Il convento di San Domenico in Ferrandina

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Capitolo Primo Presenza e diffusione dell’Ordine domenicano in Basilicata

I Domenicani in Puglia e in Basilicata La presenza domenicana in Basilicata si può far risalire agli anni dell’attività apostolica in Puglia del Beato Nicola Paglia di Giovinazzo, che si sarebbe spinto fino a Matera.1 Gli agiografi lo riterrebbero fondatore di conventi in Puglia; probabilmente avrebbe dato un notevole contributo per la fondazione di quelli di Brindisi, Trani e Matera, appartenente quest’ultima alla Terra d’Otranto. L’ipotesi della sua partecipazione alla fondazione di tali conventi potrebbe essere attribuita al fatto che per tutto il periodo svevo la Puglia fece parte della Provincia Romana e, pertanto, in qualità di Provinciale romano, Nicola Paglia avrebbe potuto avere influenza per la fondazione di conventi nella sua terra d’origine.2 In epoca sveva la politica generale verso la Chiesa di Federico II non favorì molto la presenza dei Domenicani in Puglia. Durante il regno degli Angioini, invece, la presenza domenicana si intensificò sia quantitativamente, sia qualitativamente. Soprattutto Carlo II fu particolarmente devoto ai Domenicani e si adoperò molto per abbellire ed edificare i loro conventi. Con una donazione di ottanta once d’oro contribuì perché fossero effettuati degli ampliamenti nel convento di S. Domenico Maggiore a Napoli, monumento principale non solo della Campania, ma di tutto il Mezzogiorno, che già con Carlo I era stato sottoposto a restauro.3 Gli Angioini favorirono la costruzione di conventi in tutto il regno. In Capitanata Carlo II volle la costruzione di un convento a Lucera e concesse ai Domenicani di Manfredonia i fondi per restaurare la loro chiesa. Destinatari di questa benevolenza furono anche i Domenicani di Bari per la costruzione della chiesa e del convento di S. Domenico. Carlo II fece costruire un secondo convento a Brindisi dedicato a Santa Maria Maddalena a cui era molto devoto.

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L’affidamento dell’Inquisizione da parte di Carlo I, Carlo II e Roberto d’Angiò fu un altro segnale forte della benevolenza dei sovrani verso i Domenicani. Il periodo di appartenenza della Puglia alla Provincia Romana si concluse nel 1294, quando i Domenicani del sud crearono una provincia indipendente, con centro a Napoli.4 La diffusione dell’Ordine domenicano fu costante anche nel Quattrocento. La Puglia fu anche in questo periodo terra di insediamento di comunità monastiche domenicane, quali quelle di Martina Franca, Modugno, Castellaneta, Lecce. Rispetto al XIII secolo in cui la presenza domenicana in Basilicata fu quasi inesistente, nel Quattrocento si ebbero insediamenti. La Basilicata non era considerata provincia autonoma, ma faceva parte della “Provincia S. Thomae de Puglia”, riconosciuta nel 1519 e definitivamente scomparsa nel 1853. Era divisa in quattro “Nazioni”: Terra di Bari, Terra di Capitanata, Terra d’Otranto, Terra di Basilicata; successivamente a questa, si aggiunse la Terra Tarantina.5 La mancata autonomia della provincia di Basilicata fu dovuta al numero limitato di insediamenti presenti nel territorio. Tra l’altro, i conventi erano raramente visitati da Padri Provinciali, per l’inaccessibilità dei siti, come si rileva da una lettera del Maestro Generale dell’Ordine, Giovanni Battista De Marinis (1650-1659), del 10 maggio 1661, al visitatore e Vicario Generale G. Areylza.6 L’arrivo dei frati in una località era il più delle volte dovuto al volere dei potenti del posto o all’opera diretta dei frati che, come predicatori, giravano per l’Italia per la diffusione dell’Ordine. L’attaccamento dei Domenicani nei confronti della Basilicata è documentata da una serie di iniziative volte ad aumentare gli insediamenti nella regione. I frati subentrarono alle abbazie benedettine, in seguito al decadimento dei grandi complessi badiali, da cui ereditarono le case, ma non i moduli di vita. Tra la fine del secolo XV e gli inizi del secolo XVI, la provincia di S. Tommaso di Puglia ebbe un grandissimo sviluppo.7 Durante tutto il ‘400 e il ‘500, in special modo dopo il Concilio di Trento, si infittirono gli insediamenti dalla fascia interna pugliese sino alle zone aperte della costa adriatica. Per quanto riguarda la Nazione Basilicata, oltre ai conventi di Venosa e di Matera già esistenti, ne sorsero altri: Atella (1434) per una concessione della regina Giovanna II; Montemurro (1442), a opera del domenicano fra’ Nicolò di Venezia, vescovo di Tricarico e barone di Montemurro; Ferrandina (1474), grazie alla grande devozione che Pirro del Balzo, duca di Andria e Signore di Uggiano, nutriva nei confronti di S. Domenico.8

