Veins n11

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Numero UNIDICI

Rivista tecnico-scientifica on-line a diffusione mirata • Organo ufficiale della AFI - Associazione Flebologica Italiana

Sclerotherapy e gli altri La flebologia oggi: attualità e prospettive future Abstracts dalla letteratura Comparison of Sclerosant Foam Stability by Foam Composition Ulcere degli arti inferiori: Studio Multicentrico Congiunto AFI – SIFCS – SIF Trattamento Laser degli inestetismi vascolari del volto


è un supplemento de

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Diffusione nazionale

Medici specialisti in: anestesia e rianimazione, Angiologia e Flebologia, Chirurgia generale, Chirurgia plastica, dermatologia, dietologia, endocrinologia, fisiatria, malattie reumatiche, Medicina sportiva e patologia vascolare, centri di Medicina e Chirurgia Estetica, estetica medica, medici di base, studi privati di agopuntura e mesoterapia, infermieri professionali, ambulatori di chiroterapia, fisioterapia, fisiokinesiterapia e massaggi, poliambulatori, case di cura e cliniche private, direttori sanitari: A.S.L., ospedali, stabilimenti termali, associazioni e istituzioni sanitarie, istituti scientifici e di ricerca, docenti e corsisti Divisione Didattica VALET: C.P. M.A. e C.E.D.A.

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Sclerotherapy e gli altri I

n mezzo agli innumerevoli riscontri positivi all’edizione 2017 di Sclerotherapy abbiamo ricevuto una sola lettera di lamentele. Le critiche sono sempre ben accette se costruttive ma quando sono artificiose e soprattutto immediatamente diffuse su internet c’è il fondato sospetto che siano create ad arte. In questo modo la maggioranza rimane silenziosa e la minoranza diventa rumorosa.Quando ci si lamenta che le sedie erano disordinate in un’aula strapiena di 400 persone mi viene da sorridere. Ricordo molti congressi che sembravano più che altro delle riunioni condominiali. Le sedie erano ben allineate ma vuote. Ci si lamenta poi di porte chiuse a chiave che renderebbero insicura la riunione senza accorgersi che le porte chiuse erano quelle di un’aula non utilizzata durante i lavori congressuali. Insomma mi sembra una polemica un po’ artificiosa e non mi toglie nessuno il sospetto dalla testa che l’ispiratore di questa cosa sia un noto personaggio rimasto per così dire “deluso” dal mancato invito al congresso (tanto possiamo immaginare facilmente di chi stiamo parlando).

EDITORIALE DI

Dr. Alessandro Frullini Presidente Onorario AFI

Capisco che un congresso indipendente come Sclerotherapy possa dare fastidio a una certa nomenclatura troppo avvezza agli ossequi e poco ai contenuti ma queste persone se ne dovranno fare una ragione. Sclerotherapy e l’AFI non sono mie ma di tutti quei medici che pensano a lavorare e vogliono aggiornarsi in modo serio, senza inutili passerelle, lo dicono i numeri più di ogni altra cosa. Attaccare il congresso o l’AFI significa mancare di rispetto a quei medici. Se qualcuno trova le nostre riunioni tanto povere di contenuti può semplicemente rivolgersi altrove. Leonardo Sciascia nel “Giorno della civetta” distingueva il genere umano in cinque categorie. Decida liberamente il lettore in quale collocare certi personaggi. Buon lavoro a tutti Dr Alessandro Frullini Presidente Onorario AFI Associazione Flebologica Italiana a.frullini@associazioneflebologicaitaliana.it

Partecipa attivamente a

Continua la rubrica dedicata ai commenti dei nostri lettori inerenti a tutti gli aspetti che gravitano attorno alla nostra professione: dal rapporto medico-paziente al racconto di esperienze lavorative personali, dalle questioni medico-legali alle esigenze pratiche del flebologo ai nostri giorni. Ogni riflessione verrà valutata dal comitato redattore e, compatibilmente con gli spazi della rivista, pubblicata. Sono ben gradite anche le critiche costruttive e i suggerimenti per far crescere la nostra Associazione. I commenti andranno inviati al seguente indirizzo: casonipa@ippocrateparma.it

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La flebologia oggi: attualità e prospettive future F

LEBOLOGIA: LE STRUTTURE La malattia varicosa degli arti inferiori è sempre stata considerata una patologia di interesse secondario: difatti, non provoca pericoli imminenti per la vita dei pazienti, se non in casi eccezionali. Ciò è valido oggi come in passato, nonostante i progressi diagnostici e terapeutici che si sono visti negli ultimi anni. Eppure, è stimato che circa il 70% della popolazione in età compresa dai 18 ai 75 anni si rivolga al medico per problemi inerenti alle proprie gambe, che spaziano dall’esigenza di eliminare un semplice inestetismo (teleangectasia) ad una tromboflebite oppure ad una lesione ulcerativa. La disciplina universitaria che in Europa ha governato la scienza della flebologia è da sempre stata la Chirurgia Vascolare, che contempla anche lo studio delle più nobili patologie di arterie e linfatici. Di conseguenza, alla flebologia sono sempre stati dedicati poco spazio, tempo ed attenzione. Queste considerazioni fanno sì che anche oggigiorno sia raro trovare nosocomi dotati di centri specialistici dedicati con formazioni specialistiche all’avanguardia, in Italia come in Europa, sebbene già vi si possano trovare realtà più moderne, ad esempio in Francia, Spagna o Austria. Personalmente, ho la fortuna di dirigere un Centro Flebologico di alto livello in Spagna, dove stiamo organizzando un’unità operativa di diagnosi e terapia tra le più moderne ed efficienti del paese. Quest’ultima abbraccia completamente la problematica del paziente “flebopatico”, dalla semplice diagnostica Doppler in CW, al Duplex 3D, al CT fleboscan, fino alla sofisticata camera iperbarica. A Parma stiamo agendo allo stesso modo: presso il Centro Ippocrate difatti si trova la prima Vein Clinic della città, in collaborazione con strutture private convenzionate come il Centro diagnostico Europeo Dalla Rosa Prati, e le cliniche Hospital Piccole Figlie e Val Parma Hospital di Langhirano. FLEBOLOGIA: LE NOVITÀ I progressi nel settore diagnostico sono esplosi con l’avvento degli ecografi e della possibilità di abbinare all’analisi della morfologia quella della dinamica dei fluidi. In cinque anni, l’approccio a queste patologie

