano certo sfuggiti i suoi occhi attenti mentre l’osservava, insolitamente dolci e troppo fuori posto in quel viso da strega, come un lampo che squarcia il cielo cupo e nuvoloso d’una notte d’inverno. Poi lei scivolava via silenziosa com’era venuta facendogli tirare un grosso sospiro di sollievo, mentre il cuore tornava a pulsare regolarmente e lui a esaminare lo spazio esterno con la solita sicurezza. Tutto procedeva con ordinaria routine. Ma un giorno... Coloro che la videro venir fuori dalla Sala Trasmissioni pensarono d’aver le traveggole. Il Comandante aveva abbandonato l’eterna cupa espressione d’ammalata e in preda a una incontenibile eccitazione era corsa a cercare il maggiore. 92


Per mostrargli il messaggio con mani tremanti. La reazione dell’uomo era stata diversa. Aveva passato un paio di volte lo sguardo dal foglio al viso raggiante della donna poi, parlando a bassa voce: «È meglio che andiamo nella tua cabina.» E sotto lo sguardo sbalordito dei presenti l’aveva presa per un braccio e trascinata via. «Hai intenzione d’andarci? Non è compito nostro.» «E me lo chiedi?! Potrebbe... potrebbe essere lui.» «Non farti illusioni. I membri dell’equipaggio erano ventitré. Soltanto due sono stati ritrovati... NOI DUE. Potrei anche essere d’accordo con te. Sì, andiamo a recuperare la navicella, ma vorrei che cancellassi dalla mente qualunque illusione. Le possibilità che sia lui sono una a ventuno.» «Io NON mi illudo. Devo andare su quel pianeta della Gigante Azzurra e vedere di chi si tratta. Tutto qui. Perché soltanto in questo modo potremo essere certi della sua identità. Hai forse un’idea migliore?» Il maggiore sospirò mentre il ricordo tornava a sconvolgere la mente e per l’ennesima volta un dramma del passato tornava a impadronirsi di lui... «Rilevatore in difetto di sintonia.» «Taralo.» «Non ci riesco... c’è qualcosa che non va…» «Collimatori Uno e Due in difetto di sintonia.» «Maledizione, cosa succede?» «Non lo so, signore. Posso soltanto assicurare che non dipende da questa zona operativa. L’ipotesi più attendibile è che l’intera nave sia in disarmonia.» «I generatori?» «83,7% di probabilità.» «Ti rendi conto di quello che dici?» «Non lo dico io. Gli apparecchi mostrano una instabilità costituzionale al rotore.» «Dio!... Il Termoconvertitore atomico...» Le parole riecheggiavano nitide nella mente del maggiore, ferro rovente che martoriava ancora le carni e stordiva come la sirena d’allarme e il lampeggiatore violaceo... 93


«Fuori… fuori tutti...» «X27-C21-Y13-W80-B13-S13-Z03...» «Alle scialuppe di salvataggio.» «Innestato processo. Pronte tra otto secondi.» «Potrebbero essere troppi.» «E77 - MODIFICA Z04 - INSTABILE - FATTORE.» «R34 - MODIFICA Z05 - INSTABILE - FATTORE.» «Sei secondi al momento critico. Non ho idea di quanto tempo riuscirà ancora a reggere…» «Gruppo A, C, D, alle scialuppe. SUBITO. Gruppo B operazione Codice Soccorso. Verifica funzionamento impianto ibernante. Niente panico, ragazzi a... un ordine.» «Punto critico raggiunto. Impossibili i rilevamenti.» «Q11 - E73 - F82 - MODIFICA Z05 - INSTABILE - FATTORE 9... 10. FINE CONTROLLO.» «J100 RIPETO J100.» E per grazia del cielo la formidabile struttura dell’astronave aveva retto giusto il tempo per permettere anche al gruppo B di infilarsi nelle navicelle di salvataggio. Ventitré scialuppe si erano allontanate a una velocità prossima alla luce due secondi prima che il gigantesco scafo dorato divenisse una sfera di coriandoli luccicanti. In salvo, sì, ma in animazione sospesa. Nell’universo le distanze sono enormi e l’ibernazione è l’unica possibilità di sopravvivere al tempo implacabile. Michele aveva la fronte imperlata di sudore. I suoi occhi furono attraversati da un bagliore quasi davanti a lui fosse nuovamente esplosa l’astronave. Era stato uno dei ventitré. Lui e Rosa. Gli unici membri dell’equipaggio ritrovati. Gli altri erano dispersi in un raggio di 7 parsec. Una ricerca assurda che soltanto il caso e i radio-fari potevano aiutare. Il maggiore evitò di guardare la donna. Sapeva che anche lei aveva rivissuto quei momenti terribili. «Rosa, stai bene?» Non ebbe risposta. Così ricordò che tra i ventuno dispersi c’era un uomo a cui lei era... Già, tra le fredde paratie d’acciaio rivestito d’oro, tra le mille luci ammiccanti e indifferenti, tra cavi variopinti, oblò neri punteggiati da lontanissimi bagliori 94


