La chiesa di Santa Maria della Valle a matera

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MARIAGRAZIA DI PEDE

Mariagrazia Di Pede è nata l’11 gennaio 1974 a Matera, città nella quale vive. Nell’anno 2000 ha conseguito la laurea in Lettere, con indirizzo storicoartistico, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, discutendo la tesi sulla chiesa di S. Maria della Valle la cui rielaborazione è divenuta oggetto della presente pubblicazione. Ha frequentato il corso Il lavoro in un grande museo, organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano - Servizio Formazione Permanente e dall’Istituto di Storia dell’Arte della medesima Università.

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE ASSESSORATO ALLA CULTURA • MATERA

La chiesa di S. Maria della Valle a Matera - Storia, arte e fede in un santuario rupestre

Il volume La chiesa di S. Maria della Valle a Matera. Storia, arte e fede in un santuario rupestre si offre quale prezioso contributo alla conoscenza di uno dei più importanti e prestigiosi luoghi sacri che qualificano la città di Matera ed il suo territorio. L’inedito materiale documentario e fotografico (più recente e d’epoca), nonché l’attenta lettura del ‘manufatto’ nei suoi aspetti architettonici, plastici, pittorici e cultuali ha consentito di far luce sulla storia, sulle vicende costruttive e decorative e sull’identità della chiesa, a tutti gli effetti santuario mariano, polo di attrazione devozionale per le popolazioni, non solo materane ma anche dei limitrofi centri pugliesi, che lo elessero meta di costanti pellegrinaggi. L’autrice inoltre, è giunta, a delineare e puntualizzare i caratteri di una particolare stagione storica, quella medioevale, che vedeva questa chiesa extraurbana e la città tutta effettivamente inserite nel contesto politico, economico e culturale sia del Principato di Taranto sia del più vasto Regno di Napoli.

18,59 (L. 36.000)


Capitolo primo La chiesa di S. Maria della Valle I.1. La chiesa di S. Maria della Valle nella critica Tralasciando, in questa sede, le fonti squisitamente documentarie e storico-letterarie, riteniamo opportuno ricostruire la fortuna critica della chiesa di S. Maria della Valle per meglio coglierne la percezione che di essa si è avuta nel corso del tempo. Nel 1903 Emile Bertaux ne segnalava, soltanto graficamente, la presenza nella propria “Carte des grottes et des chapelles souterraines décorées de peintures byzantines dans l’ancien Thème de Longobardie”, pubblicata in L’art dans l’Italie Méridionale.1 Intanto, a livello locale, l’accorato appello, rivolto dal canonico materano Francesco Paolo Volpe ai suoi concittadini (1842),2 veniva accolto da due uomini di cultura: Nicola Gattini e il conte e senatore Giuseppe Gattini, entrambi animati da curiosità intellettuale e da un nascente interesse artistico. Il primo, a seguito di passeggiate compiute tra il 1913 e il 1917, lasciava alcune fotografie e appunti personali, nei quali si apprezza il valido tentativo di elaborare e, quindi, di adottare un primo possibile criterio di classificazione delle chiese rupestri. L’autore riservava alla chiesa di S. Maria della Valle scarne notazioni, tanto sull’interno quanto sull’esterno, intuendone, tuttavia, l’evoluzione da modesto ipogeo a grande luogo di culto. Assumeva, invece, una più organica sistemazione l’opera manoscritta di Giuseppe Gattini, Notizie sulle chiese di Matera e sugli oggetti d’arte in esse contenuti, risalente probabilmente al 1916.3 L’intento palesemente descrittivo che anima queste sintetiche pagine non gli impedì, tuttavia, di offrire non solo indicazioni storiche, mutuate dalle cronache locali, ma anche artistiche ed epigrafiche, personalmente rilevate. Ritenendo che la chiesa fosse stata ridotta ad ‘asceteria’ E. Bertaux, L’art dans l’Italie..., 1903, 131. F. P. Volpe, Descrizione ragionata..., 1842, 20.  3 Matera, Biblioteca Provinciale “Tommaso Stigliani” (BPSM), Notizie sulle chiese di Matera e sugli oggetti d’arte in esse contenuti raccolte dal compianto senatore conte Giuseppe Gattini. Copiato dal Ms. esistente nella Biblioteca di Casa Gattini, (1916?), Ms., copia fotostatica.  1  2

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benedettina, egli considerava i monaci autori di antichi ‘restauri’, ma non verificava né accertava tale ipotesi con adeguato rigore scientifico. Nel già citato Inventario topografico e bibliografico delle cripte eremitiche basiliane di Puglia di Gabrieli, la chiesa era annoverata con l’appellativo di ‘cripta’. Nell’opera trovava posto anche una fotografia dell’interno tratta dal materiale prodotto dalla più vasta campagna fotografica, eseguita da Luigi De Fraja, che comprendeva altre sei fotografie relative a S. Maria della Valle.4 Al presente, tuttavia, presso la Soprintendenza Archeologica della Calabria, sono state rinvenute solo tre stampe fotografiche, peraltro provate dal tempo, delle quali si pubblica la più leggibile.5 Nel 1932 Valente, nella sua Guida artistica e turistica della Basilicata, già parlava della “chiesa della Vaglia, romanica, e in alto coronata di archetti e di lesene del magistro Leonio (sic per Leorio) di Taranto”,6 datandola al XIII secolo. Antonio da Stigliano, OFM Cap., inseriva la “Cripta di S. Maria della Valle” nell’elenco offerto in I santuari mariani di Puglia, edito a Bari nel 1937, opera che riconosceva la spiccata tradizione mariana delle terre pugliesi e lucane. Finalmente con Biagio Cappelli, nel saggio “Le Chiese rupestri del Materano”,7 si faceva strada un marcato interesse per gli aspetti architettonici e artistici della chiesa. Egli, in base all’analisi delle diverse tipologie architettoniche, la indicava tra le chiese rupestri con un’aggiunta in muratura caratteristica, a suo dire, di una zona ristretta della Basilicata settentrionale e, precisamente, dei territori di Melfi e di Rapolla. Sostenendo che si trattava di un monastero benedettino, riportava anche lui il nome del magister tarantino e, per primo, indicava il 1283 come data d’esecuzione del prospetto in muratura, senza rivelare la sua fonte. Da allora, tutti gli studiosi hanno proposto come datazione dell’intera chiesa la metà o la fine del XIII secolo. Ancora un avveduto materano, l’abate Marcello Morelli, nella sua preziosa Storia di Matera del 1963, dava una commossa e accurata descrizione di quello che Gabrieli pubblicava l’elenco dei negativi (peraltro non più esistenti) relativi: uno alla facciata, uno alle adiacenze, uno all’esterno e quattro all’interno. (cfr. G. Gabrieli, Inventario topografico..., 1936, 69). 5 Poiché Gabrieli ricordava che del materiale di De Fraja la Soprintendenza “…me ne ha gentilmente trasmesso una notizia qui utilizzata, e varie negative qui riprodotte” (G. Gabrieli, Inventario..., Roma 1936, 11), possiamo ipotizzare che le altre quattro fotografie relative alla chiesa di S. Maria della Valle non siano più state restituite. 6 C. Valente, Guida artistica e turistica della Basilicata, a c. dei Consigli Provinciali dell’economia corporativa di Potenza e di Matera, Potenza 1932, 111. 7 B. Cappelli, “Le Chiese rupestri del Materano”, Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, XXVI (1957/3-4), 223-289. 4

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riteneva essere un antichissimo tempio benedettino, in stile romanico pugliese, ma dall’interno molto più antico, riprendendo anche qualche notizia di carattere storico desunta dalle cronache locali. La sua attenzione, poi, si volgeva alle pitture murali presenti nella chiesa, per alcune delle quali riportava (leggendola) o ne ipotizzava la datazione. La commozione del prelato derivava dalla triste constatazione che la chiesa fosse abbandonata a sé stessa e, per gran parte dell’anno, allagata a causa della depressione del terreno. Un veloce riferimento offriva Petrucci in Cattedrali di Puglia, Roma 1964. Questi, considerando la difficoltà nel ricostruire la storia della formazione di uno stile o il passaggio da uno stile all’altro, si limitava a citare la “chiesa basiliana” di S. Maria della Valle quale esempio dell’uso dell’arco ogivale nelle regioni meridionali dell’Italia (ancor prima del tempo di Federico II) insieme alle celle eremitiche di Montesacro, al pianterreno della Tomba di Rotari, alla cripta basiliana di S. Procopio presso Fasano e alla cripta del Duomo di Taranto, tutti esempi, in realtà, evidentemente anteriori alla chiesa materana.8  Adriano Prandi, nel contributo dal titolo Arte in Basilicata contenuto nel volume Basilicata, a cura di U. Bosco - G.B. Bronzini - G. Masi - A. Prandi - F. Ranaldi - A. Stazio, Milano 1964, nella fiancata di questa chiesa, che funge da facciata, riconosceva, evidenziandolo, il chiarirsi di una coscienza architettonica, di un’esigenza formale nell’ambito dell’architettura rupestre che tentava di imitare quella sub divo. Il rivestimento esterno di tale ipogeo veniva considerato frutto di una sapienza ed esperienza architettonica maturata in altri ambienti. Nella campagna fotografica avente per oggetto le chiese rupestri, sollecitata nel 1965, dal professor Sergio Bettini, fu tenuta in considerazione anche la chiesa di S. Maria della Valle, per la quale furono prodotte una ventina di fotografie.9  Alberto Rizzi, nel 1966, si occupò di questa chiesa nel suo articolo dal titolo “Per una storiografia artistica sulla Basilicata”, apparso sulla rivista Napoli nobilissima, V, (settembre-dicembre 1966/5-6) puntualizzando alcune questioni architettoniche (la presenza degli ingressi laterali) e pittoriche (segnalò talune pitture trecentesche ivi presenti). Ancora nel 1966, nel volume Le Chiese rupestri di Matera del circolo culturale La Scaletta, le era dedicata un’ampia scheda descrittiva relativa agli

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A. Petrucci, Cattedrali di Puglia, Roma 1964, 120. Alberto Rizzi, curatore della campagna, ci ha gentilmente concesso le fotocopie di queste fotografie.

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aspetti architettonici e artistici senza, peraltro, trascurare una sintesi di notizie documentarie. A distanza di qualche anno dal suo precedente lavoro, nel 1967, l’abate Morelli tornava a occuparsene in Itinerari lucani. Pagine di arte e di storia, con accresciuto sdegno e disapprovazione per lo stato in cui versava tale “insigne monumento ... abbandonato alle ingiurie del tempo, delle bestie e degli uomini, non meno bestiali delle bestie”.10 Sempre nel 1967 Venditti, in Architettura bizantina nell’Italia meridionale. Campania-Calabria-Lucania, si interessò agli aspetti propriamente architettonici di questa ‘grande chiesa rupestre’, ma anche a quelli ideologici, comunicati attraverso i primi. L’autore la indicava, infatti, per il suo impianto basilicale, come episodio palese del riaffermarsi dell’autorità della Chiesa latina tramite il monachesimo benedettino. Con la pubblicazione del 1973 dal titolo Gli affreschi delle chiese rupestri. Gruppo di Studio per l’inventario del patrimonio storico-artistico-urbanistico della provincia di Matera, curata da Alberto Rizzi, si rivolse speciale attenzione, pur in un contesto più ampio, al vasto apparato decorativo della chiesa. A metà degli anni Settanta, la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della Basilicata provvedeva alla documentazione fotografica e alla relativa schedatura, affidata a Nino Lavermicocca, soltanto di alcune (le più estese e leggibili) delle numerose pitture murali presenti nella chiesa. Non sono mancate, nel corso degli anni, occasioni per una rilettura di questo luogo di culto in rapporto alla coeva architettura materana e alle più vaste correnti artistiche in Terra d’Otranto, come in La Cattedrale di Matera nel Medioevo e nel Rinascimento, testo pubblicato nel 1978, a cura di M. S. Calò Mariani - C. Guglielmi Faldi - C. Strinati. Nel volume Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri, catalogo della mostra, curato, nel 1981, da Grelle Iusco, si offriva una lettura delle più estese e interessanti tra le opere pittoriche. Sempre nel 1981, S. Maria della Valle ha trovato adeguata trattazione, in quanto chiesa annessa a un insediamento benedettino, nel contributo di Annamaria Lorusso, S. Maria della Valle detta “La Vaglia”. Matera in Insediamenti benedettini in Puglia. Per una storia dell’arte dall’XI al XVIII secolo, catalogo della mostra, a cura di M. S. Calò Mariani.

