... La pioggia attraversa la luce obliqua dei fanali, lo stridore convulso dei i forsennati richiami. La ferocia distante dei e i container che contengono il vuoto del mondo...
PAOLO POLVANI
Paolo Polvani è nato nel 1951 a Barletta, dove attualmente vive. Ha pubblicato la sua prima raccolta di poesia nel 1989, dando alle stampe Nuvole balene, per i tipi della Antico mercato saraceno (Treviso). Del 1998, invece, è La via del pane, per i caratteri della Oceano (Sanremo). L’anno successivo è uscita presso La Fenice (di Senigallia) la raccolta Alfabeto delle pietre. Sue poesie sono state pubblicate anche da diverse riviste, fra le quali: Steve, Anterem, La corte, L’immaginazione, L’area di Broca, Offerta speciale, L’ortica, La Vallisa, Portofranco, Contrappunto e Quinta generazione. Inoltre, Polvani è presente in diverse antologie, tra le quali va annoverata Poeti della Puglia, edita nel 1979 dalla casa editrice romagnola Forum.
trasporti urbani
PAOLO POLVANI
Trasporti urbani ha vinto il premio Liberalia Città dei Sassi, sezione “La città”.
trasporti urbani
€ 8,00 ISBN
88-86820-49-6
i poeti
Breve introduzione Il confine naturale della parola poetica è il silenzio. La poesia si rapporta intensamente col silenzio, dal quale scaturisce e nel quale s’immerge. È basilare avvertirne la presenza o come pausa o come scarto di senso. Il silenzio testimonia i connotati della parola: suono, immagine, colore, struttura. La nostra vita si dibatte in una rete di brusii, rumori, clamori esibiti, una griglia sonora che contorna e avvolge la nostra esistenza. Il silenzio diviene un bene prezioso, minacciato com’è dalla vita urbana e dalle folle che ci tolgono la solitudine senza darci compagnia. Siamo assediati dal rumore. Si registra un interesse nuovo verso la poesia perché abbiamo bisogno di silenzio? Che è attesa, sospensione, spazio da riempire di riflessioni, bagliori, vuoto creativo. Anche visivamente la poesia nasce da uno spazio di silenzio; infatti, il bianco della pagina è silenzio, la sospensione, la cesura è silenzio, il ritmo contiene il germe del silenzio. Il poeta si avventura a sfidare le ambiguità verbali, a travalicare le norme del linguaggio, ad attingere alle oasi del non-senso, del non detto, saturo di significato, esibendo la fascinazione del silenzio. Ed è tendendo la mano a questo fantasma che nascono i Trasporti urbani. La prima connotazione sensoriale della città è il movimento, un movimento che c’impegna a livello visivo e uditivo. Il panorama quotidiano è composto da veicoli, metropolitane, semafori. È nelle stazioni che il buio evidenzia i suoi labirinti ed emergono personaggi che sventolano il loro enigma. È qui che i container manifestano il vuoto del mondo. È nel fragore delle metropolitane che ci si può interrogare su di uno stranito senso della vita. Ed è in mezzo ai singhiozzi del motore che meglio si delinea un Appennino bianco e assoluto. È nella disperazione di una scarpa abbandonata sul ciglio della strada che il tragico contorno di incidenti viene ad abitare in mezzo a noi e ci si può finalmente interrogare sull’esatta formula della deflagrazione. 3
Dal fantasma del silenzio prende forma la curiosità, l’attenzione nei confronti dei soggetti che sono attori della città del movimento. Nasce una tensione a registrare nello sguardo e nel verso la temperatura della felicità, del disagio, a volte della disperazione. Nasce la simpatia, il trasporto. Ecco, quindi, che il termine “trasporti” allude al doppio significato del movimento urbano e della partecipazione emotiva, dell’interesse verso i personaggi di tutti i giorni. Per evidenziare i quali è necessario affilare il linguaggio, renderlo acuminato. Compito del poeta è modellare un linguaggio che sappia restituire l’eco del presente, il riverbero della realtà. La poesia, allora, diventa uno specchio in cui riconoscersi, scrutarsi, individuare le esatte coordinate. Che parli del brulicare segreto delle metropolitane o della piccola cinese che guarda scorrere la città oltre i vetri del tram, o della postina emigrata a Parma, dell’impiegata di Modena, dell’operaio che muore di infortunio il giorno prima della pensione, della vita dei cani randagi, è nella geografia di questi sentimenti che la poesia invita a specchiarsi e a riconoscersi. L’autore
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La ringhiera Il cigolio dell’alba scopre una ringhiera che spalanca un vuoto. (Il buio dell’essenza, il grembo di ogni fertilità.) Brandelli di un vento che accarezza le strade rastrella l’oscurità.
