L'ascolto sociomusicologico nel pensiero di Th. W. Adorno

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giulia gangi LA LEZIONE MODERNA CHE VIENE DAL PASSATO

Il saggio che spiega come il pensiero di Adorno affianchi dimensione estetico-artistica a dimensione socio-filosofica

L’ascolto sociomusicologico nel pensiero di Th. W. Adorno

€ 20,00 ISBN 978-88-96171-02-8 978-88-86820-73-8 ISBN

i saggisti

Giulia Gangi (Catania 1975) diplomata in pianoforte presso l’Istituto “V. Bellini” di Catania, ha conseguito il Solistendiplom alla Musikhochschule di Zurigo e si è laureata in Sociologia presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Insegna dal 1997 pianoforte presso l’Istituto musicale “V. Bellini” di Catania. Ha al suo attivo un’intensa attività concertistica in tutte le maggiori città italiane e all’estero (Svizzera, Germania, Spagna, Grecia, Croazia, Francia, Argentina). Dal 1993 è direttore artistico del Centro didattico MondoMusica di Catania che si occupa di formazione e promozione musicale e di organizzazione di eventi culturali.


Introduzione Intellettuale eclettico e produttivo in svariati ambiti del sapere, Theodor Wiesengrund Adorno impresse un’autorevole traccia non soltanto nel campo filosofico ma anche in quello sociologico, letterario e musicologico. Forse non si potrà parlare di filosofia o di sociologia stricto sensu, ma si potrà di certo parlare di una Weltanschauung, di una visione del mondo, in cui sono presenti idee e concetti che si riferiscono ora all’una ora all’altra in una combinazione di punti di vista che intendono essere veri e obiettivi perché capaci di «eludere ogni tradizionale distinzione e “fissazione” concettuale e dottrinale» [Rinaldi 1994, 111]. Nella sua più recente pubblicazione su Adorno, Sergio Moravia espone le principali motivazioni riguardanti i proficui utilizzi desunti dal pensiero del nostro studioso, che andrebbe pertanto “usato” (cioè riletto e ripensato) soprattutto quando il Sistema elabora nuove tecniche di persuasione e di coalizione sociale; quando l’individuo si sente aggredito da una nuova schiera di segni e di miti che richiedono un’adeguata decodificazione critica; quando certe scienze pretendono di assumere la leadership nell’universo del sapere, stabilendo arbitrarie gerarchie di senso e di valore in base ai propri criteri; quando certi principi o certe categorie vengono indebitamente generalizzate, secondo la ricorrente tentazione totalizzante dei chierici del sapere. Tutto ciò non significa certo che Adorno possieda miracolosi meta-strumenti teorici in grado di poter intervenire con successo in tutte queste situazioni, […] significa che la sua opera costituisce, nonostante alcuni principi e ambizioni iniziali, una lezione di tipo essenzialmente metodologico-culturale, valido in particolar modo per una critica «negativa», delle istituzioni ideologiche contemporanee [2004, 38].

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Infatti, ciò che rende permanentemente attuale il discorso adorniano non è tanto la pur indubitabile validità dei contenuti, comunque intimamente connessi con la particolare realtà che egli vive e sperimenta (l’Europa fascista e nazista e la società consumistica degli Stati Uniti), quanto la natura del suo atteggiamento intellettuale analitico. Negando il pensiero filosofico che pretende di svelare un presunto principio originario sottratto alle mediazioni storico-sociali o che si riduce a mera speculazione astratta, Adorno sostiene una filosofia critica che si attua «attraverso il continuo esercizio di smontaggio delle interpretazioni del mondo ideologiche, limitate e unilaterali, un esercizio attraverso il quale essa accresce la sua e la nostra consapevolezza» [Petrucciani, «il manifesto», 11.09.2003]. Pur considerando le inevitabili critiche a cui viene sottoposta la sua Weltanschauung, soprattutto per quanto riguarda le interpretazioni filosofiche e sociali, «straordinari rimangono la grande compattezza e il rigore con cui seppe applicare una teoria emergente dalla migliore tradizione europea in alcuni ambiti specifici, come la letteratura e la musica» [Pellegrino 2004, 39]. È essenziale pertanto considerare il suo pensiero non come sistema limitato entro l’orizzonte storico della Scuola di Francoforte ma individuare in esso «un momento indispensabile della storia della riflessione sull’arte» [Jimenez 1979, 20]: la dimensione estetico-artistica e quella socio-filosofica si affiancano, inscindibilmente, così che il valore estetico procede di pari passo al valore sociale [Fubini, 1973, 158]. Da questa idea cardine si riesce a scorgere quello che è il punto di forza del suo pensiero più specificatamente musicale e che consiste «nella capacità di portare nel profondo delle strutture della musica il giudizio sulla loro adeguatezza storico-sociale e di condurre insieme un’efficace critica dell’ideologia» [Rizzardi 2001, 70]. Il presente lavoro è orientato in particolar modo verso la componente sociologica dell’ascolto, i cui studi si fondano, a nostro avviso, sul saggio Über den Fetischcharakter in der Musik und die Regression des Hörens (Il carattere di feticcio in musica e la regressione dell’ascolto) comparso nel 1938 nella «Zeitschrift für Sozialforchung» e successivamente incluso nella raccolta Dissonanzen, e sulla categorizzazione adorniana delle diverse tipologie di ascoltatori che si trovano nel primo capitolo della Einleitung in die Musiksoziologie (Introduzione alla sociologia della musica). 12


