Calciano. Storia economico-sociale di una piccola comunità di Basilicata

Page 1


Il luogo, il nome, gli antefatti

1. Calciano e il suo territorio Calciano è al centro di un’area geografica vasta, caratterizzata da imponenti presidi montuosi, nella maggior parte coperti da secolare vegetazione arborata e attraversati da correnti fluviali soprattutto a carattere torrentizio confluenti tutti nel Basento. Questo l’attraversa spaccandola in due, costituendo il bacino della Media Valle del Basento, ove si sono svolti importanti avvenimenti che hanno influenzato, nelle varie epoche, fenomeni sociali, politici, economici, religiosi e demografici, che, riguardando un’area centrale, hanno finito con l’interessare l’intera regione. All’interno di detta area, il territorio di Calciano si trova circoscritto dalle seguenti confinazioni, quali si ricavano dalla carta d’Italia, al 25.000, dell’Istituto Geografico Militare (foglio 200, IV, N.E.; IV, S.E.; I, N.O. e I, S.O. edizione del 1955-56). Con inizio a Ovest dalla quota 553, nei pressi della galleria denominata Carbotto 1 (tratta ferroviaria Potenza-Metaponto, stazione di Campomaggiore), la linea di confine scende verso il Basento, congiungendosi, a Nord, nella Valle del Frassino, con il territorio di Tricarico e poi sempre lungo l’argine sinistro del fiume fino a quota 223. Restano così delimitate le contrade calcianesi di Cognato, Santa Domenica Sottana e la Striscia Scarascella che, dal fiume, vanno verso Sud, alle parti più elevate del territorio. Da quota 223, la linea di confine s’impenna prima fin oltre quota 343 e poi ancora verso Est, a livello 416, delimitando la contrada S. Agata, il casino Da Braio e la masseria Perrone, sopra S. Martino, includendo le stesse nell’agro di Calciano. Scende quindi lungo lo Scorciaturo, lasciando l’altra masseria Perrone in tenimento di Tricarico. Di qui, risale verso l’altitudine 298, incrociando prima la vecchia strada comunale che passa per Pianelle e poi, a quota 245, il fosso denominato Cugno della Rondinella. Si innesta allora al territorio di Grassano da quota 243 e fino a livello 183 (nel letto del fiume), costeggiando casale Pirrone, costa Rizzigno e masseria Pontillo e poi, con una linea perpendicolare, calando fino al Basento. Dopo un breve tratto di fiume, nei pressi del ponte, il confine attraversa la Basentana e la Ferrovia Potenza-Metaponto, più a Est dello Scalo ferroviario di Grassano-Garaguso-Tricarico. Risale poi verso Garaguso,

15


Tratta da “Basilicata Regione notizie” n. 92/1999

Il territorio di Calciano nel 1955 secondo le rilevazioni topografiche dell’IGM

16


con una demarcazione frastagliata che segue alquanto la statale per Stigliano fino a un’altitudine di metri 520 l. m. Qui si immedesima con il tratturo che passa per casale Barbarito (q. 607), Tempa Cappuccio (q. 647), per poi scendere lungo il Vallone del Riciglio, fino a quota 434, ove, lasciato l’agro di Garaguso, risale verso Ovest a limite con Oliveto Lucano. Perviene quindi all’incrocio di masseria Fontanelle e bosco Cognato, tra le quote 891 e 1149-51 di monte La Croccia. In questo tratto include le Serre, Santa Domenica Soprana (con la Caserma della forestale e il Baraccone) e poi bosco Cognato, con la Cappella di Santa Maria. Da monte La Croccia, ove lascia Oliveto Lucano, si accompagna all’agro di Accettura, degradando verso Capuzzone (da q. 958 a q. 560); finalmente, oltre il Cancello di Canosa, si reinnesta al punto di partenza, verso quota 553 a confine con il territorio di Campomaggiore. La superficie è di 5.647,07 ettari, pari all’1,86% dell’intera provincia di Matera. È coperta per il 57,48% da boschi, per il 40,09% da terreno agricolo utilizzabile (SAU), e per la differenza da tare, vie e altro.2 2. La morfologia del territorio A causa dei continui movimenti franosi che da sempre hanno interessato il territorio di Calciano, e in particolare dopo la vasta frana degli anni cinquanta, il Genio Civile di Matera (nel 1955), incaricò l’Ing. Santo Motta di Roma, di uno studio geognostico. L’Ing. Santo Motta redasse la seguente relazione, nella quale si legge, fra l’altro: “La morfologia in cui è ambientato l’abitato di Calciano può essere schematizzata come segue. Tra le due spianate (...) di colmo di una dorsale collinosa a quota media intorno ai 400 metri s.l.m. (...), sulle quali è costruito l’abitato attuale di Calciano - di cui (...) una più estesa, ed è quella in cui è ubicata la Chiesa matrice, il Municipio - (ex Municipio) - e qualche altro edificio di maggiore spicco; la seconda, attaccata alla precedente ma leggermente più bassa, detta Piano S. Giacomo, è quella in cui si è sviluppata la parte nuova dell’abitato (...) - s’insinua un fosso, orientato ca. E-W, che dopo breve e scosceso corso sbocca da sinistra nel Fosso S. Angelo (affluente di destra del Basento), e che limita praticamente da levante tutto l’abitato di Calciano. Il quartiere del Piano S. Giacomo è poi contornato dal lato di mezzogiorno da altro fosso, che parte dalla sella a nord del colle su cui (era) piazzato il serbatoio dell’acqua; dalla stessa sella si diparte un secondo fosso,

