Ottocento anni fa, ad Akkon, il Gran Maestro affidò a nove monache l’ultima reliquia templare per trasferirla nel più sicuro Occidente cristiano. Oggi, Lorenzo Cipolla, un ragazzo materano che da anni vive e lavora a Firenze, si trova invischiato in una storia surreale, con agenti russi sulle sue tracce. Ancora non lo sa ma il suo destino e la sua Matera sono strettamente legati alle gesta dei Templari. Un ritmo sostenuto, una trama ricca di storia e la penna brillante di Domenico Bennardi rendono Il segreto delle nove monache di Akkon un romanzo quanto mai avvincente.
ISBN
DOMENICO BENNARDI
IL SEGRETO DELLE NOVE MONACHE DI AKKON
IL SEGRETO DELLE NOVE MONACHE DI AKKON LORENZO FISSÒ KLARA PER QUALCHE ISTANTE, ERA NUOVAMENTE COLPITO DALLA SUA PREPARAZIONE. POI OSSERVÒ LA CHIESA DI SAN GIOVANNI SUL LATO OPPOSTO DELLA PIAZZETTA. DAVVERO QUEL TEMPIO POTEVA CELARE TUTTI QUEI SIGNIFICATI? DAVVERO QUELLA CHIESA POTEVA AVER AVUTO A CHE FARE CON I TEMPLARI? E NEL CASO IN CUI NON FOSSE COSÌ CHE SIGNIFICATO POTEVANO AVERE QUEI SIMBOLI E QUEI RIFERIMENTI NASCOSTI? LE PENITENTI DI AKKON SI ERANO FORSE DIVERTITE A EMULARE ALCUNE SIMBOLOGIE ORIENTALI IN OMAGGIO ALLA TERRA D’ORIGINE DA CUI PROVENIVANO, O LA QUESTIONE ERA PIÙ COMPLESSA? E COSA C’ENTRAVA IL NONNO CON TUTTO QUESTO? LORENZO SFOGLIÒ ALCUNE PAGINE DEL QUADERNO FINO A RITROVARE UN PASSAGGIO INTERESSANTE.
SAN GIOVANNI APPARTIENE A UN CERCHIO MAGICO DI CHIESE ACCOMUNATE DA UN’UNICA RADICE CRISTIANA. LA CHIESA DI SANTA MARIA LA NOVA NON È NATA PER CASO MA PER CUSTODIRE UN SEGRETO. UN SEGRETO CHE A CAUSA DELLA PERSECUZIONE E MORTE DI TUTTI I TEMPLARI È NASCOSTO ANCORA OGGI. LE PAROLE DEL NONNO POTEVANO AVERE QUALCHE FONDAMENTO? LORENZO CI GIRAVA INTORNO, E L’IPOTESI DI UN LEGAME TRA LA CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA E L’ORDINE TEMPLARE PRENDEVA SEMPRE PIÙ CORPO NEI SUOI PENSIERI.
978-88-6960-155-2
9 788869 601552
DOMENICO BENNARDI IL SEGRETO DELLE NOVE MONACHE DI AKKON
DOMENICO BENNARDI, CLASSE ‘75, HA VISSUTO A FIRENZE PER STUDIO E LAVORO, PER POI DECIDERE DI TORNARE NELLA SUA CITTÀ, MATERA, DOVE A OTTOBRE 2020 È STATO ELETTO SINDACO. È LAUREATO IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE ALL’UNIVERSITÀ DI FIRENZE E HA UN DIPLOMA TRIENNALE IN RESTAURO CONSEGUITO ALL’ISTITUTO PER L’ARTE E IL RESTAURO PALAZZO SPINELLI. HA ALL’ATTIVO IN NUMEROSI CORSI SIA UNIVERSITARI SIA GESTITI DA ENTI PRIVATI. È STATO PRESIDENTE DEL MUV MATERA – MUSEO VIRTUALE DELLA MEMORIA COLLETTIVA, UN’ASSOCIAZIONE CULTURALE DELLA CITTÀ DEI SASSI. IL SEGRETO DELLE NOVE MONACHE DI AKKON È RISULTATO PRIMO NELLA SELEZIONE REGIONALE DEL PREMIO LETTERARIO RAI LA GIARA.