PRESENTAZIONE DI

Dr. Paolo Casoni casonipa@ippocrateparma.it

è cambiato quasi completamente, grazie al miglioramento costante delle apparecchiature, che permette di osservare dettagli sempre più piccoli ed al lavoro di professionisti dedicati. Ciò ha permesso un rimodernamento delle concezioni di anatomia del sistema venoso, che risalivano al XVI secolo circa. Oggi i concetti di anatomia ed emodinamica sono nuovi e , se applicati alle procedure terapeutiche, possono fornire migliori risultati con costi ridotti e minore aggressività [Si pensi che le patologie del sistema venoso (varici, flebiti superficiali e profonde, complicanze cutanee fino alle ulcere) rappresentano una delle maggiori spese della sanità pubblica in Gran Bretagna, e tra le minori in Austria]. Un dato interessante sono i deludenti risultati riguardanti le percentuali di recidive di malattie trattate, sia per le semplici “vene varicose” che per le ulcere trofiche - complicanza che segue una patologia venosa mal trattata negli anni. Il 50/70% circa dei pazienti sottoposti a trattamenti chirurgici codificati ed accettati – ovvero, ablativi sul sistema venoso, come la safenectomia, - presentano una recidiva della malattia a 5 anni se non accuratamente seguiti. Ad esempio, il 71% delle ulcere flebostatiche risulta recidiva nei due anni seguenti una terapia che li ha portati a guarigione. Il problema potrebbe esistere più come conseguenza sociale o socio-economica, ma ciò non è ancora stato stabilito. In ogni caso, un approccio terapeutico più conservativo, personalizzato, non standardizzato può offrire risultati migliori. FLEBOLOGIA: LA DIAGNOSTICA E IL TRATTAMENTO L’approccio diagnostico alla malattia varicosa degli arti inferiori non può prescindere dallo studio emodinamico ed anatomico del circolo venoso superficiale o profondo, sia per individuare un paziente con sindrome teleangectasica o con reale sindrome da stasi. Nella maggioranza dei casi, l’eco-color doppler consente precise puntualizzazioni diagnostiche e permette di pianificare un successivo e preciso iter terapeutico. In particolari casi, ad esempio una particolare complessità del sistema venoso coinvolto nella patogenesi della sintomatologia, oppure con malfor-

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nale, dedicato e preparato in Austria, laddove è nato il primo centro europeo per la gestione ambulatoriale della TVP, e fallimentare in Gran Bretagna, dove la politica sanitaria ha relegato all’ultimo posto le patologie del sistema venoso]. L’atto chirurgico è subordinato all’esito dello studio di ogni singolo arto che, data la frequenza (30%) di anomalie anatomiche del sistema venoso superficiale potrà risolversi con semplicità (flebectomia) oppure richiedere più delicate manovre sui vasi coinvolti, ma mai in modo standardizzato. Difatti, si è ormai lontani dall’antico assioma secondo cui “le varici necessitano la safenectomia” ed ogni arto andrà dunque trattato differentemente. La tecnica che è stata introdotta da R. Muller negli anni 60 rimane valida tutt’ora, sia pur con migliorie a favore di una minore aggressività apportate da altri Autori. Trattasi difatti della flebectomia con particolari uncini di varia foggia e misura che attraverso microincisioni – 1 o 2mm a seconda dei casi - consentono l’eradicazione delle vene refluenti senza lasciare cicatrici visibili, e consentono al paziente di ritornare ad una vita normale dopo 24-48 ore, con l’unico dovere di camminare e indossare una calza elastica opportuna per due settimane.

Mapping

mazioni congenite semplici o complesse (flebangiomi, Klippel-Trenounay) anche le più sofisticate apparecchiature ad ultrasuoni lasciano sovente dubbi sulla reale natura del danno. In questi casi si può intervenire mediante esami radiologici con mezzo di contrasto, la cui elaborazione delle immagini con le attuali tecniche digitali e con particolari software permette di ottenere immagini dettagliate ad altissima risoluzione, tanto da consentire un accurato timing terapeutico. Solo quando si riesce ad ottenere un dettagliato quadro anatomo-funzionale dell’arto coinvolto dalla patologia del sistema venoso si può programmare il trattamento. Nel caso della terapia chirurgica, la migliore nella prevalenza dei casi, si è in grado di intervenire in modo poco aggressivo, efficace e risolutivo solo se in grado di trasferire le immagini sopra citate sull’arto da trattare. Questa importante manovra, il mappaggio, è da considerarsi fondamentale nel cammino verso la conclusione del trattamento, in quanto riduce l’operazione chirurgica a pura tecnica, ma guidata dal meticoloso studio pre-operatorio. Quest’ultimo, per necessità di precisione, sarà da eseguirsi con guida ecografica [Il motivo risiede nella qualifica del perso-

PROCEDURE TERAPEUTICHE ALTERNATIVE In alternativa alla chirurgia, l’abolizione dei reflussi nel sistema venoso superficiale può avvenire mediante metodiche così dette “endovascolari”. Le vene coinvolte non vengono asportate, ma trattate dall’interno, cercando di trasformare un lume in un cordone fibroso. Per ottenere questo risultato esistono oggi varie metodiche che utilizzano diverse fonti di energia. La più studiata storicamente è la scleroterapia, ovvero l’iniezione nella vena di farmaci con effetto “sclerosante”: questi chiudono il vaso e lo rendono non più attivo. Vi sono altre tecniche, più recenti e moderne, che utilizzano fonti energetiche di tipo fisico: ad esempio, il laser o la radiofrequenza. (energia termo-elettrica). Inoltre, molto recentemente la scienza biomedica ha messo a punto alcuni sistemi alternativi alle suddette metodiche, utilizzando particolari colle (cianoacrilato) - il Venaseal del commercio - per cui, sempre con ecoguida, si giunge letteralmente ad incollare le pareti delle vene refluenti e responsabili di reflussi e di patologiche varici. Lo specialista preparato dovrebbe essere in grado di applicare l’una o l’altra metodica a seconda dell’arto da trattare: per questo motivo, a Parma, presso la Vein Clinic Ippocrate, utilizziamo ogni tipo di tecnica opportunamente selezionata in rapporto al caso in questione.