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In un secondo momento anche alcuni conventi pugliesi, come Altamura e Gravina, furono assegnati alla Basilicata. Per la vastità geografica e la precarietà delle vie di comunicazione, per poter raggiungere i conventi, la provincia di S. Tommaso volle darsi una struttura più articolata nelle responsabilità di governo e di controllo, creando cinque “Vicari di Nazione”. Per la Basilicata venne nominato il predicatore, maestro Ludovico Fringelli residente a Matera, nella seconda metà del ‘500.9 Questi provvedimenti si rivelarono di gran profitto per tutti i conventi che uscivano finalmente dall’isolamento e potevano sentirsi più vicini, tanto sul piano umano, quanto su quello spirituale. Si è detto che la provincia di S. Tommaso ebbe un rapido incremento per quanto riguarda gli insediamenti, tra la seconda metà del Cinquecento e per tutto il Seicento. Le principali cause sono da ricercare nella generosità dei nobili locali (marchesi, duchesse, principi), numerosi in Puglia, e di altri mecenati di modesto rango sociale, ma tutti animati da grande benevolenza verso i Domenicani, ai quali donarono beni di varia natura e consistenza.10 Provincia S. Thomae de Puglia (1519-1853) Terra d’Otranto Terra di Bari Terra di Capitanata Terra Tarantina Terra di Basilicata

17 Conventi 12 Conventi 9 Conventi 8 Conventi 8 Conventi

11 Luoghi 4 Luoghi 4 Luoghi ? 6 Luoghi

Conventi della Terra di Basilicata Venosa Matera Atella Montemurro Ferrandina Grottole Altamura Gravina

1294 1360 c./1418 1434 1442 1474 1507/11 1497/1513 ?

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S. Domenico S. Domenico S.S. Annunziata S.S. Annunziata S. Maria di Loreto - S. Domenico S. Maria Maggiore S. Rocco S. Tommaso