€ 22,00
Introduzione
Quando nel 2015 uscì questo mio romanzo, un po’ cavalleresco e un po’ avventuroso, vincendo per altro il Premio Giara nella sezione regionale, non pensavo minimamente che avrei potuto ristamparlo da amministratore della città a cui è di fatto dedicato il volume. Il segreto delle nove monache di Akkon, tra conflitti crociati, cavalieri templari, inseguimenti, sentimenti, vicende contemporanee e reali della città che si mescolano con la fantasia del romanzo, di fatto è un omaggio alla città di Matera, alla sua bellezza millenaria e senza tempo, alla sua storia che ha sovrapposto culture, religioni, vicende che costituiscono un patrimonio di grande ispirazione letteraria. Non sono tanti i luoghi che uniscono bellezza alla storia dell’intera umanità. Già solo pensare al fatto di essere stati Terra d’Otranto e crocevia di mercanti, pellegrini, uomini di Chiesa e cavalieri genera in modo quasi naturale il desiderio di appassionarsi alla città di Matera e di farsi ispirare da lei. È così che ho immaginato un collegamento tra Matera e Accon (o come in qualche antico scritto è chiamata, Akkon) ovvero l’attuale San Giovanni d’Acri in Israele, la cui città vecchia è stata inclusa dall’UNESCO fra i siti definiti patrimonio mondiale dell’umanità. E proprio nella parte vecchia della città è presente una fortezza del XIII secolo appartenuta ai Cavalieri Templari. Matera, Picciano, Grassano sono stati luoghi vissuti e attraversati da molti ordini cavallereschi, che spesso hanno lasciato tracce evidenti, ma soprattutto contribuiscono a rappresentare quell’incredibile patrimonio di incrocio di popoli, di passioni, di fedi, che oggi offrono un contesto magico, affascinante, da studiare, da racconta-
re, persino da inventare in chiave romanzata, per attrarre nuovi appassionati al territorio, magari tra i più giovani. Qualcuno mi ha chiesto, dopo qualche anno, se avessi voluto cambiare qualcosa nel racconto e soprattutto mi ha chiesto una nuova storia o continuazione della stessa. Oggi potrei dire con la saggezza di qualche anno in più che avrei evitato qualche vittima di troppo ed eliminato qualche intermezzo narrativo. Purtroppo per la scrittura, che rimane una grande passione, unita alla lettura, è necessario avere tempo, tempo sempre più limitato ahimè. Ringrazio Altrimedia perché ha consentito la riedizione e ristampa di questo romanzo, richiestomi in più occasioni. Il ricavato delle vendite, tolte le spese di stampa, sarà integralmente offerto ad associazioni materane che si adoperano per i profughi del conflitto in Ucraina. Buona lettura.
Prologo
Anno del Signore 1191 Akkon, città portuale della Palestina, attuale San Giovanni d’Acri nel territorio di Israele Per oltre tre anni la città di Akkon era rimasta sotto assedio in una massiccia azione militare che contrapponeva i cristiani comandati personalmente dal re di Gerusalemme, Guido di Lusignano, e i musulmani capeggiati da colui che sarà considerato uno tra i più grandi strateghi militari di tutti i tempi, il sultano Saladino. Un assedio che sarà ritenuto dagli storici come la più distruttiva delle iniziative militari cristiane per l’intero periodo delle Crociate. In aiuto dei cristiani in Terra Santa arrivarono numerose flotte da tutta Europa; tra i rinforzi via mare c’erano le armate siciliane e quelle dell’arcivescovo di Pisa. Alla fine, oltre centomila crociati si trovarono riuniti sotto le mura della città portuale. Non era insolito vedere clerici in prima linea nella lotta contro gli infedeli. Anche loro, insieme a re, signori e cavalieri avevano aderito all’appello della Terza Crociata, voluta da Papa Gregorio VIII che desiderava ardentemente rivedere le grandi città della Terra Santa sotto il controllo dell’Occidente cristiano. Arcivescovi e vescovi, quindi, avevano spesso un ruolo di comando: prelati che avevano preferito rimpiazzare il crocifisso con la spada, indossando l’elmo e la corazza al posto della tonaca, come quelli delle città di Nazareth, Montreal, Betlemme e della stessa Akkon. Nel 1191 in tutta Gerusalemme proliferavano anche gli Ordini monastico-militari, i cosiddetti monaci cavalieri, come gli ospitalieri e i temuti templari. Questi ultimi però erano rimasti senza una guida 9
