I pubblici della comunicazione di massa

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Enr i c aTe de s c hi i ns e g nas oc i ol og i apr e s s ol ’ Uni v e r s i t àdi Roma Tr eda l1997.Fr al epubbl i c a z i onide g l iul t i mia nni :I lp o t e r e d e l l ’ a u d i e nc e ,ac ur a ,Roma ,Me l t e mi ,2002;Vi t ad af a n,Roma , Me l t e mi ,2003;S o c i o l o g i aes c r i t t u r a ,Roma Ba r i ,La t e r z a , 2005; Co nne s s i o ni i nc e r t e , Roma , Phi l os , 2006.

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I me z z i d i c o mu ni c a z i o ned i ma s s ap r o d u c o no , r i p r o d u c o noed i s t r i b u i s c o nol ac o no s c e nz a ,l er a p p r e s e nt a z i o nid e l l ar e a l t à ,l ev i s i o ni d e lmo nd o .Pr i v id iq u e s t eg r i g l i ei nt e r p r e t a t i v eno ns a r e mmoi n g r a d od io r i e nt a r c ine l l ' a r e nad e l l av i t aq u o t i d i a na ,nép o t r e mmo c o l l e g a r ei lno s t r op r e s e nt ea l l ame mo r i ad e lp a s s a t oea l l ep r o i e z i o nid e lf u t u r o .Las t o r i ad e lr a p p o r t of r ap u b b l i c ieme d i aè s e g na t ad aa s i mme t r i e :no ns is v i l u p p al i ne a r me nt ees p e s s o c o no s c er e g r e s s i o nio p p u r ei na t t e s ib a l z ii na v a nt i .Èq u e s t al a ma t e r i ad e l l ar i c e r c as u i me z z i d i c o mu ni c a z i o ned i ma s s aes u i l o r o e ffe t t is o c i a l i .Di ffe r e nt il i ng u a g g ic o l p i s c o nod i ffe r e nt it i p id i p u b b l i c o ,mav e ng o noa nc h er i e l a b o r a t ii nmo d oc r e a t i v od a l l e a u d i e nc ec o nt e mp o r a ne e , i nu nac o s t a nt er i nc o r s af r ap r o d u t t o r i e c o ns u ma t o r i d i c o nt e nu t i me d i a t i .

IPUBBLI CIDELLECOMUNI CAZI ONIDIMASSA

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IPUBBLI CIDELLE COMUNI CAZI ONIDIMASSA LEZI ONIDISOCI OLOGI A DELLACOMUNI CAZI ONE


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Capitolo 1 La sociologia e i media 1. Il discorso sociologico sulla comunicazione Il rapporto di scambio fra la sociologia e i media è la cifra distintiva di una storia di sinergie e attraversamenti che va avanti da sempre. «Da sempre» vuol dire: da quando si afferma la sociologia come scienza dei fenomeni collettivi e da quando i media diventano visibili e potenti, il che avviene contemporaneamente. Entrambi irrompono sulla scena pubblica nello stesso periodo storico. Scrivono Melvin L. DeFleur e Sandra J. Ball-Rokeach (1995: 162): ... la fondazione della sociologia come disciplina sistematica dedicata specificatamente allo studio dei processi sociali non ebbe luogo prima della metà del XIX secolo, più o meno nello stesso momento in cui Benjamin Day incominciava a vendere il suo giornale nelle strade di New York per un penny a copia.

Comunicazioni di massa e disciplina sociologica sono conseguenze della modernità e rispondono alle nuove, marcate, esigenze di comunicare su grande scala e di riflettere sui meccanismi che regolano le interazioni fra soggetti sociali molto più visibili e molto più incontrollabili delle fasi storiche precedenti, come per esempio l’ancien règime. La comunicazione e lo studio dei flussi comunicativi sono la posta in gioco dei nuovi poteri, socio-economici e culturali, e la sfida posta dalla rapidità del mutamento sociale che caratterizzerà, da quel punto in poi, il «nuovo regime». Ecco perché, esplorando le teorie dei padri fondatori della sociologia si resta colpiti dall’abbondanza dei riferimenti alla comunicazione e dalla puntuale attenzione che venne da loro dedicata ai fenomeni comunicativi. Auguste Comte, per esempio, non fu certo un mediologo ma, quando si interrogava sulla coesione e solidità della società (1830-1842), in-