L’intellettuale francofortese, denunciando a voce alta la sottomissione culturale esercitata dal potere dei mezzi di comunicazione di massa sugli individui, fu in realtà il primo a occuparsi specificatamente di ricezione della musica suddividendo le possibili modalità d’ascolto in maniera rigorosa e sistematica e ha indiscutibilmente condizionato tutto il discorso successivo sull’argomento. Lo studio, innanzitutto, tende a evidenziare come sia difficile riuscire a parlare dell’esperienza dell’ascolto musicale, se non altro per mancanza di un vocabolario appropriato; basti pensare ai termini con cui si cerca di spiegare sensazioni ed emozioni, e che risultano talmente abusati dal linguaggio comune da rivelarsi inadatti a esplicitare una dimensione così personale e soggettiva quale potrebbe essere quella dell’ascolto. Alla luce del dibattito più recente relativo alla fruizione di un’opera musicale, l’ascoltatore, oggi, interpreta e reinterpreta continuamente e semplicisticamente il proprio rapporto col suono, confondendosi così con altre esperienze individuali e socialmente condivise. Per Adorno, invece, la comprensione di un brano musicale non poteva essere piena se non si possedevano delle competenze che consentivano di analizzarne a fondo la struttura sonora; pertanto la possibilità di abbandonarsi all’ascolto di un flusso sonoro risultava in quest’ottica fortemente ridotta da una ricezione superficiale e non attenta alla trama musicale. Dopo un percorso rivolto, senza alcuna pretesa di esaustività, alla vita e all’attività professionale di Adorno, al più ampio orizzonte della Scuola di Francoforte e alla Dialektik der Aufklärung (Dialettica dell’Illuminismo), il saggio focalizza nel secondo capitolo le tematiche relative alla storia sociale dell’ascolto, ai contributi pertinenti della psicologia sociale e al contesto relativo al mercato dell’ascolto. Sono proprio i costanti riferimenti al tema dell’ascolto riscontrabili in tutte le opere di Adorno di natura più strettamente estetico-musicale a suggerire l’idea per il presente lavoro. Pertanto, il terzo capitolo Dall’ascolto ai testi è fondato sui contenuti più rappresentativi che l’autore ha dedicato all’argomento riservando un esame più dettagliato ai quattro saggi di maggior pertinenza rispetto all’orizzonte della nostra indagine, e precisamente a Dissonanzen (Dissonanze), Philosophie der Neuen Musik (Filosofia della musica moderna), Einleitung in die Musiksoziologie (Introduzione alla sociologia della musica), Der getreue Korrepeti13


tor (Il fido maestro sostituto), e trovando in tali scritti le possibili proposte per una fruttuosa applicabilità inseribile nel pensiero attuale. Il contributo più squisitamente personale qui esposto è rintracciabile nell’ultima parte, l’appendice dedicata alle composizioni per pianoforte dell’autore, in cui si fornisce un’analisi specificamente musicale del brano P.K.B. Eine kleine Kindersuite (1933). Già a una prima consultazione della bibliografia critica relativa ad Adorno, risulta immediata la scarsa considerazione rivolta all’autore contemporaneamente al declinare della fortuna delle tendenze politiche e culturali di matrice marxista che avevano invece segnato il suo momento di maggior autorevolezza sino a tutti gli anni Settanta. Il più sincero apprezzamento per il pensiero adorniano, svincolato da implicazioni politiche e sociologiche storicamente motivate, si registra a partire dagli anni Novanta, quando vi si riconoscerà, al di là dell’originalità dei contenuti, un approccio analitico e un criterio speculativo unici e raffinati. Ecco perché riteniamo il nostro autore a tutt’oggi preziosissimo per chiunque, intenda intraprendere, in vari campi del sapere e primariamente nell’ambito culturale relativo alla musica, alla filosofia e al loro significato sociale, un percorso intellettuale efficace e privo di preconcetti.