dopo che, solo due anni prima, Saladino catturò e decapitò il loro ultimo Gran Maestro Gérard de Ridefort. La tragica fine di de Ridefort aveva causato un certo sconforto tra i templari presenti in Terra Santa procurando un ritardo nella nomina del suo successore. Ma la scelta sulla massima carica non poteva più attendere oltre, così il consiglio degli anziani nominò Robert de Sablé, ex vassallo di re Riccardo Cuor Di Leone. Il 12 luglio 1191 il crepuscolo era ormai vicino, gli scontri erano durati tutto il giorno e si erano conclusi in una battaglia cruciale al termine della quale i crociati riuscirono finalmente a riconquistare Akkon. I re europei (Riccardo Cuor Di Leone, Filippo II di Francia e Leopoldo V d’Austria) negoziavano vivacemente tra loro la spartizione e l’egemonia della ricca città portuale. Intanto, nella cripta sotterranea della cittadella, stava per avere inizio una riunione segreta dell’Ordine templare. Il siniscalco Alfonso Del Carmen percorse rapidamente il corridoio interno del mastio della torre e salì fino in cima, dove trovò il suo Maestro Robert de Sablé assorto a guardare i crociati che portavano a termine il saccheggio della città dopo averla faticosamente conquistata. «Mio Signore. È tutto pronto nella cripta.» «Sono arrivate le sorelle?» chiese Robert de Sablé continuando a guardare lo scenario sotto di lui. «Sì, mio Signore, sono nella cripta e attendono di parlare con Voi.» Il Gran Maestro volse finalmente lo sguardo ad Alfonso. «Procediamo allora, sia fatta la volontà di Dio» disse con voce ferma. All’interno della cripta sei cavalieri templari e nove sorores indugiavano in un ambiente angusto e cupo, circondato da possenti mura. Tra i presenti un muto disagio, il cui silenzio fu rotto improvvisamente dall’ingresso di Robert de Sablé, immediatamente seguito dal fedele siniscalco. Tutti si alzarono in piedi abbassando la testa in segno di riverenza. «Ben trovati cari fratelli e care sorelle» il Gran Maestro prese subito la parola «oggi siamo finalmente riusciti, non senza perdite, a riconquistare questa città togliendola alla minaccia degli infedeli. In questa guerra abbiamo subito grandi perdite tra i nostri cavalieri, compreso il Gran Maestro Gérard de Ridefort, ucciso per mano del sultano Saladino. Tuttavia ciò che è accaduto non ci ha fermati, niente ha mai spaventato l’Ordine. Ma il coraggio da solo può non 10
essere sufficiente e dobbiamo prendere provvedimenti per proteggere le nostre scoperte, i nostri possedimenti e soprattutto le nostre sacre reliquie faticosamente recuperate in Terra Santa. Esse rappresentano ciò che di più prezioso ha l’Ordine e sono molto più importanti delle nostre stesse vite». «Sorelle» De Sablé si rivolse direttamente a loro «conoscete bene Akkon e sapete anche voi che questa città negli ultimi anni ha subito troppi attacchi ed è sempre più minacciata degli infedeli saraceni. Quella vinta oggi non sarà l’ultima battaglia che queste mura sopporteranno. In Terra Santa, ormai, nessun castello o roccaforte appare inespugnabile e dobbiamo difenderli uno a uno con le armi e con il sangue. Il nostro futuro in queste lande appare quanto mai incerto e, come se non bastasse, dobbiamo difenderci da nemici esterni e a volte anche interni al mondo cristiano». Il tono del Gran Maestro sembrava voler giustificare una decisione drammatica ma inevitabile. In realtà, era un piano già disposto nell’ultimo consiglio degli anziani. La priorissa non aveva ancora compreso il motivo per cui fossero state chiamate al cospetto di De Sablé, la loro era una comunità di monache lontane dall’azione militare e dedita essenzialmente alla preghiera, al recupero spirituale di meretrici e alla cura degli infermi. Fece un passo in avanti e a capo chino, con voce bassa ma ferma, disse: «Signore siamo a disposizione di Dio, lo siamo sempre state. Comandateci e obbediremo». «In questo momento i signori europei stanno pensando alla spartizione della città» proseguì il Gran Maestro «e proprio ora che i re sono distratti dalle loro stesse avidità dobbiamo procedere secondo i piani stabiliti durante l’ultimo consiglio. A voi quindi, care sorelle, affidiamo il compito di allontanare la nostra reliquia più importante». De Sablé indicò una nicchia della cripta dove era custodita un’urna in alabastro a forma di vaso, con corpo conico e chiusa da un coperchio finemente decorato. «Userete il tunnel sotterraneo per arrivare al porto e vi rifugerete a Cipro da dove organizzerete il viaggio per l’Apulia con l’aiuto di Andrea, il vescovo italiano» continuò il Gran Maestro «una persona capace e fidata. Vi condurrà al sicuro in Terra d’Otranto lungo la via dei pellegrini. Sarete scortati da questi cavalieri, l’Ordine vi offrirà 11