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M. Morelli, Itinerari lucani. Pagine di arte e di storia, Matera 1967, 23-24.

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La chiesa era ancora illustrata da una scheda in L. Rota - M. Tommaselli - F. Conese, Matera. Storia di una città, Matera 1981. Mauro Padula, in Presenza benedettina a Matera. Quaderni della comunità monastica benedettina di Santa Maria di Picciano - Matera, n. 5, Matera 1981, ne riproponeva un’analisi nel contesto benedettino. Con brevi cenni, ritornava nel lavoro di Maria Stella Calò Mariani, L’arte del Duecento in Puglia, Torino 1984, come ulteriore prova dell’inserimento della città di Matera nel circuito politico-culturale del Principato di Taranto. Nell’opera di Cosimo Damiano Fonseca, Civiltà delle grotte. Mezzogiorno rupestre, Napoli 1988, trovava posto una sintetica scheda descrittiva della chiesa in esame. Nello stesso 1988, nel volume curato da M. Tommaselli, Guida alle Chiese rupestri del materano, figurava ancora una scheda a essa relativa. Il CIBAM, ovvero il Consorzio per l’Informatizzazione dei Beni Ambientali di Matera, inseriva detta chiesa nel Sistema Informativo culturale della civiltà rupestre del comprensorio murgico materano: “chiese e casali rupestri”, Matera 1989, raccogliendo e organizzando schematicamente tutte le notizie a riguardo. In Matera. S. Maria della Valle, a cura di Franco Di Pede, edito a Matera nel 1992, si offriva, in un’agile veste monografica, una lettura complessiva del luogo sacro, basata sull’apporto di contributi di diversi specialisti nei singoli campi. Antonella Forlenza, cui era affidato l’aspetto storico, ricostruiva, con il sostegno delle cronache locali, le principali vicende del luogo sacro, sostenendo che la sua localizzazione lungo il tracciato della via Appia rientrasse perfettamente nella “strategia topografica” dell’Ordine benedettino, particolarmente attenta alle vie di comunicazione. All’architetto Amerigo Restucci, spettava il compito d’illustrare le tecniche costruttive. Egli, sottolineando come tale chiesa si collocasse in una fase di cambiamento, di ‘svolta linguistica’ dell’architettura materana, riconosceva nei benedettini gli autori della trasformazione del primitivo ipogeo in un imponente complesso architettonico, per il quale il prospetto in muratura diveniva l’elemento più rappresentativo. Mario Tommaselli, invece, ricostruiva sommariamente il corredo pittorico della chiesa, auspicando una più accurata ricognizione. Inoltre, si pubblicavano planimetrie, rilievi, sezioni, confronti fotografici con altre chiese materane e non, oltre alla trascrizione di una pagina della settecentesca cronaca locale del Nelli, affidata a Don Luigi Paternoster. Nel volume Chiese e asceteri rupestri di Matera, a cura di M. Padula - C. Motta - G. Lionetti, Roma 1995, riedizione de Le Chiese rupestri di Matera,

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Roma 1966, le era dedicata una scheda e una menzione particolare da parte di Franco Dell’Aquila e Aldo Messina, che, nel contributo dal titolo Considerazioni sull’architettura delle chiese rupestri del Materano, sottolineavano l’evidente gusto goticheggiante della facciata. Inserendola nel contesto più ampio della penetrazione benedettina in Basilicata e fornendo interessanti ipotesi circa le fasi di realizzazione del manufatto architettonico, l’architetto Biagio Lafratta ne trattava diffusamente nel contributo dal titolo Matera, S. Maria della Valle, in Monasteri italogreci e benedettini in Basilicata, a cura di L. Bubbico - F. Caputo - A. Maurano, edito a Matera nel 1996. Cristina Foti nel testo Ai margini della città murata. Gli insediamenti monastici di San Domenico e Santa Maria la Nova a Matera, Venosa 1996, sottolineava i confronti con le altre architetture cittadine, soprattutto per la fuga di archetti sulla facciata. Dell’Aquila e Messina tornavano a occuparsene, in un contesto più ampio e con maggiore attenzione alle tecniche costruttive, in Le chiese rupestri di Puglia e Basilicata, Bari 1998. Nell’opera a cura di Valeria Verrastro, Con il bastone del pellegrino. Attraverso i santuari cristiani della Basilicata (Altrimedia Edizioni), pubblicata a Matera nel 2000, la chiesa, indicata come “S. Maria della Vaglia”, veniva illustrata da una scheda nella quale si ipotizzava l’identificazione con la chiesa “sanctae Marie de Balneo” citata, dalla bolla di papa Lucio III del 14 luglio 1182, tra i possedimenti della chiesa patriarcale del Santo Sepolcro in Gerusalemme e donata, nel 1229, da Andrea, arcivescovo di Matera e Acerenza, alle penitenti di S. Maria e di Tutti i Santi di Accon, unitamente alla chiesa di S. Maria la Nova. Si sosteneva, inoltre, la sua dipendenza dal monastero di S. Maria di Valleverde di Messina. Infine, nell’ambito del Convegno Storico Ecumenico Internazionale tenutosi a Matera nel febbraio 2000, Dietrich Heissenbuettel (dottorando presso la MartinLuther-Univeität Halle-Wittenberg), nel suo intervento dal titolo Le chiese rupestri: aspetti iconografici e storico-artistici,11 proponeva una personale lettura del luogo sacro. Evidenziando talune analogie con altri luoghi di culto materani, egli lo datava alla seconda metà del XIII secolo, ritenendo possibile l’esistenza di un programma complessivo che includesse anche la facciata in muratura. Anch’egli, mettendo in relazione l’iscrizione posta sulla calotta absidale, ovvero “SANCTA

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Gli atti del convegno non sono stati ancora pubblicati, pertanto diamo un resoconto personale della comunicazione orale tenuta dallo studioso.

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MARIA DE VALLE VERDE”, con l’ordine monastico femminile fondato nel 1228 ad Accon e coinvolto nella costruzione della chiesa di S. Maria la Nova (poi S. Giovanni Battista), identificava la chiesa con quella di “sanctae Marie Balneolis, in campestribus, inter Gravinam, et Materam”, donata alle monache provenienti dall’Oriente. Concludeva affermando che la titolazione della chiesa era legata al sopra citato ordine, che essa apparteneva a un monastero femminile e che lì era giunta una copia dell’icona della Madonna venerata nella lontana terra di origine. I.2. Ubicazione della chiesa e viabilità della zona circostante. La grande ‘basilica campestre’, com’ebbero a definirla Dell’Aquila e Messina12 per i suoi 27 metri di lunghezza e 25,60 metri di larghezza, rappresenta un unicum nell’ambito dell’architettura sacra rupestre materana, qualificandosi come la chiesa più suggestiva “per la scala monumentale dell’invaso e la spregiudicata tessitura strutturale”.13 Per intendere e valutare correttamente la concezione architettonica sottesa all’elaborazione di tale manufatto, nonché il suo corredo figurativo, plastico e pittorico, occorre ripercorrerne la storia, le vicende costruttive, gli intenti e le aspirazioni dei committenti, restituendogli identità e funzioni proprie. Si è creduto, infatti, a cominciare dai cronisti locali, che S. Maria della Valle, per aspetto e dimensioni, come pure per gli ambienti presenti nelle adiacenze (ai quali si è dato il nome di ‘cenobio’), fosse chiesa annessa a un monastero benedettino. In realtà, le fonti, in special modo quelle benedettine, tacciono in proposito.14 Quanto vediamo attualmente, in realtà, è la monumentalizzazione di un preesistente luogo di culto, trasformato in una sorta di ‘santuario’ mariano e molto frequentato da pellegrini

F. Dell’Aquila - A. Messina, Le chiese rupestri..., 1998, 210. La Cattedrale di Matera nel Medioevo e nel Rinascimento, a c. di M. S. Calò Mariani - C. Guglielmi Faldi - C. Strinati, Cinisello Balsamo (Milano) 1978, 53. 14 Escludiamo la possibilità che la chiesa fosse stata una dipendenza dei monasteri di Montecassino e di Cava dei Tirreni, in quanto negli indici dei fondi conservati presso gli archivi dei medesimi non vi è alcun riferimento. Non essendo ritenuta con certezza una chiesa benedettina, essa non è menzionata in H. Houben, Medioevo monastico meridionale, Napoli 1987. Inoltre non figura neanche in D. Vendola, ‘Rationes decimarum Italiae’ nei secoli XIII e XIV. Apulia-LucaniaCalabria, Città del Vaticano 1939 (Studi e Testi, 84), come soggetta a decime ecclesiastiche. 12 13

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provenienti soprattutto dalla terra di Puglia, in quanto sito al crocevia delle principali direttrici stradali che collegano Matera ai limitrofi centri pugliesi. Non è possibile, pertanto, prescindere dal considerare la posizione di questa chiesa e la viabilità dell’intera zona circostante che tanta parte hanno avuto nella diffusione della sua fama e nella circolazione di illustri fedeli ma anche di uomini e donne semplici, di maestranze, di idee e di modelli iconografici. Ubicata al di fuori della città, lungo la S.S. 7 Appia, al chilometro 582, in direzione di Laterza (Taranto), in un contesto ambientale caratterizzato dalla presenza di numerose cavità naturali, la chiesa appare seminascosta dal dislivello del terreno. Per quel che attiene alla natura del sito, questa breve descrizione, trovata in un manoscritto anonimo e inedito del Fondo Gattini, rende bene l’idea della consistenza del suolo e di quell’improvviso dislivello che la nasconde: “la contrada cosiddetta del Pantano è a confine dell’altra della Vaglia, della Palomba, della Murgecchia… il distacco è rimediato perché la prima è di natura argillosa bassa; le altre sono di natura tufacea e vanno repentinamente sollevandosi dal piano della prima”.15 La presenza della chiesa deve aver determinato, nel corso del tempo, la nascita del toponimo “contrada de Santa Maria de Valle”,16 documentato nel XVI secolo, poi modificatosi, unitamente alla trasformazione del nome della chiesa, in ‘contrada della Vaglia’ o ‘la Vaglia’. Confrontando la situazione viaria del presente con quella dell’antichità, si rileva, con immediatezza, la felice posizione di cui la chiesa godeva e gode tuttora (Tav. I). La storia delle strade è, naturalmente, storia di monumenti, di strutture (ponti, acquedotti, stazioni di posta, ospizi), ma soprattutto di uomini. Quale componente essenziale non solo del territorio urbanizzato ma anche del paesaggio agrario, le strade serbano viva memoria degli eventi umani; esse seguono lo sviluppo della

Matera, ASM, Fondo Gattini, b. D/bis, fasc. 15, Anonimo, Matera. Appunti d’arte e di storia medioevale, f. 6r. Il manoscritto (inedito), opera di un membro della famiglia Gattini, è la trascrizione di un testo originale non più trovato, eseguita in bella copia su un quaderno ma bruscamente interrotta. 16 Acerenza, Archivio Diocesano di Acerenza (ADA), Inventario di tutti i beni mobili ed immobili posseduti dalla Mensa Arcivescovile dai capitoli, clero, confraternite ed cappelle di Acerenza, Matera ed Archidiocesi Acheruntina, compilato in Santa Visita nell’anno 1543 per ordine dell’Arcivescovo Cardinale Saraceno, 1543-1544, Ms., f. 173v. (Cfr. Appendice, documento n. 2) L’Archivio Diocesano di Matera ne conserva una copia in restauro al momento in cui scriviamo. 15