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tesa come organismo collettivo che connette parti differenziate eppure in sintonia, non fa che esplorare la tenuta dei flussi comunicativi che collegano il tutto alle parti e le parti fra loro, in funzione di un’armonia e un coordinamento che consentano continuità e futuro, non rotture e lacerazioni. È già delineata un’idea di corpo sociale inteso come ambiente comunicativo, come luogo privilegiato in cui si scambiano comunicazioni. È chiaro che il fallimento di tale coesione e di tale ordine non può che essere addebitato a un gap di comunicazione che ribalti l’equilibrio del sistema compromettendo l’esistenza dell’organismo stesso. Ugualmente Herbert Spencer, concependo la società come frutto di un’evoluzione connotata dalla specializzazione (1896), affidò all’interdipendenza delle parti, e quindi alla possibilità di comunicazione fra sfere specializzate, il compito di stabilizzare l’insieme e di sfruttare le reciproche relazioni a vantaggio del tutto. In queste prime rappresentazioni della società moderna, allora in stato nascente, era già presente una coscienza latente di quanto la comunicazione sarebbe diventata cruciale nel nuovo mondo segnato dall’industrializzazione e dalla cultura di massa. Fu quindi la sociologia a rendersi conto di quanto la comparsa dei media di massa nella storia umana avrebbe costituito un fattore di trasformazioni profonde e strutturali: dai modelli delle interazioni nei gruppi sociali ai profili psicologici e biografici dei singoli. Charles Horton Cooley, da quell’osservatorio privilegiato che erano gli Usa, nei primissimi anni del Novecento, argomentava quanto la capacità espressiva dei media di massa fosse maggiore che nei media tradizionali del passato e quanto essi fossero più efficaci che in qualsiasi altro momento della storia. I media di massa, infatti, erano più potenti in relazione al tempo (la permanenza del ricordo prometteva di essere più lunga e tenace), in relazione allo spazio (sarebbero stati più veloci) e avrebbero raggiunto chiunque e avuto accesso a tutti, grazie alla loro capacità incredibile di diffusione (Cooley 1909). Persino il senso e la cognizione della storicità (la memoria degli eventi del passato) sarebbe stata mediata, ossia veicolata dai mezzi di comunicazione di massa. Il ruolo della sociologia nella communication research è dunque molto significativo fin dall’inizio e accompagna passo passo l’emergere e lo sviluppo delle diverse teorie che tentano di spiegare i processi col-


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lettivi, mettendo anche a punto progetti di tipo applicativo. Non nominerò qui i sociologi specialisti della comunicazione – che sono ampiamente citati nei capitoli seguenti e associati alle teorie che hanno contribuito a sviluppare. Ricorderò invece, a brevi linee, il contributo della sociologia in quanto disciplina generale, che con il suo patrimonio concettuale e analitico ha sostenuto le intuizioni e le idee interpretative sviluppate dagli specialisti della comunicazione. Ritengo, infatti, che non ci sarebbero state tante costruzioni teoriche pertinenti e acute nella sociologia dedicata allo studio dei media senza le intuizioni e le grandi concettualizzazioni fondanti della sociologia generale e dei suoi autori. Ciò è valido per ogni sociologia specialistica, ma a me sembra che nessun ramo settoriale della sociologia attinga, quanto la sociologia della comunicazione, ai costrutti generali della disciplina. Questo collegamento diviene evidente se osserviamo attentamente la relazione fra i due poli della comunicazione: il tipo di legame che l’osservatore stabilisce fra la fonte e il destinatario è una spia o un indicatore della sua visione complessiva della società e delle forze che la tengono unita (o che le impediscono di disgregarsi) e, contemporaneamente, ci informa sugli effetti sociali dei media, ossia sul tipo di pubblico che un certo paradigma sociologico proietta, si rappresenta o prefigura. In parole più povere: da come una teoria sociologica inquadra il rapporto fonte-destinatario noi possiamo risalire, da un lato, a una concezione della società e dei legami societari, dall’altro, a una concezione dell’audience, ossia dei soggetti sociali che sono l’oggetto di studio della sociologia. Senza ripercorrere tutto l’itinerario del pensiero sociologico, è sufficiente richiamare alcuni approcci (e autori) che, esclusivamente ai fini specifici di questo discorso, possono essere associati e inclusi in tre categorie (determinismo, costruzionismo, decostruzionismo) che implicano tre posizioni distinte dell’audience (passiva, ostinata, ribelle). 2. Determinismo e audience passiva Emile Durkheim (1893) organizza in un discorso sociologico moderno la concezione antica che sostiene le prime teorie della società (Comte, Spencer) e che si fonda sull’idea che il segreto dell’ordine e della stabilità sociali sia da ricercarsi nella struttura organizzativa che sorregge le relazioni societarie umane. La filosofia della conoscenza che


