La musica in gola

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... In poco tempo raggiunse il vicolo in cui aveva trovato e perso l’elica. Sperava d’incontrarvi l’anziana del giorno precedente. Tullio si era fatto l’idea che la donna fosse una senzatetto... “Siate voi i giudici di questo libro” Marco Diana

MARCO DIANA

Mi riscopro in culla, a Ozieri, nel lontano 1981, con la bocca sdentata e un ciuffo di capelli in testa. Rivivo a Chiaramonti, il mio paese, i volti degli amici, le corse attorno alla torre del castello. Mi rivedo nei campi primaverili, rubare ciliege e raccogliere legnate; ripenso a Sassari, al liceo e alle grandi amicizie. Rincorro per le vie di Cagliari il sofferto impegno universitario. Mi abbaglia la malattia di una persona cara e ancor più il suo coraggio nell’affrontarla; ripenso a un serafico padre gesuita e ai suoi insegnamenti. Per questa via giungo ai ventiquattro anni con qualcosa da scrivere, e nasce “la musica in gola”, coi suoi arzilli vecchietti, un po’ filosofi, un po’ poeti. Il libro vince una targa di merito al Premio Internazionale “Città di Cava de’ Tirreni” e il Premio letterario “La città dei Sassi”. Sulla scia di Tullio, il protagonista del romanzo, volo a Matera e resto senza fiato. Ciò che è stato risiede in queste pagine, il futuro non lo conosco ancora e il presente è una sorpresa continua.

la musica in gola

MARCO DIANA

A Venere, per il suo coraggio A Tiu Faricu, eroe della miniera A via Maddalena, in cui tutto ebbe inizio

la musica in gola

€ 12,50 ISBN

88-86820-51-8

i narratori


MARCO DIANA

la musica in gola

i narratori


Contatta l’autore: lamusicaingola@gmail.com Seconda edizione ISBN-10: 88-8682-051-8 ISBN-13: 978-88-8682-051-6 Copertina: Enzo Epifania / Altrimedia Illustrazione: Rocco Persia Editing: Nunzio Festa © Altrimedia Edizioni è un marchio di Diòtima srl - servizi e progetti per l’editoria Via Ugo La Malfa, 47 - 75100 Matera Tel. 0835 090204 Fax 0835 090203 www.altrimedia.net/zencart edizioni@altrimedia.net


Vado a caccia di draghi! “... e fu così che il Re dei Draghi incenerì il Mago Tenebroso rubandogli il trono. Il suo esercito di guerrieri sputafuoco prosperò nelle caverne più buie, umide e profonde attendendo il momento della vittoria. Per lungo tempo hanno dormito nel ventre della Terra. In questi giorni, però, il grande corno ha suonato tre volte, seguito dalle grida di battaglia e dal batter d’ali di tutti i mostruosi esseri. ‘È giunta l’ora,’ ha ruggito il Re davanti al suo esercito ‘riprendiamo ciò che l’uomo ci sottrasse cento secoli fa’. In segno di rispetto, la schiera dei guerrieri si è divisa in due e verso il cielo sono partite fiamme rosse e gialle, benedicendo col fuoco il cammino del proprio sovrano”. Il silenzio che seguì queste parole raggelò il sangue nelle vene dei due gemellini, immobili e coperti fino al naso dalle lenzuola. Alla luce della torcia che reggeva in mano, il nonno sembrava avere le fattezze di un terribile drago sputafiamme. L’uomo si alzò di scatto. Il viso scarno contratto in un’espressione fiera e la torcia impugnata come una spada fiammeggiante fecero sussultare i nipotini. Il maglione poggiato sulle sue spalle svolazzava come il mantello di un condottiero, e negli occhi si leggevano decisione e coraggio. “Non aspettatemi svegli ragazzi”, disse. “D-dove vai”, balbettò il piccolo Luigi. “Vado a caccia di Draghi!”, rispose lui, uscendo dalla cameretta dei nipoti e chiudendo la porta davanti ai loro occhi rigonfi di sogni e ammirazione. Tullio spense la torcia e sorrise. Amava troppo quei due bimbi e sapere di essere il loro eroe lo riempì d’orgoglio. Si ricordò di quando, trent’anni prima, cavalcava fra le armate nemiche brandendo una mazza ferrata e schivando frecce di fronte allo sguardo rapito del figlio Matteo. E in quel momento Matteo, avvocato affermato, russava davanti a un documentario sulle Rane Sorridenti del Gibuti accanto alla moglie 3