era nato un amore. Venticinque anni prima. Nel lunghissimo viaggio un uomo e una donna avevano unito i loro destini. Il Vice Comandante era raggiante mentre formulava le frasi di rito. E Rosa era bella…, allora, molto bella. Come bello era il suo uomo. Venticinque anni prima. Venticinque secoli prima. Venticinque millenni prima. Il loro sogno d’amore era durato il sospiro d’una notte. «Sento che è lui» mormorò finalmente la donna uscendo da quel torpore che aveva avvolto entrambi. «Non posso escluderlo. Ma non hai neanche il 5% delle possibilità. Cerca di essere ragionevole.» «DEVE ESSERE LUI. La vita non può essere tanto crudele con me!» «Rosa non dire...» «È LUI... È LUI... È LUI...» Allora Michele le si avvicinò. Aveva lo sguardo addolorato di chi sta per dire qualcosa di molto amaro. Quasi l’assalì: «Ma cosa speri di ottenere? Sì, potrebbe essere lui, ma... ma, per tutti gli dei, guardati allo specchio. Tu... tu sei VECCHIA, e lui sarà ancora giovane, ibernato in una capsula di salvataggio che lo ha preservato dalla tirannia del tempo. Devi capirlo... DEVI.» Lei ruggì come una belva ferita e parve sul punto di balzargli al collo e strappargli gli occhi con le unghie. Strinse i denti fino a farli scricchiolare e il viso divenne il volto dell’odio puro. Poi colpì, una sola volta con le mani adunche lasciandogli sulla guancia due rossi segni. «Come osi... come osi parlarmi in questo modo?» Per l’ira le riusciva difficile persino parlare. Michele mantenne la calma e le mollò un manrovescio. «Cerca di tornare in te. Calmati.» Temette d’aver avuto la mano pesante. Ma la donna non pareva doma, sollevò il braccio, poi, invece di colpire nuovamente si girò e spalancata la porta del bagno si precipitò verso l’armadietto dei medicinali per ingoiare delle compresse. 95


Fu così che lo sguardo cadde sullo specchio. Che senza pietà riflesse il suo volto. Pallido, i capelli scompigliati, gli occhi iniettati di sangue e un segno rosso sulle labbra dov’era stata colpita. Sì... era proprio vecchia. Una lacrima le scivolò sulla guancia rugosa rompendosi sulle labbra. Allora gettò via le pillole e scoppiò in lacrime. Un rumore alle sue spalle. Velocemente tentò d’asciugarsi il viso, ma subito vi rinunciò e con voce mesta: «Michi...» «Sì, Rosa» dolcemente. «Perdonami.» «Sei tu a dovermi perdonare. Non volevo essere così brusco. Sai, nonostante tu faccia di tutto per renderti odiosa in fondo... in fondo mi piaci.» Lei tirò su col naso e con un pallido sorriso: «Cos’è? Una proposta?» «Son contento che tu abbia voglia di scherzare.» «Già. Su questo argomento posso soltanto scherzare...» «Oh no, non fraintendermi, io...» «Non fare lo sciocco, so quello che volevi dire.» Velocemente si sciacquò il viso strofinandolo energicamente, poi prese l’amico sottobraccio e uscì dal piccolo bagno. Preparò due dosi abbondanti di liquore: «Ne vuoi?» «Ci vuole proprio» afferrò il bicchiere colmo. Lei bevve il suo d’un fiato, poi: «Mi... mi dicevano... “Su, cara, non aver paura. Solo la prima volta... Rosa, non temere, si soffre solo la prima volta. Poi sarà meraviglioso...” Le altre ragazze dell’equipaggio non credevano che fossi ancora vergine. E continuavano... “l’amore è quanto di più stupendo ci sia nell’universo. Più bello dei tramonti di Grigel, più dolce del vino di Groonj. Fa sembrare luce il buio, sazietà la fame, forza la stanchezza. Non aver paura, solo la prima volta fa un pò male, poi...”» un profondo sospiro, quasi un leggero ansare. «E io ho sofferto, la prima volta... ho stretto i denti e morso le labbra per non gridare... la prima notte... ho anche pianto di nascosto per non dispiacere il mio Marco... la prima volta. E poi? Non c’è mai stata una seconda volta. Ci fu l’incidente, sai, ci lasciammo giurando di cercarci e ritrovarci... ci lasciammo con le lacrime agli occhi. E io per mesi e mesi 96