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guida la ricerca teorica di Durkheim s’incardina nello stesso paradigma positivista e determinista1 da cui prenderà forma il rigido struttural-funzionalismo di Talcott Parsons (1937), poi smussato e articolato da Robert Merton (1949). La società viene vista come sistema che tende all’equilibrio e alla stabilità, e come architettura di strutture funzionali al mantenimento dell’insieme, tra le quali spicca il sottosistema culturale e dei mass media, che acquista un ruolo decisivo ed esprime una funzione cruciale, sviluppata anche nella sociologia sistemica di Niklas Luhman (2000). Senza questo sfondo concettuale, le teorie della società e della cultura di massa non avrebbero avuto lo stesso spessore e la stessa potenzialità euristica. Non solo: sarebbero impensabili sia la teoria ipodermica, o del proiettile ma gico (cap. 2), che la teoria della persuasione (cap. 3), entrambe protagoniste degli stili e dei modelli comunicativi dei primi decenni del Novecento. Queste due teorie, oltre al riferimento alla teoria psicosociologica della folla – dipinta da Le Bon (1895) come reattiva e impulsiva, quando non infantile – ricollegano all’impianto deterministico e sistemico l’efficacia dei media sulle masse, ingabbiando i destinatari dei messaggi in un destino di passività, eterodirezione, plagio. Secondo questo paradigma, la mediazione del processo di intercettazione della realtà sociale produce relazioni deboli, di contro ai legami forti dell’interazione personale diretta. Senza la visione di Durkheim, normativa e coercitiva, che attribuisce al singolo irrilevanti spazi di autonomia e lo condanna all’anomia, qualora le norme sociali non siano sufficientemente cogenti e interiorizzate, la teoria della società e della cultura di massa avrebbe meno vigore e minore caIl positivismo, nella seconda metà dell’ottocento, è quel pensiero filosofico che si oppone al romanticismo e all’idealismo, rivendicando che la conoscenza può derivare solo dall’analisi razionale di fatti concreti e dati oggettivi e, quindi, non può che essere di tipo scientifico. Il positivismo si smarca dalla religione e dalle culture irrazionalistiche, fondandosi sulla fiducia nel progresso scientifico e sulla certezza che i fenomeni naturali e/o umani possono sempre essere spiegati da leggi generali costruite empiricamente. Il determinismo, entro la cornice del pensiero positivista, considera ogni evento come effetto di una concatenazione di cause oggettive, conoscibili, che lo spiegano. La spiegazione causale è, in questo schema interpretativo, il procedimento più pertinente in ambito scientifico. 1


