Nonostante il continuo vorticare dei miei pensieri, della mia mente irrequieta, mai avrei pensato di scrivere una prefazione a questa storia. Ricordo ancora il giorno che ricevetti il manoscritto tutto avvolto in vecchia carta di giornali impolverati, vecchi di vent’anni e riciclati per l’occasione. Me lo portò un bambino che non avevo mai visto, senza parlarmi mi fece cenno di prendere il pacchetto ed io per non offendere i suoi grandi occhi blu obbedii. E mentre posavo i miei di occhi sui giornali sbiaditi dal tempo per intravedere il contenuto che nascondevano, perdendo di vista, ma solo per un attimo, il suo sguardo e la sua figura, il piccolino era già sparito lasciandomi attonito e curioso...
NEL NOSTRO CIMITERO I CASSETTI SONO QUASI TUTTI PIENI
E per ciò che riguarda me, io sono solo il custode di questo nostro cimitero, un gran bel cimitero... a mio parere. In verità, a me piace definirmi, con un pizzico di immodestia, il “custode d’anime” di questo nostro gran bel cimitero. Non vi ho detto, però, che sono un custode notturno, dal tramonto all’alba s’intende. Di giorno s’alternano gli altri custodi che odiano fare i turni notturni, dicono di aver paura dei morti; in realtà hanno paura di ciò che chiamano fantasmi, che, secondo la tradizione comune, uscirebbero di notte per spaventare i viventi: come se i defunti fossero degli spiritelli dispettosi in cerca d’emozioni ludiche... ... Di notte, come già vi ho raccontato, i nostri cari estinti sono stipati nei loro comodi cassetti, e tranne rari casi, non ne escono mai, e se lo fanno non rappresentano un pericolo per nessuno...
dalla prefazione di Rocco Luigi Gliro
Il Custode € 10,00 ISBN 978-88-96171-02-8 978-88-96171-35-6 ISBN
9 788896 171356
IL CUSTODE
Nel nostro cimitero i cassetti sono quasi tutti pieni
il Custode
ISBN: 978-88-96171-35-6 © Altrimedia Edizioni è un marchio di Diòtima srl - servizi e progetti per l’editoria Via Ugo La Malfa, 47 - 75100 Matera Tel. 0835 1971591 Fax 0835 1971594 www.diotimasrl.it www.altrimediaedizioni.it edizioni@altrimedia.net
Disegni di Mariano Morano
Il Custode
Prefazione di Rocco Luigi Gliro Nonostante il continuo vorticare dei miei pensieri, della mia mente irrequieta, mai avrei pensato di scrivere una prefazione a questa storia. Ricordo ancora il giorno che ricevetti il manoscritto tutto avvolto in vecchia carta di giornali impolverati, vecchi di vent’anni e riciclati per l’occasione. Me lo portò un bambino che non avevo mai visto, senza parlarmi mi fece cenno di prendere il pacchetto e io per non offendere i suoi grandi occhi blu obbedii. E mentre posavo i miei di occhi sui giornali sbiaditi dal tempo per intravedere il contenuto che nascondevano, perdendo di vista, ma solo per un attimo, il suo sguardo e la sua figura, il piccolino era già sparito lasciandomi attonito e curioso. Aprii il pacco ritrovandomi in mano un blocco di fogli sparsi. Erano scritti a mano con un bella grafia con uno stile antico. La prima pagina portava al suo centro le parole “Nel nostro cimitero i cassetti sono quasi tutti pieni”, in basso a destra invece c’era scritto, a mò di firma, “Il Custode”. Mosso dalla curiosità per un fatto così singolare elargitomi, iniziai a leggere affamato di sapere. Entrai in un vortice di sentimenti ed emozioni che a un tratto mi toglievano il respiro per poi improvvisamente soffocarmi d’aria. Piansi, piansi molto, mi immedesimai nelle storie, nel custode, nei cassetti, nei cari defunti, ma anche nei poveri viventi come me. 5
Alla fine del manoscritto trovai un ultimo e intenso foglio. Era il Custode che mi spiegava. “Gentile dottore, lei non mi conosce ma io conosco lei, forse più di quanto lei conosca se stesso. Si chiederà perché io le abbia inviato il manoscritto che spero, a questo punto, lei abbia già letto. Prima di tutto le racconto perché e come io lo abbia scritto. Deve sapere che non so trovare una ragione razionale che possa spiegare il mio comportamento, so solo che quando il dolore è diventato troppo forte per poterlo sopportare allora tutto è sgorgato senza difficoltà come un fiume in piena che ha ormai rotto tutti gli argini. Tutto è diventato chiaro e la mia esperienza si è tradotta in parole dotate di senso, almeno per me, che hanno iniziato ad andare per la loro strada staccandosi completamente dall’umile scrivano che sono. Le parole si sono mischiate insieme formando frasi che a loro volta hanno creato