tutta la protezione possibile e le risorse necessarie per portare avanti la missione che, come potete immaginare, richiede il massimo riserbo». La priorissa non fiatò per diversi istanti, volse per un attimo lo sguardo verso le sue sorelle in cerca di conforto ma sui loro volti notò solo preoccupazione e smarrimento. Poi osservò per qualche istante l’urna. Comprendeva l’esigenza di portarla al sicuro in Europa, ma non avrebbe mai pensato di ricevere personalmente un tale fardello e una tale responsabilità. Una negazione sarebbe apparsa inaccettabile, qualsiasi dubbio sarebbe sembrato inopportuno. Si arrese all’inevitabilità. «Offriamo a Dio la nostra vita. Custodiremo nel migliore dei modi l’urna» disse la priorissa. «Andate ora, sarete scortati da sei dei nostri migliori cavalieri, sono pronti a dare la vita per proteggervi.» Il Gran Maestro consegnò personalmente a uno dei cavalieri di supporto la preziosa urna e si congedò. La riunione venne sciolta con la medesima rapidità con cui era stata intrapresa. Quelli che seguirono furono decenni turbolenti per l’Oriente crociato. I timori di De Sablé si rivelarono fondati. Nel 1244 Gerusalemme cadde definitivamente sotto gli attacchi dei musulmani e il medesimo destino fu riservato alla città di Akkon, quando nel 1291 durante il suo ultimo tragico assedio oltre diecimila cristiani perirono nella cupola, la fortezza templare. I cavalieri la difesero fino alla morte, ma inutilmente. La caduta delle due grandi roccaforti cristiane segnò la fine delle Crociate e il definitivo declino degli stati latini in Terra Santa, e con essi venne meno anche il ruolo dei templari e degli altri Ordini monastico cavallereschi nei territori d’Oriente.
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Capitolo 1
Firenze, lunedì 19 novembre 2012 La sveglia suonava già da una decina di minuti, snervante, come al solito. Da un paio di settimane, esattamente dal giorno dopo la discussione della sua tesi di laurea magistrale, Lorenzo aveva preso l’abitudine di lasciarla suonare per qualche minuto prima di alzarsi. Mentre la sveglia continuava a martellare con il suo trillo fastidioso, pensava a quel traguardo così tanto a lungo atteso e ora quasi inconsapevolmente raggiunto, ma soprattutto a cosa potesse realmente servirgli una specializzazione in Storia dell’arte medievale a ventotto anni da poco compiuti e agli inizi del terzo millennio. Alla fine decise di alzarsi senza nemmeno tentare di darsi una risposta. Guardò fuori dalla finestra e solo allora si accorse che si prospettava la classica giornata autunnale. Pensò che svegliarsi a Firenze con la pioggia non era poi tanto male, avrebbe potuto rimanere a casa a oziare senza essere afflitto dai rimorsi di non aver messo il naso fuori di casa per visitare un museo o partecipare a un evento culturale. Lorenzo comunque aveva già dato. Il suo corso di laurea gli aveva imposto anni di visite obbligate a musei e chiese, e non solo del capoluogo toscano. Uscì dalla sua stanza, scese le scale e si diresse in cucina per fare colazione. L’appartamento, che condivideva insieme ad altre quattro persone, due studenti e due lavoratori, era poco rifinito ma pratico e funzionale, con un piccolo giardino sul retro spesso usato per ritrovi, pranzi o cene tra compagni universitari. Anche se Lorenzo apparteneva ormai alla seconda categoria, la convivenza tra studenti era prassi abituale nelle città universitarie poiché contribuiva ad 13
abbattere le spese e aiutava a socializzare. In questo caso, però, era soprattutto la posizione a essere strategica: il quartiere di Campo di Marte è una zona comoda, non troppo lontana dal centro storico e dalle sedi universitarie e tutto sommato abbastanza tranquilla per studiare. «Bonjour!» Lorenzo sorseggiava il caffè quando a un certo punto irruppe in cucina Susan, francese, occhi di ghiaccio, pelle chiara e vellutata. Non era male chiacchierare con lei. Ormai era a Firenze da un anno e aveva imparato a parlare l’italiano piuttosto bene. Lorenzo ricordava benissimo la prima sera che si conobbero, lui e gli altri della casa le insegnarono subito le parolacce principali. Il suo accento e soprattutto la visione di quel pigiama, che la rendeva stranamente goffa ma sexy, conferivano a quell’inizio di giornata una sferzata di ottimismo, quasi un presagio di