17


diretto in senso contrario al precedente, che va a scorrere vicino al Cimitero. La superficie poi che scende dall’abitato verso NW non appare invece intaccata da incisioni vallive; però a partire da una quota di alcune diecine di metri inferiore a quella media dell’abitato il terreno si presenta tutto improntato a una inequivocabile morfologia di frana, delle cui manifestazioni di disastrosa vitalità parleremo in seguito (...). Due sono, ai fini della geologia applicata, le formazioni che entrano in gioco: inferiormente si ha una tormentata formazione di strati marnosi, argillosi (anche di argille scagliose s.s.) e arenacei; su di essa è appoggiata una formazione sabbiosa, sabbioso-arenacea, e in qualche punto anche conglomeratica, in genere riccamente macrofossilifera. La formazione superiore, sabbiosa, si staglia morfologicamente da quella inferiore per la balza abbastanza ripida che la delimita torno torno e che è poi la stessa balza da cui è contornato quasi da tutte le parti l’abitato. Va messo in evidenza che al contatto tra la formazione sabbiosa superiore e la formazione argillosa inferiore, si hanno delle manifestazioni sorgentizie, di cui una delle più notevoli è quella visibile nell’ingrottato (...)”.3 Questi fenomeni, ancorché comuni a molti paesi della Basilicata: da Pisticci, a Montalbano, a Grassano, a Senise, a Craco e ad altri, a Calciano hanno avuto da sempre caratteristiche e dimensioni particolari e notevoli. Un punto ricorrente di fenomeni franosi è sulla ferrovia Napoli-Metaponto, cinquecento metri prima dello scalo di Calciano, già Calciano-Tricarico, e subito dopo l’indicazione del Km 209, tra quest’ultimo e quello di Grassano. Nel 1900, proprio a duecento metri dalla suddetta indicazione, vi fu un vasto smottamento di terreno che rese necessario intervenire per il consolidamento a monte della ferrovia. Il 24 aprile 1910, fu firmato il verbale di cessione e di contemporanea liquidazione di conto, fra l’ing. Cav. Alessandro Crescentini, Capo Divisione mantenimento e sorveglianza delle FF.SS., Compartimento di Napoli, e i fratelli Pasquale e Vittorio Materi fu Ferdinando, quali eredi del defunto padre, espropriato di 955,50 metri quadrati di terreni incolti pascolativi - pagati a lire 0,04 al mq - per consentire il consolidamento del rilevato in frana fra i chilometri 209,000 e 209,032. Altri interventi di consolidamento si ebbero negli anni 1915-19 e 21, pressappoco nello stesso tratto, quando fu necessario deviare il tracciato portandolo più a monte. Su commissione del Consiglio Nazionale delle Ricerche nel 1982 4 fu redatto uno studio sulle numerose alluvioni che avevano interessato il paese. Risultò che quella

18


del febbraio 1931 fu particolarmente violenta e provocò molti danni a causa dello straripamento del fiume Basento alimentato dalle piene dei torrenti, che fecero crollare alcune arcate del ponte nei pressi dello scalo ferroviario di Grassano. Da questo studio si apprende, fra l’altro, che “Il gennaio 1972 risultò notevolmente piovoso in Basilicata e nell’Alto Ionio Calabrese.5 In particolare il giorno 18 e, parzialmente, il 19 quasi tutta la Basilicata fu colpita da un nubifragio della durata di circa 30 ore, il cui nucleo di maggiore precipitazione si localizzò nell’alto bacino del Cavone e nei bacini del Basento e dell’Agri (...). A Calciano in quel solo giorno si ebbe una precipitazione di quasi la metà della media annua cinquantennale”. Dal numero 4/73 della Rivista Basilicata si stralciano alcuni saggi che descrivono la “Situazione catastrofica dopo la nuova alluvione” nei seguenti termini: “Molte strade, statali, provinciali e comunali sono interrotte in più punti, mentre è paralizzato il traffico sulla Basentana fra Campomaggiore e Calciano, e quello ferroviario fra Potenza e Taranto”. E si aggiungeva “I terreni fra l’abitato di Calciano e lo scalo ferroviario di Grassano sono soggetti a forme di dissesto di estrema gravità (secondo uno studio per conto della Provincia del prof. Cotecchia pubblicato nel 1960) certamente provocati dal disboscamento e dal dissodamento, in alcune zone effettuati anche di recente da parte di Enti pubblici. Si tratta di frane imponenti, che hanno addirittura trascinato le case coloniche della riforma, e danneggiato e interrotto ripetutamente tanto la strada Grassano Scalo-Calciano, che la ferrovia Potenza-Taranto”. Ma, per paradosso, proprio le frane costituirono, nell’immaginario di non pochi, la fortuna del paese. Nel secondo dopoguerra, L’agricoltura, unica fonte economica stabile, era in via di ridimensionamento per l’intervento della Riforma fondiaria appena avviata e che, comunque, fu di scarsa incisività. Per alleviare la disoccupazione e gli stenti si ricorreva ai cantieri di rimboschimento e/o di infrastrutturazione stradale, o infine all’assistenza ECA. I calcianesi guardarono alle frane come a eventi miracolosi. Tutti i disoccupati iscritti alle liste di collocamento trovavano occupazione nei lavori di sistemazione dei terreni a monte della ferrovia, di canalizzazione delle acque, di rimozione della terra slittata e di riporto, di imbrigliamento, ecc. E ciò per diversi anni. Gli occupati perciò pensarono bene di autotassarsi per accumulare la somma occorrente per l’acquisto di una nuova statua della Madonna Annunziata, che, nella terminologia corrente, diventò la Madonna della frana. La notizia corse di bocca in bocca, uscì dal paese e ne scrissero giornali locali e nazionali. Religione a parte, sta di fatto che, secondo una recentissima indagine sulle frane in Basilicata, pubblicata da “Lucania” del 20 ottobre 1999, si apprende che dei 131 comuni della Regione, 114