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Capitolo primo Adorno e la Scuola di Francoforte 1.1. La figura e le opere 1.1.1. La famiglia e la scuola

In molti degli scritti di Adorno troviamo notizie che ci riconducono al suo vissuto quotidiano, ai suoi interessi, alle persone che frequentava, e ai luoghi che visitava. Si crea così una fortissima relazione tra il suo pensiero e il contesto storico-sociale in cui egli operò. Figlio di Oscar Alexander Wiesengrund – commerciante di vini e stimato uomo d’affari, il cui originario cognome di famiglia, David, fu cambiato in Wiesengrund nel 1817, quando una disposizione sollecitava in cittadini ebrei a cambiare nome – e di Maria Barbara CalvelliAdorno – cantante, il cui secondo cognome fu aggiunto dal nonno materno probabilmente adottandolo da una famiglia genovese o torinese presso cui prestò servizio come maestro di scherma per lungo periodo - Theodor Wiesengrund Adorno nasce l’undici settembre 1903 a Francoforte sul Meno. Nella casa di Seeheimer Straße, il piccolo Teddie, come veniva chiamato affettuosamente non solo da bambino, ma anche da adulto, viveva con i genitori e la zia materna Aghate, altra musicista che contribuì con la sorella a fargli respirare fin dalla nascita quella speciale atmosfera culturale, letteraria e musicale che segnerà indelebilmente la formazione e lo sviluppo artistico del giovane Wiesengrund. Le due donne suonavano e cantavano in casa, ricevevano spesso intellettuali e musicisti, e non di rado il giovane Theodor si addormentava ascoltando le esecuzioni loro e degli ospiti [Müller-Doohm 2003, 17- 39]. La sicurezza affettiva che contraddistinse la sua infanzia contribuì di certo a una crescita serena e spensierata, sostenuta dalla solidità economica del padre. Il precoce interesse verso i temi della musica, le conversazioni sulle rappresentazioni di opere o concerti, la vivace curiosità su tut15


te le discussioni di cultura rendevano orgogliose le “due madri” che gli riconoscevano doti nettamente superiori ai suoi coetanei, e «l’apprezzamento di cui godeva quel ragazzo intelligente gli attirò l’invidia, faticosamente mascherata, della massa» [ivi, 52]. Gli ultimi anni del ginnasio segnarono l’accostamento agli scritti di György Lukács (1885-1971) ed Ernst Bloch (1885-1977). Di orientamento strettamente marxista, la Teoria del romanzo di Lukács fornì al nostro autore un’accurata conoscenza di quei temi che elaborerà in senso critico; nello Spirito dell’utopia di Bloch si rintraccia invece la passione per l’arte e per la musica che caratterizza l’utopia “concreta” (Bloch non parla di semplice utopia ma di possibilità reale di attuazione del pensiero utopico attraverso la mediazione dialettica) delle società libere dal potere. È di questo periodo l’iscrizione al conservatorio Hoch, importante centro di riferimento musicale nella città commerciale di Francoforte, e l’inizio della frequentazione con Siegfrid Kracauer (1899-1966): un’amicizia che cominciò con la lettura della Critica della ragion pura e che durò tutta la vita portandoli continuamente a confrontarsi, talvolta anche troppo bruscamente per il «rispettivo persistere nel proprio punto di vista» [ivi, 64], ma «non c’era nulla che i due amici facessero più volentieri di litigare in merito a questioni filosofiche» [ivi, 70]. Nella primavera del 1921, Adorno finì il liceo guadagnando la menzione primus omnium [ivi, 93] e si iscrisse alla facoltà di filosofia, psicologia e sociologia dell’Università “Wolfgang Goethe” di Francoforte dove incontrò per la prima volta Max Horkheimer, allora assistente del professore ordinario Hans Cornelius, docente di filosofia e, come l’illustre allievo, figura estremamente sfaccettata e sensibile all’arte. Seguì inoltre numerosi corsi di musicologia e, essendo frequentatore assiduo di concerti e opere, «redigeva instancabilmente recensioni e critiche musicali» [ivi, 64]. Le sue idee sulla musica erano già allora molto precise e determinate ed esprimevano commenti categorici nei confronti di compositori impegnativi da affrontare, come Schönberg, Hindemith, Bartók e Stravinskij. Anche se non visse in prima persona l’esperienza della Grande Guerra, Adorno risentì della crisi economica e della decadenza dei valori borghesi che lo ponevano in atteggiamento critico nei confronti del capitalismo. Si avvicinò così ai principi filosofici del marxismo, al materialismo storico e all’economia politica, e Adorno giunse alla de16


terminazione che per sfuggire all’inevitabile intorpidimento del pensiero in ambito sia sociale che artistico, l’unica via da perseguire fosse quella del nuovo e della critica. Conseguito a vent’anni il titolo accademico con una tesi che esponeva alcuni elementi ambigui della teoria e della gnoseologia di Husserl (Zur Metakritik der Erkenntnistheorie. Studien über Husserl und die phänomenologischen Antinomien), e dopo il rilevante incontro con Alban Berg, che aveva già conosciuto a Francoforte e dal quale scaturì la sua piena coscienza musicale, Adorno cominciò a pensare a una “filosofia della musica”, «essendo convinto che l’espressione estetica dipendeva dalla riflessione teorica» [ivi, 72].

