Storia degli insediamenti Medievali nella valle del Bradano Indagine conoscitiva e proposte di fruizione
Nicola Caruso
Storia degli insediamenti Medievali nella valle del Bradano
Nicola Caruso
ISBN
88-86820-72-1
9 788886 820721
UNIONE EUROPEA
REGIONE BASILICATA
GAL BRADANICA
Alto Medioevo e periodo longobardo Con la caduta dell’impero Romano e dopo il periodo Bizantino gran parte della Lucania entrò nell’orbita del ducato Longobardo di Benevento. Difatti, a meno di quindici anni dalla conclusione della “guerra gotica”, la Lucania si preparava a subire le mire espansionistiche di Zottone (duca di Benevento). Gli “exercitales beneventani” oltrepassarono l’Ofanto, stabilendo presidi presso Pescopagano, Ruvo, Vietri, Satriano, nella valle dell’Agri e, convergendo verso nord, occuparono Venosa e strinsero d’assedio Acerenza. Alla confisca della terra, i longobardi fecero seguire gli assalti ai beni delle chiese e delle comunità monastiche, alle quali si impose la presenza di sacerdoti ariani, decisione che provocò la fuga di gran parte dei religiosi. Alla morte di Zottone, avvenuta nel 592, la guida del Ducato di Benvento fu affidata ad Arechi. Quest’ultimo, pur non convertendosi mai la cattolicesimo, mantenne una posizione di grande tolleranza nei confronti delle diverse entità religiose presenti in Lucania. Fu infatti neutrale nei confronti degli ebrei, che in gran numero e sin dall’antichità vivevano a Venosa ed in altre zone della regione. Con i Longobardi, la Lucania scompare in quanto circoscrizione territoriale (presente al tempo dei romani) ed al suo posto subentrano vari gastaldati: Venosa, Acerenza (che conta fra le sue contee anche Potenza), Latiniano (che comprende Marsico ed è esteso fino al Pollino), Lucania (il territorio a sud del Sele con al centro Paestum) e Laino (che comprende la valle del Mercure e quella del Lao). Vengono eretti nuovi centri fra i quali Satriano, sede vescovile dalla metà del IX secolo, mentre Tricarico, Montescaglioso e Montepeloso (oggi Irsina) (in una posizione dominante fra le valli del Bradano e del Basento), assurgeranno al ruolo di città. I tre centri situati sulla Gravina furono unificati con il nome di Mateola (Matera) e cinti di mura, mentre sul Tirreno vennero fortificate Malatei (Maratea) e l’isola di Dino. -7-
Anche l’unità politica dei Longobardi fu presto minacciata e con Costante II, Imperatore di Bisanzio, si cercò di tessere alleanze e di riconquistare i territori perduti in Italia, riuscendo anche a raggiungere il gastaldato di Aderenza. Lo stesso imperatore fu successivamente costretto ad abbandonare il campo poiché, come racconta Paolo Diacono nella sua “Historia Langobardorum”: “Argentia sane propter munitissimam loci positionem capere minime potuit” (inserire la traduzione). Durante il periodo dell’iconoclastia, la Lucania vide riparare sul proprio suolo molti monaci, i quali risalendo la costa ionica, approdarono lungo le valli dell’Agri e del Sinni. La loro influenza sulla ripresa dell’economia in vaste zone della regione, soprattutto fra il IX e l’XI secolo, sarà estremamente rilevante. Essi si adoperarono molto in opere di bonifica e nel ripristino delle attività agricole. Fra l’VIII ed il IX secolo anche le comunità cattoliche cominciarono a riorganizzarsi. Nell’anno 761 Senualdo era vescovo di Grumento, mentre pochi anni dopo, Leone saliva sulla Cattedra di Aderenza. Più tardi, precisamente nell’826, troviamo Balas come Vescovo di Potenza, mentre Venosa dovette attendere ben oltre l’anno mille per la nomina di Pietro. Entrato in crisi il regno Longobardo, schiacciato dai nascenti rapporti fra la chiesa e i franchi, a testimoniare la loro grande potenza sul suolo italico rimase il solo Ducato di Benevento. Arechi, in cambio del controllo sul Ducato, aveva promesso a Carlo Magno di disarmare le proprie fortezze fra cui quella di Acerenza (cosa che non avvenne). Dopo la morte di Arechi, i Longobardi si disputavano la successione tra i pretendenti Siconolfo e Radelchi, i quali, pur di raggiungere il proprio obbiettivo, strinsero alleanze con i Saraceni. Questi ultimi ne approfittarono per estendere i propri domini sul Mezzogiorno. Apollafar, al