Agata che, maschera di bellezza e bigodini, ricordava la statua di una Gorgone e, con rabbia, strappava dalle proprie gambe peli neri da cinghiale. - Esce? - stridette Agata osservando le sue vittime immobili nella striscia di ceretta. - Vado a fare una passeggiata - rispose Tullio, infilando la torcia nella tasca dell’impermeabile. - Cosa se ne fa di quella? - lo incalzò lei, strappando con furia. - La torcia? Mi serve per vedere le stelle! Gli sghignazzi di Tullio superarono la fitta barriera di capelli della nuora surfando tra le pieghe dei bigodini, e Agata, sollevato il viso di marmo, gli rispedì in gola le sue stesse risate tramutate in sassi. - Simpatico… però non faccia tardi perché suo figlio si preoccupa. - Tu invece no! - protestò Tullio con la lingua fra i denti e uscì di casa. In giardino lo accolsero i suoni secchi e argentini delle centinaia di campanelle marroni e verdi, con le quali aveva addobbato una quercia rimasta da tempo senza ghiande. Aveva dovuto sopportare le lamentele della nuora per un’intera settimana ma infine aveva vinto, per la felicità dei due bambini convinti che quell’albero fosse la dimora delle Fatine Tintinnanti. Quella non era l’unica particolarità del suo giardino. Poggiato contro il muro vi era un triciclo-tandem, che Tullio aveva costruito per insegnare ai gemelli ad andare in bici. Vi era poi una scialuppa fissata a una pedana color mare con la bandiera dei pirati a poppa e i remi in costante movimento. Questa barca fantasma era collegata a una batteria alimentata da pannelli solari e, in parte, da numerose eliche a vento che ricoprivano per intero una facciata della casa. Tullio amava il vento e tutto ciò che riuscisse a cavalcarlo o a sfruttarlo. In vita sua aveva sperimentato qualsiasi tipo di volo libero e costruito un discreto numero di aquiloni ed eliche. Aveva smesso di volare il giorno del suo addio al celibato in cui, dopo una sbronza, era salito su un aereo in sella a una bicicletta e col paracadute sulle spalle. La fotografia del suo lancio comparve su tutti i giornali nazionali, e Venere, sua futura sposa, si infuriò e gli fece promettere davanti all’altare che non si sarebbe mai più gettato da un aereo in sella a una bici. Venere era una donna stupenda. Aveva gli occhi più sinceri e gioiosi che Tullio avesse mai visto, occhi verde chiaro in cui il marito ama4


va naufragare per ore. Tullio si perse un attimo in quei verdi ricordi, ridestato al presente dall’ondeggiare del fiore prediletto dalla moglie: il ciclamino. Fu nuovamente in giardino, luogo in cui piantava di tutto: idee, ricordi e sentimenti. Nel suo tempo libero costruiva utensili colorati e originali come quelli esposti, che gli trasmettevano allegria e soddisfazione. La soddisfazione era dovuta principalmente al fatto che realizzava tutti quegli oggetti con materiali di scarto: biciclette arrugginite, mensole tarlate, bucce di cioccolatini e componenti vari di elettrodomestici fuori uso. Procurava la materia prima per le sue invenzioni rovistando nella pattumiera di casa, ma la vera e propria miniera era il suo quartiere. Quasi ogni giorno, infatti, nel tardo pomeriggio faceva il giro dei cassonetti del rione ritornando a casa furtivo come un ladro con un sacchetto nero sulle spalle e qualche tavola di legno sottobraccio. Anche in quel momento volle fare la consueta incursione notturna alla ricerca di materiale per la sua ultima invenzione. Con l’impermeabile nero ben chiuso e il colletto sollevato fino alle orecchie, Tullio entrò in un vicolo buio armato di torcia, perlustrando i dintorni di tutti i cassonetti e rovistando nei sacchetti aperti con un lungo ramo di pino al quale aveva tolto la corteccia rendendolo liscio e lucente. Custodiva quel bastone in cortile, dentro la scialuppa dei pirati e più volte gli era tornato utile per allontanare dai rifiuti ratti grossi come castori. Dopo venti minuti di ricerca il viso di Tullio si illuminò: tra una buccia di banana e quella che un tempo lontano, forse, era stata una fetta di torta di mele, vi era un coperchio di pentola seminuovo. Lo prese senza indugio riponendolo in un sacchetto scuro di plastica e continuò a rovistare sperando di trovare anche la pentola a cui apparteneva. Dopo un’ora di ricerche non rinvenne alcuna pentola e, soprattutto, non scovò niente per completare l’ultimo oggetto che, assolutamente, avrebbe voluto terminare per il giorno del compleanno dei nipotini. La notte era ancora giovane e decise di ampliare il suo territorio di caccia spingendosi un po’ più in periferia. Raramente si era avventurato di notte al di là del suo quartiere, non per paura, dato che abitava in una cittadina abbastanza tranquilla, ma perché pensava che vi fossero meno rifiuti interessanti. 5