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LA SCLEROTERAPIA Nota praticamente a tutti ma foriera di risultati a volte effimeri o deludenti per la scarsa “scientificità” con la quale veniva applicata, sta recentemente rinascendo offrendo sia ai pazienti che ai medici dedicati un’opzione alternativa alla chirurgia, utilizzando farmaci opportuni trasformabili in “schiume”. Questa, se esercitata da mani esperte e con guida ecografica – la cosiddetta eco-scleroterapia – permette risultati efficaci e duraturi. In molti casi sto osservando ed utilizzando con successo una tecnica mista, che prevede l’applicazione nello stesso arto di più procedure: ciò garantisce sempre un migliore risultato funzionale ed estetico, ed allo stesso tempo completo e poco 4 aggressivo. È difatti possibile che nello stesso arto sia opportuno trattare chirurgicamente una parte, con scleroterapia intra o preoperatoria un’altra o con colle di cianoacrilato altre zone. Inoltre, vi è la scleroterapia puramente cosmetica, che da sempre ha rappresentato il completamento alla terapia chirurgica e l’unico modo in grado di controllare nel tempo l’inesorabile evolversi della malattia varicosa. Oggi possiamo affermare che la scleroterapia è modulabile a seconda del tipo di farmaco scelto, dalla sua convertibilità in schiuma, e soprattutto dalla possibilità di variare la concentrazione del farmaco stesso. Novità assoluta, e nostra personale novità, è l’introduzione della scleroterapia “funzionale” . In uno studio personale compiuto sulle vene delle mani, è stato scelto di ridurre le concentrazioni dei prodotti sclerosanti al fine di evitare una reazione infiammatoria eccessiva, responsabile sia dell’effetto terapeutico di obliterazione che dello sclerotrombo. Lo studio ha previsto riduzioni progressive delle concentrazioni fino alla minima utile per ottenere l’effetto terapeutico desiderato, ovvero la scomparsa dell’inestetismo (vena visibile). Quello che sorprendentemente abbiamo rilevato è che riducendo sensibilmente le concentrazioni abbiamo ottenuto uno spasmo persistente della vena, che esita in una sua riduzione di diametro fino a presentare un effetto estetico accettabile. Così, non abbiamo riscontrato lo sclerotrombo classico, e la vena è risultata essere meno o punto visibile. La medesima tecnica è stata riportata sugli arti inferiori, dove l’impegno emodinamico è significativamente più importante, sia a livello delle grosse vene, sia a livello delle vene reticolari o delle teleangectasie. Questo trattamento, appunto detto fu nziona le, si è rilevato sorprendente nel determinare una significativa riduzione del diametro delle vene di tutto il sistema reticolo-telangectasico e/o varicoso,

portando in poche sedute ad un miglioramento di tutti i segni e sintomi legati ad una drenaggio venoso deficitario, sia a livello estetico che clinico. METODICHE ENDOVASCOLARI MODERNE I primi ad utilizzare energie di tipo elettrico o magnetico rispetto alla scleroterapia sono stati gli americani, dedicatosi alla flebologia non a livello chirurgico bensì in termini di radiologia interventistica e di dermatologia. Di conseguenza, le conoscenze chirurgiche dei flebologi statunitensi sono ridotte al minimo, ed è così stato necessario ideare un metodo che “bruciasse” le vene dall’interno. Ciò ha permesso da un lato di eludere ogni approccio invasivo, e dall’altro di illudere l’utenza che l’assenza di tagli e cicatrici fosse migliore in qualsiasi situazione. Ovviamente, tali tecniche non sono da rifiutarsi totalmente. Ritengo invece che sia corretto rispettare la teoria secondo cui ogni arto sia una storia a sé, e vada trattato dunque in modo personalizzato. Difatti, vi sono particolari quadri anatomici che escludono a priori l’utilizzo di metodiche endovascolari. Quindi, è necessario sfruttare 5 altre tecniche: ad esempio, quella che utilizza il laser come fonte energetica, o quella che utilizza il calore trasferito da particolari elettrodi. Entrambe sono valide, escludendo il costo elevato delle fibre monouso e delle apparecchiature. L’esperienza di altri autori è diversa, ma va considerato che, a parità di risultato, ognuno propone una metodica che prevale poi nell’analisi della propria casistica. A mio avviso, le indicazioni all’utilizzo dell’endolaser vanno ricercate in particolari aspetti anatomici della vena da trattare (permanenza nella propria guaina per lungo tratto, decorso rettilineo, distanza dalla cute ecc.), in particolari aspetti dell’arto da trattare (arti costituzionalmente “grossi”, pazienti obesi). In questi casi, il gesto delicato della flebectomia può diventare difficile e sovente infruttuoso, mentre un mappaggio accurato ed una sonda risultare più efficaci. L’ecoscleroterapia, invece, è una metodica prettamente ambulatoriale che non richiede degenza, e dunque attuabile nella maggioranza dei casi. Quest’ultima presenta però due limiti: il costo - essendo eseguita solitamente in studi privati – e la percentuale di ricanalizzazione a distanza. Difatti, mentre è ottima la percentuale di successo nel primo anno, (98%), scende al 56% nei tre anni successivi. È pur vero che è ripetibile, ma a mio avviso preferibile per i pazienti che non desiderano essere operati, oppure per gli ultrasettantenni, spesso affetti da altre numerose patologie tali da rendere più rischioso accedere ad una sala operatoria. 6


Pre e Post

FLEBOLOGIA: CONCLUSIONI Ritengo, però, che la vera scommessa non sia da ricercarsi nelle nuove metodiche, spesso create per distruggere una vena, sebbene con modalità sempre meno invasive, ma nel tentare di salvaguardare il patrimonio venoso stesso. Una scuola francese, capeggiata da un celebre chirurgo vascolare, il Prof. Franceschi, ha ideato un sistema salvifico per il patrimonio venoso, la CHIVA (Cura Emodinamica delle Varici). Essa consiste nella modificazione di flussi e reflussi dell’arto malato, senza la rimozione dell’asse safenico. Tale metodica ha però trovato il consenso solo nel 5% degli addetti, per la complessa curva di apprendimento e per i risultati a distanza non sempre incoraggianti. Ciononostante, il fascino di poter salvare una vena “importante” è sempre elevato. Un altro francese, Paul Pittaluga, ha ideato la ASVAL, ovvero l’asportazione delle varici senza toccare la safena, in arti selezionati, giungendo a risultati ammirevoli. Nel nostro gruppo (Casoni e collaboratori) abbiamo dimostrato con uno studio randomizzato con 8 anni di follow up, presentato su una prestigiosa rivista di chirurgia

vascolare, che la pratica chirurgica della così detta “crossectomia” (il taglio all’inguine) è gesto inutile, ed è l’unico più invasivo in questa chirurgia. Così abbiamo proseguito, unendo le proposte e le conoscenze della Chiva, unite a quelle della Asval, confezionando per ogni singolo arto una metodica emodinamica volta al risparmio degli assi importanti, le safene grandi e piccole. Possiamo così affermare oggi che oltre il 90% degli assi safenici viene risparmiato da uno stripping o da una distruzione con metodiche endovascolari, portando la chirurgia ad una metodica unicamente ambulatoriale, in anestesia locale, con ripresa della normale attività in poche ore, senza tagli deturpanti e senza l’ausilio, il più delle volte, di costose apparecchiature o sonde monouso. Il paziente ed il suo arto sono al primo posto, e tale ricerca costante, applicata alla salvaguardia e non alla distruzione, sta 6 portando risultati davvero sorprendenti. Si può agire oggi come una sorta di macchina del tempo, ringiovanendo l’arto ed il suo sistema venoso, sia con la chirurgia che con altre metodiche opportunamente gestite.