19


sono a rischio, 38, ivi compreso Calciano, sono a rischio molto elevato, mentre 76 sono a rischio elevato. 3. Le antiche vestigia “I primi agglomerati umani compaiono nel territorio dell’odierna Basilicata nell’età del Paleolitico medio” - scrive Pedio - il quale così continua: “Nel territorio di Matera, (...) nella zona di Tricarico e di Accettura, sulle montagne che sovrastano l’angusta vallata dell’Acalandrum, l’attuale Salandrella, (...) l’uomo è presente ancor prima della primitiva civiltà agricola che vede (...) sorgere i primi villaggi all’aperto con capanne a pianta circolare infossate nel terreno e con strutture sempre più complesse (...) Sono questi i primi villaggi trincerati che sorgono in zone fittamente popolate ai confini della pianura pugliese, nel Melfese e nel Materano spingendosi verso i bacini dei grandi fiumi, e raggiungendo le montagne di Stigliano, di Garaguso, di Oliveto Lucano, di Accettura (...)”. Manca il nome Calciano - ma non il suo territorio, essendo il vasto bosco di Cognato nel suo agro. In età neolitica, le immigrazioni di gente proveniente dalle grandi civiltà agricole dell’Anatolia e del mondo danubiano non risparmiano le zone più interne dell’attuale Basilicata. “Nell’età del ferro, (...) provenienti dall’Anatolia, dalla penisola balcanica, dopo essersi fermati sul Gargano, tra il 1300 e il 1200 a. C., i Lyki si fermano (...) tra le sorgenti del Bradano e l’alta e media valle del Basento, spingendosi, attraverso le trasversali appenniniche, nel bacino dell’Acalandrum e del Sinni. Croccia Cognato, Capo Coppola, Serra di Vaglio, Monte Torretta, centri fortificati su posizioni dominanti e sovrapposti a preesistenti insediamenti, testimoniano la presenza di questo nuovo popolo nel territorio che da esso prende il nome di Lucania”.6 “La fase maggiormente documentata dalla ricerca archeologica - sostiene Adamesteanu - è quella relativa all’insediamento delle popolazioni lucane, intorno al V sec. a.C. (...). I resti dell’abitato lucano di Monte Croccia delineano i caratteri più specifici del meccanismo insediativo delle popolazioni in una fase molto antica ma già complessa. “L’insediamento è difeso da una doppia cerchia di mura. La prima molto estesa, intorno ai 1100 metri, la città bassa con ampie superfici libere per gli animali, la seconda intorno all’acropoli a quota 1150, molto più ridotta e atta a organizzare

20


Croccia Cognato: la porta della fortificazione antica (IV sec. a.C.) (Tratta da “Il Museo Nazionale Domenico Ridola” - APT - Matera)

la difesa estrema. L’insediamento, databile alla seconda metà del sec. IV a.C., aderisce perfettamente alla morfologia del sito e ne sfrutta ogni elemento, sia per la realizzazione delle mura, sia per l’impianto urbano. “Altri rinvenimenti di ricchi giacimenti archeologici datati alla stessa epoca e attribuibili alla medesima cultura di Monte Croccia effettuati nei paesi limitrofi, e tra questi i più noti sono le necropoli lucane di Garaguso, lasciano intuire come i siti occupati dagli abitati medioevali siano i medesimi già occupati dalle popolazioni in epoche più remote. Ovvero le ragioni dell’arroccamento sono rimaste valide fino ai tempi a noi più prossimi”.7

21


4. Gli insediamenti di epoca romana Vittorio De Cicco, Regio Ispettore dei monumenti, scrivendo di Calciano annota che “(...) nel masso tufaceo dove sorge la chiesa e si trovano i ruderi del castello di Santa Caterina sono grotticelle artificiali tuttora in parte adibite a ricovero d’animali o deposito. Nel terreno sottostante, in occasione di lavori agricoli, viene fuori in minuti frammenti una qualità di ceramiche di impasto grossolano a superficie bruna o rossastra, ma tornite, e un’altra specie con ornati geometrici su fondo chiaro. In contrada Amendolara - aggiunge - riconobbi avanzi di fabbriche romane. Tombe romane seppi rinvenirsi in contrada Lagarelle di S. Domenico, Laghi di Calciano e alle Serre. Un dòlio, una lucerna semplice e un elmo di bronzo provenienti dalle Lagarelle sono nella mia privata raccolta, e li giudico di epoca romana. Dei Laghi posseggo parecchi vasetti a vernice nera e con figure rosse di epoca tarda”.8 E Concetto Valente, in “Notizie degli Scavi di Antichità” - 1898, Serie VIII” 9 - informa che “proviene da una tomba della contrada Cinta di Santa Caterina di Calciano un’anfora frammentaria adorna delle figure di un fauno e di una Menade, che sollevano il tirso. Altezza cm 18”. Di recente, l’ex Direttrice del Museo Nazionale “Domenico Ridola” di Matera, dottoressa M. G. Canosa, con riferimento all’area di cui Calciano fa parte, ha ricordato che “nel territorio di Tricarico sono state individuate numerose ville le quali, nella maggior parte dei casi, presentano una continuità di vita che, partendo dal IV sec. a.C., in concomitanza con la fase di espansione dei centri fortificati si spinge fino al IV-V sec. d.C., superando lo spessore cronologico degli edifici pubblici di Piano della Civita la cui esistenza termina nell’ambito del I sec. d.C.”. La stessa dott.ssa Canosa, sull’argomento specifico delle Ville, ha scritto: “Di grande interesse è la villa rinvenuta a S. Agata, non ancora completamente messa in luce, che presenta ambienti pavimentati con mosaici in marmi policromi e un vasto horreum in cui sono rinvenuti in situ numerosi pithoi destinati ad accogliere derrate alimentari liquide e solide. Vicino al complesso abitativo è stata individuata una fornace non ancora messa in luce. Simili elementi architettonici sono stati rinvenuti anche in altre località come S. Martino, S. Felpo, Malcanale dove altri insediamenti presentano le stesse caratteristiche della villa di S. Agata (...)”. Le ville delle contrade S. Agata e S. Martino sono in agro di Calciano.