spensieratezza. Mai la previsione si sarebbe rivelata così poco vicina a ciò che sarebbe accaduto di lì a poco. «Buongiorno Susan. Tutto bene?» «Oui, bien Lorenzo» rispose lei sorridendo. «Ah scusa, è arrivata una cartolina per te, è nella raccolta della posta all’ingresso.» «Un’altra cartolina?» Da alcuni mesi Lorenzo riceveva delle strane cartoline raffiguranti chiese medievali senza sapere chi fosse il mittente dato che erano tutte in bianco. Nessuna firma, nessun saluto, nessuna dedica. «Ok. Grazie Susan. È rimasto un po’ di caffè caldo nella moka, prendilo pure se vuoi.» Lei gli sorrise e si gustò quella piccola premura. Lorenzo si alzò, mise la sua tazza semivuota nel lavandino e si diresse incuriosito verso l’ingresso. Abitando in cinque la posta raggiungeva spesso cospicui quantitativi, tanto che era stato collocato un cesto vicino alla buca delle lettere che raccoglieva tutta la corrispondenza. Vi frugò dentro finché non trovò la cartolina. Come aveva immaginato era dello stesso genere di quelle già ricevute. Sul fronte vi era raffigurato l’interno di una basilica medievale in stile romanico con possenti mura. Fece una smorfia di insoddisfazione, nonostante gli studi sull’argomento non la riconobbe, così fu costretto a girarla per leggere la didascalia. Fino a quel momento tutte quelle strane cartoline avevano solo riportato il nome e l’indirizzo del destinatario “Lorenzo Cipolla - Via Novelli, 44 Firenze”. Quella 14
però aveva qualcosa in più. Nello spazio riservato ai saluti, solitamente lasciato vuoto, c’era scritto a mano una frase che Lorenzo riconobbe subito. Era di Umberto Eco, più precisamente una citazione contenuta ne Il Pendolo di Foucault. I templari c’entrano sempre, in qualche modo i templari hanno le mani in pasta. Nessuna firma, nessun altro riferimento. Leggendo la didascalia stampata sulla cartolina capì che si trattava della chiesa di Notre Dame di Tartus. Lorenzo ricordò dall’esame di storia del pellegrinaggio nel Medioevo che Tartus era una città dell’attuale Siria, e in epoca crociata era la mitica Tortosa, una delle mete più famose tra i pellegrini nonché sede dell’Ordine templare in Terra Santa. “Chi diavolo è che mi prende per il culo?” pensò Lorenzo che iniziava a seccarsi di quel gioco senza senso. Diede un altro sguardo alla chiesa raffigurata quando sentì squillare il telefono di casa. Distratto dalla cartolina non ci badò, ma dopo pochi secondi si sentì chiamare da Antonio, l’altro coinquilino. «Lorenzo ti cercano al telefono!» «Ok, apro la linea da qui, grazie» rispose avvicinandosi a un altro apparecchio telefonico collocato al piano terra. «Dottor Cipolla è lei?» Lorenzo non si era ancora abituato a essere chiamato dottore. Per di più, unito al cognome “Cipolla” l’apposizione suonava alquanto ridicola. Sospettò per un attimo che potesse trattarsi di uno scherzo dei suoi compagni dell’università. Ma la voce dall’altra parte sembrava piuttosto seria e autorevole, con un accento meridionale e un timbro vocale maturo mai sentito prima. Se era uno scherzo era indubbiamente ben realizzato. «Chi parla?!» «Buongiorno. Sono l’avvocato Giovanni Carlucci, l’esecutore testamentario di suo nonno, Vincenzo Cipolla. Ha ricevuto la mia lettera?» Lorenzo rimase di sasso. Da quando viveva a Firenze aveva avuto scarse notizie del nonno, soprattutto negli ultimi tempi. Nessuno lo aveva messo al corrente della sua morte. D’altra parte non c’erano molte persone in grado di poterlo informare. La nonna scomparve quando lui non era ancora 15
nato mentre il padre, che era sempre stato in lite con il nonno di Lorenzo, morì sei anni prima a causa di un tragico incidente stradale. La madre invece aveva preferito lasciarsi alle spalle tutto, viveva ormai da tempo a Padova dove si era formata una nuova famiglia. Con lei i rapporti si erano definitivamente raffreddati, si sentivano due o tre volte l’anno per gli auguri di circostanza nelle ricorrenze festive. E così a Lorenzo, in quanto figlio unico, non era rimasto che quel nonno sempre in giro a inseguire i propri interessi e le proprie passioni. Aveva bei ricordi di lui legati all’infanzia. Con gli anni però, proprio per via di quella strana fissazione per leggende e storie medievali, si era progressivamente chiuso in sé stesso, e il rapporto fra i due si spezzò del tutto quando il nipote decise di trasferirsi in una città lontana come Firenze. «Lorenzo è ancora lì?» chiese l’avvocato. «Sì ci