ho letto e riletto i bollettini di ricerca. Mi sono disperata. Ho pregato, supplicato, invocato un miracolo che mi restituisse il mio uomo. Invano. E se pur c’è un dio da qualche parte doveva aver troppo da fare per pensare a me. No, non credere che mi sia rassegnata quando le autorità hanno sospeso le ricerche dichiarandoli dispersi. Non per nulla mi son fatta assegnare a una nave esplorativa. No, Michi, non cercare di fermarmi. Io DEVO andare su quel pianeta.» «Manda me. Sarà più facile per te sopportare una eventuale delusione.» Lei posò il bicchiere e troncò il discorso: «Bene. L’incidente è chiuso. Fa’ modificare la rotta. Le coordinate sono indicate dalla comunicazione. Eh sì,» esclamò «in venticinque anni quella navicella ne ha proprio fatta di strada!» «Anche noi, Rosa, anche noi.» E fece per uscire. «Michi...» come un sussurro «sembro proprio tanto vecchia?» Lui fece finta di non udire. E la porta si richiuse piano su due occhi supplicanti. Il gruppo da sbarco era pronto. E il tenente Moroni furibondo: «Perché?» Il maggiore sollevò le spalle: «Ha deciso così. E quando lo fa non dà spiegazioni.» «Ma è mio diritto e preciso dovere scendere sul pianeta.» «Qui i diritti e i doveri li decide il Comandante.» Poi meno bruscamente: «Se ha voluto lasciarti sulla nave ha certo ritenuto che tu sia più utile qui. In ogni caso è un ordine e non si discute.» Il tenente strinse i denti visibilmente contrariato e salutò molto rigidamente quando Finzi uscì dalla Sala 2 per tornare nella sua cabina a indossare la tuta da sbarco. Lo fece in fretta, forte di un’esperienza ultraventennale impiegando molto meno del tempo previsto dal regolamento. Soddisfatto, controllò che ogni cosa fosse a posto poi, senza bussare come al solito, entrò nella cabina del Comandante. La donna stava davanti allo specchio. Aveva passato un velo di cipria sulle guance e un’ombra di rossetto sulle labbra. 97


«Dov’è la festa?» Incredibilmente per un istante la vide arrossire. Ma fu tanto fugace che, dopo, non ne fu affatto sicuro. «Sempre il solito. Su, non restare impalato, dammi una mano. Sai che pretendo la puntualità dai miei uomini, ma debbo essere io la prima a rispettarla.» Prese la tuta dall’apposito armadietto e la spiegò. «Perché hai voluto che il tenente Moroni restasse qui?» «Ficcanaso.» «Lui o io?» «Tu.» «Non è una risposta.» «Oh cazzo, non molli mai!» «Se c’è qualcosa che non dovrei sapere...» «Ma no. È soltanto che penso sia più utile sull’astronave.» «Un esperto in rilievi biotronici? Inventane una migliore.» «Pensa quello che vuoi. Nel frattempo aiutami.» Michele le si avvicinò e strinse energicamente i tre bulloni della cintura a tripla sicurezza. «Vuoi scommettere che te lo spiego io?» Rosa si bloccò. Per una frazione di secondo. Il suo viso restò impassibile, i suoi occhi però tradirono l’ansia. «Sentiamo, sono curiosa», con voce d’ostentata indifferenza. «Vedi, il tuo atteggiamento riguardo quel ragazzo mi ha incuriosito. L’hai rimproverato per errori banalissimi, e quando ha fatto un ottimo lavoro hai lasciato a me, è risaputo quanto io sia largo negli elogi, l’incarico di scrivere le note di merito sul suo curriculum.» «Allora?» «È un atteggiamento che denota grande odio. O grande amore. La prima ipotesi la ritengo da scartare. Quindi...» «Sciocchezze! » «Forse per te, ma non per un esperto in test psico-attitudinali. Cioè per me. Ebbene, ho fatto delle ricerche.» «Senza la mia autorizzazione? Non lo ammetto. La nostra amicizia non deve interferire col normale andamento operativo. Mi vedrò costretta a fare rapporto al Comando.» 98