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Tav. I

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società e svolgono funzioni particolari secondo la variegata utenza (eserciti, mercanti, pellegrini, chierici, contadini).17 Costituiscono l’indispensabile presupposto per gli scambi, di qualunque natura, e il valido supporto al cammino delle idee. L’indagine sulla viabilità nel passato consente, di delineare, in modo più consapevole, una ‘geografia religiosa’ che comprende le grandi e frequentate arterie viarie così come i più nascosti e modesti sentieri. La strada romana più importante per la Basilicata nord-orientale era la via Appia che, dal tronco iniziale Roma-Capua, fu prolungata fino a Benevento e di qui a Eclano, Venosa, Taranto e Brindisi.18 Essa, per un lungo tratto da Gravina di Puglia sin nel territorio di Castellaneta, prese il nome di via Tarantina - indicata anche come “strata qua itur de Tarento Materam”.19 La via Appia coincideva, in alcuni punti, con importanti tratturi come, per esempio, quello che univa Melfi a Castellaneta dopo aver attraversato i territori di Spinazzola, Gravina, Altamura, Santeramo, Matera e Laterza.20 Occorre tener presente, tuttavia, che il tracciato dell’attuale via Appia non è esattamente sovrapponibile a quello dell’Appia antica.21 Lorenzo Quilici ha ricostruito, anche graficamente, il percorso di quest’ultima, confrontandolo con l’attuale sistema stradale. Oltrepassata Gravina, il tracciato della via è perpetuato dal tratturo Tarantino che riprende, poi, il toponimo di Appia Antica. Questa “incrocia la strada che unisce Altamura a Matera al ponte Padula Caridei, a meno di 4 chilometri a sud della prima cittadina…”. “Dall’incrocio con la via che collega Santeramo del Colle con Matera (SS. N. 271), per 6 chilometri fino a masseria Viglione, ove incrocia la via che collega Gioia del Colle con

P. Dalena, Strade e percorsi nel Mezzogiorno d’Italia (secc. VI-XIII), Cosenza 1995. La strada che da Benevento conduceva a Brindisi è l’Appia Traina, voluta tra il 108 e il 110 d. C. dall’Imperatore Traiano. (Cfr. R. Stopani, La Via Francigena del Sud: l’Appia Traiana nel Medioevo, Firenze 1992.) 19 P. Dalena, Strade e percorsi..., 13. 20 R. Bongermino, Storia di Laterza, Galatina 1993, 51. 21 F. M. Pratilli, Della via Appia riconosciuta e descritta da Roma a Brindisi, Napoli MDCCXLV (ed. anast. Sala Bolognese 1978), 482-483. “Quindi continuando ella a sinistra della valle, che riceve le acque, che sorgono nelle vicinanze di Gravina, passa poco lontano dal luogo, che Santa Maria a Palomba si chiama: nelle cui vicinanze qualche avanzo rimane di alcune piccole felci bianchiccie, le quali tosto vanno a mancare ne’ vicini campi; e poscia di bel nuovo compariscono circa un miglio più oltra, e propriamente in quel luogo, che riguarda la città di Matera, che si lascia a destra, e circa quattro miglia lontano”. La chiesa di S. Maria della Palomba è ubicata, secondo le moderne indicazioni stradali, al chilometro 583 della S.S. 7 Appia, poco distante dalla chiesa di cui ci occupiamo. 17

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Matera, la strada antica costituisce confine tra le province di Matera e Taranto”.22 Naturalmente, le strade che al presente collegano la città di Matera ai limitrofi paesi pugliesi ricalcano il tracciato di quelle vie che nel passato si innestavano sulla più grande arteria dell’Appia. L’età medioevale segnò la disgregazione del sistema viario romano e la ridefinizione della viabilità secondo le concrete esigenze di collegamento tra i piccoli centri interessati agli scambi commerciali. Si diede vita, pertanto, a una maglia di piccole strade, per lo più mulattiere e tratturi, intessuta tra gli insediamenti rurali, che consentisse accesso ai fondi privati e partecipazione a fiere e mercati locali. Nel IX secolo, grazie all’opera di disboscamento e bonifica condotta dai Bizantini, si registrò un’estensione dei tracciati viari in tutto il Mezzogiorno. È nota l’importanza della direttrice bizantina che collegava Oria a Grumento. Una testimonianza significativa a riguardo ci è data dal Liber Guidonis de variis historiis 23 (1119), nel quale si descrivono alcuni importanti centri ecclesiastici, città sedi di cattedrali, casali rupestri e monasteri latini e italo-greci attraversati da questa direttrice, secondo il seguente percorso: Oria, Taranto, Mottola, Minerva (presso Castellaneta), Montecamplo, Ginosa, Montescaglioso, Matera, Botromagno (presso Gravina di Puglia), Banzi, Acerenza, Muro, Grumento.24 “Si tratta del tronco settentrionale di quella direttrice di origine bizantina, che era stata realizzata in funzione di una strategia politica da Otranto a Taranto, a Matera, Tricarico e Acerenza”.25 Il geografo Guidone ha utilizzato gli antichi itinerari romani, conosciuti attraverso l’anonimo Ravennate (la sua Cosmografia è databile attorno al 680-700 d. C.), ma vi ha fatto confluire la sua esperienza diretta dei luoghi, oltre a preziose indicazioni santorali, per quelle tappe che avevano, allora, particolare rilievo, soprattutto a seguito dell’intervento operoso dell’Ordine Benedettino.

L. Quilici, Via Appia: dalla Pianura Pontina a Brindisi, Roma 1989, 56. La parte geografica dell’opera di Guidone fu pubblicata da M. Pinder - G. Parthey, Ravennatis anonymi cosmographia et Guidonis geographia, Berlini 1860 e ripresentata da J. Schnetz, Itineraria Romana, II Lipsiae 1940, 111-142. 24 Guidone, Geographica, a c.di J. Schnetz, Itineraria romana, II, Stuttgart 1990, 124, n. 49. 25 G. Uggeri, Sistema viario e insediamento rupestre tra Antichità e Medioevo, in Habitat. Strutture. Territorio. Atti del terzo Convegno internazionale di studio sulla Civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno d’Italia. (Taranto - Grottaglie, 24 - 27 settembre 1975), a c. di C. D. Fonseca, Galatina 1978, 133. 22 23

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Con una ripresa dell’urbanizzazione nei secoli XI e XII, sotto il dominio normanno, si verificò un’efficace ristrutturazione del sistema viario. Nella descrizione dell’Italia, fatta nel 1154, da Idrisi su richiesta del re Ruggero, Matera, “città bella, estesa e ben popolata”, era ben collegata con Bari, Gravina e Venosa. Egli fissava la distanza tra Venosa e Matera in dodici miglia. Il suo itinerario, però, riportava distanze molto approssimative: come da Taranto a Matera sessanta miglia, e altrettante da Matera a Gravina.26 Tali testimonianze, sebbene anteriori al periodo del quale ci occupiamo, forniscono, tuttavia, un quadro dei collegamenti già esistenti tra i principali centri politici e religiosi del Mezzogiorno d’Italia. Ormai nel XVIII secolo, Lorenzo Giustiniani sosteneva che “Matera, città Regia capitale della provincia di Basilicata, ... da Bari è distante miglia 36 e 24 dal golfo di Taranto”.27 Ai suoi tempi, volendo raggiungere la città, si percorrevano “da Napoli per la strada di Puglia miglia 150, e per quella di Potenza 120”.28 Possiamo ritenere che, pur molti secoli dopo, la viabilità di questa parte della penisola ricalchi sostanzialmente quella del passato. Lungo le principali arterie sorgevano ben organizzati “xenodochia e ospedali” per prestare assistenza ai viandanti, “una delle tante incombenze pubbliche perpetuate di solito dagli ordini monastici”.29 Più di frequente, insediamenti religiosi o luoghi sacri già esistenti rappresentavano punti di sosta e di ricovero, in sostituzione o accanto alle antiche stazioni di posta, lungo le vie dei pellegrinaggi medioevali ai grandi santuari, divenendo, in qualche modo, poli d’attrazione devozionale essi stessi. Ci sembra, questo, il caso della chiesa di S. Maria della Valle, i cui modesti ambienti adiacenti, anch’essi scavati in un banco di tufo, potevano offrire adeguato riparo a quanti espressamente vi si recavano o casualmente vi giungevano, deviando dalle tradizionali rotte delle peregrinationes maiores. Infatti, per quanto la fama del santuario garganico dell’Arcangelo Michele abbia determinato il successo dell’itinerario costiero, la cosiddetta ‘via romea’ sud-orientale, tuttavia non mancano esempi dell’uso dell’Appia antica da parte dei pellegrini già dal IX-X secolo.

Idrisi, Il libro di Ruggero, tradotto e annotato da U. Rizzitano, Palermo 1966, 120. L. Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, V, Napoli 1797-1805 (ristampa anast. Bologna 1969-1987), 409. 28 L. Giustiniani, Dizionario..., V, 1969-1987, 409. 29 G. Uggeri, Sistema viario..., 118. 26 27

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Non possediamo, purtroppo, una cartografia o racconti di viaggio e descrizioni di itinerari nei quali sia riportata la chiesa materana. Per avere un fugace riferimento alla sua ubicazione dobbiamo attendere il 1543, allorquando, nella Visita Pastorale del vescovo Giovanni Michele Saraceno, nell’elenco dei beni di pertinenza della Mensa Arcivescovile di Matera, si nominano “… tre grottaglie site al piano di santa Maria del Valle confinante da una banda con la via pubblica che va ad Altamura e dall’altra banda la via che va a Santa Maria [della Palomba]”30. I.3. Origini e vicende attraverso i secoli I.3.1. Dal XIV al XV secolo Mancano documenti attestanti l’epoca di fondazione della chiesa di S. Maria della Valle e le scarne e, talvolta, imprecise notizie che si possono attingere dalle cronache locali di età posteriore non sono sufficienti a tracciare un profilo completo delle sue vicende storiche. Tuttavia, le ricerche condotte presso l’Archivio Segreto Vaticano hanno consentito di recuperare un frammento del suo passato, ancora oscuro, e di approssimarci sempre più alla conoscenza di questo straordinario luogo sacro che si impone, per varie ragioni, nel contesto delle chiese e delle cripte rupestri che qualificano il territorio materano. Il volume 238 del fondo Registra Avenionensia riporta la lettera di Clemente VII antipapa con la quale questi concedeva indulgenze di un anno e quaranta giorni a tutti coloro che avrebbero visitato la chiesa e di cinquanta giorni a coloro che ne avrebbero sostenuto fattivamente la fabbrica. Data l’assoluta novità della lettera, la trascriviamo integralmente: Universis Christifidelibus presentes litteras inspecturis. Salutem et apostolicam benedictionem. Licet is de / cuius munere venit ut sibi a fidelibus suis digne et laudabiliter ser-/viatur de habundantia pietatis suae, quae merita supplicum excedit / et nota bene servientibus sibi, multomaiora retribuat quam valeant/ promereri. Nichiloque tamen, desiderantes reddere Domino populum accep-/tabilem et bonorum operum sectatorem, fideles ipsos ad complacendum, / ei quasi quibusdam allectinis muneribus indulgentiis videlicet et / remissionibus invitamus ut exinde reddantur divinae gratiae aptiores / cupientes igitur ut ecclesia Beatae Mariae de Vallea de Mathera Ache-/rontinae dioecesis, ad quam sicut accepimus ob reverentiam eiusdem Beatae / Mariae de diversis

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Acerenza, ADA, Inventario..., 1543-1544, Ms., f. 173v.