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Abstracts dalla letteratura

RACCOLTA A CURA DI

Dr. Paolo Casoni casonipa@ippocrateparma.it

Comparison of endovenous ablation techniques, foam sclerotherapy and surgical stripping for great saphenous varicose veins. Extended 5-year follow-up of a RCT. Int Angiol. 2017 Jun;36(3):281-288. doi: 10.23736/S0392-9590.17.03827-5. Epub 2017 Feb 17. Lawaetz M1, Serup J2, Lawaetz B2, Bjoern L2, Blemings A2, Eklof B2, Rasmussen L2.

BACKGROUND: This study compares the outcome 5 years after treatment of varicose veins with endovenous radiofrequency ablation (RFA), endovenous laser ablation (EVLA), ultrasound guided foam sclerotherapy (UGFS) or high ligation and stripping (HL/S) by assessing technical efficacy, clinical recurrence and the rate of reoperations. METHODS: Five hundred patients (580 legs) with Great Saphenous Vein (GSV) reflux and varicose veins were randomized to one of the 4 treatments. Follow-up included clinical and duplex ultrasound examinations. RESULTS: During 5 years there was a difference in the rate of GSV recanalization, recurrence and reoperations across the groups, KM P<0.001, P<0.01, P<0.001 respectively. Thus 8 in the RFA group (Kaplan Meier [KM] estimate 5.8%), 8 in the EVLA group (KM estimate 6.8%), 37 (KM estimate 31.5%) in the UGFS group and 8 in the HL/S group (KM estimate 6.3%) of GSVs recanalized or had a failed stripping procedure. Nineteen (RFA) (KM estimate 18.7%), 42 (EVLA) (KM estimate 38.6%), 28 (UGFS) (KM estimate 31.7%) and 38 (HL/S) (KM estimate 34.6%) legs developed recurrent varicose veins. Within 5 years after treatment, 19 (RFA) (KM estimate 17%), 19 (EVLA) (KM estimate 18.7%), 43 (UGFS) (KM estimate 37.7%) and 25 (HL/S) (KM estimate 23.4%) legs were retreated. CONCLUSIONS: More recanalization’s of the GSV occurred after UGFS and no difference in the technical efficacy was found between the other modalities during 5-year follow-up. The higher frequency of clinical recurrence after EVLA and HL/S cannot be explained and requires confirmation in other studies.

Predictors of Recanalization for Incompetent Great Saphenous Veins Treated with Cyanoacrylate Glue. J Vasc Interv Radiol. 2017 May;28(5):665-671. doi: 10.1016/j.jvir.2017.01.011. Epub 2017 Mar 8. Chan YC1, Law Y2, Cheung GC2, Cheng SW2.

PURPOSE: To determine predictors of recanalization in patients treated with endovenous cyanoacrylate. METHODS: Follow-up by serial clinical and duplex examinations was performed at 1 week, 1 month, 6 months, 12 months, and 24 months of 108 legs in 55 patients (21 men, median age 65 y) with primary varicose veins treated with endovenous cyanoacrylate. Cox regression analysis was used to examine venous characteristics before the procedure: diameter of great saphenous vein (GSV), treatment length of GSV, presence of incompetent perforators, clinical severity of varicose vein, and experience of operator as predictors of recanalization. With the patient in supine position, GSV diameter was measured at 3 levels (proximal thigh 1 cm from saphe-

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nofemoral junction, midthigh, and distal thigh above knee). RESULTS: Of 108 legs, 2 had minimal extension of thrombus to deep vein, and 4 had superficial thrombophlebitis. Kaplan-Meier analysis showed GSV closure rates were 97.2%, 92.3%, 89.2%, and 75.7% at 1 week, 1 month, 6 months, and 12 months after the procedure. With a median follow-up period of 5 months (range, 0-18 months), 4 legs had clinical recurrence. Mean GSV diameter ≥ 6.6 mm was the only significant predictor for recanalization (hazard ratio 12.1; 95% CI, 1.6-92.7; P = .016). CONCLUSIONS: The use of endovenous cyanoacrylate to treat varicose veins caused by incompetent GSV was safe. GSVs < 6.6 mm in diameter had a closure rate of 90.0% at 12 months. Despite 97.2% closure rates at 1 week, recanalization was observed in GSVs with larger diameter. Copyright© 2017 SIR. Published by Elsevier Inc. All rights reserved.

VeClose trial 12-month outcomes of cyanoacrylate closure versus radiofrequency ablation for incompetent great saphenous veins. J Vasc Surg Venous Lymphat Disord. 2017 May;5(3):321-330. doi: 10.1016/j.jvsv.2016.12.005. Epub 2017 Mar 6. Morrison N1, Gibson K2, Vasquez M3, Weiss R4, Cher D5, Madsen M6, Jones A7.

OBJECTIVE: Endovenous cyanoacrylate closure (CAC) is a new U.S. Food and Drug Administration-approved therapy for treatment of clinically symptomatic venous reflux in saphenous veins. The device is indicated for the permanent closure of lower extremity superficial truncal veins, such as the great saphenous vein (GSV). Early results from a randomized trial of CAC have been reported previously. Herein we report 1-year outcomes. METHODS: There were 222 subjects with symptomatic GSV incompetence randomly assigned to receive either CAC (n = 108) or radiofrequency ablation (RFA; n = 114). After the month 3 visit, subjects could receive adjunctive therapies aimed at treating visible varicosities and incompetent tributaries. Vein closure was assessed at day 3 and months 1, 3, 6, and 12 using duplex ultrasound. Additional study visit assessments included the Venous Clinical Severity Score; Clinical, Etiology, Anatomy, and Pathophysiology classification; EuroQol-5 Dimension; and Aberdeen Varicose Vein Questionnaire. Both time to closure and time to first reopening of the target vein were evaluated using survival curve analysis. Adverse events were evaluated at each visit. RESULTS: Of 222 enrolled and randomized subjects, a 12-month follow-up was obtained for 192 (95 CAC and 97 RFA; total follow-up rate, 192/222 [86.5%]). By month 1, 100% of CAC subjects and 87% of RFA subjects demonstrated complete occlusion of the target vein. By month 12, the complete occlusion rate was nearly identical in both groups (97.2% in the CAC group and 97.0% in the RFA group). Twelve-month freedom from recanalization was similar in the CAC and RFA groups, although there was a trend toward greater freedom from recanalization in the CAC group (P = .08). Symptoms and quality of life improved equally in both groups. Most adverse events were mild to moderate and not related to the device or procedure. CONCLUSIONS: In patients with incompetent GSVs, treatment with both CAC and RFA results in high occlusion rates. Time to complete occlusion was faster with CAC, and freedom from reopening was higher after CAC. Quality of life scores improved equally with both therapies. Copyright © 2017 The Authors. Published by Elsevier Inc. All rights reserved.