servizio di Radelchi, si spinse nel Latiniano e poi nel metapontino, dove costruì un campo fortificato sul colle ove sorgerà Tursi. Successivamente, edificata la roccaforte sulle montagne di Pietrapertosa, i saraceni occuparono Tricarico ma non riuscirono ad espugnare Potenza. La disputa fra i due pretendenti finirà con la divisione dell’antico Ducato in due circoscrizioni, sotto la supervisione di Lotario, succeduto al trono del Sacro Romano Impero nell’843.1 Nel Principato di Salerno, riconosciuto a Siconolfo, confluivano i gastaldati di Acerenza (per la media parte), di Latiniano, di Laos, di Lucania e di Conza, mentre solo la restante parte del gastaldato di Aderenza e la regione del Vulture rimanevano nel Principato di Benevento. -8-
La Lucania era divenuta oramai preda delle scorrerie saracene che arrivavano da Taranto verso l’interno, conquistando anche Matera e Tursi. Da quest’ultimo avamposto si spinsero fino a Venosa, senza però riuscire ad espugnare Acerenza. Nonostante tutto, i ducati longobardi riuscirono a conservare una immutata autonomia politica. Il tessuto sociale della regione era profondamente mutato, ma i due secoli di dominazione longobarda avevano contribuito al formarsi di una cultura di confine fra l’Europa barbarica e le grandi civiltà del Mediterraneo. Per fronteggiare l’avanzata saracena nel Sud, giunse in Italia Ludovico II che, grazie ad un’alleanza con l’esercito bizantino, nell’inverno dell’anno 871 sgominò la resistenza saracena di Bari. Alla morte di Ludovico, i Bizantini riconquistarono la Puglia, cercando di guadagnare posizioni nel Latiniano. Contemporaneamente, bande musulmane saccheggiavano la Calabria e occupavano, in val d’Agri, l’antico municipio romano di Grumentum, che in questo assalto conoscerà la sua definitiva eclissi. Fra l’880 e l’886, approfittando della richiesta di aiuti dei principi longobardi per fronteggiare l’avanzata musulmana, i bizantini riprendono il controllo dei territori della costa pugliese e dei principati di Salerno e Benevento sui quali, da quel momento, i principi longobardi avrebbero esercitato una autorità puramente formale. La Lucania sarà teatro di lotta per i bizantini, che costruivano torri e castelli sulle alture per controllare le posizioni degli arabi, ben assestati lungo i fiumi e la costa ionica, con un presidio fortificato nei pressi di Tursi. L’unità geopolitica della Lucania finisce con l’elezione al trono di Costantinopoli di Giovanni I Zimisce, che ottemperando alle richieste di matrimonio fra la principessa Teofane ed Ottone II, erede al trono d’Occidente, decretò la pace. In seguito a questo “accordo”, il Principato di Capua e Benevento venne riconosciuto all’Imperatore d’Occidente, mentre la Lucania orientale, la Puglia, la Calabria e la sovranità sul Principato di Salerno rimanevano in saldo possesso del Basileus Giovanni I Zimisce. Con questa nuova configurazione politica, la Lucania non conservava più nulla dei confini della circoscrizione romana augustea. I bizantini suddivisero il territorio in Temi, cosicché il gastaldato di Latiniano, la contea di Potenza, l’alta e media valle del Bradano, il Vulture e la roccaforte di Acerenza, confluirono in uno dei tre Temi del Catapanato d’Italia, che comprendeva il Tema di Langobardia, il Tema di Ca-9-
labria e quello di Lucania con capitale a Tursi, sottratta ai musulmani, in posizione dominante rispetto alla rotta preferita dalle incursioni arabe. Il Catepanato rappresentava una regione posta sotto il controllo di un “supremo uffiziale” detto “Catapano”2. Nel X secolo continuarono le incursioni saracene e nel 985 gli arabi, risalendo il Bradano, colpivano duramente Venosa. Il feudo di Pietrapertosa costituì il caposaldo delle incursioni saracene dal Basento verso Tricarico, Tolve ed Acerenza. In quello stesso periodo i bizantini fortificavano Matera, in una fase in cui l’egemonia nel Tema di Lucania era già forte e consolidata, lasciando intravedere anche i primi segni di una certa ripresa economica, in parte incentivata dall’opera dei benedettini e dei basiliani. Poche sono le notizie riguardanti le modalità della convivenza tra questi due ordini religiosi in epoca bizantina. E’ noto che nel 968 la sede vescovile di Tursi, venne sottoposta alla giurisdizione del vescovo greco di Otranto, insieme a Matera, Acerenza e Tricarico e che, quale avamposto della chiesa di Roma, venne scelta la diocesi di Montepeloso (Irsina). Nella parte nord occidentale della regione, sottoposta alla giurisdizione longobarda, prevaleva invece il rito latino, come dimostrano gli antichi monasteri benedettini di Monticchio, Banzi e il vescovato di Potenza. Fra il X e l’XI secolo, sui fianchi della Gravina di Matera, di quella di Picciano e sui terrazzamenti creati dai depositi alluvionali del fiume Bradano, sorsero diversi nuclei di chiese rupestri. In questi luoghi di preghiera scavati nella roccia si ritiravano in silenzio i Padri basiliani, ispirati ad una regola religiosa pacifica e non violenta. In questa difficile e tormentata fase congiunturale, il Mezzogiorno e la Lucania rappresentano un nodo cruciale di tensioni politiche: lo dimostrano i continui complotti tesi fra le Case regnanti, la Chiesa e i Principi longobardi, nel tentativo di destituire l’autorità bizantina. Difatti, poco dopo il mille, esattamente nel 1018, una violenta rappresaglia longobarda metteva in allarme il presidio bizantino di Canne. La battaglia, combattuta nell’ottobre del 1018, fu vinta dalle forze del Catalano e durante la stessa facevano la loro prima comparsa i cavalieri normanni, che nel giro di pochi decenni creeranno i presupposti per l’unificazione geopolitica del mezzogiorno d’Italia.
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Periodo normanno svevo Proprio dopo la sconfitta di Canne, parte dei normanni superstiti decisero di stabilirsi al Sud, richiamando al seguito le proprie famiglie. In una situazione politicamente destabilizzata, essi non tardarono ad inserirsi adeguatamente nel gioco politico dei principi italiani. Un primo contingente normanno, guidato da Arduino, si impadroniva di Lavello, Ascoli Satriano e Melfi. A questo punto, cominciavano a gestire la loro forza ed il loro impegno militare con una nuova mentalità strategica e politica e, grazie ai territori della contea di Aversa e del ducato di Melfi, riconosciutigli dal Principe longobardo di Salerno, essi acquisivano una posizione autonoma di dominio nel Mezzogiorno. Guglielmo Braccio di Ferro, primogenito degli Altavilla, fu eletto capo a Melfi e la città, divisa fra i dodici conti, diveniva la capitale del nuovo stato e proprio in questa circostanza fu creato il famoso castello. Da questo momento, l’egemonia normanna cominciò a crescere parallelamente al declino delle aristocrazie longobarde e bizantine, iniziando un periodo di duri contrasti e riavvicinamenti con il papato. Nel gennaio del 1072 l’egemonia normanna si era estesa fino alla Sicilia e nulla aveva potuto la reazione bizantina contro l’astuzia e l’abilità di Roberto d’Altavilla, proprio per questo detto il Guiscardo. Ma Gregorio VII, non vedendo di buon occhio l’avanzata dei normanni, cercava invano di incitare alla rivolta le popolazioni locali, stremate da anni di conflitti. Dopo aver domato l’ennesima congiura interna, il Guiscardo conferma al nipote Roberto, conte di Montescaglioso, la contea di Matera, ma gli sottrae Santarcangelo, Roccanova, Castronuovo, Colobraro e Policoro, che assegna al duca di Andria già possessore di Banzi. Nel 1081, Gregorio VII dovendo fronteggiare l’elezione dell’antipapa ritira la scomunica precedentemente fatta e riconosce la signoria degli Altavilla su Salerno e Amalfi, in cambio di fedeltà e protezione. Intanto in Basilicata inizia un periodo di grandi costruzioni di chiese e monasteri. Ad Acerenza il vescovo Arnoldo dava inizio alla costruzione della nuova basilica e, mentre il duca Roberto, soprattutto in tempi di scomunica, concedeva beni e privilegi ai vescovi della sua zona, il conte di Chiaromonte faceva donazioni alla comunità monastica di rito greco di Carbone, sulla quale esercitava giurisdizione il vescovo di Tursi, di rito latino. Morto Roberto il Guiscardo, a Boemondo, che era uno dei due figli, venne affidato un grande feudo che comprendeva anche Taranto, Matera, Montepeloso e Torre di Mare o Santa Trinità (l’antica Metaponto). - 11 -