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mundi partibus magna confluit populi multitudo, / congruis honoribus frequentetur, et ut Christifideles eo libentius causa / devotionis confluant ad eandem et ad fabricam dectae ecclesiae promptius / manus porrigant adiutrices, quo ex hiis ibidem uberioris dono / celestis gratiae conspexerint se refectos, de omnipotentis Dei misericordia ac / beatorum Petri et Pauli, Apostolorum eius auctoritate confisi omnibus vere penitentibus et / confessis, qui in Nativitatis, Circuncisionis, Epyphaniae, Re-/surrexionis, Ascentionis, Corporis Domini nostri Iesu Christi et Penthecostes / necnon in Nativitatis, Annuntiationis, Purificationis et Assumptionis / Beatae Mariae Virginis, Nativitatis etiam Beati Iohannis Baptiste ac dictorum / Apostolorum Petri et Pauli et ipsius ecclesiae dedicationis festivitatibus ac in / celebritate omnium sanctorum, necnon per ipsarum Epiphaniae, Resurrexionis, Ascen-/tionis, et Corporis Domini, Nati-/vitatis et Assumptionis Beatae Mariae ac Nativitatis Beati Iohannis dictorumque Apostolorum Petri et Pauli festivitatum octavas / et per sex dies dictam festivitatem Penthecostes inmediate sequentes, / praefatam ecclesiam devote visitaverint annuatim et ad fabricam huiusmodi / manus porrexerint adiutrices singulis videlicet festivitatum et celebritatis / unum annum et quadraginta dies ac octavarum et sex dierum praedictorum diebus, / quibus praefatam ecclesiam visitaverint et manus porrexerint, ut praefertur, / quinquaginta dies de iniunctis eis penitentiis misericorditer relaxamus. / Datum apud Pontem Sorgie Avinionensis dioecesis XVI Kalendas Septembrum pontificatus / nostri anno quarto.31

Prima di valutarne il contenuto, si rendono necessarie alcune precisazioni sui caratteri intrinseci, ovvero sugli aspetti formali, di quello che è il più antico documento, tuttora esistente, riguardante nello specifico la chiesa di S. Maria della Valle. La inscriptio, la parte in cui si nomina il destinatario, è ‘universale’ o ‘generale’, in quanto si rivolge a tutti i fedeli di Cristo (“universis Christifidelibus”); non al vescovo, alla città, o a una persona in particolare, bensì a tutta la Cristianità. L’iniziativa di concedere le indulgenze sarà stata certamente sollecitata da una supplica mossa dalla comunità locale o da un’eminente personalità interessata al suddetto luogo di culto delle quali ci saremmo aspettati, tuttavia, un’esplicita menzione nel testo della lettera. Tale supplica non è stata rinvenuta, ma le espressioni “merita supplicum” e “sicut accepimus” ne lasciano intuire l’esistenza. Assente, trattandosi di un registro della Cancelleria Pontificia, l’intitulatio, atta a enunciare nome e dignità del mittente: nel nostro caso Clemente VII. Seguono, nell’ordine, la salutatio, l’arenga, cioè la motivazione ideale (“desiderantes reddere

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Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano (ASV), Reg. Aven., Vol. 238, ff. 382v-383r. La lettera è riportata, pur con qualche variante, in Reg. Vat., Vol. 295, f. 12r. Riportiamo la traduzione in Appendice (documento n. 1).

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Domino populum acceptabilem et bonorum operum sectatorem, fideles ipsos ad complacendum, ...”), la narratio, ovvero la motivazione reale (“ecclesia Beatae Mariae de Vallea de Mathera… congruis honoribus frequentetur, et ut Christifideles eo libentius causa devotionis confluant ad eandem et ad fabricam dectae ecclesiae promptius manus porrigant adiutrices…”), la dispositio (“... relaxamus”), la datatio topica (“... apud Pontem Sorgie Avinionensis dioecesis…”) e cronica (“... XVI Kalendas Septembrum pontificatus nostri anno quarto”). Quest’ultima indica l’anno quarto di pontificato, nonostante la lettera sia contenuta in un registro relativo al sesto anno. Si tratta del 1381, dal momento che Clemente VII, al secolo Roberto di Ginevra (Annecy 1342 - Avignone 1394), fu eletto Papa nel 1378, dai cardinali francesi riuniti a Fondi, in contrasto con la già avvenuta elezione di Urbano VI, Bartolomeo Prignano (Napoli 1318-1389), vescovo di Matera e Acerenza32 dal 22 marzo 1363 e poi vescovo di Bari dal 13 gennaio 1377. Veniamo ora al contenuto della lettera. Pur attenendosi a un preciso formulario, essa fornisce preziose indicazioni circa la titolazione della chiesa (“ecclesia Beatae Mariae de Vallea de Mathera”),33 la costante e notevole frequentazione da parte dei fedeli (“de diversis mundi partibus magna confluit populi multitudo”), il motivo per cui si concedono tali indulgenze (darle maggior lustro e portarla a termine), nonché lo status quo ante della chiesa e, forse, l’identità dei finanziatori, celata dal metaforico invito a sostenerne i lavori di completamento (“ad fabricam dectae ecclesiae promptius manus porrigant adiutrices”). L’elenco delle festività liturgiche, nelle quali era possibile lucrare le indulgenze, comprende anche quella, non meglio specificata, “ipsius ecclesie dedicationis”. Sorge, dunque, il ragionevole dubbio che la chiesa non fosse dedicata né alla Natività, né all’Annunciazione, né alla Purificazione né all’Assunzione di Maria.

Nel 1203, papa Innocenzo III aveva elevato Matera a sede arcivescovile unendola a quella più antica di Acerenza, sotto il nome di ‘Archidiocesi di Matera ed Acerenza’. 33 La indicheremo sempre con la dizione moderna di ‘S. Maria della Valle’, nonostante le numerose varianti registrate: la più antica ‘S. Maria de Balia’ (1318), ‘S. Maria de Vallea’ (1381), ‘S. Maria de Balea’ (1409), ‘S. Maria de la Balea’, ‘S. Maria de Valle’ o ‘de la Valle’ o ‘della Valle’ (secondo decennio del XVI secolo e 1543), ‘S. Maria della Vaglia’ (1591), ‘S. Maria di Valle’ (1595), ‘S. Maria la Valle’ (1597), ‘S. Maria de Valnea’, ‘S. Maria della Baglia’ o ‘S. Maria la Baglia’ (fine XVIII secolo), talune generatesi per il fenomeno dell’alternanza consonantica tra la lettera ‘b’ e la ‘v’. Segnaliamo, inoltre, la variante ‘Madonna della Bàlea’, presente in F. P. Volpe, Descrizione ragionata..., 1842, 9. 32

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Sembra alquanto singolare che in un documento ufficiale venga sottaciuta l’appartenenza della chiesa a una comunità monastica benedettina la quale, diversamente, meritava di essere ricordata, come pure avrebbe meritato menzione, tra le tante, la festività del fondatore dell’Ordine, san Benedetto. Tali elementi portano a escludere la presenza, attorno a quella data, di una comunità religiosa stabile cui fosse affidato il compito di officiare la chiesa divenuta, sempre più, meta di pellegrinaggi, in una stagione storica particolarmente animata da simili manifestazioni di fede quale quella medioevale. Per quel che concerne la facies architettonica, possiamo affermare che nel 1381 la chiesa, già esistente, non fosse ancora ultimata, dal momento che si richiede attiva collaborazione alla sua ‘fabrica’, ma che, nonostante ciò, potesse offrire degna accoglienza a quanti già vi si recavano e vi si sarebbero recati durante le numerose solennità dell’anno liturgico, previste da un così fitto calendario. Le indulgenze, infatti, si concedono sia a coloro che avranno visitato la chiesa sia a coloro che avranno contribuito, con i propri mezzi, a terminarla. Non siamo in presenza di uno hysteron proteron, ma della testimonianza di una copiosa affluenza di devoti tale da sollecitare un ampliamento e un miglioramento ricettivo dell’antico ipogeo. Con l’esame dettagliato di strutture ed elementi architettonici, supportato, ove possibile, dalle fonti, cercheremo di precisare quali siano gli interventi posteriori al 1381. Rimane ancora da chiarire il motivo di simile concessione in favore di questa chiesa da parte dell’Antipapa. Esso risiederebbe nell’appartenenza della città di Matera al Principato di Taranto, uno dei più vasti e potenti domini feudali del Regno di Napoli, i cui reali si dichiararono apertamente ‘clementisti’ in quella delicata vicenda, nella storia della Chiesa, che prese il nome di Grande Scisma (1378 - 1417) e che vide contrapporsi tra loro due papi e i rispettivi sostenitori. Tale interessamento potrebbe essere stato motivato dalla volontà di suscitare consensi in una terra che aveva visto come proprio vescovo, sino a pochi anni prima, il rivale papa Urbano VI. Questi, nell’aprile del 1380, aveva deposto, più per ragioni politiche che giuridico-religiose, la regina di Napoli Giovanna I, aperta sostenitrice dell’Antipapa34 e aveva investito del regno il cugino di lei Carlo di Durazzo che, nel 1381, si impadronì di Napoli, fece strangolare la regina e regnò con il nome di Carlo III. Cominciava così il duello tra Angioini e Durazzeschi. Frattanto Luigi d’Angiò, Conte di Provenza, scendeva in Italia (1382) con l’appoggio di molti baroni del Regno. Trovandosi a Barletta, favorì il matrimonio tra Raimondello

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S. Fodale, La politica napoletana di Urbano VI, Caltanissetta 1973.

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Orsino Del Balzo e Maria d’Henghien, a seguito del quale la casa Orsino Del Balzo si trovò padrona del Principato di Taranto e delle due Contee di Lecce e di Matera. Su quest’ultima, nelle mani di Francesco Del Balzo già dal 1374, aveva avanzato delle pretese Ruggero Sanseverino, sostenuto da Giovanna I, tanto che nel 1382 conte di Matera fu Stefano Sanseverino,35 figlio di Ruggero. Raimondello Orsino morì nel 1406, lasciando i figli minorenni e la moglie che andò sposa al re Ladislao. Questi investì il figlio di lei, Giovanni Antonio Orsino, del Principato di Taranto ma non della Contea di Matera che rientrò nel Regio Demanio, restandovi sino al 1433, quando cadde in possesso di Filippo Sanseverino, per tornare, appena un anno dopo, all’Orsino.36 Il Grande Scisma ebbe non poche ripercussioni anche nella vita della periferica diocesi materana e acheruntina: Nicola Accorsiamuro (o Accorciamuro),37 il canonico napoletano che nell’aprile 1377 successe a Bartolomeo Prignano, mostrava qualche incertezza di orientamento. Urbano VI si vide, allora, costretto a nominare al suo posto Giacomo de Silvestro.38 Nicola, che non voleva lasciare la sua Chiesa, sostenuto dal suo clero si mostrò favorevole a Clemente VII, il quale lo trasferì nella diocesi di Bari, mentre in quella di Acerenza insediò un ecclesiastico del vercellese, Giovanni. Tre lettere di Clemente VII antipapa, da noi rinvenute presso l’Archivio Segreto Vaticano, datate 1382 e recanti l’inscriptio “Venerabili fratri Iohanni archiepiscopo Acherontino…”, consentono di affermare con certezza la sua esistenza, nonostante non si sia serbata memoria di lui nei documenti materani, per essere stato, quello, un periodo alquanto turbolento.39 A. Copeti, Notizie della città e di cittadini di Matera (composta nel 1780), ed. a c. di M. Padula - D. Passarelli, Matera 1982, 60. 36 M. Morelli, Storia di Matera, Matera 1963, 167. 37 “Nicolaus Accorciamuro, Aversanus, a Gregorio XI ad regimem huius Archiepiscopalis Ecclesiae destinatus anno 1377, acceptam dignitatem brevissimo anni cursu citissime consumavit... Promosso a governar queste Chiese vi prese possesso nello stesso giorno in cui Bartolomeo fu traslato a quella di Bari e non la tenne che un sol anno, giusta il Venusio, mentre il Nelli ed il Volpe dicono per anni 6, cioè fino al 1384”. G. Gattini, Note storiche sulla città di Matera, Napoli 1882 (ristampa a c. dell’Amministrazione Provinciale, Matera 1970), 231-232. 38 “Jacobus de Sylvestro, Aversanus, in magno Ecclesiae scismate contra Urbanum VI a Clemente VII Antipapa, nefariis molitionibus commoto, ab eodem Antipapa in istam Ecclesiam intrusus anno 1379, tandem a praedicto Urbano VI ut illegitimus pastor, paulo post indebita dignitate privatur. Sommamente accorato dopo la destituzione fè ritorno nella sua città natale, ove se ne morì nel 1382, o secondo i due ultimi suddetti autori [Nelli e Volpe] nel 1386”. G. Gattini, Note storiche..., 1882 (rist. 1970), 232. 39 Città del Vaticano, ASV, Reg. Aven., Vol. 238, f. 382v e Reg. Vat., Vol. 295, ff. 11v-12r. 35