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Comparison of Sclerosant Foam Stability by Foam Composition

LAVORO PERSONALE DI Douglas Hill, MD, FACPh The Vein Treatment Centre, Calgary, Alberta, Canada

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BJECTIVE: Recent research has suggested that sclerosant foam created with CO2 produces fewer side effects and potentially fewer complications than air based foam. However, CO2 foam tends to deteriorate more quickly in the syringe prior to injection, thus creating a barrier to its widespread acceptance. This study compares the syringe half-life of foam solutions composed of high and low concentrations of two commonly used sclerosants mixed with either CO2 or air. Methods: The sclerosants studied were sodium tetradecyl sulfate (STS) 2%, STS 0.25%, polidocanol 2% and polidocanol 0.25%. 1 ml of liquid sclerosant was mixed with 4 ml of air or CO2 using a 3 ml syringe and a 5 ml syringe connected by a 3-way stop cock. Foam “half life� was determined by measuring how long it took for 0.5 ml of the original 1 ml of liquid sclerosant to reform in an upright syringe of foam. Results: The mean half-lives of STS 2%+air foam (126.7 seconds) and polidocanol 2%+air foam (122.4 seconds) were similar. Polidocanol air foam stability decreased significantly with a lower sclerosant concentration however foam made with STS + air did not. Polidocanol 0.25% +air foam half-life was 67.2 seconds. Foam stability dropped significantly for both sclerosants at either concentration when CO2 was used as the gas. Discussion: Stronger concentrations of STS and polidocanol produce foams of equivalent stability when mixed with room air. STS at a low concentration appears to produce more stable foam when mixed with air than that produced with polidocanol at a low concentration. Foam stability drops dramatically when high or low concentrations of STS or polidocanol are mixed with CO2.

Foam sclerotherapy has become a widely utilized, well accepted method for treating varicose veins. It may also be employed in lower sclerosant concentrations to eradicate reticular veins and telangiectasia. Foam sclerotherapy has proven to be an effective

and remarkably safe technique with a few noteworthy exceptions. Forlee et al. reported the development of a right hemiparesis in a 61 year old male following injection of 20 ml of polidocanol air based foam.1 More recently, Bush described two cases of neurological complications after foam sclerotherapy.2 A 72 year old female suffered loss of consciousness, paresis and slurred speech post injection of 4 ml of sodium tetradecyl sulfate air foam and a 35 year old nurse experienced a seizure and left sided hemiparesis after treatment with 10 ml foam for reticular veins. A study by Morrison et al. describes fewer minor neurological side effects, chest tightness, and cough with CO 2 foam than with air.3 When injected into the human body, CO2 foam may be safer than air foam because carbon dioxide is much more soluble in blood than either nitrogen or oxygen. Conversely, CO2 foam is widely regarded as being considerably more unstable in the syringe than air foam. It rapidly breaks down into large visible bubbles making it difficult

Fig. 1: foam-fluid level forming in upright syringe

10


140

136.6 s 126.7 s 122.4 s

120 Mean ½ life in sec

100 80

67.2 s

60

STS Polidocanol

40 20 0

2%+Air NS

to work with. To add to the challenge for clinicians, there appear to be interesting differences between the behaviour of sodium tetradecyl sulfate Fig 2. STS vs. POL Air foam Foamand polidocanol foam depending on the initial sclerosant concentration employed. METHODS Study design. The study was a comparative report on the in vitro “half-life” of sodium tetradecyl sulfate (STS) versus polidocanol (POL) foam made with either air or CO2. The foam was created with either a 0.25 or 2 percent concentration of liquid sclerosant. Thus, the variables manipulated were type of sclerosant, concentration of sclerosant and type of gas. The variables held constant were the ratio of gas to liquid, and the method of preparation. Procedure. One ml of liquid sclerosant solution was drawn up in a 3 ml Terumo syringe. This was mixed with 4 ml of either room air or CO2 drawn up in a 5 ml Terumo syringe. For the air foam samples, a 2 way Luer lock to Luer lock connector was interposed between the two syringes. For the CO2 foam samples, a 3 way stopcock was used to connect the syringes in order to permit drawing up the CO2. A previous study by the author had determined there was no significant difference in the stability of foam crea-

0.25%+Air

P = .000

Fig. 2: STS vs. POL Air Foam

ted with this 2 way connector vs. a 3 way stopcock.4 Twenty back and forth passes of the mixture were employed to prepare the foam. Measurement. Foam “half-life” was defined as the time in seconds for 0.5 ml of the original 1 ml of liquid sclerosant to reform in the bottom of the upright foam filled 5 ml syringe (Fig 1).5 For each sample condition, a foam half-life measurement was recorded for ten different samples and the mean half- life for that condition was determined. Statistical analysis was done by the 2 tailed t-test. RESULTS The mean half-lives of STS 2%+air foam (126.7 seconds) and (POL) 2%+air foam (122.4 seconds) were similar. Polidocanol air based foam stability significantly decreased with a lower sclerosant concentration whereas this was not the case with sodium tetradecyl sulfate air based foam. STS 0.25%+air foam half-life was 136.6 seconds. Stability was significantly lower for 0.25% (POL) at 67.2 seconds (Fig 2). The difference in foam stability in favour of STS 0.25% foam over POL 0.25% was also clearly evident with simple observation (Fig 3). As expected, when CO2 was used instead of room

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Fig. 3: STS 0.25% air foam left side, POL 0.25% air foam right side

air, foam stability decreased dramatically for STS and for POL at both the 2% sclerosant concentration and the 0.25% concentration (Fig 4). There was no significant difference in foam half-life between STS + CO2 foam and POL + CO2 foam at the 2% or 0.25% sclerosant concentration. DISCUSSION Foam made with CO2 is significantly less stable in a syringe than foam made with room air whether the sclerosant used is sodium tetradecyl sulfate or polidocanol, at high or low sclerosant concentrations. Foam “half-life� is an easily measurable, reproducible method to compare the stability of different foam solutions however by the time that 50 percent of the original liquid sclerosant has reformed in the syringe; the foam mixture has deteriorated to the point where it is unusable. Unadulterated CO2 foam breaks down into larger bubbles so rapidly that in many cases the clinician ends up injecting a froth of liquid and visible bubbles rather than true foam. Many practitioners