storie che possono sembrare assurde e inverosimili, ma le giuro che ciò che ho raccontato è il fedele resoconto di ciò che ho visto e sentito come Custode di quel Cimitero. Ma non le sto scrivendo per convincerla della verità della mia esperienza, no, non è questa la mia intenzione. Le scrivo per chiederle di pubblicare il mio manoscritto a suo nome, come se lo avesse scritto lei. Lo so che è una richiesta stramba, ma le assicuro che ho le mie buone ragioni. Se da un lato sono spinto da un desiderio ambizioso nel voler trasmettere ad altre persone ciò che ho vissuto e raccontato con tanto dolore e sofferenza, affinché la vita e la morte assumano per loro un significato nuovo d’ora in poi, dall’altro non gradisco per nulla apparire in pubblico e non tengo a essere ricompensato per il mio dolore. Ho scelto lei perché penso possa essere in grado di comprendere prima e trasmettere poi il contenuto pieno del manoscrit6
to, rimanendo fedele alla sua coscienza di studioso e cercatore della verità. Non mi dilungo oltre su questo argomento, spero possa realizzare se non in pieno almeno in parte il desiderio di un vecchio Custode di Anime. Le affido perciò quello che considero il mio testamento sulla vita e sulla morte. Infinitamente Grato”. Il Custode Non so se rimasi più sconvolto dal manoscritto o dalla lettera del Custode. Certo è che iniziai a farmi delle domande. Perché aveva scelto me? Perché non voleva firmare il suo scritto? Perché lasciava un testamento? Non avrei mai avuto risposte! All’inizio pensai di rimanere fedele al compito affidatomi: lo avrei pubblicato col mio nome, nessuno lo avrebbe saputo, e poi era vero che riuscivo a comprendere ogni singolo messaggio del Custode. Mentre lo rileggevo mi sembrava veramente di averlo scritto io. Era quello che in passato avevo sempre pensato ma che non avevo mai scritto. Ora mi si presentava un occasione d’oro, qualcun altro aveva faticato al posto mio e me lo regalava. Era come se avessi vinto alla lotteria. Iniziai così a cercare un editore disponibile, convinto che mi avrebbero pregato di pubblicarlo. Non è stato così però. Di solito le risposte recitavano più o meno la stessa litania: “Gentile Autore, abbiamo esaminato il suo manoscritto, purtroppo non rientra nella nostra linea editoriale.” Alla fine trovai la risposta che voleva in un giovane editore dal grande coraggio, proprio dietro l’angolo. Avevo cercato fortuna lontano ed ero tornato al punto di partenza dove la fortuna in persona mi aspettava dall’inizio. Arrivato quasi al momento della pubblicazione, un sentimento vago si affacciò alla coscienza facendosi sempre più chiaro: non me la sentivo di pubblicare qualcosa che non era sgorgato direttamente dalle mie vene. Non volevo sangue in prestito. 7
Ne parlai con il mio editore che fu d’accordo da subito con me. Allo stesso tempo volevo realizzare il sogno di un vecchio custode. Fu così che mi venne in mente la cosa più semplice da fare: avrei pubblicato il libro semplicemente a nome “Il Custode” con il titolo che lui aveva dato al suo manoscritto. Avrei scritto una prefazione, quella che state leggendo, e avrei in seguito presentato il libro ovunque si fosse reso necessario. Sarei stato una specie di curatore del libro. L’idea piacque al mio editore ed eccoci qua. Spero con tutto il cuore di non aver fatto torto al Custode e di aver realizzato almeno “in parte” il suo sogno diffondendo la sua profonda esperienza. Il resto si vedrà…
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FUNERAL BLUES di Wystan Hugh Auden Fermate tutti gli orologi, tagliate i fili del telefono e regalate un osso succulento al cane affinché non abbai. Faccia silenzio il pianoforte e tacciano i risonanti tamburi. Che avanzi la bara, che vengano gli amici dolenti. Lasciate che gli aerei volteggino nel cielo e scrivano l’odioso messaggio: lui è Morto. Guarnite di crespo il collo bianco dei piccioni, fate che il vigile urbano indossi lunghi guanti neri. Lui era il mio Nord, il mio Sud, era l’Oriente e l’Occidente, la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica, era il mezzodì, la mia mezzanotte, la mia musica, le mie parole; credevo che l’amore potesse durare per sempre: avevo torto. Offuscate tutte le stelle perché non le vuole più nessuno, buttate via la luna e tirate giù il sole, svuotate gli oceani e abbattete gli alberi, perché da questo momento niente servirà più a niente.