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pacità interpretativa. La nozione di società, che implica le relazioni impersonali e l’anonimato tipico delle grandi città, contribuirà a dare spessore alle teorie critiche del Novecento (cap. 6) che pongono l’enfasi sull’uomo massa e sulla sua solitudine affettiva e culturale. I sistemi sociali prendono forma e si consolidano grazie a dispositivi comunicativi e processi di scambio simbolico connessi alle diverse sfere del sociale, allo stesso tempo i fenomeni sociali possono essere ricondotti ad azioni intenzionali progettate in contesti strutturati (Thompson 1995). La comunicazione può essere intrasistemica (dentro un gruppo) o intersistemica (fra gruppi): in entrambe i casi, essa riflette e riproduce i rapporti di potere dominanti, per cui esprime e veicola potere simbolico, di cruciale importanza nelle società complesse. 3. Costruzionismo e audience ostinata La distinzione operata alla fine dell’ottocento da Ferdinand Tönnies fra «comunità» e «società» (1887) è altrettanto decisiva per lo sviluppo delle future teorie mediologiche. L’opposizione si definisce sulla base di molti indicatori, ma soprattutto tenendo conto del tipo di relazioni e interazioni sociali che i due modelli o idealtipi prevedono. In particolare, il concetto di «comunità» mette in risalto la natura dei vincoli micro-sociali, delle relazioni interpersonali porta a porta e face-to-face, ed è una delle costruzioni teoriche più importanti del pensiero sociologico. L’attenzione ai legami primari, alla rete dei rapporti societari che sostiene l’impalcatura sociale più ampia, aiuterà i sociologi del Novecento a fare luce su atteggiamenti, pratiche e comportamenti collettivi altrimenti inspiegabili. La mediologia si serve moltissimo dell’intuizione di Tönnies quando, superate le illusioni alimentate dalla teoria del «proiettile magico» (cap. 2), comincia a misurarsi con il contesto sociale della comunicazione che, come variabile interveniente (cap. 4), è in grado di ostacolare i significati veicolati nel messaggio. La teoria degli effetti limitati non si sarebbe sviluppata con la stessa capacità di presa sul reale senza la visione dicotomica di Tönnies e le sue conseguenze euristiche. Né i mediologi avrebbero individuato con tanta sicurezza la cosiddetta audience ostinata, o resistente, che filtra i messaggi ricevuti attraverso la fitta rete dei legami sociali che tiene insieme ogni aggregazione o formazione collettiva di uomini.


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Un altro filone del pensiero sociologico in grado di orientare la riflessione mediologica può essere ricondotto all’impostazione di Max Weber (1922), che può considerarsi un precursore del costruzionismo (cap. 9). Egli insiste sulla predisposizione del soggetto ad attribuire specifici significati all’azione sociale, di cui valorizza la dimensione teleologica e la componente motivazionale profonda. La progettualità dell’individuo è al centro della spiegazione logica della sua azione, come anche della sua reazione alle traiettorie degli altri, che incrocia sulla sua strada. Nel significato che il soggetto attribuisce all’azione sta la chiave interpretativa che dà conto anche delle scelte collettive, frutto di sinergie da spiegare caso per caso, anche se con una metodica basata sull’idealtipo, modello astratto dell’azione che orienta nella comprensione degli eventi concreti. La concezione weberiana dell’azione – estesa e articolata dagli altri sociologi soggettivisti, come George Herbert Mead (1934), fondatore dell’interazionismo simbolico2 - rende possibili gli approcci alla comunicazione che caratterizzano la teoria di usi e gratificazioni (cap. 5), le ricerche etnometodologiche3 e, successivamente, gli audience studies e l’etnografia dei media in genere (cap. 8 e 9). Sull’intuizione di Weber poggiano tutti gli studi sugli effetti che pongono al centro il fruitore di media e le sue complesse strategie di soddisfacimento dei bisogni. Senza Weber, non avremmo avuto la sociologia di Alfred Schutz (1932), caratterizzata dalla distinzione fra significato oggettivo e significato soggettivo dell’azione sociale, e dall’enfasi posta sul linguaggio e sulla vita quotidiana; né avrebbe preso forma il costruzionismo sociale di Berger & Luckmann (1966), basato su una filosofia della comunità che si radica nelle dinamiche individuali e di gruppo, nell’interazione e nella socializzazione (cap. 9). Se la realtà viene vista come costruzione dei soggetti sociali e come prodotto della socializzazione, i media 2

In questa tradizione sociologica, la comunicazione è una trasmissione di significati che avviene nel corso di interazioni e scambi simbolici, verbali e non verbali, in contesti collettivi. Tramite questi scambi, che prevedono precise competenze comunicative, gruppi e società realizzano la socializzazione e raggiungono l’integrazione (Blumer 1969). 3 L’etnometodologia è lo studio dei «metodi» che le persone utilizzano per dare senso alla vita quotidiana (Garfinkel 1967).