improve CO2 foam stability by using a gas mixture of 70% CO2 and 30% O2 . A syringe filter used during foam creation may also improve CO2 foam stability. It is interesting that when room air is the gas utilized to make sclerosant foam, polidocanol foam appears to be much less stable than sodium tetradecyl sulfate foam at low sclerosant concentrations. This has practical implications when treating small veins. At higher sclerosant concentrations, such as those used to treat saphenous veins, the two detergent sclerosants demonstrate equivalent in vitro stability. Possible sources of error in this study include the inherent imprecision of the measurement method and unavoidable variation in the speed of the back and forth mixing movements. It is reported with the understanding that the ideal study would involve investigation of foam behaviour in the human body not only in a syringe. REFERENCES 1. Forlee MV, Grouden M, Moore DJ, Shanik G. Stroke after varicose vein foam injection sclerotherapy. J Vasc Surg 2006;43:162-4. 2. Bush RG, Derrick M, Manjoney D. Major neurological events following foam sclerotherapy. Phlebology 2008;23:189-92. 3 Morrison N, Neuhardt DL, Rogers CR, McEowen J, Morrison T, Johnson E, Salles-Cunha SX. Comparisons of side effects using air and carbon dioxide foam for endovenous chemical ablation. J Vasc Surg 2008;47:830-6. 4. Hill DA. Effect of production method and device on extemporary sclerosant foam stability. Canadian Society of Phlebology Meeting. Vancouver, Canada, April 29-30, 2006 5. Rao J, Goldman MP. Dermatol Surg 2005;31:19-22

Fig. 4: STS vs. POL CO2 foam. P = .000

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Confronto di stabilità di schiume sclerosanti in base alla composizione chimica TRADUZIONE DI

Dr. Paolo Casoni casonipa@ippocrateparma.it

O

BIETTIVO: la scleroterapia con schiuma è un metodo universalmente accettato ed ampiamente utilizzato per trattare le vene varicose. Inoltre, con basse concentrazioni può essere sfruttato per eliminare vene reticolari e telangiectasie. Dunque, la scleroterapia si è affermata come un metodo efficace e poco invasivo, ad eccezione di qualche sporadico caso. Forlee et al. ha riportato gli sviluppi di un’emiparesi destra su un uomo di 61 anni, a seguito di iniezioni di 20ml di schiuma con aria e polidocanolo.1 Più recentemente, Bush ha descritto due casi di complicazioni neurologiche rilevate a seguito di un trattamento con scleroterapia.2 Una donna di 72 anni ha subito un’istantanea perdita di coscienza, paralisi e biascicamento come conseguenza di un’iniezione di 4ml di schiuma di tetradecilsolfato di sodio e aria. Oppure, un’infermiera di 35 anni ha riscontrato una crisi epilettica ed una emiparesi sinistra a seguito di un trattamento con 10ml di schiuma per vene reticolari. Uno studio di Morisson et al. descrive alcuni casi di effetti collaterali neurologici minori, tensione toracica e tosse, quando la schiuma utilizzata contiene CO2 e non aria. 3 Quando iniettata nel corpo, la schiuma con anidride carbonica può essere meno pericolosa rispetto a quella con aria poiché tale gas è decisamente più solubile nel sangue rispetto all’ossigeno e all’azoto. Ciononostante, la schiuma con CO 2 è universalmente considerata come più instabile nella siringa rispetto alla schiuma con aria. Difatti, si scompone rapidamente in grosse bolle, diventando quasi inutilizzabile. Inoltre, andando a complicare maggiormente la questione, paiono esserci interessanti differenze tra il comportamento di schiume con tetradecilsolfato di sodio e con polidocanolo a seconda della concentrazione iniziale di sclerosante. METODI Obiettivo e struttura dello studio: Lo studio è un confronto tra i tempi di dimezzamento in vitro rispettivamente di schiume di tetradecilsolfato di sodio (STS)

e polidocanolo (POL) composte di aria o di CO2. Le schiume sono state create sia allo 0,25% che al 2% di liquido sclerosante. Di conseguenza, le variabili da considerare sono: il tipo di sclerosante, la concentrazione dello stesso, e il gas impiegato. Al contrario, le variabili costanti sono il rapporto tra la quantità di gas e di liquido e il metodo di preparazione. Procedura: un ml di soluzione sclerosante è stata inserita in una siringa Terumo da 3ml, dove sono stati aggiunti 4ml di aria o CO2, contenuti in una siringa Terumo da 5ml. Per le schiume contenenti aria, le siringe sono state collegate tramite un due vie Luer lock e un Luer lock connector. Al contrario, per le siringhe di CO2 è stato utilizzato un 3 vie in modo da garantire il deposito di CO2 4. Con un precedente studio avevo difatti dimostrato che l’utilizzo di due diversi metodi di collegamento non comporta significative differenze nella stabilità della schiuma. Quest’ultima è pronta dopo venti passaggi avanti e indietro del composto. Misurazioni: il tempo di dimezzamento della schiuma è definito come il tempo in secondi che 0,5 ml dell’originario 1ml di liquido sclerosante impiegano a riformarsi nella parte inferiore della siringa da 5ml contenente schiuma, con lo stantuffo rivolto verso il basso(Fig. 1) 5. Per ciascuna delle condizioni sopra descritte, il tempo di dimezzamento è stato calcolato in dieci diversi esperienze, in modo da poter ricavare il tempo medio per ciascuna condizione. L’analisi statistica è stata condotta con 2 tailed t-test. RISULTATI I tempi di dimezzamento medi di STS al 2% con aria (126,7 secondi) e di polidocanolo 2% con aria (122,4 secondi) sono simili. La stabilità della schiuma composta di polidocanolo e aria, però, è diminuita considerevolmente con una più bassa concentrazione, al contrario del composto STS. Il tempo di dimezzamento di STS allo 0,25% con aria è di 136,6 secondi. La stabilità è notevolmente minore per il POL allo 0,25%, con tempo di 67,2 secondi (Fig.2).