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Giovanni, non incluso nelle liste dei vescovi, stilate rispettivamente da Ughelli e da Gams, era presente, invece, in quella di Eubel.40 Ormai molte diocesi del Regno di Napoli, tra cui quella di Acerenza, avevano riconosciuto l’autorità di Clemente VII. Dopo la morte di Luigi d’Angiò (1384), il clero materano si sottrasse all’obbedienza dell’arcivescovo Giovanni, di osservanza avignonese e, contro di lui, promosse l’elezione dell’Arciprete della Cattedrale Bisanzio Morelli,41 già Vicario Generale di Bartolomeo Prignano, che resse la diocesi fino al 1391.42 Questo lo scenario storico in cui collocare le più significative vicende architettoniche che hanno portato la chiesa di S. Maria della Valle ad assumere l’aspetto attuale. Data l’assenza, per quell’epoca, di altri documenti, non resta che affidarsi, cautamente, alle cronache locali. Tutti gli scrittori concordano sulla vetustà della chiesa, riferendo di manoscritti antichi, dei quali, però, non forniscono alcuna indicazione, e limitandosi spesso a riportare quanto detto da altri in precedenza o quanto attinto dalla tradizione orale. Il dottor Eustachio Verricelli, autore, nel 1595, della Cronica della città di Matera, l’annovera con il nome di “Santa Maria de la Valle”, insieme a “Santo Staso di monaci di san Beneditto” e “Santa Maria de Armenis”, tra le tre “habatie mitreate” materane, ricordando la sua unione all’Arcivescovado.43 Egli non la indica esplicitamente come chiesa benedettina, ma poiché le altre due lo sono, da qui potrebbe esser nato l’equivoco. La mitra, d’altronde, potrebbe essere semplicemente segno dell’autorità vescovile, commendataria del beneficio di questa chiesa. Poco oltre, nominandola insieme a “Santa Maria de la Nonciata di Piziano”, ovvero Picciano, e “Santa Maria Palomba”, o della Palomba, come “chiese quali evidentissimamente sono miraculose”, la dice ancora “... Santa Maria di Valle

40 K. Eubel, Hierarchia Catholica Medii Aevi, sive Summorum Pontificum, S. R. E. cardinalium ecclesiarum antistitum series, I, Monasterii, 1913-1978, 70. 41 T. Pedio, “I vescovi della Basilicata durante lo scisma d’Occidente”, Bollettino storico della Basilicata, V, 5 (1989), 61-83. Ughelli ricordava, invece, che Bisanzio Morelli “... sub Bartolomeo Prignano ab eodem jam ad Pontificatum assumpto Acheruntinus Archiepiscopus electus est anno 1380, sedit annos 11”. (F. Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiae et insularum adjacentium, VII, Venezia, 1721, col. 45.) 42 M. Morelli, Storia di..., 1963, 178-179. 43 Matera, ASM, E. Verricelli, Cronica della città di Matera nel Regno di Napoli composta per il dottore Eustachio Verricelli nel 1595, 1595, Ms., f. 7v. (Cfr. Appendice, documento n. 7)

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Abatia antica dove anticamente assai più che a Picciano concurrevano da lontani paesi per lli grandissimi miracoli che faceva e sanando ogni infirmità”.44 Sul finire del Cinquecento, dunque, queste tre chiese-santuari dedicate alla Madonna e, precisamente, alla Sua Natività (S. Maria della Palomba), all’Annunciazione (S. Maria Annunziata di Picciano) e, se confermato, all’Assunzione (S. Maria della Valle), venivano a stringere, idealmente, la città di Matera in una sorta di ampia protezione mariana. Nell’inedita Apologia dell’Arciprete materano Giovanni Francesco De Blasiis, leggiamo: ... vogliono alcuni, che la chiesa di Santa Maria della Valle, anticamente detta de Balia, qual’oggi è della Mensa Arcivescovile, fusse stata anco Monastero de Benedettini, e se va’ argomentando dalle fabriche, che v’erano a torno, che danno segno d’esser stato Monasterio et in particolare una gran sala; e sopra del Portone si veggono certe arme dipinte, col bacolo pastorale dentro, che paiono essere della Religione Olivetana. Però io non trovo di ciò scritture.45

Nuovamente, De Blasiis ci informa che vi ... erano quattro monasteri de’ benedettini in questa città, e suo territorio, cioè Santo Eustachio, Santa Maria de Armeniis, Santa Maria de Picciano, e Santo Salvatore di Timbaro; et altri aggiongono Santa Maria della Valle o della Vaglia, dicta Santa Maria de Balea, però io non ne ho scrittura, sol che alcune suspitioni o argumenti, e dell’arme poste sul portone di quella chiesa, e quell(e) gran sale, che vi è, che mostrano esser stato monastero de’ Regolari, però prova chiara io non la ho...46

Rappresentano, queste, le sole oneste attestazioni di dubbio (ancor più oneste se consideriamo la natura apologetica dell’opera), da parte di uno scrittore locale, circa l’effettiva appartenenza della chiesa a un monastero benedettino. E. Verricelli, Cronica..., 1595, Ms., f. 9r. Matera, Biblioteca del Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola” (BMRM), Fondo Gattini, n. inv. 3350, G. F. De Blasiis, Apologia o risposta antiapologetica al Discorso Apologetico di Scipione Errico per la Metropoli Acherontina, contra del cavaliere fra’ Tomaso Stigliani, fatta dal Dottore Giovanni Francesco de Blasiis, Protonotario Apostolico, Arciprete della Metropolitana chiesa della città di Matera, in difensione dell’istessa Metropoli di Matera, e della medesima città di Matera, sua Patria, nell’anno 1646, 1646, Ms., f. 56v. (Cfr. Appendice, documento n. 5) 46 Matera, BMRM, Fondo Gattini, n. inv. 3350, G. F. De Blasiis, Apologia..., 1646, Ms., f. 277r. 44 45

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Nel 1751, il canonico Nicolò Domenico Nelli riferiva che “si ha per tradizione che in detta S. Maria della Valle, detta de” Balea, vi fosse il monastero de’ Padri Benedettini” e, ancora, che essa è “molto antica anche sino dall’anno 1200 e più, come si ha da manoscritti antichi...” 47 che, però, si guarda bene dal menzionare. Il giudice Arcangelo Copeti (1757-1845), che inizia a raccogliere, a partire dal 1780, sotto forma di appunti, notizie relative alla propria città senza però dar loro forma narrativa, annota come “anticamente ci erano quattro monasteri de’ Benedettini cioè il monastero di S. Eustacchio, quel di S. Maria di Picciano, l’altro di S. Salvatore in Timbari, e l’altro di S. Maria de Armeniis”.48 Nel suo elenco, dunque, S. Maria della Valle non figura come monastero benedettino. Tuttavia, non trascura di registrare anch’egli “tre Badie con mitra, cioè S. Eustacchio chiesa antichissima… S. Maria la Valle unita all’Arcivescovato, e S. Maria de Armeniis”.49 Per Francesco Paolo Volpe, che scrive nel 1818, l’“estinto Monistero di Benedettini di S. Maria la Valle, o de Balea, sotto al titolo di S. Maria dell’Assunta, di Regio Padronato, sito un miglio circa lungi dalla Città verso il Nord, vantava ancor esso non minore antichità degli altri”, poiché “vien lodato nelle vecchie memorie fin dal 1260”.50 Anche Volpe non cita le sue fonti e, per di più, sembra aver letto erroneamente la data indicata nel manoscritto di Nelli. Nel 1875, Francesco Festa, che nel titolo nonché nell’introduzione della sua opera ricorda di aver messo ordine alle notizie relative alla sua città, afferma che “la chiesa di S. Maria De Balea... apparteneva anch’essa a un monastero di Benedettini che ivi esisteva in tempi remotissimi, ed era di regio patronato”51. Ma, sostenendo che “non si ha notizia dalle nostre memorie se non dal 1260 a questa parte”, dimostra anche lui, evidentemente, di incorrere nello stesso errore di lettura di Volpe, leggendo ‘1260’ invece di ‘1200’ nel testo di Nelli.

Matera, ASM, N. D. Nelli, Descrizione della Città di Matera, della sua origine, e denominazione; de’ fatti in Essa accaduti; de’ suoi cittadini, e delle sue chiese e monasteri sì antichi, che moderni, e della loro descrizione raccolta dal Dr. D. Nicolò Domenico Nelli canonico della chiesa metropolitana di essa città da varii Autori, e da diversi manoscritti antichi con molta sua fatiga e dal suddetto posta in opera sino all’anno 1751, 1751, Ms., f. 126v. (Cfr. Appendice, documento n. 6) 48 A. Copeti, Notizie... (1780), ed. 1982, 259. 49 A. Copeti, Notizie... (1780), ed. 1982, 276. 50 F. P. Volpe, Memorie storiche profane e religiose de la città di Matera, Napoli 1818 (rist. Matera 1979), 218. 51 F. Festa, Notizie storiche della città di Matera. Ordinate ed annotate da Francesco Festa, Matera 1875, 111. 47

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Il conte Giuseppe Gattini, nel 1882, ne parlava come della “vetusta Chiesa della Valle o Balea, comunemente la Vaglia”, “edifizio compagno dell’altra antica Chiesa di S. Eustachio”.52 Ormai nel secolo scorso, l’abate Marcello Morelli invitava a visitare “il cenobio benedettino di S. Maria della Vaglia o de Balea” detto “antichissimo”.53 In realtà, le fonti benedettine non forniscono alcun elemento che avvalori l’ipotesi della presenza di una fondazione monastica che, per le dimensioni stesse della chiesa, nonché per l’estensione del cosiddetto ‘cenobio’, avrebbe dovuto ospitare una comunità molto numerosa la cui presenza e attività avrebbero certamente lasciato tracce ben più profonde nel tessuto religioso e civile del tempo. È stata ipotizzata, inoltre, l’esistenza di una chiesa, in quell’area, già nell’VIII secolo, in base a un documento del 774 nel quale si afferma che il longobardo Arechi, Principe di Benevento, donò quale beneficio al monastero benedettino di “sagre vergini” di S. Sofia di Benevento “ecclesiam SS. Angeli et Mariae quae posita est in Galo nostro Materae et pascuum ad pecualia”. Dal momento che il termine longobardo ‘galo’ o ‘gajo’ significherebbe ‘bosco’, ‘selva’ e, ipotizzando che un’alterazione fonetica abbia trasformato ‘galo’ in ‘balo’ e quindi in ‘baleo’ e ‘balea’, si è ritenuto di poter identificare tale chiesa con quella di S. Maria della Valle, che doveva sorgere ai margini di un fitto bosco. Il 774 avrebbe indicato un termine ante quem per l’escavazione della chiesa.54 Non condividiamo, tuttavia, tale ipotesi che Venditti esclude perentoriamente.55 L’origine del titulus dedicationis ‘S. Maria de Balia’ o ‘de Balea’ ci sembra, piuttosto, da ricondurre alla fine del XIII secolo o, poco dopo, all’inizio del XIV e, precisamente, a quell’istituto politico angioino della ‘Bagliva’ cui, come vedremo, resterà legata nel corso del tempo.

G. Gattini, Note storiche..., 1882 (rist. 1970), 208. La chiesa di S. Eustachio fu consacrata dall’Arcivescovo di Acerenza Arnaldo nel 1082, alla presenza dell’abate Stefano che ne aveva curato la realizzazione, come riportato da un’iscrizione posta su una colonna della stessa chiesa e tramandata dagli scrittori locali. Sorgeva sulla Civita, nei pressi dell’attuale Cattedrale, ma subì manomissioni e se ne perse memoria. Recentemente, a seguito di interventi in quel sito, si è verificata l’effettiva ubicazione ed estensione dell’edificio sacro, che, peraltro, aveva conservato ancora integro il suo soccorpo. 53 M. Morelli, Storia di…, 1963, 125. 54 Le Chiese rupestri di Matera, La Scaletta, Roma 1966, 24; B. Lafratta, Matera, S. Maria della Valle, in Monasteri italogreci e benedettini in Basilicata, a c. di L. Bubbico - F. Caputo - A. Maurano, Matera 1996, 142-147. 55 A. Venditti, Architettura bizantina…, I, 1967, 441. 52

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Il solo scrittore materano a riferire della donazione è Volpe, il quale nelle Memorie afferma che, quando Carlo Magno sconfisse Desiderio, … Arechi allora Duca di Benevento ricusò sottomettersi ad un Sovrano straniero. Proclamò nel medesimo anno 774 l’indipendenza, ed assunse col titolo di Principe tutti i diritti della Sovranità. Ma, come uom pietoso, volle a Dio, da cui il tutto giustamente ripetea, consagrare le primizie del suo nascente Principato. Condusse a termine in Benevento il celebre Monistero di sagre vergini, sotto il titolo di S. Sofia, e l’arricchì di tanti beni, tra’ quali al dir del P. di Meo, Ann. an. 774, vi noverò la chiesa di S. Angelo, e S. Maria nel nostro Galo di Matera.