«Come vuoi, ma non cambiamo argomento. Giulio Moroni ha ventiquattro anni. È nato a Belladieu su Canis Canis. È però di razza terrestre, accertata.» «Questo è sulla sua scheda.» «Già, come pure il fatto che non ha genitori noti.» «Questo ti sorprende? È cosa frequente nello spazio.» «Mi sorprende quello che NON è scritto nella scheda, e cioè i suoi dati generici e... quelli della madre. La Legge Intergalattica vuole che anche conservando l’anonimato dev’esserci sempre un legame tra madre e figlio. Eppure in qualche modo, non certo legale, la genitrice del ragazzo è riuscita a cancellare questa registrazione. Ho chiesto informazioni a Belladieu. Mi hanno confermato che il tenente è nato in una clinica del luogo e che furono eseguite tutte le formalità previste dalla Legge. Ma poi, misteriosamente, l’incisione sul nastro-dati è stata cancellata. L’unico indizio è un lasciapassare MILITARE usato da qualcuno per entrare nel reparto nastri.» «Forse un operatore maldestro che inavvertitamente ha sovrainciso le registrazioni. Succede.» «Davvero? Allora facciamo un piccolo balzo indietro nel tempo. Quando ci ripescarono ci fu concesso un lungo periodo di riposo. Io andai su Megat, ma volli cercarti, così, senza una ragione precisa. Il solo fatto di saperti l’unica recuperata oltre me mi spinse a farlo. Grazie alle informazioni ottenute dal Comando riuscii a sapere dov’eri. Lo ricordi o devo dirlo io?» E poiché lei taceva continuò «Belladieu. Di Canis Canis. Tentai in mille modi di mettermi in contatto con te, ma non ci riuscii.» «Una semplice precauzione. Avevo chiesto di non essere disturbata per nessuna ragione. Ne avevo diritto, no?» «Infatti è quello che pensai allora, per cui lasciai perdere. Ma torniamo al nostro giovane tenente. Ho il suo curriculum vitae. Completo. L’ho avuto grazie a un amico al Centro Smistamento Dati e Archivio.» «Anche questo tuo amico non la passerà liscia.» «Sei monotona. Ascoltami. Moroni passò velocemente da un Orfanotrofio Spaziale a uno dell’Esercito. A quattordici anni fu ammesso all’Accademia di Potenza. E questo più che 99


raro è un caso unico. Sai bene che influenza bisogna avere per mandare un figlio a un’Accademia Terrestre. E poi a quella di Potenza, la più rinomata. Figuriamoci poi per un ‘trovatello’. Non bisogna scordare che li l’istruzione è costosissima, praticamente un terzo dello stipendio annuo d’un alto ufficiale come me... o te. Per giunta quel ragazzo non aveva lasciti o riserve di denaro per il suo sostentamento. Era senza un euro, come si dice ancora a Potenza. E c’è un’altra cosa strana. La retta per tutto il periodo d’apprendimento è stata pagata dalla Cassa Militare.» «Stai perdendo tempo. I nostri uomini ci stanno aspettando e non hai ancora provato nulla.» «E chi ha detto che io voglia provare qualcosa? Ho soltanto messo insieme una serie d’indizi. Tira tu le conclusioni... come ho fatto io. Vedi, tu sei sempre impeccabile nella tua uniforme, ma non ti ho mai visto spendere un soldo per comprarti qualcosa di superfluo, non so, un abito civile per la libera uscita o una parrucca da cerimonia.» «Stupidaggini! Sai bene che sono alquanto spartana» tirò su violentemente le due cerniere parallele. «La tua immaginazione, caro Michele, va tenuta a freno.» «Sarà. Ma c’è una strana coincidenza» continuò imperterrito Finzi «gli aborigeni di Belladieu usano un idioma fatto di monosillabi. Un esperto mi ha spiegato che Moh-Rho-Hni significa FIGLIO DI UNA NOTTE.» «Basta ora mi hai seccata» bruscamente. «Rimani sull’astronave, Rosa.» «Dovresti legarmi con le catene magnetiche. E anche in questo caso riuscirei egualmente a liberarmi. È un ordine che non voglio discutere. Andiamo.» «Ti precedo» sconfitto «vado a controllare che tutto sia pronto.» Aprì la porta e stava per uscire quando si fermò di colpo e come preso da un pensiero impellente: «Ah, dimenticavo. Ho scoperto che anche il tenente Moroni ha una grande passione: i vecchi film in bianco e nero.» E richiuse la porta. Sorridendo. Ma il sorriso gli morì sulle labbra. Un brutto presentimento gli appesantiva il cuore.