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La differenza nella stabilità delle schiume con migliori risultati per STS allo 0,25% è evidente anche a seguito di semplice osservazione. (Fig.3) Inoltre, come da aspettative, la stabilità di entrambe le miscele è diminuita notevolmente con alte e basse concentrazioni quando all’aria è stata sostituita CO2. (fig.4) Infine, non sono state riscontrate differenze degne di nota tra le schiume a contenenti CO2 allo 0,25% o al 2%. CONCLUSIONE La schiuma costituita di CO2 è decisamente più instabile rispetto a quella costituta da aria, sia con tetradecilsolfato di sodio che con polidocanolo, e ad alte e basse concentrazioni. Il tempo di dimezzamento della schiuma è facilmente misurabile, ed il metodo utilizzato è riproducibile per confrontare la stabilità di diverse schiume: è sufficiente considerare il tempo che il 50% dell’originale liquido impiega per riformarsi nella siringa. La soluzione di schiuma si deteriora fino ad essere totalmente inutilizzabile. La schiuma con CO2 non alterata si decompone in grosse bolle tanto rapidamente che numerose volte si arriva ad iniettare un miscuglio di bolle e liquido anziché reale schiuma. Numerosi addetti si sono occupati di migliorare la stabilità della schiuma con CO2: si può difatti utilizzare un miscuglio di gas al 70% di CO2 e 30% di O2, oppure il filtro della siringa usato nel creare la schiuma stessa. È interessante sottolineare che quando si utilizza l’aria, se a basse concentrazioni la schiuma di polidocanolo è notevolmente meno stabile che quella di tetradecilsolfato di sodio. Ciò ha implicazioni pratiche quando si tratta di piccole vene. A concentrazioni elevate, ad esempio quelle necessarie per il trattamento delle safene, i due liquidi sclerosanti sopra citati si equivalgono in stabilità. Una possibile fonte d’errori in questo studio comprende l’intrinseca imprecisione dei metodi di misurazione e l’inevitabile variazione di velocità nei movimenti in avanti e indietro. Tutto ciò è riportato rimanendo fedeli all’idea che lo studio ideale avrebbe implicato un’analisi del comportamento della schiuma a livello venoso e non unicamente in una siringa. Fonti 1. Forlee MV, Grouden M, Moore DJ, Shanik G. Stroke after varicose vein foam injection sclerotherapy. J Vasc Surg 2006;43:162-4. 2. Bush RG, Derrick M, Manjoney D. Major neurological events following foam sclerotherapy.Phlebology 2008;23:189-92. 3. Morrison N, Neuhardt DL, Rogers CR, McEowen J, Morrison T, Johnson E, Salles-Cunha SX. Comparisons of side effects using air and carbon dioxide foam for endovenous chemical ablation. J Vasc Surg 2008;47:830-6. 4. Hill DA. Effect of production method and device on extemporary sclerosant foam stability.Canadian Society of Phlebology Meeting. Vancouver, Canada, April 29-30, 2006 5. Rao J, Goldman MP. Dermatol Surg 2005;31:19-22

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Ulcere degli arti inferiori: Studio Multicentrico Congiunto AFI – SIFCS – SIF

LAVORO PERSONALE DI M. Ronconi (AFI) G. Lipari (SIFCS) P. Bonadeo (SIF)

A

BSTRACT L’ulcera venosa degli arti inferiori presenta un’elevata incidenza nei diversi Paesi, tanto da divenire un reale problema di sanità pubblica, sia in termini di costi diretti sia in termini di giornate lavorative perse. Nessuno studio epidemiologico sulla reale incidenza della malattia e soprattutto sui diversi protocolli di diagnosi e di cura riguardante la situazione italiana risulta pubblicato. Con l’intento di tracciare una mappa nazionale di questa patologia, è stato intrapreso uno studio multicentrico sull’intero territorio nazionale che ha coinvolto per la prima volta in un lavoro comune e condiviso gli appartenenti a tre diverse società flebologiche, AFI, SIF, SIFCS. I primi risultati raccolti ed elaborati già forniscono alcuni rilevanti spunti di studio e discussione, in particolare sull’utilizzo delle cosiddette “medicazioni avanzate”. Altri dati sono necessari per ottenere un quadro completo della situazione italiana. Questo studio rappresenta il primo esempio di lavoro congiunto tra Società Flebologiche, al fine di produrre linee guida per la corretta gestione delle ulcere venose degli arti inferiori.

INTRODUZIONE Le ulcere venose rappresentano un problema di sanità pubblica in diversi Paesi. Nel Regno Unito è colpito 1% dell’intera popolazione residente, con un costo per il Sistema Sanitario Nazionale (NSH) di 400-600 milioni di sterline/anno, che rappresenta da solo il 3% dell’intera spesa per la sanità pubblica. In Italia l’impatto reale della patologia è difficilmente valutabile, poiché mancano dati ufficiali sulla reale incidenza e prevalenza di malattia. In generale, le ulcere venose degli arti inferiori si presentano tra la terza e quarta decade di vita, e la relativa frequenza è in costante aumento negli ultimi dieci anni, probabilmente legata all’invecchiamento generale della popolazione. L’eziologia varia nei diversi paesi e le diverse aree geografiche. La malattia può variare da forme iniziali e relativamente semplici da curare a forme più gravi, con elevata morbilità e un grande dispendio di risorse umane ed economiche. La terapia dell’ulcera venosa ancora oggi non appare universalmente codificata e condivisa, e linee guida di comportamento universale e basate sull’EBM lasciano il passo a singole anedottiche esperienze.

Fig. 1: centri reclutati

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2. o gni società ha attivato presso i propri iscritti la diffusione dell’informativa sullo studio, spronando i propri soci alla partecipazione; 3. è stato approntato un supporto cartaceo ed un foglio elettronico su cui i partecipanti hanno registrato i dati sulle ulcere degli arti inferiori presenti nei loro; 4. L a prima parte dello studio ha avuto inizio dopo lo svolgimento del Congresso AFI Sclerotherapy, nel Marzo 2017, e si è concluso nella sua prima parte nel maggio 2017.

Fig. 2: eziologia delle ulcere degli arti inferiori

Infine, la diagnostica e i protocolli terapeutici differiscono, secondo la gravità dell’ulcera e l’esperienza del singolo centro e/o operatore. Per attuare protocolli diagnostici e linee guida terapeutiche adeguate e ampiamente applicabili, è necessario acquisire una buona conoscenza dell’epidemiologica e dei dati clinici della malattia. MATERIALI E METODI 1. È stato formato un gruppo di lavoro paritetico con un rappresentante per ogni Società Scientifica coinvolta;

RISULTATI Lo studio pilota ha previsto il reclutamento di settanta pazienti, raccolti da dieci centri partecipanti, a riscoprire l’intero territorio nazionale (Fig. 1) Per quanto riguarda la patogenesi si conferma la malattia varicosa come la causa più frequentemente associata all’insorgenza dell’ulcera, ma oltre alle altre cause di ipertensione venosa (sindrome postflebitica, TVP, varicoflebiti) vengono frequentemente segnalate anche l’arteriopatia periferica e i traumi diretti agli arti inferiori. (Fig. 2) Per quanto riguarda la diagnostica, l’ECO-color doppler è la metodica più utilizzata, mentre scarsamente segalato è l’uso di score clinico-strumentali (Fig. 3). Dal punto di vista terapeutico le prime indicazioni

Fig. 3: diagnostica strumentale

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Fig. 4: caratteristiche delle lesioni