sono. È che non sapevo che mio nonno…» «Oh mi perdoni» lo interruppe «sono amareggiato. Pensavo avesse avuto la notizia. Suo nonno paterno è scomparso due giorni fa, il 17 novembre. Era sofferente da qualche tempo e il suo cuore alla fine ha ceduto. Le porgo le mie più sentite condoglianze. Io e suo nonno eravamo molto amici, fu lui a nominarmi esecutore testamentario appena otto mesi fa, dopo la prima crisi cardiaca. Mi aveva parlato di lei, del fatto che vivesse a Firenze, degli studi e del suo lavoro, e ne era molto orgoglioso». Lorenzo ascoltava in silenzio. Era turbato e confuso dalla notizia, e allo stesso tempo non capiva come facesse suo nonno a essere così aggiornato sulla sua vita. «Dovrebbe raggiungermi a Matera, presso il mio studio, ho bisogno di parlarle relativamente a questioni molto importanti che necessitano della sua presenza qui e nel più breve tempo possibile. Devo anche darle degli oggetti per i quali suo nonno si era tanto raccomandato affinché glieli potessi consegnare personalmente.» Lorenzo mancava da Matera, la sua città di origine, da oltre otto anni, da quando si era trasferito a Firenze subito dopo il liceo. Era riuscito a trovare anche un lavoro, un impiego part-time presso l’ufficio prestiti della biblioteca comunale di quartiere. Anche se precario, quel posto gli permetteva di coprire le spese universitarie, di pagare l’affitto della sua stanza e soprattutto di stare vicino alla sua passione principale: i libri e la lettura. Finché durava andava bene, 16
anche se non soddisfaceva a pieno le sue ambizioni e sicuramente non corrispondeva all’idea di occupazione che si era fatto durante gli anni di studio. Ormai non gli erano rimasti molti motivi per tornare nella sua città natia, non aveva lasciato affetti o legami particolari, e la decisione di trasferirsi in modo stabile e definitivo a Firenze gli era sembrata la più sensata e naturale da fare. Non si trattava per Lorenzo di una vera e propria certezza ma di una scelta di comodo che comunque contribuiva, almeno temporaneamente, a farlo star bene. Certo, all’inizio non era stato semplice, cambiare città non era come voltare la pagina di un libro quanto piuttosto come aprirne uno nuovo di zecca. Ma il passato non è il libro di una biblioteca che puoi riporre dopo averlo letto. Spesso te lo ritrovi tra le mani in maniera inaspettata. «Dottor Cipolla è ancora in linea?» esortò nuovamente l’avvocato. «Pensa di venire a Matera per il funerale?» «Quando ci sarà?» «Tra non meno di cinque giorni, la salma deve rientrare da Tartus» rispose l’Avvocato «Che cosa?!» esclamò Lorenzo scosso. «Posso comprendere il suo stato d’animo. Purtroppo, come potrà immaginare, c’è un’inevitabile trafila burocratica per il rimpatrio. Se siamo fortunati in cinque o sei giorni dovremmo avere suo nonno a Matera.» «Dove ha detto che si trova ora?» lo interruppe Lorenzo. «A Tartus, la città siriana. Era in uno dei suoi soliti viaggi quando ha avuto un infarto che non gli ha dato scampo. Glielo dicevo io che con quel cuore che si ritrovava doveva evitare di andarsene sempre in giro come un giovane esploratore.» «Che vuol dire sempre in giro?» «Non lo sa? Suo nonno negli ultimi anni si è dedicato molto a ricerche, indagini e studi che spesso lo hanno allontanato da casa fino a spingerlo anche all’estero. Non sa quante volte, da amico, ho provato a dissuaderlo ma non voleva sentire ragioni, sembrava che per lui fossero le indagini più importanti della sua stessa vita.» «Grazie avvocato Carlucci» rispose Lorenzo disorientato «potrò richiamarla se avrò bisogno di lei?» «Certo. Sarò a sua completa disposizione. Mi chiami pure quando vuole, troverà facilmente il mio numero sull’elenco telefonico. 17
Suo nonno e io eravamo molto amici, per me era come un fratello. Le mie più sentite condoglianze.» Lorenzo ripose il cordless. Era sconcertato. Gli tornarono in mente alcuni momenti di un passato che improvvisamente sembrava più vicino di quanto pensasse. Come in un flashback si rivide un bambino felice dondolare sulle gambe del proprio nonno. Ci fu un tempo in cui il rapporto tra di loro era speciale. Spesso Lorenzo correva da lui per rifugiarsi durante le aspre discussioni dei suoi genitori. Era allora che il nonno lo intratteneva con quelle fantastiche storie. Come era stato possibile che una famiglia si potesse smembrare in quel modo? Secondo la psicoanalisi, la rimozione è un meccanismo mentale che allontana dalla