22


Elmo lucano in bronzo proveniente dalla località S. Agata in agro di Calciano (IV sec. a.C.) (Tratta da “Il Museo Nazionale Domenico Ridola” - APT - Matera)

Calciano, S. Agata, Mosaico in marmi policromi della villa romana, (IV sec. a.C.). (Tratto da “Il Museo Nazionale Domenico Ridola” - APT - Matera)

23


Ubicazione dei siti archeologici in agro di Tricarico. Al n. 8 vi è anche quello di S. Agata in agro di Calciano, citato dalla Canosa 10

24


5. Le origini antiche del primo nucleo abitato La stratificazione dei sistemi abitativi ancora visibili sul territorio (ove si pensa sia stata allogato inizialmente Calciano) può alimentare convincimenti i più diversi; ma il fatto che non è emersa ancora la necropoli di quell’abitato, e l’aspetto che configura attualmente tutta l’area di pertinenza, non ci aiutano a fornire elementi attendibili per fissare con precisione quando è sorto e che dimensioni e caratteristiche avesse il primo nucleo abitato del paese. Tuttavia non vogliamo esimerci dall’avanzare qualche ipotesi. Calciano, antecedentemente agli sconvolgimenti che, distruggendolo una prima volta, ne modificarono la conformazione topografica, era insediato su di un’area digradante verso il fiume, ai piedi dell’attuale abitato, ove sono visibili i resti del vecchio paese, rinato su quello precedente, che sulla base di alcuni documenti storici, si riesce a datare dal decimo-undicesimo secolo. Quest’area, compresa fra la contrada San Rocco, con il trappeto (già convento di monaci) e la Fontana “di pede”, fino alla Cinta di Santa Caterina, diagonale Sud-Nord, e le collinette di Tempa San Sebastiano11 e Tempa Grande con le aree sottostanti, fino a Sant’Angelo, nella direzione Est-Ovest, è la stessa nella quale era ubicato il primo nucleo del paese che, secondo notizie non suffragabili, sarebbe stato distrutto nel 383 d.C. È stato tramandato, comunque, di generazione in generazione, il racconto che quest’area fosse stata investita da un forte sconvolgimento (alluvioni, terremoti sussultori e ondulatori) che distrusse l’agglomerato di casupole e capanne, creando degli avvallamenti e dei dossi, su uno dei quali risorse il paese medievale che si raccoglieva attorno al masso tufaceo, avente come apice quella parte che fu sede del castello. È notizia che ritroviamo nella tradizione, di cui è eco in un manoscritto inedito in nostro possesso, in cui si legge: “Al lato Est del paese esiste un profondo burrone denominato Vallone Sant’Angelo e Fosso di pede, formatisi in tempo remoto, in seguito a una spaventosa frana, che sprofondandosi e inabissandosi distrusse e trascinò seco l’antico paese Calcianum, il quale sorgeva a un centinaio di metri più in basso del paese nuovo”.12 La configurazione attuale del suolo sembra confermare questo racconto data la presenza di enormi massi tufacei emersi sotto forma di cinte o di monticoli (le così dette tempe), che lasciano intravedere una parte di suolo inerbita o coltivabile, sia nella loro sommità che alla base, nell’area circostante. Non mancano tagli netti, alcuni perpendicolari, come quello della Cinta o Tempa di Santa Caterina, e quelli

25


Lato nord del Castello del quale sono visibili una parte delle murature e l’ingresso di alcune grotte

posti a poca distanza dalla stessa di dimensioni più ridotte. Altri sono quasi conici, con i terminali inferiori in fossi solcati da acque. La Cinta di S. Caterina, in particolare, che è la più alta, sembra essere stata tagliata dall’alto in basso. Ciò lascia pensare che da essa si sia staccata, sgretolandosi, una grossa parte di terra che, nei secoli, percorsa da torrenti sempre attivi, alimentati anche dalle numerose sorgenti esistenti a monte ed erosa dagli elementi meteorologici, abbia dato luogo al burrone della Venicella e alle formazioni montuose che si trovano nella distanza e nella configurazione attuale. Questa seconda parte è quella sulla quale fu costruito il castello. Al centro della cinta si trovano ancora due piccole grotte scavate nel tufo, con pareti affrescate dall’icona di Santa Caterina conservatasi in ottime condizioni fino a mezzo secolo fa, dalla figura di Lucifero non ben decifrabile, e, secondo alcuni, anche da quella di Sant’Antonio abate. Potrebbero essere di pertinenza di alcune chiese rupestri.13 Tutta l’area è caratterizzata dalla confluenza di acque provenienti 26


Lato sud-est del territorio sul quale era ubicato il vecchio paese (Paese di pede), sulla cui sommità si vedono i resti del Castello (mocta in apice 14) e della Chiesa. Sul lato sinistro c’è la Cinta di S. Caterina con il Vallone Sant’Angelo con in basso, a destra, la fontana omonima

da fonti soprastanti e prossime, come quelle della Venicella e di fontana Alpe, e da altre più in alto, quali pozzo Modugno, le diverse fonti della Conserva, dislocate tutte in un alveo a imbuto la cui parte stretta confluisce nell’area del vecchio paese. Lo stesso fenomeno di deformazione del territorio si sarebbe verificato a Nord, verso la collinetta che ospita la parte nuova del paese, ai piedi della quale (proprio ove è stata scavata la cosiddetta Grotta di Sciabeck, nei pressi della Fontana di pede) vi sono formazioni tufacee che sembrano anch’esse spezzate di netto. Seguono burroni e il solito avvallamento procurato da slittamento e abbassamento del terreno e, quindi, eroso dalle acque di un piccolo torrente, attualmente quasi sempre asciutto, che ha modellato un canale nel quale, prima della realizzazione della rete fognante, confluivano anche le discariche del paese. E tutto questo, molto prima dell’anno mille. Nelle epoche successive si sono avuti altri sconvolgimenti, procurati da alluvioni e terremoti, che spingevano sparuti nuclei di insediamenti umani ad allontanarsi dal posto, senza distogliere però il grosso degli abitanti dal rioccupare la stessa 27