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«C’è vita semi-intelligente sul pianeta.» «Cerca di essere più preciso.» L’operatore pigiò alcuni tasti, attese che il video si illuminasse poi rispose: «Dai rilevamenti del tenente Moroni risulta che sono Umanoidi, categoria F-7. Stato barbarico.» «Categoria ampia. Livello di pericolosità?» «Il tenente presume medio-alto, ma aggiunge che non ci sono stati rilevamenti sufficienti per inquadrare la situazione. Se permette un’opinione personale il lavoro del Biotronico è eccellente, ma necessita di altro tempo per una migliore individuazione dei caratteri etico-sociali della popolazione del pianeta.» «Tieni per te le tue opinioni. Suggerimenti?» L’operatore avvezzo a quel tono non batté ciglio: «Il tenente suggerisce un atterraggio prudente. Possibilmente con il favore del buio e in un luogo opportunamente celato. Non si può neanche ipotizzare la reazione alla nostra vista. L’Ufficio Anagrafico Razziale ci pianterebbe una grana se dovessimo scontrarci con gli aborigeni.» «Al diavolo l’Ufficio Razziale e quei maledettissimi burocrati incapaci di vedere oltre il proprio computer. Piuttosto è stato localizzato il segnale?» L’operatore girò lo sguardo verso il maggiore a chiedergli aiuto, poi tornò a fissare la donna: «Sì, Comandante. E stato ricevuto per il tempo sufficiente a localizzarlo.» Rosa aggrottò le sopracciglia: «Cosa intendi dire?» L’uomo chinò il capo senza rispondere, ma lei batté violentemente il pugno sulla consolle e gelida sibilò: «Non farmi ripetere la domanda.» «La trasmissione del segnale si è interrotta.» «L’avete persa...» «No, impossibile con i Segugi Automodulanti. È... è la trasmissione a essersi interrotta.» Lei non perse un istante. Ordinò alla squadra di salire sulla navetta da sbarco e comandò al pilota: «Scendi direttamente sul punto individuato.» «Ma è contrario alle disposizioni del Bio...» «ANCHE TU VUOI FARMI RIPETERE L’ORDINE? AVETE DIMENTICATO CHI COMANDA IN QUESTA SCATOLA 101


DI SARDINE? DOVE DIAVOLO CREDETE DI ESSERE? IN UN’ASTRONAVE D’ESPLORAZIONE O IN UN SALOTTO A FAR CHIACCHIERE?» Il pilota impallidì e subito inserì sul computer le coordinate. Meglio una tribù selvaggia sul piede di guerra, meglio dieci indagini dell’Ufficio Razziale che l’ira del Comandante. Il silenzio regnò nel mezzo da sbarco finché non toccò terra. «L’aria è respirabile.» Nessuno però prestò attenzione al pilota. Tutti avevano gli occhi fissi al di là del grande oblò di prora. A poche centinaia di metri c’era un ampio spazio con grandi pietre sollevate a mo’ di megaliti. E al centro un grosso altare. Con sopra la navicella di salvataggio. Era il modello originale, più volte modificato e migliorato negli ultimi anni. Subito però fu chiara una cosa. Benché la navicella fosse in grado, da sola, di scendere su un qualsiasi corpo celeste purché solido, era praticamente impossibile che fosse atterrata sull’altare. Non c’era quindi che una spiegazione: qualcuno doveva avercela messa. «Il pilota, l’operatore e due armieri restino sulla nave da sbarco. Gli altri con me. Vi ricordo di sparare solo se assolutamente necessario. E questo significa che qualche energumeno vi ha già infilato un coltellaccio nella pancia. Se becco uno di voi a sparare senza un motivo valido, gli strappo la pelle di dosso. Sergente, prenda due uomini e vada in avanguardia. Si limiti a osservare. In caso di difficoltà si metta in contatto con me. Lei, maggiore, con quattro uomini resti indietro a proteggerci le spalle. Potremmo tornare in fretta.» Finzi strinse le labbra: «Preferirei coprirle il fianco, Comandante.» La donna lo fulminò con uno sguardo: «A quanto pare non sono stata sufficientemente dura in questi ultimi tempi visto che tutti discutono i miei ordini. Maggiore, mi vedo costretta a ricordarle che siamo in Zona Operativa Non Neutrale. Qualsiasi disobbedienza la porterebbe davanti alla Suprema Corte Spaziale.» La solita familiarità era scomparsa. Era assolutamente decisa a farsi rispettare. E questo preoccupò maggiormente Finzi. Quel comportamento non lasciava presagire 102