I Domenicani a Ferrandina Le vicende che riguardano la chiesa e il convento di S. Domenico di Ferrandina sono assai complesse e si intrecciano con il declino e l’abbandono di Uggiano. In questo centro i frati possedevano una loro Casa, l’antica abbazia benedettina di Ognissanti, che abbandonarono tra il 1487 e il 1498, nel momento del trasferimento a Ferrandina.11 L’insediamento dei Domenicani nel territorio di Uggiano si ebbe nel pieno rigoglio dell’Ordine. Il territorio di Uggiano fece parte in un primo momento della Provincia Regni che a quel tempo comprendeva tutto il regno di Napoli; solo nel 1519 entrò a far parte della Provincia di S. Tommaso di Puglia.12 Il decadimento delle grandi abbazie benedettine, nella seconda metà del secolo XV, interessò tutte le abbazie del Materano; anche l’abbazia di Ognissanti di Uggiano fu abbandonata dai Benedettini nella seconda metà del ‘400. In questo periodo era Signore di Uggiano Pirro del Balzo, figlio di Francesco II, che aveva ereditato dal padre il ducato di Andria, di cui faceva parte il casale di Uggiano. I Del Balzo, esponenti di spicco della grande feudalità meridionale, furono gli illustri protettori dell’Ordine domenicano. Tramite il re Ferrante d’Aragona, che intervenne presso il Papa Sisto IV, il Del Balzo ottenne l’apertura di una Casa religiosa a Uggiano, sicuro di poter contare sulla disponibilità dei Domenicani di Andria a trasferirvi alcuni dei loro padri. Nel gennaio del 1474 Sisto IV concesse l’autorizzazione e permise ai Domenicani di abitare nei locali della abbazia di Ognissanti che sorgeva poco distante dal castello.13 L’abbazia prese il nome di S. Domenico subito dopo l’arrivo dei cinque padri che, nel gennaio 1474, si erano trasferiti dal convento di Andria nel territorio di Uggiano. L’insediamento dei padri domenicani avvenne in un momento molto travagliato; essi vissero momenti difficili sin dall’inizio. Tra le prime emergenze affrontarono la ristrutturazione di alcuni locali del monastero abbandonati da decenni dai benedettini. Rimasero poi coinvolti dagli eventi in cui si venne a trovare tutto il territorio di Uggiano, a causa della congiura dei baroni, a cui prese parte Pirro del Balzo, loro benefattore. Questi per la ribellione fu privato da Ferrante del possesso dei beni e dei titoli. Ne fu investito suo genero Federico d’Aragona che nel 1489 divenne principe di Altamura, duca di Andria, conte di Copertino e signore di Lavello e di

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Uggiano. Resosi conto dell’estensione del territorio di cui era venuto in possesso, dimorò più frequentemente ad Altamura e nel castello di Uggiano. Federico fece sua l’idea del padre Ferrante di costruire una nuova città che avesse come finalità primaria il controllo militare del territorio. Il nome dato alla città voleva onorare la memoria di Ferrante, senza escludere un probabile riferimento al giovane Ferrandino, mancato prematuramente, che aveva consentito a Federico di succedergli nel regno. Per incrementare la popolazione della nuova città, Federico concesse agevolazioni fiscali che facilitassero l’affluenza di profughi e favorì il trasferimento degli abitanti di Uggiano. Secondo lo studioso Carlo Palestina, a differenza di quanto sostengono altri studiosi di storia locale, fu Federico d’Aragona a far distruggere il castello e i vari insediamenti sparsi nel territorio, provocando il trasferimento degli abitanti a Ferrandina. Ciò per seguire un disegno di politica territoriale. Sempre secondo il Palestina, le motivazioni che spinsero Federico a distruggere il castello di Uggiano derivavano dalla necessità di rendere meno sicuro l’abitato, come rifugio per i baroni ribelli. È più difficile capire per quale motivo abbia voluto demolire anche il monastero. Evidentemente la presenza dei Domenicani contribuiva a ritardare l’abbandono dell’abitato da parte dei cittadini insediati vicino al castello. Nell’area di Uggiano si notano, ancora oggi, a nord del castello, i ruderi di S. Lorenzo, l’antica Chiesa Madre, e a nord - est i ruderi della chiesa di S. Domenico. Del complesso domenicano restano le mura perimetrali col tetto sprofondato e si può riconoscere l’impianto di una chiesa a navata unica. Sui lati lunghi, archi a tutto sesto delimitano lo spazio destinato agli altari laterali, che erano in legno; ancora oggi, sono visibili le travi di ancoraggio. Prima di trasferirsi a Ferrandina, i padri domenicani si stabilirono in una nuova dimora provvisoria di proporzioni ridotte. Pur dimorando fuori della città, i Padri, tuttavia, svolgevano il loro apostolato a Ferrandina. Furono le insistenze dei cittadini a rendere necessaria una nuova dimora. Vennero, così, avviate da parte dell’Ordine le pratiche per ottenere dalla Santa Sede l’autorizzazione all’apertura del convento di Ferrandina; autorizzazione che venne concessa l’11 dicembre 1517. Il Papa concesse di poter fondare la chiesa sotto il titolo di S. Maria di Loreto.14 Con il trasferimento nella nuova sede, la situazione dei padri non migliorò; la popolazione li chiamò, infatti, ad affrontare la prepotenza dei Castriota, duchi di Ferrandina, nel tentativo di tutelare i diritti dei cittadini.