E aggiunge in nota che “Galo o Gajo era una voce adottata da’ Longobardi per dinotare una selva”.56 Giuseppe Gattini, in un manoscritto, senza data, intitolato Risposte alle Riflessioni sulle Memorie Istoriche della città di Matera date alla luce dal Dottor Signor Canonico Volpe, smentisce sostenendo che ... vi era la chiesa di S. Angelo della Civita... Questa è quella chiesa, che da Arechi Principe Longobardo nel 774 fu aggregata non già al Monistero delle Monache, ma a quello dei P.P. Benedettini di S. Sofia di Benevento: nec non et Ecclesiam S. Angeli, et Mariae, que posita est in Galo nostro Matere largiti sumus, et in Monasterio S. Sophiae vineas, et territoria, quae Presbyter ipsius Ecclesie sine palatii donatione tenebat, et insuper concessimus in eodem Galo pascuam ad pecualia Monasterii S. Sophiae…57

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F. P. Volpe, Memorie…, 1818 (rist. 1979), 89-90. Matera, ASM, Fondo Gattini, b. D, fasc. 7 c), G. Gattini, Risposte alle Riflessioni sulle Memorie Istoriche della città di Matera date alla luce dal Dottor Signor Canonico Volpe, s. d., Ms. Tuttavia, la più corretta trascrizione del diploma di Arechi è fornita in S. Borgia, Memorie istoriche della pontificia città di Benevento, I, Roma 1763 (rist. fotom. Bologna 1968), 280. Ecco, qui di seguito, il testo: “Necnon et Ecclesiam Sancti Angeli & Marie, quae posita est in Galo nostro Matere inaffle largiti sumus et in Monasterio Sancte Sofie vineas et territoria que Presbyter ipsius Ecclesie sine Palatii donatione tenebat; et insuper concessimus in eodem galo pascuam ad peculia Monasterii Sancte Sofie”. In nota, l’autore precisa che ‘Angeli’ è carattere più recente, ‘S. Marie’ carattere della Cronica.

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Non sentiamo di poter condividere un’ipotesi piuttosto che l’altra, a motivo della scarsità di prove confortanti addotte a riguardo.58 Se pure vi fu un possedimento sofiano, questo andò perduto nel corso del tempo, tanto da non lasciare alcuna traccia di sé neanche nella Platea antiqua S. Sophiae usque ad anno 1382.59 Tuttavia, dall’osservazione di alcuni elementi architettonici dell’interno, si può dedurre che l’attuale chiesa si sia certamente originata e sviluppata a partire da un preesistente luogo di culto, di dimensioni più ridotte, del quale sono ancora riconoscibili i resti di una recinzione a triforio, probabile iconostasi. Ritorniamo alle fonti. Ancora da scrittori locali apprendiamo che, nel 1318, la chiesa è menzionata nel testamento di Angelo De Berardis, “… contestabile di Matera e Barone del Casale di Santo Cosma”,60 che “visse a’ tempi di Carlo II, del Re Roberto, e di Filippo Principe di Taranto e Conte di Matera, figliuolo quartogenito del detto Carlo”.61 De Blasiis può affermare con orgoglio: “ho ritrovato” il testamento e, per primo, riportarne più di uno stralcio. Il contestabile - ricorda l’Arciprete - “… era di gran momento, conforme al Summonte, quale vuole che i comestabuli, o contestabili siano i Decurioni, e Nobili della città, e che sia voce greca, quasi comes stabuli, cioè comes praepositus stabulo, conte preposto alla cura della stalla dell’Imperatore, però a mio giudizio parmi che sia più tosto voce latina, et in volgere sia voce francese, salvo però miglior giuditio”.62 Comestabulus, è questo il termine esatto che compare nel testamento, deriva da comes stabuli, “qui Regii stabuli, et equorum principis curam gerebat”.63 Nel tempo, il connestabulus divenne un “judex civitatis et pagi circumjacentis”.64

A proposito di S. Sofia di Benevento, si parla di “coenobio puellarum”, in P. D. A. Di Meo, Annali critico-diplomatici del Regno di Napoli della mezzana età, Napoli 1797, 94. In realtà, il monastero divenne maschile solo successivamente. Segnaliamo, inoltre, che Ughelli, riporta in tal modo il testo del Chronicon Ostiensis: “… Ecclesiam S. Angeli, et Mariae, quae posita est in Galo nostro Manere (sic)…” (F. Ughelli, Italia sacra…, VIII, 1721, col. 28 e ss.). 59 A. Zazo, “Chiese, feudi e possessi della badia benedettina di S. Sofia di Benevento nel sec. XIV”, Samnium, 1964, n. 1-2, 1-67. Tale Platea non è stata rinvenuta presso il Museo del Sannio di Benevento, dove, tuttavia, si conserva il fondo relativo al Monastero di S. Sofia. 60 Matera, ASM, G. F. De Blasiis, Cronologia della città di Matera, 1635, Ms., f. 34v. (Cfr. Appendice, documento n. 3) 61 F. P. Volpe, Memorie…, 1818 (rist. 1979), 50. 62 Matera, ASM, G. F. De Blasiis, Cronologia della città di Matera, 1635, Ms., f. 35v 63 Ch. Du Cange, Glossarium Mediae et Infimae Latinitatis, II, 1883 (rist. anast. Sala Bolognese 1982), 431. 64 Ch. Du Cange, Glossarium…, II, 1883 (rist. anast. 1982), 433. 58

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Il testamento, “fatto per mano di Giacomo di Giodice Francesco, proto Notaro di Matera, il penultimo di Maggio 1318, l’anno X del Regno di Re Roberto e 24º di Filippo, figlio di Carlo II e fratello dell’istesso Re Roberto, Principe di Taranto e di Matera; reassunto per Francesco di Giodice Simino proto Notaro di Matera, sotto li 24 di Marzo 1333”,65 esprime la volontà del contestabile, di lasciare “... item per pingere la cappella, quam cavari fecit in ecclesia Santa Maria de Balia untiam unam. Item operi eiusdem ecclesiae Sanctae Mariae de Balia untiam unam; Item legavit eidem ecclesiae Sanctae Mariae de Balia planetam unam”.66 De Blasiis precisa e completa la notizia, ricordando che si trattava di “una Pianeta di cruidado giallino”.67 Tale documento, forse irrimediabilmente perduto, assume un’importanza straordinaria, in quanto ci consente di sostenere l’esistenza di una chiesa, dal titolo “Santa Maria de Balia”, anteriormente al 1318. Inoltre, possiamo affermare che a quel tempo essa fosse, non solo, in piena fase di escavazione, promossa a proprie spese da illustri cittadini, ma anche, già consacrata e, quindi, regolarmente officiata, in virtù del dono del paramento sacro. Ancora De Blasiis ci informa sulla persona del contestabile, attraverso le parole della ... sequente particula [del testamento] spettante all’istesso Principe [Filippo]: Item legavit Domino Principi ensem suum, et untias quatuor: ipsique Domino Principi restitui vult quatuor quaternos de pergameno, scriptos in vulgari gallico, de mappamundo, quia eiusdem Domini Principis sunt, segno che fusse molto amico, e servitore del Principe.68

Era questi, dunque, un uomo di cultura, facoltoso, generoso e in ottimi rapporti con Filippo, Principe di Taranto e, probabilmente, con tutta la famiglia reale angioina, dal momento che i contestabili erano nominati direttamente dal Re. La cappella in questione potrebbe essere quella retrostante il portale trilobato, la cui successiva apertura ha compromesso le pitture presenti sulla parete di fondo della stessa. Già ricavata nel tufo, forse qualche anno prima della redazione testa-

Matera, ASM, G. F. De Blasiis, Cronologia…, 1635, Ms., f. 34v. Matera, BMRM, Fondo Gattini, n. inv. 3350, G. F. De Blasiis, Apologia…, 1646, Ms., f. 56v. 67 Matera, BMRM, Fondo Gattini, n. inv. 3350, G. F. De Blasiis, Apologia…, 1646, Ms., f. 276v. 68 Matera, ASM, G. F. De Blasiis, Cronologia…, 1635, Ms., f. 35r. Lo stesso passo è riportato da G. Gattini, Note storiche…, 1882 (rist. 1970), 299. 65

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mentaria o nello stesso 1318, potrebbe essere stata decorata a partire dal terzo decennio del XIV secolo, con un impianto organico che si stende sui tre lati della cappella: una fascia di base con motivo a intreccio geometrico, sovrastata da figure di santi. Tale impianto decorativo, come vedremo, ha diretta ascendenza napoletana. Stando a De Blasiis, Angelo De Berardis, “iure Longobardorum, quod ad sua burgensatica bona vivens, sanus tam mente quam corpore et presens sibi condidit testamentum…”.69 Ignorando la sua data di morte e il momento in cui il testamento divenne esecutivo (forse nel 1333, quando il testamento fu ‘reassunto’), non possiamo fare altro che affidarci alle indicazioni provenienti dall’esame iconografico della cappella. De Blasiis fa notare ancora che, se nel testamento, “nel quale si fa menzione di detta chiesa di Santa Maria de Balea, più volte”,70 non si accenna all’esistenza di un monastero, ciò è motivo valido per ritenere che esso non sia mai esistito. Tutti gli scrittori materani riferiscono del testamento, sebbene con qualche variante, come Nelli71 o Copeti. Quest’ultimo, definendo Angelo De Berardis “cittadino materano commestabile e amico familiare del re Roberto”, ricorda che donò a quasi tutte le chiese e monasteri della città con liberale carità e ai “conventi Benedettini, cioè di S. Maria di Picciano, di S. Salvatore di Timbaro, di S. Maria de Armeniis e di S. Maria della Valle, che un tempo spettava al monistero di S. Eustacchio”.72 Ritorna qui la definizione di ‘convento benedettino’. Quanto riportato da Copeti risulta, certamente, attinto dal passo della precedente Historia cronologica Monasterii S. Michaelis Archangeli Montis Caveosi di Serafino Tansi: ... anno verò secuto 1318 praeciarissimus quidam Civis Matheranus, Angelus de Berardis, comestabularius, et Roberto Regi familiaris obiit, qui huic Monasterio unciam auri unam legavit; tenue quidem manus, si rem spectes, insignis tamen pietatis argumentum fuit, cum omnes poenè Ecclesias, et Monasteria Matherae extantia in ultimis tabulis liberali charitate muneratus fit. Praeter Monasteria enim Monialium S. Luciae, et S. Mariae de Nova, et Ascetheria Monachorum Ordinis Benedictini, nempè

Matera, ASM, G. F. De Balsiis, Cronologia…, 1635, Ms., f. 60r. Matera, BMRM, Fondo Gattini, n. inv. 3350, G. F. De Blasiis, Apologia…, 1646, Ms., f. 277r. 71 Matera, ASM, N. D. Nelli, Descrizione…, 1751, Ms., f. 120v. Anch’egli, probabilmente, ebbe l’opportunità di vedere tale documento, dal momento che descrive il “testamento pergameno… corroso, ed in carattere longobardo”. 72 A. Copeti, Notizie… ­(1780), ed. 1982, 159. 69 70

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S. Mariae Picciani, S. Salvatoris de Timbaro, S. Mariae de Armenis, et S. Mariae de Valle, quod quondam ad Monasterium S. Eustachii spectabat…73