nulla di buono. La fissò e capì che aveva in mente qualcosa. Ma cosa? «Agli ordini. Ma mi permetto di rammentarle che è mia facoltà decidere la distanza da mantenere.» Lei non gli rispose. Tornò a guardare oltre l’oblò: «Aprite il portello.» Si udì uno scatto, poi il pilota: «Fatto.» Con uno sbuffo d’aria insolitamente aromatica la pressione fu stabilizzata. C’era un odore decisamente alieno. «Primo gruppo fuori.» Cinque uomini uscirono con un balzo. Due rimasero a fianco del portello a fucili spianati mentre il sergente e gli altri due armieri attraversarono di corsa un tratto scoperto per poi fermarsi dietro una grossa roccia. Il luogo pareva deserto e questo era certo una gran fortuna. Rosa fece un cenno e i tre uomini ripresero a correre guadagnando ancora strada. Un crepaccio basso e lungo, quasi una trincea, diede un eccellente riparo. Erano giunti a un terzo di strada dall’altare quando il Comandante si mosse col suo gruppo. Con l’agilità di una ventenne la donna seguì le orme dell’avanguardia fermandosi dietro lo stesso macigno. Poggiò le spalle alla pietra e attese che tutti gli uomini fossero immobili al suo fianco. Con lo sguardo tornò al portello spalancato e a Michele che non l’aveva persa di vista un solo istante. Fu per questo che il maggiore scorse sul viso della donna come... come un sorriso, quasi a chiedere perdono. Fu una frazione di secondo. Lei si alzò e riprese a correre seguita dai suoi uomini. Finzi non le diede troppo vantaggio e col suo gruppo le andò dietro. Tutto pareva procedere per il meglio. Il silenzio era interrotto dal tramestio degli armieri che, a scatti, si muovevano. E tornava sovrano ogni volta che, con sincronismo perfetto si immobilizzavano. Decisamente un gruppo molto ben addestrato. L’aria era fresca, a tratti mossa da un leggero vento che fischiava tra le rocce scistose. Non pareva ci fossero piante lì intorno, soltanto una specie di muschio grigiastro che cresceva nelle crepe ma che si confondeva con le rocce dello stesso colore.

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I tre dell’avanguardia erano giunti quasi all’altare quando uno di loro lanciò il segnale di pericolo. Il sergente lo fissò interrogativo, poi, seguendo il cenno del suo capo, osservò qualcosa in lontananza. Tutti alle loro spalle si erano bloccati. «A quindici gradi. C’è un movimento.» Rosa sollevò la testa e guardò in quella direzione. C’era una gran folla di aborigeni. Umanoidi, erano disposti in file di una decina di individui, le une dietro le altre a formare un corteo. Un insolito vocio si udì, un misto di suoni gutturali e lamentosi che, pur non avendo per loro alcun significato, ricordava una preghiera cantilenante e rituale. Davanti procedeva un gruppo più esiguo e compatto che sorreggeva un oggetto molto simile a una statua. Tutti aumentarono immediatamente la potenza dei binocoli inseriti nei caschi. E spalancarono gli occhi. La statua raffigurava un UOMO. Che veniva fuori dalla navicella di salvataggio. Con le braccia al cielo. Michele deglutì. Per quegli esseri l’uomo sceso dal cielo era un dio. E ne attendevano fiduciosi la resurrezione. «Cosa facciamo?» La domanda del sergente ruppe quella specie di attonita fissità in cui tutti s’erano irrigiditi. Persino Rosa. «Cosa?... ah... disperdetevi a semicerchio intorno all’altare. In caso di assalto sparate prima qualche colpo intimidatorio. Uccidete soltanto in caso di serio pericolo.» E per prima si mosse. Gli aborigeni percepirono il movimento. Si immobilizzarono mentre la cupa litania cessava lasciando nell’aria come una preoccupante attesa. La sorpresa doveva essere grande. Non li avevano certo visti scendere con la navetta da sbarco, quindi non potevano che essere intrusi che osavano disturbare il sonno del loro dio. I grandi occhi coperti da una leggerissima membrana trasparente seguirono con ansia crescente la figura in tuta luccicante che s’avvicinava all’altare. Che si avvicinava al loro DIO intangibile. Quello che doveva essere il capo della comunità gridò. Un urlo roco, gutturale. Un ammonimento. Subito le centinaia di bocche senza denti si spalancarono a ripetere il grido e le corte 104