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EPILOGO Ci sono dei cassetti nel cimitero dove sono catalogati tutti i nostri defunti. Dal primo all’ultimo. Davvero! Fin qui niente di speciale. Tuttavia, l’aspetto caratteristico del nostro cimitero, anzi dei cassetti del nostro cimitero per essere più precisi, è che i nostri defunti sono lì dentro... all’interno dei cassetti intendo! Non si tratta, infatti, di cassetti pieni di carta con i nomi delle persone estinte, nossignore, ma di veri e propri contenitori di morti. Per piccoli che siano tali cassetti, gli estinti sono ben stipati dentro, con molta cura devo aggiungere. Invero, loro affermano di stare molto comodi e che la piccolezza percepita dai vivi non ha niente a che vedere con la grandezza vissuta dai morti. E poi, anche se fossero veramente stretti, sarebbe da sopportare solo dal tramonto all’alba. Si perché allo spuntare del sole, tutti i defunti, nessuno escluso, escono dal proprio personale cassetto e s’incamminano verso casa, quella che era casa loro quand’ancora erano vivi. Arrivati a casa, passano lì tutta la giornata fino al tramonto, quando poi fanno ritorno al cimitero dove si stipano ben bene nei loro cassetti personali. Il ritorno alla sera, affermano tutti i defunti, è molto piacevole e non doloroso come potrebbero pensare i vivi. Il defunto nel ritornare al cimitero incontra qualche conoscente, vicino di cassetto, scambia piacevoli racconti sulla giornata appena trascorsa, insieme ai cari viventi, bella o brutta che sia stata. 11
Al contrario l’andata al mattino è faticosa, perché il ritorno tra i viventi è alquanto doloroso, a causa delle molteplici sensazioni corporee che arrivano come un fiume in piena, appena varcato il cancello cimiteriale, alle quali un defunto non è più abituato. Misteri della morte! Come già detto, entrati nel mondo dei viventi, gli estinti si recano a casa per incontrare i cari lasciati in vita. Arrivati a destinazione, però, ogni defunto si comporta in maniera soggettivamente diversa. Il motivo di tale comportamento è inspiegabile, almeno alla mente dei viventi che nella maggior parte del tempo dorme sogni tranquilli e beati, perché se fossero così svegli da guardare ciò che è evidente molte cose si spiegherebbero da sé. Sembra, a ogni buon conto e secondo il buon senso comune, che ogni defunto abbia una motivazione ben precisa, legata a un obiettivo da raggiungere che in vita non ha fatto in tempo a completare. Questo, chiaramente, secondo i viventi più moderati. Altri, i più anarchici, affermano che è il caos a determinare i loro comportamenti. I più ortodossi spiegano tale diversità come effetto della vita appena trascorsa e a qualcosa che devono espiare in morte ma tra i viventi. Al di là di queste ipotesi, i defunti non sembrano preoccuparsi di tutte queste diversità e vivono la loro morte con la naturalezza di chi vive ogni momento come se fosse l’unico e l’ultimo... ... Prima di tutto, c’è chi non ama farsi notare dai suoi cari viventi e perciò resta mogio mogio, accanto a loro, per tutta la giornata, senza fiatare e senza fare alcunché, rimanendo vicino a ognuno e osservando tutto… beh quasi tutto ciò che fanno in verità. 12