Tansi, come leggiamo, considera De Berardis già morto nel 1318, ma ciò contrasta con la formula testamentaria “sanus tam mente quam corpore…”. Anche Volpe riporta la notizia del pio legato e, sostenendo che un’oncia fosse stata donata “… per la ristorazione della medesima chiesa…”,74 allude al sostentamento per una chiesa già esistente. È ancora l’Arciprete De Blasiis a informarci di un privilegio regio riguardante la città di Matera e, segnatamente, la chiesa di S. Maria della Valle, riportando un suo regesto. Il 7° [privilegio è] dell’istesso re Ladislao, sotto la data in Napoli l’anno 1409 a 27 di Febraro, l’anno 22 del suo Regnare, nel quale va’ dicendo che per la regina Giovanna prima, era stato concesso di far la fiera in Matera ogn’anno, nella Festa di S. Eustachio, per otto giorni nel mese di Maggio, con la franchizia et esentione d’ogni peso, piazza, fundico, e dohana, e qualsialtro diritto; quale privilegio di detta fiera era stato confermato dal medesimo Ladislao, ex a petitione di questa città e per la devotione di Santa Maria di Balea, la cui festa si celebra nel mese d’Agosto a rispetto de populi circonvicini, che convenivano a quella Festa. Il medesimo re annulla la detta fiera di Maggio, e la trasferisce nel giorno dell’Assunta della Madonna Santissima, per la devotione della Santissima Vergine, con la franchizia di otto giorni, quattro prima di detta Festa e quattro dopo, computatovi il giorno dell’istessa Festa.75

Il testo integrale del privilegio concesso dal re Ladislao lo leggiamo nel volume Sinodo materese del 1597 [corretto in 1567] pubblicato ed annotato per cura del cav. Niccolò Jeno de’ Coronei,76 riportato integralmente in appendice. Stupisce,

S. Tansi, Historia cronologica Monasterii S. Michaelis Archangeli Montis Caveosi Congregationis Casinensis Ordinis Sancti Benedicti ab anno MLXV ad annum MCDLXXXIV ex eiusdem Monasterii Tabulario deprompta, Napoli MDCCXLVI (copia fotostatica), 96. 74 F. P. Volpe, Memorie…, 1818 (rist. 1979), 50. 75 Matera, BMRM, Fondo Gattini, n. inv. 3350, G. F. De Blasiis, Apologia…, 1646, Ms., f. 215r. 76 N. Jeno de’ Coronei, Sinodo materese del 1597 [corretto in 1567] pubblicato ed annotato per cura del cav. Niccolò Jeno de’ Coronei. Con appendice di 23 documenti inediti e facsimili di autografi. Opera postuma, Napoli 1880, 67-68. (Cfr. Appendice, documento n. 8) Il testo del privilegio lo troviamo anche in G. Gattini, Note storiche…, 1882 (rist. 1970), 60-62. 73

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ancora una volta, come in un documento ufficiale non si faccia alcuna menzione di una comunità benedettina. Il canonico Nelli così riferisce: ... l’8° Privilegio fu concesso a questa città dal cennato Re Ladislao, spedito sotto la data in Napoli li 27 Febraio 1408 (sic) l’anno 22 del suo regno, nel quale dice, che Giovanna la prima regina di questo regno aveva concesso alla città di Matera per Privilegio, di farsi la Fiera in detta città ogn’anno nella Festività di Santo Eustachio nel mese di Maggio per otto giorni con la franchigia, ed esenzione da ogni peso di piazza, fundico, dogana, e da qualsiasi altro diritto, onde detto Privilegio anche era stato confirmato dal sudetto Ladislao; non però poi a petizione dell’istessa città, e per causa della grande devozione della Santissima Vergine dell’Assunta, della quale si faceva la Festa li 15 Agosto in S. Maria della Valle (o della Balia, seu Vaglia) ove vi era introdotto un grande concorso, sì di cittadini, come di Forestieri de Popoli convicini, di quali in gran numero convenivano in detta Festività per la devozione d’essa Beatissima Vergine; il medesimo re Ladislao annullò quella fiera del mese di Maggio e la trasferì, per detta Festa dell’Assunta, nel mese di Agosto con la franchigia ed esenzione come quella, per otto giorni, cioè quattro giorni prima di detta Festa e quattro altri doppo, computatovi il giorno di detta Festività.77

E ancora Nelli: ... poi doppo molto tempo l’Università di Matera vedendo un tale concorso di gente per la divozione d’essa Beata Vergine dell’Assunta, diede supplica al Re Ladislao, acciò avesse trasferita la fiera, che in città si faceva in ogni anno li 20 Maggio nella festività di S. Eustachio Padrone, a fine l’avesse posta per li 15 d’Agosto, e così la concesse per Privilegio spedito nell’anno 1408 (sic), non ostante, che la Regina Giovanna la prima l’aveva spedito il Privilegio di detta fiera nel 1343 e confirmato nel 1381, che poi fu confirmato dal re Ferdinando il primo quello di Ladislao.78

Si apre, così, un altro affascinante capitolo della storia di questa chiesa e si precisano prestigio e fama che giungono sino alla corte napoletana. Dal privilegio di Ladislao, ricaviamo la notizia della dedicazione della chiesa alla Vergine, la cui

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Matera, ASM, N. D. Nelli, Descrizione…, 1751, Ms., f. 55r. Matera, ASM, N. D. Nelli, Descrizione…, 1751, Ms., f. 127r.

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festa si celebrava nel mese di Agosto, mentre è aggiunta dei cronisti locali l’indicazione che si tratti della festa dell’Assunta.79 Anche Volpe ricorda che ... la Festività celebravasi a’ 15 Agosto con una copiosa affluenza di popolo, anche straniero. A vista di che l’Università di Matera spinse supplica al Re Ladislao, ed ottenne… acciochè la Fiera, che per lo innanzi celebravasi a’ 20 Maggio nella Festività di S. Eustachio, si trasferisse, senz’alterazione alcuna a detto dì.80

Ricostruiamo più chiaramente la vicenda e le date dei privilegi regi, anche grazie all’opera dello storico Giustino Fortunato, che, con il proposito di pubblicare un Codex Diplomaticus Matheranensis, redasse il regesto dei documenti riguardanti Matera, conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli. Il 26 novembre 1377, la regina Giovanna I (1342-1381) conferma il privilegio di ‘alleviazione’ di pesi fiscali concesso da Filippo, Principe di Taranto, all’Università di Matera; il 21 ottobre 1381, si trascrive, su richiesta dell’Università, il privilegio concesso da Giovanna nel 1377.81 Non possiamo non notare la coincidenza cronologica di questa richiesta con la lettera dell’antipapa Clemente VII, dinanzi esaminata. Nel 1409, dal re Ladislao (1386-1415) viene decretato il trasferimento della fiera ad altra data. Una simile decisione, che andava a scapito della festa del santo patrono della città, doveva certamente essere sostenuta da validi motivi. Ladislao, infatti, si rivolge “Universitati et hominibus civitatis Matere”,82 a seguito, quindi, di una petizione a lui pervenuta. Inoltre, apprendiamo che tale provvedimento viene preso ... secundum quod vestra exposicio subiungebat propter maiorem vestra habilitatem et comoditatem ac propter devocionem, quam omnis plebs prefate terre ipsarum partium habet ad ecclesiam Sancte Marie de Balea de ipsa civitate Matere cuius festum de mense augusti ibidem devotissime celebratur et ex veneratione huiusmodi tunc ad eandem ecclesiam concursus habetur maximus populorum.83

L’antica festa mariana, celebrata in Oriente già dal VI secolo, con il nome di ‘Dormitio Virginis’, entra nella Liturgia Romana nella metà del VII secolo; il termine ‘Assunzione’ risale, invece, al IX secolo. Il suo dogma sarà proclamato solo nel 1950 da papa Pio XII. 80 F. P. Volpe, Memorie…, 1818 (rist. 1979), 218-219. 81 Codex Diplomaticus Matheranensis, G. Fortunato, Badie Feudi e Baroni della Valle di Vitalba, a c. di T. Pedio, Manduria 1968, III, 371. 82 N. Jeno de’ Coronei, Sinodo materese…, 1880, 67. 83 N. Jeno de’ Coronei, Sinodo materese…, 1880, 67. 79

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Radici lontanissime ha la coincidenza del giorno destinato ai raduni di carattere commerciale con una festività del calendario liturgico, pertanto, sacro e profano si mischiano ancora nell’affermazione del Re: Nos autem in hac parte vestras habilitates et commoda affectantes ac augere devocionem ipsam ob reverentiam dicte Virginis cupientes vestrisque supplicationibus inclinati prefatas nundinas de dicto mense mai in prefatum mensem augusti anni cuiuslibet celebrandas in dicto festo beate Virginis Marie…84

Anche Gattini parla di un “gran richiamo di cittadini e di forestieri, che in tal dì vi facea la festività celebrata in S. Maria della Vaglia”.85 Non va dimenticato il rilevante aspetto economico della questione, sebbene esso non venga palesato: una grande affluenza di persone si traduce presto in un’ottima occasione di commercio, evidentemente agevolati entrambi dalla favorevole ubicazione della chiesa su un importante nodo viario. La concessione di privilegi ed esenzioni alle località interessate dal fenomeno fieristico rientrava perfettamente nella politica protezionistica del Regno, nel quale, in età aragonese, si diede vita a un vero e proprio ‘sistema’ di fiere (se ne possono contare 230) che, avvicendandosi nel corso dell’anno, in modo da non far coincidere le rispettive date, consentivano a mercanti itineranti di parteciparvi. In questa fitta ‘trama’ è possibile individuare, tra le fiere ‘principali’, quelle di: L’Aquila, Lanciano, Benevento, Salerno, Foggia, Lucera, Barletta, Trani, Bari, Bitonto, Lecce, Taranto, Matera, Cosenza, Crotone e Catanzaro, intorno alle quali ruotavano una serie di fiere ‘secondarie’.86 Arcangelo Copeti, ricorda che, morto il re Ladislao nel 1414, gli “successe nel Regno la sorella Regina Giovanna Seconda, la quale concesse de’ privilegii in Matera, e specialmente la traslazione del diritto di fiera a S. Maria di agosto per la

N. Jeno de’ Coronei, Sinodo materese…, 1880, 67. G. Gattini, Note storiche…, 1882 (rist. 1970), 60. 86 A. Grohmann, Le fiere del regno di Napoli in età aragonese, Napoli 1969. Ignoriamo come mai l’autore riporti erroneamente, nella tabella V (p. 75) e nell’Appendice I (p. 303), la fiera di Matera il 29 marzo (4 giorni prima e quattro dopo), in occasione della festa di ‘S. Eustasio’, dal momento che, nella sua trattazione, la riferisce correttamente al mese di maggio. Inoltre, nella stessa tabella V, nella colonna relativa alla festività coincidente con la fiera di agosto, non troviamo indicata la festa dell’Assunzione, bensì quella di ‘S. Maria della Vaglia’, a motivo, forse, di una non convincente identità tra le due feste. 84 85

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divozione di S. Maria de Balea o sia la Vaglia fuori la città, con franchigia giorni 4 prima, e 4 dopo di essa festa”.87 E, poco oltre: ... la Fiera di Matera per 8 giorni fu posta a 27 Febbraio 1409 con privilegio del Re Ladislao nel mese di Agosto, quando prima nel 1381 per la Regina Giovanna si faceva a Maggio per 8 giorni a S. Eustachio difensore della città; e ridotta per la festa di S. Maria della Baglia in maggior commodo nell’Agosto (ora da 3 agosto a tutto il 10). L’antica fiera era in contrada S. Stefano vicino l’Annunziatella come da istromento de Santoro padrone delle terre vicine.88

La Fiera in Matera venne istituita dalla Regina Giovanna I nel 1381, per 8 giorni con Privilegio a 20 Maggio festa di S. Eustachio, difensore di Matera nel 996 contro li Saraceni nella terza volta; Vescovo Giovanni II, poi a maggiore commodo il Re Ladislao la trasferì in Agosto 1409 per 8 giorni nella festa di S. Maria la Baglia, ed ora comincia a 3 Agosto sin 10.89