Lato nord-est del territorio sul quale si estendeva il vecchio paese, attraversato dal Fosso Sant’Antonio che confluisce, ad est, nel Vallone Sant’Angelo. Con i resti del Castello e della Chiesa, è visibile fra gli ulivi, una specie di stele in muratura della stessa epoca. Il Castello e la collina sono perforati da grotte quasi tutte interrate

zona, con nuove costruzioni, e scavando ancora grotte e caverne tutt’intorno al masso tufaceo - su cui si ergono i ruderi del castello, della chiesa e di qualche altro edificio - che costituirono le abitazioni fino all’inizio dell’Ottocento. Alla fine gli abitanti, non trovando ormai sicuro e confortevole l’antichissimo sito, decisero di ubicare le loro dimore in aree più stabili e più sane. Come si è accennato in precedenza, la toponomastica del vecchio paese medievale (u pais d ped) conserva ancora l’antico castello di origine Osca o Ausonica, più che Normanna come si vuole da alcuni, che ha resistito nei secoli alle invasioni barbariche e a ogni altro tipo di assalti e di devastazioni; così come ha resistito la stessa Chiesa matrice, costruita ai piedi di questo masso e perciò definita della Rocca. In alcune parti del castello si notano ancora mura perimetrali di notevole consistenza, realizzate con materiale del posto; sono anche individuabili degli androni, alcuni occlusi, altri perforati da parte a parte. Questa struttura, che perdura ancora oggi nella sua definizione di Castello, era presente nella seconda metà del sedicesimo secolo, come risulta dalla Platea del feudo di Calciano formata dal

28


La cinta di Santa Caterina vista dal Castello (nelle due grotticelle sono gli affreschi della Santa, da cui prende il nome, ma anche di S. Antonio Abate e di Lucifero)

29


Regio Commessario delegato dal Re Ferdinando I d’Aragona Gio: Battista de Orlandis nel 1475,15 alla descrizione della quale è dedicato un apposito capitolo. Veniva chiamata in latino Mocta. 6. Il paese distrutto più di una volta “Un «orribile terremoto» (per usare le parole di Strafforello, 1899)16 colpì la Basilicata alla fine dell’Alto Medioevo; il sisma, valutato del IX-X grado della scala MCS, si verificò nel 990 e l’epicentro dovette essere ubicato nell’area irpina (Guidoboni e Boschi, 1991). Esso dovette essere anche abbastanza violento con effetti considerevoli in un’area molto vasta: la stessa Matera, pur così distante dall’epicentro, ne fu sconvolta (Cron. della Cava, 990, Romualdo Salern., 990 in Volpe, 1818 e Giura Longo, 1981)”. E inoltre: “(...) esattamente nel 1243, ebbe a verificarsi un evento naturale che modificò l’aspetto morfologico di una parte della piana costiera ionica. In quell’anno, infatti, il tratto terminale del Fiume Bradano (Tansi, 1746; Giustiniani, 1793 e 1797; Neboit, 1988) - secondo il Tansi, quest’alluvione provocò il mutamento del corso del fiume Bradano nei pressi di Anglono de Galaso dove possedeva terre il monastero di S. Michele Arcangelo di Montescaglioso - e forse anche del Basento (Noye, 1984) si spostò più a Sud-Ovest, come riportano le fonti storiche e come ben testimoniano gli alvei abbandonati dei due fiumi (...). Ci si trovò di fronte a un fenomeno geomorfologico legato a un violento evento alluvionale, foriero, forse, di quelli che interessarono più diffusamente la regione nel successivo periodo angioino”.17 A seguito di questa alluvione, e di quelle avvenute in altre parti della penisola,18 le popolazioni fanno istanza a Federico II per ottenere aiuti per le ingenti perdite subite; aiuti che vengono in parte disattesi. Cinque anni dopo, il 15 novembre del 1248, si verificò un tremolizzo grandissimo che fece cadere città e Casali nel Giustizierato di Basilicata e soprattutto nel potentino.19 La zona più colpita fu quella del Vulture, nell’estate successiva devastata da una forte invasione di cavallette. Seguì il terremoto del 1273, che colpì soprattutto l’abitato di Potenza, tanto “(...) che verranno impartite disposizioni al Giustiziere di Basilicata perché accerti se siano giustificate le richieste della popolazione di Potenza che lamenta la impossibilità di provvedere al versamento della quota richiestale a titolo di colletta perché rilevanti sono stati i danni subiti da quella cittadina a seguito del terremoto del 1273)”.20

30


Ex convento

31


Cosa sia accaduto di Calciano, non si sa. Sta di fatto che nel 1277 non era più entità autonoma, ma risultava annessa a Tricarico, almeno nella tassazione focatica. Un segnale immediato, di un qualche cosa che fece declassare Calciano, lo si ha da alcuni documenti in cui di esso non si fa menzione, né fra i paesi infeudati nella contea di Montescaglioso, nella quale risultava precedentemente, né in quella di Tricarico con la quale, oltre che per la già citata tassazione focatica, avrà riferimento successivamente. Si può osservare comunque, per quel periodo, una diversità di annotazione nei documenti relativi ai provvedimenti presi dal sovrano. Infatti, mentre nelle disposizioni riguardanti la destinazione degli homines per i lavori di manutenzione e di ristrutturazione del castello di Acerenza si nomina Calciano come tale (nelle sue diverse terminologie Cociano, Cantiano, ecc.), in quelle relative alle entrate fiscali risulta Casale di Tricarico, insieme al quale contribuisce, senza che vi siano distinzioni di somme fra i due centri.21 Fra l’altro, mancando anche i dati sui fuochi di Calciano per un lungo periodo dopo il 1277, durante il quale, invece, compaiono quelli dei casali di Gallipoli-Cognato, prossimi all’abitato di Calciano, si può supporre che presso tali siti si siano rifugiati anche gli scampati cittadini del disastrato paese. Ciò troverebbe conferma nel fatto che la scomparsa di Gallipoli dalla elencazione della tassazione focatica sia avvenuta proprio in coincidenza con il periodo in cui ricompare Calciano. Proseguendo nella cronologia degli eventi che hanno danneggiato il territorio di Calciano, si apprende anche di una forte scossa di terremoto avvenuta nel 1456 che, toccando in parte la Basilicata, nell’area del Basento, a poca distanza da Calciano, colpì solo Brindisi di Montagna. Vito Claps nella sua Cronistoria,22 riprendendo la notizia dal Pacichelli, dava notizia di un terremoto del 1694 (8 settembre) e il Pani Rossi, in La Basilicata,23 scrivendo delle terre che hanno ospitato nuovi borghi ricorda “(...) paesi che in meno di vent’anni salirono da un piano a un colle, Calciano (...), Pietrapertosa e Montemurro”. In breve, tra terremoti e alluvioni varie, il terreno posto fra le masse silicee più compatte e solide, è sprofondato e poi è slittato a valle portando seco numerosi edifici e materiali e lasciando in piedi solo quelli costruiti su dette basi solide, molti di tali edifici sono pervenuti quasi indenni fino a noi. Fra questi, la stessa Chiesa, rifatta intorno al 1700 e che, ancora nel 1940, conservava quasi interamente le mura e il tetto in legno.