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La città nella prima metà del secolo XVI subì il governo tiranno di questa nobile famiglia albanese, che aveva contribuito in maniera determinante al consolidamento del regno aragonese nella guerra d’Otranto del 1480 contro i Turchi e nella lotta contro i baroni ribelli. Fu proprio per i grandi meriti acquisiti da questa famiglia che Federico concesse a essa il governo della città. L’ascesa di questa famiglia fu dovuta in gran parte al favore che la regina Giovanna, seconda moglie di Ferrante, ebbe nei confronti della moglie di Bernardo Castriota. I Castriota furono duchi di Ferrandina per quasi cinquant’anni, ma la loro politica non fu certamente favorevole allo sviluppo della città, a causa delle continue angherie e tassazioni che subirono i cittadini. Nel 1548 una violenta rivolta della popolazione costrinse i duchi a lasciare la città. I padri ebbero finalmente la possibilità di poter svolgere con più serenità il loro apostolato. Sono pochi i documenti relativi ai primi decenni della presenza domenicana a Ferrandina, ma è certo che in poco tempo la comunità divenne il nucleo conventuale più notevole della Nazione Basilicata. Nella seconda metà del XVII secolo, il convento di S. Domenico registrava la presenza di ben ventisei religiosi impegnati in un grande e intenso apostolato.15 Essi non furono chiamati soltanto a soddisfare le istanze spirituali delle folle che accorrevano nella loro chiesa nelle grandi solennità, ma dovettero anche rispondere ai bisogni della realtà socio-religiosa e dell’ambiente che ruotava intorno al convento. I Domenicani s’inserirono bene nella vita cittadina, estendendo il loro raggio di azione in molti paesi vicini. Erano presenti nel vasto territorio di Ferrandina con masserie di loro proprietà e, perciò, erano molto vicini al mondo rurale. I loro possedimenti si estendevano nell’agro urbano: fin dal loro primo arrivo a Uggiano gestirono il vasto feudo di Pugliano; nella parte nord della città possedevano la proprietà di S. Maria di Valenzano e, continuando per il versante che scende verso il fiume Basento, il vasto territorio delle Coste dell’Abbate comprendente la grande masseria di S. Elia, ancora oggi esistente. Nelle vicinanze della città avevano un’altra grande tenuta comprendente la chiesetta, detta della Madonna dei Mali, e nelle vicinanze di Uggiano una tenuta con una chiesetta, detta di S. Maria del Pozzo. A sud della città, quasi ai confini con Pisticci e Craco, il convento possedeva la grande masseria di S. Bernardino; a queste si aggiungevano molte altre proprietà di entità minore.16