braccia si sollevarono brandendo rozze armi. Ancora un grido. E come un sol essere tutti si gettarono in avanti. Con lunghe fionde cominciarono a scagliare sassi grossi quanto un pugno e con buona precisione. Rosa era ancora lontana quando il sergente raggiunse per primo la navicella di salvataggio. Diede una rapida occhiata ai comandi e ai rilevatori delle funzioni vitali, poi mormorò alla radio: « È vivo.» Proprio mentre i fucili crepitarono come rami secchi spezzati cominciando a lanciare il loro avvertimento di morte. Qualche roccia fu colpita andando quasi in fumo. Gli aborigeni sussultarono. Non potevano neanche immaginare l’esistenza di armi capaci di sbriciolare la roccia. Si bloccarono di colpo e si gettarono in terra alla ricerca di un riparo. Mostrando un’intelligenza guerriera alquanto sviluppata, intuirono che, nonostante il loro numero notevolmente superiore, con l’assalto allo scoperto non avrebbero mai avuto ragione dei profanatori. Così presero a sparpagliarsi nascondendosi, avvezzi a quel genere di scontro. La loro carnagione grigiastra, le loro vesti succinte dai colori smorti li rendevano quasi invisibili, assolutamente mimetizzati nell’ambiente. «Sono spariti. Forse si saranno spaventati.» «Che si siano spaventati mi pare ovvio» la voce di Rosa era calma «ma non illudetevi. Torneranno.» Quasi a conferma di quanto appena detto una rozza lancia sfiorò un soldato. L’uomo istintivamente sparò centrando in pieno petto l’umanoide comparso come dal nulla. Fu il segnale. Gli aborigeni che si erano avvicinati senza farsene accorgere si gettarono contro gli uomini più vicini con furia bestiale. Solo grazie al notevole addestramento e alle armi automatiche i soldati ebbero la meglio. L’assalto cessò con la stessa rapidità con cui era cominciato. Sulla terra brulla una dozzina di corpi grigiastri mentre gli altri parvero ingoiati dal suolo. «Perdite?» chiese il Comandante freddamente. «Koa Hna e Troggi sono feriti leggermente.» «Bene. Lascia perdere ora gli scimmioni e occupati della navicella. Prima ce ne andiamo di qui meglio è.» Il sergente obbedì senza esitazione. 105


«Hanno cercato di aprirla fracassando alcuni comandi. Per questo il segnale di localizzazione si è interrotto.» «Inserisci il processo di risveglio.» «Fatto.» Ma quando Rosa parlò nuovamente la sua voce tremava: «Dimmi... lui... com’è?» Quella del sottufficiale, invece, era vagamente perplessa: «Non capisco, Comandante.» Ma la donna era al massimo dell’autocontrollo. Tesa allo spasimo fremeva. A pochi passi aveva il suo unico sogno, lo sentiva. E infine non resistette più. Era felice. Sì, il suo Marco era vivo... e presto l’avrebbe riabbracciato, stretto al cuore come la prima volta che l’aveva baciata. Sì, era lui... lui... LUI. Una lacrima prepotente rotolò giù per la guancia. Con mano tremante l’asciugò. E sentì le rughe sotto le dita. Marco... sempre giovane... bellissimo. E lei... Una tremenda disperazione le frantumò il cuore. Balzò in avanti uscendo allo scoperto e subito un paio di pietre le passarono pericolosamente sopra il capo. Non ci badò. Doveva raggiungere la navicella. Doveva. Assolutamente. Prima che qualcuno potesse impedirglielo. Due aborigeni sbucarono improvvisamente davanti a lei sbarrandole la strada. La pistola sussultò e uno dei due cadde nella polvere con il fianco lacerato. Ma l’altro fu veloce. Con un colpo del nodoso bastone che reggeva le fece saltare l’arma di mano. Poi lo sollevò per fracassarle il cranio. Un secco crepitio di fucile giunse improvviso e l’impatto del proiettile scaraventò l’essere lontano. Rosa si voltò: «Ti avevo ordinato di restare in retroguardia.» Michele non batté ciglio: «Ho la facoltà di decidere la distanza.» Lei strinse le labbra ma non gli rispose. Raccolse la pistola con la mano dolorante e riprese a correre freneticamente verso il rozzo altare. «Cosa vuoi fare?» le urlò dietro il maggiore. Invano. La donna giunse proprio mentre il sergente si stava allontanando soddisfatto dalla navicella di salvataggio. Appena il sottufficiale la vide esclamò: «È fatta, Comandante. Il vetracciaio sta per aprirsi.» 106