32


7. Il nome Calciano I nomi locali, che, secondo Racioppi, finiscono in ano, e “formano un’abbondante categoria di aggettivi col significato di appartenente a qualcuno, sono ormai, dai dotti e dai filologi, riconosciuti come indicanti proprietà fondiarie che già appartennero ad antiche famiglie italiche”. Secondo il Flechia, esempi di tale fenomeno sarebbero attestati fin dai tempi di Varrone e di Cicerone; e anche prima.24 Calciano, in particolare, verrebbe da “Calpianum e Calpius delle Iscrizioni; tanto almeno verisimilmente quanto da Caltius Caltianum, o Calcidianum da Calcidius delle Iscr.”. “Così il Flechia - e continua - Ma non ometterò, (...) -aggiunge Racioppi - che la parola Caucium significò al medio evo ‘un luogo basso e paludoso’ ovvero un argine o strada sollevata su terreno basso e paludoso” (...). In due carte greche del 1092 e del 1098 (Syllabus graecar. membranar. Nap. 1865 p. 71 e 82) si fa contemporaneamente parola di Cacianu (che dal contesto è il Caggiano presso Auletta) e di Caucigianu, che gli editori di quelle carte credono parimenti Caggiano. La identità, nella stessa carta, dei due luoghi indicati con nomi diversi non mi pare possibile: credo che il secondo si abbia a riferire al nostro Calciano: nel qual caso - conclude Racioppi - la forma di Caucigianum si riferirebbe al gentilizio Calcidius, indicato dal Flechia”.25 Di fatto c’è che, nei vari documenti consultati riferiti a Calciano, nell’attuale o nella vecchia ubicazione, si trova Canciano, Cantiano, Cauciano, Caucigiano, Cociano, Caiano, Gauciano, eccetera, ma mai Gaudiano, come pensano gli anziani del paese e si legge in qualche recente scheda.26 Il toponimo latino Gaudianum, infatti, si trova sempre attribuito al borgo Gaudiano di Lavello, in provincia di Potenza, e non al nostro Calciano. 8. Dei primi documenti che citano Calciano Il primo e forse più importante documento antico, nel quale viene citato Calciano insieme alla Chiesa di Santa Maria di Cognato, fra quelle alle dipendenze del Vescovado di Tricarico, è la bolla in carta pecora della quale, introducendone il testo nelle sue Note sopra la Bolla di Godano (...), Monsignor Zavarroni scrive: “Fra gli antichissimi monumenti, che si conservano nell’Archivio della Cattedrale di Tricarico, uno è la Bolla originale (...) di Godano Arcivescovo dell’Acerenza a favore di Arnaldo Vescovo di Tricarico, spedita nell’anno 1060 (...)”.27 Calciano si

33


trova citato con tutti i paesi ricadenti nella giurisdizione ecclesiastica della Diocesi. Sull’autenticità del quale documento, come di altri della stessa epoca, si svolse un’accesa polemica all’interno degli stessi ecclesiastici, cultori della materia, fra i quali l’abate Troyli, e il dotto Padre Alessandro Di Meo, della Congregazione del SS. Redentore. Quest’ultimo, in merito alla citata bolla, riscontrò inesattezze e circostanze addirittura inesistenti, tanto da scrivere che si trattava di una impostura.28 Più recentemente, però, Padre Francesco Russo m.s.c. ha scritto che, “anche ammessa la sua falsità - non per questo siano da ritenere falsi tutti gli elementi, in essa contenuti, che, per altro, trovano conferma nei documenti pontifici posteriori”. Infatti, “(...) le chiese e i monasteri ricordati nella bolla di Godano, ricorrono poi nelle bolle di riconferma di Arnoldo, Arcivescovo di Acerenza, dell’anno 1097, nonché dei Papi Alessandro II, del 13 aprile 1068 (e del 10 agosto 1068 29), di Pasquale II, del 16 giugno 1102, di Callisto II, del 7 ottobre 1123, di Lucio III, del 29 ottobre 1183, di Gregorio IX, del 3 giugno 1237”.30 Calciano in particolare, si trova in un documento del 10 settembre 1123, da Benevento, con il quale, Papa Callisto II,31 nel confermare a Leone, Vescovo di Montepeloso, il possesso di alcune chiese, luoghi santi e privilegi avuti in passato, a vario titolo e da diversi benefattori, così si esprime: “In quibus, et si non omnia, tamen quaedam propriis nominibus annotamus, videlicet (...) regimen ecclesiarum omnium Cociani, molendinum similiter emptum ab Alberico filio Girardi quod super flumen Vindani constructum est, (...)”. È anche da annoverare ancora la Bolla di Lucio III, “servo dei servi di Dio, al venerabile Fratello Roberto, Vescovo di Tricarico, e ai suoi successori che subentreranno canonicamente in perpetuo. Tra i “possedimenti e i beni” della diocesi figurano i seguenti con i propri nomi: Tricarico, e in esso il Monastero di S. Maria de Pedia, e nel territorio della medesima città il Monastero di S. Maria del Rifugio e di S. Maria di Cognato,32 Casale Sejanum, Campomaggiore, Albano, Gallipoli, Rajam, e ivi il Monastero di S. Maria Maddalena, Accettura, Oliveto, Calciano, Garaguso, e in esso il Monastero di S. Nicola; Salandra (...)”. Un atto del 7 aprile del 1070 - anch’esso ritenuto una evidente menzogna (Di Meo, VIII, p. 98) - redatto in palatio comitale di Tricarico dal notaio Alessandro, riferisce che Roberto, conte di Montescaglioso e signore di Tricarico, e sua moglie Amelina, confermano, fra l’altro, al vescovo del tempo, i privilegi concessi dall’arcivescovo Godano nel giugno del 1060. In questo documento ci sono due notizie molto interessanti, anche se poco attendibili, riferite a Calciano: una è che Calciano viene citato con il monastero di San Pietro in Castel Magno (che non sia la vecchia chiesa annessa al castello, prima di essere ampliata e assunta a chiesa