1.1.2. Il maestro

Per il giovane studioso, la rivoluzione musicale era stata compiuta da Arnold Schönberg, ma fu ad Alban Berg che riservò tutta la sua simpatia e la fiducia poiché vedeva dispiegata nelle sue opere quella “verità musicale” da lui tanto ricercata. Sinceramente intenzionato a consegnare completamente alla sua guida i propri studi di composizione, Adorno si trasferì a Vienna nel marzo del 1925, dove comunque non gli fu facile ambientarsi. Intellettualmente vivace, Vienna ospitava artisti quali Egon Schiele, Gustav Klimt, Peter Altenberg e Karl Kraus, ed era sede della Internazionale Gesellschaft für Neue Musik (Società Internazionale per la Nuova Musica) che si muoveva soprattutto in direzione della diffusione delle opere della Seconda Scuola di Vienna. Durante le lezioni che si tenevano due volte la settimana a Hietzingin, in Trauttmansdorffgasse 27, e che erano contraddistinte da un’atmosfera informale, venivano analizzate in modo critico le composizioni di Theodor al quale il Maestro suggeriva puntuali modifiche: Fin dalla prima lezione, quando gli mostrai qualcosa, Berg decise che non ci saremmo occupati di nulla di scolastico, […] si sarebbe limitato a discutere con me i miei lavori. […] Era solito esaminare a lungo ciò che gli portavo, e soprattutto nei passi dove non ero riuscito a cavarmela proponeva ricerche di soluzione. Non cercava mai di aggirare le difficoltà con destrezza o di livellarle, ma coglieva sempre il nodo centrale: egli più che mai sapeva quanto ogni battuta composta bene sia un problema, una scelta tra due mali. […] Chiunque abbia una certa esperienza identificherà facilmente, nei pezzi che rivide 17


con me, i passi che risalgono a lui. […] Mi diede non poche regole in un certo senso fisse […] ma che nella loro drasticità si rivelavano pedagogicamente utili, mezzi per valutare ciò che di volta in volta si voleva perseguire [Adorno 1983, 49-50].

Con Berg o con la moglie di questi, frequentava le sale da concerto o il teatro d’opera, partecipava alle straordinarie performance di Kraus ed ebbe modo di conoscere Soma Morgenstern e Alma Mahler. Adorno studiava inoltre pianoforte con il polacco Eduard Steuermann, esperto dell’interpretazione della musica della Seconda Scuola di Vienna e amico negli anni dell’emigrazione americana; ebbe modo anche di lavorare col violinista Rudolf Kölisch, artista sensibile alle nuove correnti musicali nonché direttore del Quartetto d’Archi Viennese. Alla fine del giugno 1925 ricevette però la sua prima delusione professionale: gli fu ritirata, per le sue evidenti intenzioni innovatrici, l’inaspettata offerta di diventare capo redattore della rivista musicale «Musikblätter des Anbruchs». Un altro motivo d’insoddisfazione del periodo viennese fu costituito dalla scarsa considerazione riservatagli da Schönberg. Questi riteneva che il modo di sviluppare le idee teorico-musicali di Adorno fosse eccessivamente contorto e filosoficamente troppo impegnativo, tanto da nuocere al pubblico che si rivolgeva alla Neue Musik. Al contrario, Berg fu davvero lungimirante nell’intuire le potenzialità dell’allievo fuori dal comune e gli riconobbe la «vocazione» [Adorno e Berg 1997, 66] a scrivere di musica «sotto forma di grandi opere filosofiche» [ibid.]. Durante il decennio 1925-1935, si concentrano la maggior parte delle composizioni di Adorno, tra cui i George-Lieder op. 1 (testi di Stefan Georg), i Zwei Stücke für Streichquartett (Due pezzi per quartetto d’archi) op. 2, i Lieder op. 3 e op. 5 su poesie di Däubler, Trakl e Heym, i Sechs kurze Orchesterstücke (Sei pezzi per orchestra) op. 4, alcune delle Sechs Bagatellen für Singstimme und klavier op. 6 per voce e pianoforte e i Drei Gedichte von Theodor Daubler für vierstimmigen Frauenchor a cappella (Cori femminili) op. 8. Nel 1933 diede avvio alla composizione di un Singspiel intitolato Il tesoro di Joe l’indiano, tratto da un frammento del Tom Sawyer di Mark Twain, che non completò mai, probabilmente per lo scarso entusiasmo che il caro amico Walter Benjamin gli dimostrò leggendo il libretto. È dello stesso periodo la fitta corrispondenza tra Adorno e Berg composta di ben 136 lettere. 18


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