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Il secolo XVIII aveva visto sorgere e giungere a completamento la fabbrica del convento con la chiesa, ma non progredì altrettanto la crescita della vita interiore dei membri della comunità. Non sempre era facile per i padri domenicani conciliare la missione apostolica con la gestione delle masserie e dei tanti terreni da rendere produttivi. Se tutto questo garantiva la sicurezza economica, distoglieva, tuttavia, i padri dal vivere più intensamente lo spirito di preghiera e di raccoglimento. Fin dai primi anni di attività, già durante i lavori di completamento del convento e della chiesa, donazioni di terreni di grande estensione accrebbero il patrimonio della comunità tanto che, in una statistica della metà del secolo, il convento di Ferrandina risultò il più ricco della provincia di S. Tommaso.17 Pertanto, ville, poderi, masserie e altre industrie del convento erano inserite nella serie di attività che dovette gestire la comunità di Ferrandina. Ai possedimenti dei Domenicani si fa cenno anche nel resoconto della visita pastorale fatta nella diocesi dall’Arcivescovo di Acerenza e Matera Michele Saraceno tra la fine dell’anno 1543 al settembre del 1544. Il documento è riportato nel Regesto. La vastità del territorio e le distanze dei vari possedimenti richiesero una particolare organizzazione, imponendo la necessità di presenze dislocate nei punti di maggiore importanza.18 Per sfruttare i campi e i pascoli estesi, i padri possedevano numerosi greggi, grandi depositi e magazzini necessari per conservare grano, orzo, avena e altri cereali. Molti terreni furono dati in affitto a famiglie che quasi sempre erano legate da parentela con i padri del convento. Il gran numero di dipendenti, oltre un centinaio tra massari, vaccari, guardiani e le enormi spese sostenute per la costruzione dell’edificio misero l’economia del convento in grave difficoltà.19 Gli ultimi decenni del XVIII secolo furono i più travagliati della loro storia. Nel 1809, in seguito alla soppressione napoleonica, i frati dovettero abbandonare il convento. Dopo tanti anni di vita disagiata nel primitivo convento e dopo i sacrifici affrontati per portare a termine una dimora di maggior prestigio, a pochi decenni dal compimento della nuova residenza, i padri domenicani furono costretti a lasciare il convento e la stessa vita religiosa. Essendo nella maggior parte originari di Ferrandina, trovarono accoglienza nelle proprie famiglie.

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Peso economico e ruolo culturale dell’Ordine La lunga causa tra i Domenicani e l’Università, di cui parla Carlo Palestina nell’opera già citata, è rivelatrice del grande potere economico raggiunto dall’Ordine.20 Nel 1474 i padri domenicani, subentrati ai benedettini, avevano ottenuto il pieno diritto di possesso su tutti i beni dell’abbazia di Ognissanti, riconfermato da Papa Leone X nel 1517, quando i Domenicani si trasferirono nel nuovo convento. Fin dai primi anni della loro presenza nel territorio di Ferrandina, i padri si impegnarono a difendere queste proprietà. La necessità di tutelare i propri possedimenti ebbe un peso determinante nella richiesta avanzata dai padri di potersi trasferire nella nuova dimora. Durante il ducato dei Castriota, pur subendo varie angherie, continuarono a opporre resistenza per salvaguardare i loro diritti. Alle oppressioni dei duchi, subentrarono le pretese sul territorio da parte dell’Università di Ferrandina. Oggetto della contesa furono le terre conosciute sotto il nome di Coste dell’Abbate, donate nel 1216 ai Benedettini e nel 1474 confermate ai Domenicani. I rappresentanti dell’Università presentarono una serie di ricorsi con i quali chiedevano di poter inserire quelle terre tra quelle date in affitto alla Regia Dogana e che tanto utile portavano al bilancio annuale. I Domenicani affidarono ai loro avvocati l’incarico di stendere un documento che attestasse il legittimo possesso su quei territori. Le contestazioni, sia dell’Università che dei cittadini di Ferrandina, avevano provocato contrasti, a volte anche violenti, tra gli eletti e i padri e avevano reso spesso difficile la vita ai Domenicani nella città; ma il diritto di possesso sui territori non fu mai messo seriamente in discussione. I contrasti si conclusero solo nel 1809, quando i beni dell’Ordine vennero incamerati dallo Stato.

Notizie sui frati ferrandinesi La frammentarietà della documentazione e la manomissione e distruzione degli archivi locali consente di raccogliere soltanto esili notizie sui frati ferrandinesi. Nel corso del XVI secolo la provincia di S. Tommaso ebbe un grande sviluppo e il convento di Ferrandina s’inserì a pieno titolo nella fioritura della provincia,