34


Particolare della vecchia Chiesa matrice sullo sfondo della quale è visibile l’assetto in muratura, ove era collocato il Trittico di Bartolomeo da Pistoia, del 1503

35


matrice?), e l’altra in cui si dice “San Martino e, nella stessa villa, la chiesa di San Nicola”,33 che potrebbe riguardare la omonima località sul Basento, vicino Sant’Agata ove sono state scoperte ville romane del IV sec. a.C. Le stesse notizie sono riportate da Tommaso Pedio nel suo Cartulario cit., nell’elenco delle chiese che vengono confermate nel Privilegio di Carlo II d’Angiò 14 maggio 1303, ripreso dall’Appendice Privilegi dello Zavarrone, alla chiesa di Tricarico, cita testualmente, sia “Calciano con il monastero di San Pietro in Castel Magno”, che “San Martino e, nella stessa villa, la chiesa di San Nicola”. Non risulta però mai esistito in Calciano il monastero citato. Recentemente, infine, la Guida al Medio Basento 34 ha ricordato che “(...) in una bolla datata 24 giugno 1098, Roberto, Guglielmo e Umfrido, figli di Guglielmo de Cancigiano - sarà stata presa la u per n, perché è più probabile che fosse Caucigiano - possessori di Calciano (Cociani), donarono il fondo al Monastero di S. Maria di Pertusia”. Trattasi di un “documento custodito nell’archivio di Cava e trascritto in greco da un tal Niceto prete, ma non dà altre informazioni circa l’esistenza del paese e del monastero”. Come si vede, sono documenti tutti posteriori al Mille. La qual cosa, però, non deve far credere che prima non esistessero, in zona, insediamenti umani, comunque chiamati. Note I termini usati sono quelli delle carte a cui ci si riferisce. Cfr. ISTAT, Censimento Agricoltura 1982. 3 Dalla Relazione Geognostica sull’abitato di Calciano (Matera) con particolare riferimento ai movimenti franosi che l’aggrediscono, dell’ing. Santo Motta, Geologo Capo di II cl. Servizio Geologico d’Italia, per conto del Genio Civile di Matera, il 14 aprile 1955, dopo un sopralluogo effettuato insieme all’ing. G. Ambrusi del citato G. C. 4 Cfr. Dionisio Caloiero - Teodoro Mercuri, Le alluvioni in Basilicata dal 1921 al 1980, CNR, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, Cosenza 1982, pagg. 19-20. 5 Cfr. Ibidem, pag. 42. 6 T. PEDIO: L’antica terra dei Lyki, - Dimensione - Bimestrale della Banca Popolare Coop. di Pescopagano - n. 6 ottobre-novembre 1987. 7 DINU ADAMESTEANU, La Basilicata antica, storia e monumenti, Roma 1974. 8 V. DE CICCO, Notizie degli scavi 1898, cit., pag. 220. 9 Cfr. Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Vol. III - Regione III (Luc. et Bruttius), 1949, a pag. 107 - “XXV-CALCIANO” - nella quale raccolta, l’annotazione è stata ripubblicata. 10 La cartina è tratta da “Tra le antiche mura di Tricarico”, di Paola Scotellaro, Regione Notizie n. 2, 1995. 1 2