Ma grande fu la sua sorpresa quando la donna lo urtò violentemente mandandolo a ruzzolare in terra. E balzò sull’altare. Poi, tra l’incredulità generale puntò la pistola contro l’uomo che stava svegliandosi dopo il lunghissimo sonno simile alla morte. Ma rimase immobile. A fissare quel viso che cominciava a sbattere le ciglia nel tentativo di riaprire gli occhi alla vita. A fissare la sua carnagione scura, la barba nera variegata da ciuffi di pelo biondiccio. A fissare colui che non era suo marito. Allora gettò lontano la pistola e lì, ritta sull’altare portò le mani al volto e scoppiò in un pianto sommesso. Stagliandosi nettamente nel cielo grigio, di quel grigio pianeta, abitato da esseri grigi. Troppo esposta. Troppo ferma. Un umanoide apparve improvvisamente a pochi metri. Stringeva nella destra a tre dita la rozza lancia. Ringhiò contro la profanatrice. Nessuno doveva avvicinarsi al DIO. Nessuno doveva disturbarne il risveglio. «ROSA» urlò Michele mentre sollevava il fucile. «COMANDANTE» gridò il sergente ruotando su se stesso per inquadrare nel mirino della pistola l’aborigeno. E due colpi esplosero contemporaneamente. E raggiunsero l’umanoide spaccandolo quasi in due. Ma la lancia era partita. Come in un incubo l’arma descrisse una parabola con esasperante lentezza. Per piantarsi nel ventre della donna. Lei non urlò, né gemette. Portò le mani all’asta che le aveva spappolato gli intestini e cadde riversa all’indietro nelle braccia del Maggiore. «Rosa... Santo Cielo... Rosa...» un nodo alla gola gli impedì di continuare. Assurdamente lei sorrise. Nessuno ricordava d’averglielo mai visto fare. «Sai... Michi... l’avrei ucciso... se solo... se solo fosse stato lui... il mio Marco...» tossì, ma l’anima restava disperatamente aggrappata al corpo. Forse per quelle ultime parole. «Non parlare. Cerca di star calma.» «Io... io ti sono grata... mi... mi hai aperto gli occhi...» un rivolo di sangue sgorgò dalle sue labbra «tu... hai squarciato 107


quel velo nero... dell’illusione... che mi ottenebrava la mente... che celava la... realtà. Che nascondeva... un volto rugoso... vecchio. IL MIO.» «Non dire sciocchezze, Rosa» scosse il capo come ad allontanare il forte desiderio di piangere «e non preoccuparti, ti riporto subito sull’astronave. Lì riusciranno a fermare l’emorragia e a salvarti.» Sul volto della donna ancora quell’assurdo sorriso: «Non... non sei mai stato bravo... a... a dir bugie.» E i suoi occhi cercarono supplicanti quelli dell’amico. «Ti prego... pensa tu... a mio figlio... ma... ma non dirgli nulla. In... venta qualcosa... no... digli tutto... ma solo.., solo se un giorno sarà ritrovato... suo padre. Non... non voglio che consumi... la sua vita... in una vana ricerca... come... come ho fatto io.» L’uomo riuscì solo a mormorare: «Perdonami.» «Oh no, amico mio... non te ne voglio... È solo... solo che hai... distrutto... l’ultimo mio sogno... l’unico... Che vale più... vivere...» Silenzio. Persino gli umanoidi si immobilizzarono. Sull’altare una mano si era mossa afferrando il bordo della navicella. L’ibernato si era ripreso del tutto. Così si mise in piedi, senza capire, a osservare le centinaia di esseri grigi semiumani che, gettate le armi, si prostravano nella polvere in adorazione. Perplesso il suo sguardo scivolò giù, ai piedi dell’altare. Dove un uomo reggeva il capo a una vecchia ormai senza vita. «Niente più sogni per Rosa» lo udì sussurrare. Lontano un cupo canto si levò.

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