Il luogo in cui annualmente si teneva la fiera non è espressamente nominato nel privilegio del re Ladislao. Tuttavia, visto il grande concorso di fedeli presso la chiesa di S. Maria della Valle, la cui festa “de mense augusti ibidem devotissime celebratur”90, possiamo ipotizzare che si svolgesse nelle immediate adiacenze e non, come si pensa, nel piccolo cortile a essa antistante.91 Già “nel volger del secolo XV, la fiera fu trasferita fuor la porta settentrionale della città ne’ 6 giorni che precedono S. Lorenzo”,92 la cui festa è il 10 di agosto. Paulus Antonius de Tarsia, nel manoscritto De nundinis, del XVII secolo, asseriva che le “nundinae urbis Materae, et Gravinae nominatissimae sunt. Equo... nundinae in Universa Europa decantatissimae, toto maii mense gaudent, unde inter celebriores censentur”.93 L’autore può essere caduto in errore parlando della

A. Copeti, Notizie… (1780), ed. 1982, 46. A. Copeti, Notizie… (1780), ed. 1982, 49-50. 89 A. Copeti, Notizie… (1780), ed. 1982, 57. 90 N. Jeno de’ Coronei, Sinodo materese…, 1880, 67. 91 A. Lorusso, S. Maria della Valle detta “La Vaglia”. Matera in Insediamenti benedettini in Puglia. Per una storia dell’arte dall’XI al XVIII secolo, catalogo della mostra a c. di M. S. Calò Mariani, II/2, Galatina 1981, 596. 92 G. Gattini, Note storiche…, 1882 (rist. 1970), 209. 93 Napoli, Biblioteca Oratoriana dei Girolamini, P. A. de Tarsia, De nundinis, XVII secolo, Ms., f. 191r. 87

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fiera nel mese di maggio o, forse, successivamente al trasferimento accordato dal sovrano durazzesco, per una qualche ragione che ignoriamo, la fiera fu spostata nuovamente in maggio. I.3.2. Il XVI secolo Dal 1409 in poi registriamo, nella documentazione in nostro possesso, un salto temporale lungo di più di un secolo, periodo per il quale non si conoscono o non si verificarono eventi degni di nota. Dobbiamo attendere i primi decenni del XVI secolo per avere altre notizie relative alla chiesa. Nel repertorio delle consulte della Regia Camera della Sommaria, nel foglio riguardante quelle comprese tra il 1515 e il 1518, si registra una consulta “per lo Venerabile Don Agostino della Manna Cappellano della Regia Cappella, sistente dentro la Chiesa di Santa Maria della Valle della città di Matera, regio Ius patronato”.94 Il repertorio rimanda a un registro, perduto, che conteneva per esteso il testo delle consulte. Il rammarico per la perdita di questo registro è attenuato dall’importanza della notizia in sé. Non essendo riportata la dedicazione della cappella, risulta difficile identificarla correttamente nella chiesa. L’esistenza di una regia cappella testimonia, tuttavia, un evidente e ancor vivo interesse per quel luogo di culto anche da parte dei reali spagnoli. Nell’Inventario di tutti i beni mobili ed immobili stilato durante la Visita Pastorale, compiuta nella diocesi di Acerenza e Matera tra il 1543 e il 1544 dall’Arcivescovo Giovanni Michele Saraceno (1531-1556), la chiesa di S. Maria della Valle è menzionata più volte. Al foglio 167r si legge che l’Arcivescovo, recatosi nella sacrestia della chiesa Cattedrale di Matera per redigere detto inventario, vi trovò un’arca contenente alcuni beni e, al di fuori di essa, “... invenit libra quattuor Argenti qua sunt in posse magistri Mauri de Perrone aureficis de Civitatis pro conficendis duobus candelesiis quam dua libra sunt Santa Maria de Bruna e due sunt Santa Maria de Valle”.95 Fu allora ordinato al Decano e all’Arciprete, lì presenti, di far completare detti candelieri entro il mese di gennaio. Da tale documento si evincono un termine cronologico ante quem collocare l’incorporazione della chiesa alla Mensa Arcivescovile, anche se di seguito si preciserà che essa era “... perpetuo unita cum detta mensa a tanto

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Napoli, ASN, Museo, Miscellanea di scritture, Repertorio consulte, 99 c 64, f. 4 v. Acerenza, ADA, Inventario…, 1543-1544, Ms., f. 167r.

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Interessanti le informazioni che si ricavano da questa pagina dell’Inventario che sembra riportare fedelmente il testo latino di un documento, non menzionato. Innanzitutto, apprendiamo che le funzioni sacre sono ridotte a una messa settimanale, celebrata di sabato, forse a causa della scarsa affluenza di fedeli in questo luogo di culto extraurbano (“extra moenia de Civitatis”); inoltre, conosciamo il coinvolgimento dell’Autorità politica cittadina nel sostentamento economico della chiesa (“Dominus de Civitatis Matere tenetur solvere”). Al foglio 177v, infatti, leggiamo “Io Don Antonio de Cazarulo tengo un beneficio in Santa Maria della Valle e ne ho grani 600100  che paga la Baglia de Matera per una Messa la settimana”.101 Eustachio Verricelli, scrivendo nel 1595, conferma che “... li baglivi... nge sono obligati tenerci il Capellano con peso di una Messa la settimana et sey docati di elemosina”.102 A margine del manoscritto di Nelli, l’accolito Emmanuele Contini annota che “dalla Corte della Bagliva in ogni Anno si pagavano ducati sei, come dalla consulta della Regia Camera spedita sin dall’anno 1515, e si pagavano al Beneficiato, o Cappellano da tempo fu il duca di Gravina conte di Matera”.103 Certamente appare singolare che il sostentamento del sacerdote, incaricato di celebrare la Messa, sia a carico di un’istituzione politica. Il motivo andrebbe ricercato in quello che tale chiesa aveva rappresentato nel passato e rappresentava ancora nel corso del XVI secolo. Da un’iscrizione presente sulla lesena di destra che incornicia il portale cuspidato, ricaviamo un’altra attestazione della vivacità della devozione e dell’interesse manifestato per questa chiesa. L’iscrizione è la sequente: DIE 20 / ... 1569 / fra Bartol / (..)iaco pinc / hac porta. In basso appare graffito uno stemma, al cui interno figura un rombo esapartito. La scritta allude alla decorazione della lunetta del

Un’oncia d’oro equivaleva a 6 ducati, ovvero 30 tarì; un tarì a 20 grani. Acerenza, ADA, Inventario…, 1543-1544, Ms., f. 177v. 102 E. Verricelli, Cronica…, 1595, Ms., f. 14r. Il termine deriva da ballivi, coloro ai quali “… justitiae in provinciis et majoribus civitatis administrandae cura a Principe demandata erat” (Ch. Du Cange, Glossarium…, I, 1883 (rist. anast. 1982), 528) Il bajulo o baglivo era divenuto, poi, una sorta di sindaco della città (M. Morelli, Storia di…, 1963, 143). 103 Annotazione a margine in N. D. Nelli, Descrizione…, 1751, Ms., f. 126v. La consulta cui fa riferimento Contini non è stata rinvenuta, ma essa è successiva alla morte del conte di Matera Giovan Carlo Tramontano, avvenuta nel 1514. 100 101

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medesimo portale che reca ancora tracce di colore rosso, usato per la preparazione della pittura di cui ignoriamo il soggetto iconografico. La chiesa vantava ancora grande prestigio quando nel 1576, “venit Amplissimum Iubileum Anni Sancti missum ad hanc Civitatem Matherae per Reverendissimum Dominum Sigismundum Saracenum Archiepiscopum Matheranum concessum in amplissima forma a Sanctissimo Domino Nostro Domino Gregorio Divina Providentia papa XIII”,104 come ricorda il Decano del Capitolo Don Donato Frisonio (1524-1597).105 In quella circostanza, “fuerunt deputate quattuor Ecclesiae visitande pro consequenda indulgentia anni Iuibilei huiusmodi per Reverendissimum Dominum Archiepiscopum, videlicet Ecclesiam Cathedralem Matheranam, Ecclesiam Sancte Mariae de Valle, Ecclesiam Monasterii dive Annunziatae et Ecclesiam Monasterii Sanctae Luciae”.106 Si tratta dell’iniziativa di papa Gregorio XIII (1572-1585) di concedere alla diocesi di Matera la possibilità di celebrare il Giubileo, l’anno immediatamente successivo a quello in cui si celebrò nell’Urbe. Tale notizia offre la possibilità di formulare alcune considerazioni circa l’intitolazione della chiesa e la sua natura (se fosse stata annessa a un monastero sarebbe stato meglio specificato, come avviene per le altre due), circa l’importanza che all’epoca le si riconosceva rispetto alle altre chiese materane, e circa le sue condizioni e capacità ricettive, essendo evidentemente ancora adatta ad accogliere un consistente numero di fedeli. Nella sua Cronica Verricelli sostiene che detta chiesa fosse stata anticamente meta di moltissimi pellegrini, mentre ai suoi tempi “per la pocha divottione seni abstiene”.107 L’autore vuole farci intendere che, già nel 1595, la chiesa non svolge più quella funzione di attrazione spirituale che in precedenza svolgeva, trovandosi in una posizione ‘felice’, al crocevia di numerose strade che conducevano verso i limitrofi paesi pugliesi. Egli ricorda ancora che in questa chiesa, dedicata a Maria, “ngi è una sua immagine quale dicono che cavata dal muro e portata in mare da francesi per condurla in Francia seni tornò ad suo luocho dove oggi si vede intorno essere

Matera, Archivio Diocesano di Matera (ADM), D. Frisonio, Libro parrocchiale, Ms., f. 250r (irreperibile), trascrizione f. 49. (Cfr. Appendice, documento n. 4)  105 Questi fu pure segretario dell’arcivescovo Saraceno, suo conclavista nel Concilio di Trento e Protonotario apostolico. (M. Morelli, Storia di…, 1963, 231.)  106 Matera, ADM, D. Frisonio, Libro parrocchiale, Ms., f. 250r.  107 E. Verricelli, Cronica…, 1595, Ms., f. 9r. 104

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stata cavata”.108 Pensiamo possa trattarsi di un’immagine pittorica, realizzata in una nicchia scavata sul primo pilastro della navata destra, in quello che, come in seguito si vedrà, riteniamo sia il nucleo più antico dal quale la chiesa si è sviluppata. L’immagine doveva essere visibile non appena varcato l’ingresso dell’ipogeo, trovandosi in una posizione privilegiata e, al contempo, di facile accesso per i fedeli. La nicchia, ricavata a notevole altezza rispetto al piano di calpestio, presenta una sorta di cornice modellata nel tufo, atta a custodire edoffrire alla vista quanto in essa si conteneva. Non vi sono, in tutta la chiesa, altre nicchie o collocazioni che si prestino a tale funzione. L’ipotesi diventa verosimile se si tiene conto che appaiono ancor oggi, nella parte inferiore del riquadro più interno, evidenti tracce pittoriche di colore scuro, usato probabilmente per dipingere il manto della Madonna, conservatesi proprio perché poste a notevole altezza dal suolo. Considerando la notizia scevra del suo aspetto leggendario, ciò che resta indubbio è il furto, perpetrato in data imprecisata, che portò a considerare necessaria la realizzazione di un’altra immagine della Madonna, questa volta di dimensioni monumentali, che coprì il resto della superficie del pilastro, nascondendo una pittura più antica. Da un manoscritto anonimo e senza data, intitolato Carte attenenti tra Matera ed Acerenza, contenuto nel Fondo Gattini, apprendiamo che ... nel Protocollo di Notar Giulio Santoro del 1591 fol. 130, si ha che dovendosi celebrare il Sinodo Diocesano ne’ 20 maggio, giorno di S. Eustacchio Patrono di Matera, si fossero citati tutti li capi di Chiese, di Religioni, e Suffraganei... ed interveniva al solito nella chiesa di S. Eustacchio, o Cattedrale di Matera, al solito, e da ciò si capisce che non bene gli Acheruntini nel giorno di S. Canione chiamano questi all’obbedienza come dicono, ed anche l’Abate della Vaglia, che s’intende l’Arcivescovo, ma si sono chiamati, e si devono chiamare qualora si fosse colà celebrato il Sinodo Diocesano, ugualmente dovrebbero chiamarsi in ogn’altro luogo quello si celebrasse, ed anche li Suffraganei, non già à per la sognata obbedienza o dipendenza...109

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E. Verricelli, Cronica…, 1595, Ms., f. 9r. Matera, BMRM, Fondo Gattini, n. inv. 3383, Anonimo, Carte attenenti tra Matera ed Acerenza, s. d., Ms., f. 1r.

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