propria coscienza desideri, pensieri e ricordi considerati inaccettabili dall’Io. Negli ultimi anni Lorenzo aveva rimosso molti dei suoi ricordi legati alla famiglia, ma oltre a eliminare i contrasti interni, le liti, la separazione e poi la tragica scomparsa del padre, aveva dovuto necessariamente sacrificare quelle recondite emozioni positive di un’adolescenza travagliata. Aveva dovuto fare a meno delle sue stesse radici e, con esse, anche di un pezzo della propria identità. Riguardò la cartolina raffigurante Notre Dame di Tartus che aveva ancora in mano. Era chiaro che l’enigmatico autore della spedizione fosse il nonno e che l’avesse inviata pochi giorni prima della sua scomparsa. Ma perché quel mistero? Perché non firmarsi? E cosa voleva dire quella citazione sui templari? Era solo una casualità dettata dalle sue manie per le leggende medievali o voleva significare qualcosa di più particolare? Osservò di nuovo e con più attenzione la scrittura, una calligrafia matura, la citazione scritta in stampatello. Che fosse il nonno era molto plausibile. Un attimo dopo, arrivò l’intuizione. Lorenzo corse in camera sua e cercò le altre cartoline sperando di non averle cestinate durante le ultime pulizie della stanza. Fortunatamente erano tutte nel cassetto del suo comodino. Le prese e iniziò a confrontare tutti i retro esaminando le calligrafie usate per indicare il destinatario. Constatò che tutte le scritture, compresa l’ultima, erano identiche. «Diamine, sono tutte cartoline di mio nonno!» 18
Questo voleva dire che era stato in ognuno di quei posti raffigurati, lo confermavano anche i timbri postali. Vincenzo Cipolla oltre ad avere una forte passione per le storie e le leggende medievali era molto legato alla fede cattolica, era un assiduo praticante e apparteneva a una confraternita religiosa presente all’interno della sua parrocchia. Che si fosse recato in quei luoghi con i viaggi organizzati da questa? Lorenzo si sedette alla scrivania dove aveva passato gli ultimi otto anni a studiare e vi dispose tutte le cartoline ricevute. In tutto erano nove e tutte raffiguravano edifici di culto medievali. Trascrisse un elenco su un foglio rispettando l’Ordine cronologico di arrivo. 1. Chiesa dei Santi Nicolò e Cataldo di Lecce (foto di interni); 2. Chiesa di San Cataldo a Palermo (foto di interni); 3. Chiesa di San Nicola a Bari (foto di esterni); 4. Cattedrale di Bitonto (foto di esterni); 5. Chiesa di San Maria di Cerrate a Squinzano (foto di esterni); 6. Abazia di Fossanova (foto di interni); 7. Cattedrale di Anglona (foto di esterni); 8. Chiesa di Santa Maria della Valle a Matera (foto di esterni); 9. Cattedrale Notre Dame a Tartus (foto di interni). Osservò i monumenti raffigurati. C’erano diverse analogie tra le varie chiese. Tutte erano di età medievale e in stile romanico, con qualche riferimento gotico e alcuni elementi architettonici di tradizione orientale, come le possenti mura, i capitelli e in qualche caso i ballatoi. I ballatoi erano elementi architettonici particolari che non avevano solo funzione decorativa ma venivano impiegati anche come fortificazioni per le mura di una città o di una fortezza. Molto spesso nell’Oriente crociato le chiese divenivano rifugi per i cristiani che avevano necessità di difendersi; i percorsi e camminamenti sopraelevati divenivano poi luoghi privilegiati per il controllo dei nemici e all’occorrenza posizioni utili per l’attacco. Tutte quelle raffigurate nelle cartoline erano chiese che Lorenzo non conosceva bene, non le aveva viste personalmente, a esclusione della chiesa di San 19
Nicola a Bari dove si era recato in un lontano viaggio scolastico, e la chiesa di Santa Maria della Valle di Matera, meta di un paio di escursioni avventurose e adolescenziali. In definitiva si trattava per lo più di luoghi a lui poco noti se non del tutto sconosciuti. Eppure a Lorenzo davano tutte una sensazione familiare. Gli tornò alla mente l’esame di storia di architettura medievale sostenuto con il mitico professor Galeastri. Con il suo innovativo metodo didattico quel docente faceva breccia nel cuore di molti dei suoi studenti. A una profonda conoscenza della materia univa delle personali e a volte bizzarre esternazioni di entusiasmo nei confronti di architetti famosi e di altri meno noti. Pareri apparentemente superflui ma che fornivano un pretesto al dialogo e alla discussione, il tutto condito con aneddoti storici e un uso