Al contrario, c’è chi non vede l’ora di mettersi in mostra, ma solo con alcuni cari viventi, facendo di tutto per farsi notare, impiegando ogni tipo di “scherzo da morto” a disposizione. Sono costretti a fare ciò a causa dell’incredulità dei vivi, che stentano a essere persuasi di tale possibilità, divenuti, col tempo e con le esperienze, ciechi... anzi privi di ogni senso per la maggior parte della loro vita. In taluni casi, infatti, i defunti sono costretti a tornare nei loro cassetti senza essere riusciti a farsi notare dai loro cari viventi per mettere in pratica il loro intento primario. E questo può accadere anche per anni e anni del tempo dei viventi. Il tempo dei morti, essendo eterno e perennemente mutabile, non ha una grandezza definita e misurabile. I più furbi preferiscono farsi vedere dai bambini, perché non sono ancora razionalmente condizionati dalla società e quindi aperti a più possibilità di visioni. Il problema è che di solito, i piccini, non vengono creduti ma spediti direttamente dallo psichiatra o neurologo che sia, i più fortunati dallo psicologo, i meno dal prete o persino dall’esorcista. Alla fine, c’è chi continua a dire che non c’è più posto nel nostro cimitero. Non credeteci, non è così. Infatti, non appena arriva un novello morto e c’è bisogno di un nuovo posto, gli altri cassetti fanno subito a gara a chi tocca doversi dividere in due, per creare magicamente dal nulla un cassetto supplementare, dotato di tutti i comfort necessari e uguale a tutti gli altri, accolto con grande entusiasmo e allegria da ogni cassetto. A volte, le risa dei cassetti sono così esuberanti da superare il cancello cimiteriale, cosa che produce un suono molto particolare che all’orecchio vivente appare come un lamento straziante. Questo cambiamento, però, dipende solo e soltanto da una causa che è la traduzione morte-vita, ovvero dal linguaggio defunto a quello vivente. 13
Certo, all’occhio vivente, una manovra del genere porterebbe a pensare a una riduzione dei cassetti che diventano ogni giorno più piccoli, quasi striminziti. Non è così. Non fatevi ingannare, in realtà di riduzione non ce n’è nemmeno l’ombra. Tutto è perfettamente ordinato. Dentro i cassetti vi è contenuto l’infinito intero e anche di più. E già che l’essere umano vivente ha paura quando il suo spazio vitale diminuisce, non si rende conto che in realtà diventa più ricco e più stimolante. Misteri della vita! Insomma è proprio una vera festa quando c’è un nuovo arrivo. Tutti sono lì ansiosi ad aspettare che il nuovo collega estinto faccia il suo ingresso nel cassetto. E hanno già pronte le domande: come è successo? Te lo aspettavi? È stato doloroso o piacevole? Ti hanno già spiegato tutto? Chi conti di andare a trovare per primo? Mi fai visitare il tuo cassetto? Sapete, i morti, loro si che sono curiosi come bambini! Al contrario, i viventi sono così ottusi nel non credere nell’esistenza dei morti che bisogna faticare non poco per farsi vedere. Un povero estinto, può passare giorni e giorni nel tentativo di farsi riconoscere, adoperando tutti i metodi concessi che, credetemi sulla parola, non sono limitati. Un giorno un estinto, per farsi vedere dalla moglie inconsolabile, fuggì di notte dal cimitero esibendosi nel “guarda il fantasma e scappa”, una delle tecniche più traumatiche per i viventi inventate dai nostri estinti per rendersi visibili. Quella, la moglie, però niente, nel sonno ha aperto gli occhi, ha salutato il marito defunto, e girandosi dall’altra parte è ritornata a dormire, ricominciando a russare più forte di prima. 14
Il nostro caro estinto se n’è tornato sconsolato al cimitero nel suo cassetto, sapendo già cosa l’aspettava per aver infranto la regola del “mai tra i viventi dopo il tramonto”. Visto il risultato, però, nessuno se l’è sentita di biasimarlo e condannarlo alla pena del “prego: fuori dal cassetto stanotte”. Così, piangendo, si è infilato affranto nel suo cassetto sperando in un giorno migliore. Nel nostro cimitero i cassetti sono quasi tutti pieni e totalmente aperti, altrimenti, se così non fosse, tutto ciò che vi ho raccontato sarebbe solo un sogno, e invece…
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