Nel 1089 Urbano II convocava un nuovo Concilio che si svolgeva proprio nella lucana Melfi. Nel 1130, dopo tormentate vicende, Ruggiero II diviene sovrano di Sicilia, di Puglia e di Calabria, unificando di fatto il meridione d’Italia. Nella sua lunga reggenza Ruggiero diede un ordinamento ed una legislazione unitaria al Regno, opera poi completata da Guglielmo I con il “Catalogus Baronum”. Egli trasformò i vecchi feudi in Camerariati e Giustizierati: così nasceva il Giustizierato di Basilicata.3 Ma dopo la morte di Ruggero II le vicende delle successioni al trono non toccarono da vicino la Basilicata, poiché il cuore della politica normanna si era ormai spostato a Palermo, dove risiedevano anche gran parte dei conti. Pur non registrandosi fermento nelle città lucane, notevole importanza in quest’epoca (XII secolo) ebbero le comunità monastiche, discretamente incrementate soprattutto grazie all’opera dei benedettini. Particolare rilievo assunsero la comunità di San Michele Arcangelo di Monticchio e di Montescaglioso. (vedi capitolo 2.2.) Con l’insediamento degli svevi, in particolar modo sotto Federico II, avviene un nuovo interesse dell’imperatore nei confronti della Lucania, anche per la vicinanza alla Puglia che fu un territorio prediletto dallo stesso. Nel 1221, durante un viaggio in cui si diresse a Salerno e poi in Puglia, egli raggiunse la costa ionica. Questa fu l’occasione in cui il nuovo sovrano stabilisce i primi contatti con la Basilicata ed in particolare con i paesi della contea di Montescaglioso e della diocesi di Anglona. Tra le foci del Bradano e del Sinni, Federico II rimase particolarmente colpito dalla fertilità dei suoli e dall’estrazione di pece e catrame realizzata utilizzando i tronchi di pino, trasportati sino al mare dalle correnti fluviali. Grazie al suo intervento, il porto di Eraclea tornò a rivivere dopo anni di abbandono. Nella regione del Vulture, Federico II si fermò per la prima volta nel 1225, quando a Melfi decise di convocare la Dieta per il reperimento dei fondi straordinari da destinare all’allestimento dell’armata da inviare in Terra Santa. Nel maggio del 1231, Federico II ritornava in Basilicata insieme a Pier della Vigna e all’arcivescovo di Capua, ai quali era stato affidato il compito di raccogliere, in un unico corpo legislativo, le disposizioni emanate a Capua, Messina, Melfi, Siracusa e S. Germano a partire dal 1220. Concluso questo lavoro, nell’agosto del 1231, innanzi alla solenne Dieta di Melfi, venivano promulgate le “COSTITUTIONES REGNI SICILIAE”, correntemente chiamate “AUGUSTALES” o “MELFIENSES”, strumento legislativo di primaria importanza nel panorama dell’Europa Medioevale. - 12 -
Dal punto di vista militare, nonostante non risiedesse a lungo in Basilicata, Federico II operò una generale ristrutturazione delle fortificazioni. Circa trenta, secondo l’elencazione degli “STATUTA OFFICIORUM”, erano i fortilizi nel territorio regionale quando Federico ordinò la costruzione del castello di Lagopesole (1242), la ristrutturazione della domus di Palazzo S. Gervasio e la costruzione del portale della basilica della Trinità di Venosa. Inoltre nel 1241, il sovrano stabilì che si disponesse a Melfi il centro di raccolta della tesoreria imperiale e la fondazione di una delle tre “SCHOLAE RATIOCINII” del Regno di Sicilia. Con la morte di Federico II, iniziò un periodo ricco di avvenimenti politici: si diede inizio alle varie cospirazioni che caratterizzeranno la società del mezzogiorno italiano per secoli; ci furono le prime avvisaglie di una cospirazione “guelfa” nel sud della Basilicata, dove i Sanseverino, al confine con i loro possedimenti calabri di Bisignano, fomentavano con il Papa la caduta della dinastia sveva. Con l’insediamento degli Angioini e di re Carlo, che pure si fermò brevemente a Melfi, nell’autunno del 1269, la capitale fu spostata a Napoli, dando inizio ad una politica accentratrice che durerà sostanzialmente fino all’unità d’Italia. Di conseguenza, veniva sottratta a Melfi la rilevante funzione politica ed amministrativa che l’aveva caratterizzata a partire dall’avvento Normanno.
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