massiccio di slide e immagini. La sua ora volava in modo piacevole. Spesso contestualizzava le sue lezioni abbandonando l’aula e portando la classe tra le architetture urbane di Firenze. Ma il bello veniva quando, durante le sue lezioni, faceva ascoltare ai suoi studenti un debole sottofondo di musiche antiche, contemporanee alle opere che trattava. «Ogni opera d’arte, compresa quella monumentale e architettonica, risulta essere l’inevitabile riflesso del tempo e del contesto storico in cui essa prende forma», era l’assioma che Galeastri ripeteva spesso, come un mantra. Il professore sosteneva che chi si cimentava nello studio della storia dell’arte doveva respirare e rivivere il più possibile il contesto storico in cui l’opera veniva concepita. Lezioni coinvolgenti e indimenticabili. Erano passati già sei anni da allora, eppure ricordava molte di quelle nozioni. Lorenzo picchiettava nervosamente sul tavolo l’ultima cartolina ricevuta, si sentiva come in un vicolo cieco. Il pensiero tornò al nonno. Notre Dame, Nostra Signora, Madre Nostra… Che senso potevano avere quelle missive? Percepiva uno strano accanimento, quasi sospetto. Era come se dietro ci fosse un piano premeditato. E se avesse voluto trasmettergli un messaggio preciso? Probabile. Ma se fosse stato così, evidentemente lui faticava a leggerlo e a interpretarlo. “Perché un nonno decide di inviare delle cartoline in bianco al proprio nipote? E perché quell’ultima citazione enigmatica?” Non riusciva a trovare risposte logiche ai propri dubbi. Gli venne in mente la citazione presente sull’ultima cartolina ricevuta. 20
I templari c’entrano sempre, in qualche modo i templari hanno le mani in pasta. Lorenzo non si era mai interessato particolarmente a quel tipo di vicende che spesso andavano al di fuori della storia ufficiale abbracciando il leggendario e l’esoterico. Sembrava una fissazione letteraria del nuovo millennio quella dei templari, sull’argomento si erano scritte vagonate di libri. Eppure quella citazione un significato doveva pur averlo, anche perché al momento rappresentava l’unico punto di partenza da cui poter iniziare a ragionare. Sapeva che i templari erano un Ordine cavalleresco, come se n’erano formati diversi all’epoca delle Crociate. Il loro scopo, almeno quello ufficiale, era proteggere i pellegrini in Terra Santa. Ricordava l’esistenza di tesi che volevano l’Ordine nato per scopi piuttosto materiali, non proprio vicini allo spirito ecumenico e fraterno. Infatti, qualcuno sosteneva che quei cavalieri si trovassero in Terra Santa col preciso intento di cercare sacre reliquie e portarle in Europa, a Roma dal Papa, o al cospetto dei grandi signori europei. Si trattava solo di leggende, come quelle sul Sacro Graal o sull’Arca dell’Alleanza. Eppure gli rimaneva incomprensibile il fatto che dopo quasi settecento anni dalla tragica fine dei templari – avvenuta a Parigi nel 1314 con la messa al rogo dei suoi capi – l’Ordine dei cavalieri del Tempio facesse ancora parlare di sé e riuscisse ad affascinare un sempre crescente numero di persone, con un’infinità di pubblicazioni e siti web dedicati. Ricordava che c’era ancora chi negava che nel famoso 1307 fossero stati eliminati tutti i templari, affermando che qualcuno sopravvisse tramandando l’eredità dell’Ordine con i suoi segreti e i mitici tesori fino ai giorni nostri. La storia non si basa su misteri e leggende ma su fatti certi e fonti documentate, Lorenzo ne era assolutamente convinto. Infatti era un dato incontrovertibile che a oggi non si fosse trovato uno solo dei fantomatici tesori templari, né ricchezze nascoste, né calici, arche o cose del genere. Nulla di nulla. L’unico Santo Graal di cui era a conoscenza stava proprio a Firenze e si trattava di un apprezzabile, anche se un po’ troppo turistico, ristorantino vicino piazza Signoria. Secondo Lorenzo le ipotesi erano due: o i tesori templari non erano mai esistiti, oppure qualcuno si era ben adoperato per nasconderli e renderli inaccessibili. 21
Intanto si erano già fatte le dieci e Lorenzo avrebbe dovuto passare la mattinata inviando curricula per cercare di far decollare le proprie prospettive lavorative, ma non ne aveva assolutamente voglia. Diede un’ulteriore occhiata all’ultima cartolina ricevuta e in un attimo prese la decisione. Cinque minuti più tardi sfrecciava tra le strade di Firenze in sella al suo Vespone bianco.
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