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sono inquadrati come soggetti più potenti di altri. Essi contribuiscono a configurare lo spazio in cui va in scena la vita quotidiana, ma debbono anche fare i conti con la costruzione dal basso del senso, con i soggetti che non sono egemoni ma che oppongono le loro costruzioni collettive a quella mediatica. Si regge su costrutti weberiani l’idea contemporanea che le dinamiche dei rapporti di potere fra i soggetti multipli costruttori di realtà, media e pubblici, si risolvano provvisoriamente in negoziazioni dei contenuti mediati. 4. Decostruzionismo e audience sovversiva Ancora Weber e Schutz possono considerarsi anticipatori di certi percorsi del pensiero post-moderno che, enfatizzando il ruolo del soggetto nella costruzione del senso, approdano all’estrema deriva del decostruzionismo (cap. 9). Frutto del pensiero post-strutturalista e postmodernista,4 il decostruzionismo, applicato allo studio dei media, implica l’accettazione del ribaltamento totale del significato racchiuso nel testo mediatico. Nato sul terreno della critica letteraria, questo approccio non solo esclude la possibilità di una lettura totalizzante, ma nega la possibilità di una lettura tout court (Picchione 1998). Se non sono possibili letture «giuste» o «aderenti al testo», si vanifica la distinzione fra letteratura e critica letteraria: tutto è comunque finzione, mentre l’autore è sostanzialmente eliminato. Jacques Derrida, un filosofo che ha avuto un notevole impatto sulle scienze sociali, propone la messa tra parentesi del significato per comprenderne la costituzione, svelarne il non-senso, che oscuramente e inconsciamente il senso contiene. Questa Si tratta di correnti artistiche e filosofiche che rappresentano l’estremo sviluppo, ma anche la reazione e il superamento, del modernismo e dello strutturalismo della prima metà del Novecento. Se nel modernismo avevano un senso: la forma chiusa, la gerarchia, la sintesi, la centralità, la narrazione, la determinazione e la causa, tale senso è sovvertito nel postmodernismo e diviene: la forma aperta, l’anarchia, l’antitesi, la dispersione, l’antinarrazione, l’indeterminazione e la differenza. Se nello strutturalismo, la struttura è «la forma apollinea della rappresentazione e del senso», nel poststrutturalismo «essa perde il carattere di depositaria del “senso” e viene spinta fino ai limiti dell’irrapresentabile» (Pesare 2004). 4