36


11 Questa denominazione, sui fogli della carta d’Italia a 2000, dell’Istituto Geografico Militare del 1955, è attribuita alla montagna, tutta boschiva, a est di quella delle Serre. 12 Cfr. Manoscritto anonimo (1934-35?) in Archivio Parrocchiale di Calciano. 13 G. Caserta nella Storia della letteratura lucana, a pag. 22, accenna a questo luogo inserendo le raffigurazioni di Santa Caterina e di Sant’Antonio abate fra le opere appartenenti ai primi insediamenti cristiani in Lucania fra il III e il VI sec. d.C. 14 Cfr. G. Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Roma, Ermanno Loescher & C. Vol. II, pag. 78: “La Motta, è il castello. Nel linguaggio feudale era il principale luogo di una signoria, ovvero lo spazzo del fortilizio o castello. Dal b(asso) l(atino) motta, che fu un’eminenza fatta dalla natura o dalla mano dell’uomo”. 15 A.S.N., L’Archivio Maresca di Serracapriola, copia per Notaio Stefano Ponteo di Rossano. 16 Cfr. F. BOENZI - R. GIURA LONGO, La Basilicata, i tempi, gli uomini, l’ambiente, Edipuglia 1994, pag. 80. 17 Ivi, pag. 82. 18 Cfr. G. Pagani, Avezzano e la sua storia, Avezzano 1968, pag. 210. 19 Cfr. MATTEO SPINELLI da Giovinazzo, cit. in T. PEDIO, La Basilicata dalla caduta dell‘impero Romano agli Angioini, Editore Levante, Bari, Vol. I, pag. 41, 1987. 20 Cfr. G. FORTUNATO, Badie, cit., Vol. III, nota n. 21 a pag. p.157, dai Reg. Canc. Ang., XI, pag. 56, n. 151. 21 Cfr. G. FORTUNATO, op. cit., pag. 151, dai R. Canc. Ang., XIII, pag. 310, n. 400. Tommaso. Pedio, nel Cartulario della Basilicata (476-1443), Vol. I, Ed. Appia 2. Venosa 1998, riporta la notizia così: “1273-6 dicembre. Poiché si rende necessario fare eseguire opus reparationis nel castello di Acerenza, il sovrano ordina che anche a questi lavori devono provvedere gli homines di Acerenza, Albano, Calciano, Cancellara, Caslaspro, Genzano, Grottole, Montepeloso, Oppido, Potenza, San Chirico di Tolve, Tolve, Tricarico e Vaglio (Reg. Canc. Ang., IX, p. 56, n. 145)”. Come si vede Calciano è inserito come le altre terre. Poi, nel “1277-22 gennaio. Cedola taxationis generalis imposita in Iustitieratu Basilicate pro anno uno pro medietate presenti anni V Ind. et pro medietate seguenti anni VI Ind. auri onciarum IV milia CCLXXXIII, tar. V, gt. XVI. Pubblicata dal Racioppi in ASPN, a. XV (1890), pp. 566 ss., poi nella Storia dei popoli, II, pp. 305 ss. la generalis subventio è così distribuita tra i 17.132 fuochi tassabili delle 148 terre del Giustizierato: (...) Tricarico (Tricaricun cum Calciano) per 127 fuochi deve 31 once, 21 tarì e 12 gr.”. E infine: “1277-5 aprile. Nel dare disposizioni sulla riscossione della generale subventio nelle terre et loci del Giustizierato di Basilicata, il sovrano indica i seguenti 131 centri abitati del Giustizierato taxati a Karoli primogenito nostri: (omissis), Tricarico con il casale di Calciano (Tricarici cum Cautiano) (Reg. Canc. Ang., XVII, p. 46, n. 78)”. Calciano in questi due ultimi documenti è insieme a Tricarico. 1280-24 settembre. Anselmo de Montilis (de Mons) castellano di Melfi, il notaio Clemente giudice di Melfi e gli expensores operis castri Melfie, ricevuti dal sovrano in Melfi, gli riferiscono sull’andamento dei lavori precisando che dal marzo all’agosto del 1280 nella costruzione del castello è stata spesa la somma di 405 once, 6 tarì e 10 gr. Per rivalersi di tale somma che è stata anticipata dalla Curia regis, re Carlo la impone come tributo straordinario alle Università del Giustizierato di Basilicata (Cfr. Sthamer, Apulia und Basilicata, pp. 203 s., n. 1170). Esclusa l’Università di Melfi e quella di Potenza, la quale usufruisce del privilegio concessole il 18 settembre 1273, questo tributo viene distribuito soltanto tra 78 Università del Giustizierato (omissis) Tricarico con il casale di Calciano, 11.25.4; (...). (Reg. Canc. Ang., XXIV, p. 58, n. 295)”. 22 Cfr. V. CLAPS, Cronistoria dei terremoti in Basilicata (a. I d.C.-1980), Congedo Ed. Galatina, pag. 33.

37


Cfr. Ivi, pag. 124, Ed. G. Civelli, Verona, 1868. Cfr. G. Racioppi, op. cit., Vol. II, pagg. 80-81 e nota “(1) Nomi locali del Napoletano derivati da gentilizii italici di Giovanni Flechia. Torino, 1874 - Estratto dagli Atti dell’Acc. scienze di Torino, vol. X” (Ristampa anastatica seguita nella Organizzazione Grafica BMG Matera in collaborazione con la Biblioteca Provinciale di Matera, 1970). 25 Cfr. G. RACIOPPI, op. cit., Vol. II, pag. 39. 26 Cfr. Internet, La Provincia di Matera - Matera Net, Copyright 1996, VIDEOUNO, Matera; nonché “MATERA e provincia” pubblicazione curata dall’Azienda di promozione turistica MateraMetapontino - Matera - BASILICATA turistica, Centrostampa Matera, pag. 38. 27 Cfr. A. ZAVARRONI, Esistenza e validità dei privilegi Normanni alla chiesa cattedrale di Tricarico, Napoli, 1749. 28 Cfr. DI MEO, Annali Critico diplomatici (...) cit., Vol. VIII, pag. 1060 - n. 5. Circa l’autenticità o meno di questi documenti e in particolare di quelli riguardanti la Badia di Monticchio, Giustino Fortunato, in Badie (...) cit. 29 A proposito di questa donazione riportata da Tommaso Pedio nel suo Cartulario cit., pagg. 108-109 a. 1070, nell’elenco delle chiese che vengono confermate nel Privilegio di Carlo II d’Angiò 14 maggio 1303, ripreso dall’Appendice Privilegi dello Zavarrone, alla chiesa di Tricarico, si citano, sia “Calciano con il monastero di San Pietro in Castel Magno”, che “San Martino e, nella stessa villa, la chiesa di San Nicola”. Non risulta mai esistito in Calciano il monastero citato. 30 Cfr. P. F. RUSSO m.s.c., La Diocesi di Tricarico nel primo millennio della fondazione, Tricarico 27 ottobre 1968, pagg. 17, 18, 19, 29; (Cfr. UGHELLI-COLETI, Italia Sacra, VII, 144 ss. 198; MIGNE, P.L., 1343; G. RACIOPPI, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Vol. II, pagg. 220-221); e infine, nella Decima pontificia del 1324, in cui vengono menzionate le Arcipreture di Albano, Gallipoli, Salandra, Calciano, Oliveto, Garaguso, Accettura, ecc. (Cfr. D. VENDOLA, Rationes Decimarum Italiae: Apulia, Lucania, Calabria, Città del Vaticano, 1939, pag. 174). 31 Cfr. M. Janora, Il Vescovado di Montepeloso, Potenza 1904, pagg. 19-21, riportato da Carlo Palestina, in FERRANDINA, Vol. IV, Appendice documentaria, Appia 2 Editrice, Venosa. 32 Cfr. ivi, pagg. 108-09 a. 1070. 33 Cfr. A. Zavarroni, Privilegi, Appendice, ripreso dal Privilegio di Carlo II d’Angiò, 14 maggio 1306. Cfr. anche T. Pedio, Cartulario cit., Vol. I, pag. 109. 34 Ivi, pag. 47. 23 24

38


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.