Carmen Lucia è nata a Potenza nel 1975 e vive ad Avigliano. Attualmente insegna presso il Liceo Classico “Quinto Orazio Flacco” di Potenza. Vincitrice di numerosi concorsi letterari con la raccolta “Canti d’amore” e “Vivere” (Altrimedia Edizioni); dal 2015 collabora con il Circolo culturale “Silvio Spaventa Filippi” alla redazione della rivista “Leukanikà”.
Resistere … al male, alla sofferenza, al dolore. Credere nella bontà, non nel bene e neppure nel Dio degli altari. Vivere la vita come dono prezioso. Un giardino di rose. Immaginare le viole in versi come piccolo medicamento e modesto risarcimento. Sognare il domani sebbene nessuno se lo attenda da te. Coltivare e realizzare aspettative, desideri, sogni anche se nessuno punterebbe sul tuo cavallo stonato.
CARMEN LUCIA
Oltre la notte
8,00 ISBN ISBN 978-88-96171-02-8 978-88-6960-060-9
9 788869 600609
i poeti
L’AMMUTOLITO SILENZIO DELLA NOTTE L’ammutolito silenzio della notte avrei voluto dipingere, ma fondo e spento era inaccessibile. Scorgere vorrei, tastando i muri, il segreto varco che mi condurrà nel cuore del Mistero, l’enigma saggiamente ed ingannevolmente celato dai labili sogni della mente. Quali misteri fra sbiaditi e muti fantasmi di intelletto palpitano? Quali bisogni biechi riempiono anime incapaci di nutrirsi e riempirsi di eterno? Eppure questo groviglio di apparenze e di parvenze stride nella strada vuota, dal martello dei grilli riverberata. Non so davvero più che sperare, se indignarsi e dar voce al dolore del mondo non basta perché nessuno se ne cura, non ho più con cosa placare sete e fame di questa famelica notte.
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PETROLIO Soffocare tra flutti viscidi e neri, contorcersi vanamente per riconquistare un perduto azzurro! Per quale peccato ad innocenti creature del cielo e del mare spesso questa sorte spetta? Alcune mani pietose di dar dignità a pene dure ed inutili tentano, ma s’aprono rapide inesorabili voragini. Gelida scende la sera su morti e agonizzanti. Perché del genere umano l’avidità non conosce né leggi né pietà?
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A MIO PADRE Una notte d’agosto, nel riso della luna ti ho ritrovato, facendo pace con i ricordi. In questi lunghi, difficili anni mi sei mancato, mi manca la tua sensibilità . In questi lunghi, difficili anni spesso mi sono chiesta: se non mi avessi lasciato che vita sarebbe stata? A volte, chiusa nella stanza, ho creduto di sentire la tua chiave nella toppa, i tuoi passi tra queste mura che non conosci! Caro papà , spero tu non soffra se io, a volte, mi sento come foglia sbattuta e abbandonata nel vento.
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IL SORRISO BIGIO DELLA LUNA Il sorriso bigio della luna piena scivola sui faggi, affastellati come sentinelle ridenti ai margini del bosco e mi si attorciglia alle viscere, riempiendomi di una gioia leggiadra e misteriosa. Mi sento parte di un enigmatico flutto vitale, alimento della vita tutta. Da quando divido la strada con un ospite sgradito e inatteso, da quando ho scelto il futuro senza perdono, la forza e l’equilibrio che a volte mancano a tradimento al mio corpo nutrono l’incessante sete del domani, dove evanescente gocciolina di vapore per la sorte del mondo io sono e dove inavvertitamente il male si mischia al bene senza un reale perchÊ.
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UNA NOTTE DI FINE AGOSTO … il tuo fiato sul collo, le tue mani frenetiche sulla pelle, l’amaro sapore dei baci tuoi nella bocca … … sono in un passato che non è dolce … … per ogni ricordo un morso che trasporto nella tormenta … Chi mi ha destinato alla dannazione della gratuita tua crudeltà? …Oh, se avessi, in quella notte potuto non amarti per il dolore che mi ha penetrato l’anima, per il male crudo che mai dimenticherò …Oh, se potessi addormentarmi in questa limpida e dolce notte di stelle e scoprire domani che non ti ho più nel sangue.
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LA QUERCIA FERITA Ferisce la quercia a braccia tese, sola nel vento, ammutolita dall’incomprensione, indifferente al chiacchiericcio d’intorno. Nessuno chiede lumi del silenzio ostinato, del suo volgere al cielo inaccessibile le braccia contorte. È sola nel ricordo del dolore della violenza umana, fa troppa paura per essere compresa, per essere ascoltata… e fa orrore parlare, meglio guardare muti il cielo e lasciar fluire nella linfa avara di questa stagione la sofferenza che nessuno vuole e può capire.
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LE CORDE SEPOLTE Non i miei occhi, per quel dolore piombato inatteso nel buio piangono, non il mio cuore si frantuma nel ricordo vivo nella carne delle parole di derisione, rabbia, disprezzo, non il mio corpo rivendicato sperde d’intorno il dolore occultato in me per anni; bensì la voce oscura del caso arpeggia, strimpellando le corde sepolte e canta acuti stonati. Melodie di ghiacci liquefatti nella notte da sconsiderato sfruttamento. Crudeltà, avidità che in corpo, in cuore, nell’anima mi hanno eroso, scarnificandomi barbaramente. Chi sono? Perché cieca e gratuita la crudeltà mi ha eletto a sua consapevole testimone?
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