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paradossale decostruzione del testo si basa sulle tracce e sulle differenze presenti/assenti nel testo e catturabili attraverso la pratica della scrittura (Derrida 1967). In un ambito contiguo, Michel Foucault introduce nel discorso sociologico nuove strategie di lettura dei fenomeni sociali, come l’istanza di decostruire le identità che passano per naturali (per esempio, quelle di genere) svelandole come formazioni complesse e costruzioni socio-storiche e culturali da demistificare (1969, 1977). Grazie a questo sfondo epistemologico, sia gli studi sui contenuti dei media promossi dai cultural studies (cap. 8), sia quelli mirati sugli effetti sociali dei media (capp. 8 e 9) hanno potuto condurre ricerche innovative, se non rivoluzionarie, tentando di stanare i pubblici più ribelli e impermeabili ai significati veicolati dai media. 5. Metodo e ricerca sul campo È ancora la sociologia a dare una svolta decisiva alla ricerca sul campo, implementando metodologie e mettendo a punto tecniche specifiche di sondaggio e analisi dei processi comunicativi dal punto di vista delle loro ricadute nel sociale e dell’impatto sulle formazioni sociali e sulle loro autorappresentazioni. Senza nulla togliere alla «presa» sul reale delle numerose discipline necessarie per una approfondita esplorazione dei meccanismi comunicativi (antropologia, psicologia, psicologia sociale, linguistica, semiotica), occorre dire che la sociologia è riuscita, nel campo della comunicazione più che in altri (come l’economia o la politica) a stendere una rete di strumenti analitici e interpretativi capace di intercettare allo stesso tempo il piano micro e quello macro della ricerca. L’approccio sociologico alla ricerca sulla comunicazione, quindi, eredita dalla sociologia generale tutto il bagaglio dei dibattiti sulla natura della scienza e della spiegazione scientifica, che può essere ipersemplificato dalla polarizzazione fra discipline nomotetiche (la spiegazione avviene con procedimento deduttivo, partendo da leggi generali che devono essere verificate empiricamente) e discipline idiografiche (la spiegazione verte sull’evento o sul caso singolo e avviene con procedimento induttivo, costruendo dal basso la teoria). Tale opposizione se ne porta dietro altre: quella tra procedure quantitative e qualitative di analisi, come quella fra elaborazione di dati oggettivi o soggettivi, anche se recentemente la diatriba fra quantitavisti e qualitativi-


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sti è stata ampiamente superata dalla cosiddetta «svolta pratica» (Schatzki, Cetina, Savigny 2001). Questa rivendica il pluralismo metodologico (la libertà di saltare da un paradigma metodologico all’altro in funzione dell’oggetto di ricerca) e sposta l’attenzione sulla pragmatica della ricerca e sulle reali pratiche che i ricercatori pongono in essere nel processo della raccolta dei dati e nelle successive fasi dell’elaborazione, dell’analisi e dell’interpretazione. Ciò premesso, occorre segnalare che il contributo della sociologia alla «cassetta degli attrezzi» del mediologo contemporaneo è piuttosto ricco. Lo spettro delle pratiche include: tecniche dell’intervista, tecniche dell’osservazione etnografica, tecniche di raccolta documentaria, analisi statistica dei dati, analisi dei testi, metodologie qualitative artigianali o computer assistite, fra le quali spiccano molte tecniche sperimentali - per es., quelle audio e visuali (Mattioli 1991, Faccioli & Losacco 2003) - particolarmente versatili nelle ricerche sui media (Albano & Paccagnella 2006). Hanno detto: Denis McQuail (L’analisi dell’audience, pp. 17-23) «Benché molti osservatori avessero considerato le nuove incredibili possibilità di raggiungere un ascolto così disparato in modo tanto rapido da parte della stampa, del cinema o della radio, la prima formulazione teorica del concetto di pubblico dei media scaturì da una riflessione più generale sul cambiamento di natura della vita collettiva nella società moderna. Fu Herbert Blumer (1933), membro della Scuola sociologica di Chigaco, il primo a elaborare uno schema esplicito entro cui poter collocare il pubblico come esempio di una nuova forma di collettività resa possibile dalle condizioni delle società moderne. Il termine che egli coniò per identificare questo fenomeno fu “massa”, per distinguerlo dalle forme sociali precedenti, in particolare il gruppo, la folla e il pubblico. In un piccolo gruppo tutti i membri si conoscono e interagiscono tra loro all’interno di determinati confini fisici e sociali, sono consci della loro comune appartenenza e condividono gli stessi valori. La struttura delle relazioni del gruppo è chiara e stabile nel tempo. La folla è più