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tanto che alcuni frati e studenti della città furono mandati negli studi generali dell’Ordine di Napoli, Padova, Perugia, Firenze. Alcuni cittadini ferrandinesi entrarono nell’Ordine domenicano. I primi padri domenicani ferrandinesi dei quali siamo a conoscenza furono Fra’ Lionardo e Fra’ Giovanni che nel 1518 fecero parte del gruppo di frati del convento di S. Domenico di Bari. Non si conoscono i cognomi delle famiglie dei frati, perché la regola dell’Ordine ricorda i suoi religiosi solo col nome e paese di origine. Uno dei primi a essere trasferito nello Studio Generale di Andria (1530) fu Fra’ Pietro Antonio di Ferrandina e il 21 maggio 1551 fu chiamato a reggere lo Studio Generale a Napoli. Il 13 febbraio 1552 si mise in evidenza Fra’ Pietro che ottenne dal Procuratore Generale la carica di maestro degli studi di Andria. Un’attenzione particolare è da riservare a Fra’ Agostino che, mandato a Napoli per perfezionarsi negli studi, nel 1571 fece ritorno ad Andria dove poté accedere al baccellierato. Dopo aver ricoperto incarichi di prestigio, nel 1574 fu promosso maestro in Sacra Teologia durante il Capitolo Generale tenutosi a Barcellona. Nello stesso Capitolo Fra’ Gregorio fu promosso al baccellierato. Nel 1585, durante la visita alla provincia fatta dal Padre Maestro Generale, alcuni frati furono privati del titolo e fra questi il frate ferrandinese Fra’ Lorenzo. La presenza di tanti frati di Ferrandina negli Studi Generali convinse il Padre Maestro Generale a istituire il priorato nel convento di Ferrandina che fu scelto come casa di noviziato della Provincia di S. Tommaso. Nel Capitolo Generale del 1589 al convento di Ferrandina fu assegnato un padre lettore. Sono solo alcuni dei frati ferrandinesi che si sono distinti nella storia della provincia; la scarsità dei documenti non ha permesso di portare alla luce altre notizie.21

Note C. Palestina, Ferrandina, Uggiano Nomine Ferrandine, vol. II, Venosa 1994, p. 307. G. Cioffari, Storia dei Domenicani in Puglia, Bari 1986, pp. 16-18. 3 G. Cioffari-Miele, Storia dei Domenicani nell’Italia meridionale, Napoli-Bari 1993, vol. I pp. 21-38. 4 G. Cioffari, op. cit., pp. 57-58. 5 G. Cioffari-Miele, Storia dei Domenicani nell’Italia meridionale, Napoli-Bari 1993, vol. II p. 339. 1 2

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C. Palestina, op. cit., p. 307. L. G. Esposito, I Domenicani in Basilicata, Ricerche e documenti in “Archivium Fratrum Praedicatorum”, LIV (1984) p. 326. 8 G. Cioffari-Miele, op. cit., pp. 138-139. 9 L. G. Esposito, op. cit., p. 293. 10 L. G. Esposito, op. cit., p. 326. 11 N. Barbone Pugliese e F. Lisanti (a cura di), Ferrandina. Recupero di una identità culturale, catalogo della mostra, Galatina 1987, p. 298. 12 P. C. Cappelluti, Ricerche sulla cultura filosofica e teologica pre-post-tridentina nel Sud Italia. La Provincia domenicana di S. Tommaso D’Aquino in Puglia e il suo Studio Generale, in “Memorie Domenicane”, Pistoia 1983. 13 C. Palestina, op. cit., p. 311. 14 C. Palestina, op. cit., p. 316. 15 C. Palestina, op. cit., p. 338. 16 ASP (Archivio di Stato di Potenza), Intendenza di Basilicata, Monasteri soppressi, cat. 1283. “Descrizione delli locali del soppresso monastero di S. Domenico in questa città di Ferrandina”. 17 ASM (Archivio di Stato di Matera), notaio Mastropietro, A. 1686, 51r. 18 ASP, Int. di Bas., Mon. sopp., cart. 1283. “Descrizione delli locali del soppresso monastero di S. Domenico in questa città di Ferrandina”. 19 ASM, notaio De Grandis, a.1792, 57r. 20 C. Palestina, op .cit., pp. 367-393. 21 P. C. Cappelluti, op. cit. 6 7

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