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Una cinese con una rosa in mano Sale una cinese dallo sguardo perso con una rosa in mano sul filobus trentatre che porta fino a Linate uno scarno pubblico su scarne panche in legno anni cinquanta. La piccola cinese trastulla la sua rosa. Il filobus sferraglia e sfiora Corso di Porta Nuova, attraversa Corso Galilei, costeggia la stazione. In via Vitruvio la piccola cinese scende con la sua rosa rossa tra le mani.
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Milano a metro Ci tuffiamo nei libri, nuotiamo nelle mutevoli correnti di un quotidiano, mettiamo un’estrema cura nell’evitare di guardarci nel fragore della metropolitana. Ci rannicchiamo dentro un piccolo e ostinato sÊ. Io vedo le melagrane nelle pupille delle ragazze. Vedo campi di melanzane nei paesaggi di anziane casalinghe. Vedo i saluti di operaie dallo sguardo buono. Vedo piccoli angeli tendere la mano con semplicità .
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Oltre le teste ripiegate sui libri Oltre le teste ripiegate sui libri scorrono traballando le stazioni. Quale sorriso abita Molino Dorino e dove va chi scende a Porta Venezia? ma qui non sorride nessuno. Il Budda che abita il mio cuore vorrebbe abbracciarvi uno per uno.
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Panca La resa s’abbarbica al silenzio. Spargono indizi calzini bianchi e un berretto rosso di lana. Dorme. Deragliato in un’ansa di sonno. È la stazione di Ancona, è mezzanotte, piove. Si è dimenticato di sé. La pioggia attraversa la luce obliqua dei fanali, lo stridore convulso dei freni, i forsennati richiami. La ferocia distante dei carri e i container che contengono il vuoto del mondo. (Ansimare. Il perdurare di una pausa) Il buio evidenzia i suoi labirinti. In un misterioso punto del percorso c’è la sagacia di un berretto rosso. Contro il legno di una panca quell’uomo agita l’enigma di una giacca corta.
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Se ancora la pioggia Se la pioggia scandisce bene le sue sillabe battendo sui sagrati, sui marmi, sulle pietre nude della cattedrale, sulle cupole verdi, sugli ombrelli, sullo sguardo di lana bagnata che sempre esibiscono i cani all’approssimarsi della primavera, se scivola lungo le torri, se lambisce il tanfo di piscia che sotto i portici stagna, se bagna la solitudine dei cortili, dei vecchi, dei gatti, delle radio lontane, la solitudine dei poemi e dei panni abbandonati sui fili, delle parole inevase, se impensierisce la nostalgia dei semafori lungo i bei viali dove passano gambe nude e impermeabili rossi, e sfilano i tram con le facce assopite, assortite, assorte dietro i vetri o assorbite dal nulla di un pensiero, e un uomo alla finestra fuma severo e sotto i portici respirano vecchie signore, se la pioggia nei chiostri si affanna a lucidare le piante, e il rumore dell’acqua attinge a un dolore cupo, se la pioggia non finge, non è una metafora, se la pioggia fa uno sproloquio, un monologo, bercia, se allinea le gocce distillate dal cielo, fitte, sincere, come vocali distinte, come sillabe ben allineate sui tetti, sul luccichio dell’asfalto, se la pioggia rimbalza sui sottili sospiri dei morti, che a primavera tornano ad agitarsi, a rimpiangere il mare, la farina del pane, i passi sull’erba, e sotto la pioggia hanno sussulti improvvisi, e spingono come le margherite nei campi, e la pioggia accarezza i loro sguardi vuoti, se la pioggia fiorisce sui tetti delle auto e sulle parole sparse, sulle geometrie dei quartieri, e non s’interroga sulle provenienze, le destinazioni, gli orari, non fa domande, non chiede, semplicemente pioggia sui vetri, pozzanghere, se ancora la pioggia bagna questa città, che potrebbe essere Bologna, lascia le sue impronte fino in questa poesia, lambisce l’inganno.
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Tutto infine s’acquieta Tutto infine s’acquieta. Il fumo è dileguato, il fanalino che lampeggiava tace. Si sono smorzati gli scricchiolii dopo lo schianto la polvere è sparita. In fondo al buio si riaffaccia un grillo, timidamente. Il muro ha emesso dei brevi gorgoglii l’automobile si è accartocciata la notte ha riassorbito l’urlo delle lamiere. Adesso i tre amici scendono e s’incamminano nel buio. Senza guardarsi. Senza più parlare. Senza voltarsi, senza più la voglia di salutare i corpi lasciati in eredità alla notte.
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