Col bastone sotto l’impermeabile e la torcia in tasca, nascondendosi fra le ombre, raggiunse un vicolo stupendo con ben sei cassonetti. “All’opera!”, esclamò, sfregandosi le mani e dirigendosi verso il primo cumulo di pattume. A un tratto, a una trentina di centimetri dal suo naso, vide il più bel tesoro della serata, mille volte meglio di ciò che avrebbe sperato di trovare, la ciliegina sulla torta della sua ultima invenzione. Davanti a lui un’elica di metallo, all’apparenza resistente e leggera, di circa sei centimetri di lunghezza. Le due pale, separate da un piccolo e lucido bottoncino a cupolotto, erano divise in settori irregolari colorati con tinte fosforescenti. La osservò a lungo umettandosi le labbra con cupidi movimenti di lingua e spalancando gli occhi come un bimbo davanti a una giostra. Il suo braccio, lentamente, si allungò in avanti con la mano arcuata a forma d’uncino come un artiglio pronto a ghermire la preda, ma una voce arrestò il suo movimento con parole ben scandite: “Non la tocchi!”. Tullio si volse sorpreso e imbarazzato nello scoprire davanti a sé una donna sulla settantina d’anni. Alzatosi in piedi sfoggiò un sorriso seducente e tentò di giustificarsi: - Buona sera. So a cosa sta pensando e le assicuro che non rovisto nella mondezza ma voglio... voglio solo... allacciarmi le scarpe. Sì, voglio allacciarmi le scarpe. L’anziana signora si lasciò sfuggire un sorriso, notando che le stringhe dell’uomo erano in perfetto ordine; poi si volse allarmata verso l’ingresso del vicolo e urlò: “La polizia!”. Tullio si voltò di scatto nascondendo il bastone dietro la schiena ma nel vicolo non vide altro che una coppia di gatti contendersi una lisca di pesce. Quando si girò, la donna si stava allontanando a passo svelto. ‘Una matta’, pensò chinandosi verso il suo tesoro di cui non restava che l’orma impressa su una vecchia vestaglia. Si sollevò con un balzo goffo per lanciarsi all’inseguimento dimenticando in terra il bastone e la busta: l’elica era scomparsa. La signora, vedendo Tullio correre verso di lei con incedere scricchiolante, aumentò il passo spingendo davanti a sé un carrello per la spesa pieno di sacchetti di plastica. - Si fermi signora...! - le urlò dietro il vecchio ottenendo come risposta solo un gestaccio. Tullio, pur portando egregiamente i suoi sessantotto anni, non aveva più la resistenza e le doti atletiche di quarant’anni prima, e dovette rallentare sbuffante come una locomotiva in panne. Si fermò davanti a un mucchietto di pietre e, presane una in mano, 6


la soppesò mirando in direzione di quella vecchia beccaccia troppo cresciuta. La signora continuò a rincorrere il cigolio del proprio carrello e lui, gettatosi il sasso accanto ai piedi, si limitò a seguirla con lo sguardo vedendola sparire in una strada laterale con la sua elica. Tullio abbassò gli occhi, amareggiato per la disfatta, risollevandoli quando l’anziana signora rifece la sua comparsa in fondo al vicolo per lanciargli un gesto di vittoria prima di svanire per la seconda volta. - Vecchia, ladra, arrogante e antipatica! Ha vinto una battaglia ma non la guerra! - le urlò contro Tullio, e riprese la via di casa borbottando tra sé e sé fantasiose invettive contro l’anziana signora.

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