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grande, ma ancora spazialmente ristretta, è temporanea e raramente si riforma nello stesso modo. Può possedere un alto grado di identità e condividere lo stesso “umore”, ma è sostanzialmente instabile e le sue azioni hanno un carattere emotivo e irrazionale. Nelle parole di Blumer (1946, 174) la folla “è un gruppo non-culturale e quindi, allo stesso modo, è un gruppo non-morale”. Il “pubblico” è il prodotto della condizione moderna, soprattutto se visto come elemente essenziale della democrazia politica. Consiste di un insieme di persone che si impegnano liberamente nella discussione di una questione pubblica, avanzando opinioni, interessi, politiche o proposte di cambiamento. La massa era vista come il prodotto delle nuove condizioni della moderna società industriale urbana, soprattutto in ordine alla vastità delle sue dimensioni, all’“anonimità” e al suo sradicamento. Si tratta di una vasta aggregazione di individui isolati, anonimi, e tuttavia accomunati da medesimi oggetti di interesse, al di fuori del loro ambiente personale o del loro controllo. Come la folla, la massa è priva di una qualche organizzazione, struttura stabile, regola o leadership. A differenza di essa, invece, la massa non ha la volontà o la capacità di agire per sé, né possiede una collocazione fissa. (...) In una rete completamente decentrata, il concetto di pubblico nel suo significato tradizionale è sparito o è diventato improprio, sostituito da un insieme assai variegato di utenti di svariati servizi informativi. (...) Il concetto stesso di mezzo di comunicazione di massa è in pericolo, poiché nessuno sarà più obbligato ad accettare nello stesso momento le stesse informazioni insieme a tutti gli altri. Chiaramente, senza mezzo di comunicazione di massa non esiste un pubblico singolo e collettivo, ma soltanto analogie casuali di modelli di consumo mediale.» Approfondimenti

Albano, R. & Paccagnella, L., 2006, La ricerca sociale sulla comunicazione, Roma, Carocci. Berger, P.L. & Luckmann, T., 1969, La realtà come costruzione sociale, Bologna, il Mulino [orig. 1966]. Comte, A., 1967, Corso di filosofia positiva, Torino, Utet [orig. 1830-1842].


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Cooley, C.H., 1977, L’organizzazione sociale, Milano, Comunità [orig. 1909]. Derrida, J., 1971, La scrittura e la differenza, Torino, Einaudi [orig. 1967] Durkheim, E., 1971, La divisione del lavoro sociale, Milano, Comunità [orig. 1893]. Faccioli, P. & Losacco, G., 2003, Manuale di sociologia visuale, Milano, FrancoAngeli. Foucault, M., 1971, Archeologia del sapere, Milano, Rizzoli [orig. 1969]. Foucault, M., 1977, Microfisica del potere, Torino, Einaudi. Garfinkel, H., 1983, Cos’è l’etnometodologia, in P.P. Giglioli & A. Dal Lago, a cura di, Etnometodologia, Bologna, il Mulino [orig. 1967]. Giglioli, P.P. & Dal Lago, A., 1983, a cura di, Etnometodologia, Bologna, il Mulino. Le Bon, G., 1980, Psicologia delle folle, Milano, Longanesi [orig. 1895]. Luhmann, N., 2000, La realtà dei mass media, Milano, FrancoAngeli [orig. 2000]. Mattioli, F., 1991, Sociologia visuale, Roma, Nuova Eri. McQuail, D., 2001, L’analisi dell’audience, Bologna, il Mulino [orig. 1997]. Mead, G.H., 1972, Mente, sé e società, Firenze, Giunti Barbera [orig. 1934]. Pesare, M., 2004, Eziologia e genealogia del postmodernismo filosofico, in «Dialegesthai» http://mondodomani.org/dialegesthai/map02.htm Picchione, J., 1998, La rivolta del lettore: decostruzionismo e reader-response in America, in «Parolonline», 14, www.unibo.it/parol/articles/rivolta.htm Schutz, A., 1974, La fenomenologia del mondo sociale, il Mulino, Bologna [1932]. Spencer, H., 1967, Principi di sociologia, 2 voll., Torino, Utet [orig. 1896]. Thompson, J. B., 1998, Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media, Bologna, il Mulino [orig. 1995]. Tönnies, F., 1963, Comunità e società, Milano, Comunità [orig. 1887]. Weber, M., 1961, Economia e società, 2 voll., Milano, Comunità [orig. 1922]


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