Fig. 5: presidi terapeutici

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raccolte dallo studio sembrano evidenziare uno scarso utilizzo di medicazioni avanzate (soprattutto di alginati e VAC), rispetto all’elevato numero di lesioni ulcerative essudanti segnalato. (Figg. 4 e 5) DISCUSSIONE In Letteratura sono spesso presenti contributi sull’ulcera cutanea che si riferiscono a casistiche non omogenee, con numeri modesti, o con esperienze personali di equipe specializzate, quindi poco rappresentativi di una realtà territoriale diffusa, ravvisandosi sostanzialmente una carenza di dati epidemiologici. Spesso inoltre i trattamenti sono poco omogenei e la fase iniziale di diagnostica non sempre è perfettamente sviluppata: questa situazione diffusa può rendere ragione dei risultati del tutto incostanti e di un atteggiamento forse fin troppo “artigianale” e personale nel trattamento di questa patologia. Fino a oggi, a nostra conoscenza nessuno studio italiano è stati pubblicato utile a fornire tali informazioni essenziali. Sulla base di queste osservazioni, e con lo scopo di conoscere la realtà di approccio all’ulcera degli arti inferiori non solo negli ambulatori specialistici ma anche nella comune pratica clinica. AFI, SIF, SIFCS, tre tra le più autorevoli società flebologiche in ambito nazionale, hanno proposto uno studio epidemiologico di “censimento” delle ulcere degli arti inferiori, con lo scopo di fotografare la situazione esistente in un dato momento e di redigere delle linee di indirizzo sia diagnostico che terapeutico utile alla gestione di tale patologia in ogni singolo centro. La acquisizione di questi primi dati ha consentito la costruzione di un data-base. I primi risultati forniscono da un lato alcune conferme sui dati previsti, dall’altro fanno emergere situazioni largamente inaspettate.

di uno score validato (es. Villalta) risulta scarsamente utilizzato. Altra considerazione, fatto salvo l’ancora scarsa forza statistica dei dati a disposizione, è l’elevata frequenza di lesioni essudative da un lato, e dall’altro la relativa bassa frequenza di utilizzo di medicazioni secondarie, ed in particolar modo degli alginati. Ancor più sorprendente è la bassa diffusione dell’utilizzo della VAC therapy, utilizzati solo da pochi centri tra quelli consultati. CONCLUSIONI E’ in corso uno studio prospettico multicentrico congiunto per raccogliere dati epidemiologici sui pazienti affetti da ulcere degli arti inferiori, che coinvolge tre tra le più prestigiose società flebologiche italiane, AFI, SIF, SIFCS I primi dati raccolti sembrano suggerire alcune considerazioni, sia dal punto ezio- patogenetico che terapeutico, attese ma anche per certi punti di vista sorprendenti. Altri più numerosi dati sono attesi per il completamento del database (attesi 300 pazienti). A nostra conoscenza questo risulta il primo lavoro multicentrico con l’intento di pubblicare linee guida comuni in ambito flebologico pr il trattamento delle lesioni ulcerose degli arti i nferiori.

Nell’eziologia delle ulcere per esempio, si conferma l’impressione comune che la causa più frequente d’insorgenza delle lesioni sia l’ipertensione venosa in tutte le sue forme (varici, TVS, TVP, sindrome post-flebitica). Altra cause relativamente frequente è la concomitanza di un’arteriopatia periferica di vario grado. Il dato sorprendente riguarda viceversa l’elevata frequenza di ulcere post-traumatica, con un’incidenza seconda solo a quella delle varici, molto superiore al dato previsto. Dal punto di vista diagnostico, l’ECO-color doppler la fa da padrone ma, sorprendentemente, l’utilizzo

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Trattamento Laser degli inestetismi vascolari del volto M

ilioni di persone nel mondo sviluppano teleangectasie del volto con il passare degli anni. Tra il 10% ed il 15% degli adulti sani possono presentare questo frequente inestetismo1; il trattamento della couperose rappresenta pertanto una delle procedure più richieste in campo medico/estetico. La couperose si presenta frequentemente in pazienti con fototipo I e II sec. Fitzpatrick, solitamente localizzata nelle ali nasali e al terzo medio del volto. Vi è una predisposizione eredo-familiare a svilupparle, ma spesso sono associate a vari disordini, quali: rosacea, lesioni croniche attiniche, stati di iperestrogenismo e assunzione di estrogeni, di corticosteroidi topici e sistemici, radiodermiti, varie patologie sistemiche (del fegato, del connettivo e varie genodermatosi vascolari come la teleangectasie emorragica ereditaria)2,3. La causa più probabile della comparsa di teleangectasie è il rilascio e/o l’attivazione di mediatori vasoattivi in risposta all’anossia, ad ormoni, infezioni ed altri fattori fisici che in ultima analisi determinano angiogenesi4. Anche il photoaging svolge un ruolo; la debolezza delle fibre elastiche della parete dei vasi causata dall’esposizione cronica al sole, che determina una persistente vasodilatazione, può anche contribuire allo sviluppo delle teleangectasie. Sono piccole venule dilatate del plesso subdermico con diametro compreso tra 0.1 e 1.0 mm. Appaiono clinicamente come piccoli vasi eritematosi o violacei. Si ritiene che quelle ad origine sul versante arteriolare siano piccole ed eritematose; quelle ad origine sul versante venulare siano più grandi e bluastre/violacee4. In base alla morfologia, sono classificate in 4 tipi: lineari, puntiformi, arboriformi, spider naevi. Quelle che insorgono sul naso e la guancia sono generalmente di tipo arteriolare e lineare o arborizzato. Istologicamente sono vasi ectasici localizzati nel plesso dermico superficiale (papillare)2. Il disagio psicologico causato da lesioni vascolari superficiali in zone visibili del corpo è spesso sottovalutato5,6. Poichè il trattamento di queste lesioni è più cosmetico che medico, le modalità di trattamento dovrebbero essere efficaci, senza effetti collaterali come alterazioni della pigmentazione e cicatrici. I trattamenti sono numerosi (dermoabrasione, elettrochirurgia, scleroterapia), ma i laser sono recentemente divenuti

LAVORO PERSONALE DI Dr. Alvise Cavallini cavallini.alvise@libero.it

il trattamento elettivo per la loro efficaca e la capacità di colpire selettivamente questi vasi, riducendo il rischio di lesioni alla cute circostante. L’ossiemoglobina intravascolare assorbe selettivamente l’energia del laser, che è poi rilasciata in forma di calore, con conseguente distruzione del vaso circostante7. La storia del LASER è recente, nasce nel 1960 con Theodore Harold “Ted” Maiman (1927–2007), ingegnere e fisico americano, creatore del primo LASER; solo un anno dopo, Leon Goldman (1906-1997), dermatologo e chirurgo americano, pioniere dell’utilizzo del LASER in medicina, effettua il primo trattamento su una neoplasia cutanea. DEFINIZIONE E MECCANISMO D’AZIONE DEL LASER La maggior parte degli atomi sono in uno stato di bassa energia. Gli elettroni da questo stato possono essere eccitati ad uno stato energetico superiore, quando assorbono energia termica, ottica o elettrica. Un elettrone nel suo stato “eccitato” è instabile, e tende a tornare al suo stato basale, rilasciando un fotone. La quantità di energia rilasciata determina la lunghezza d’onda (ed il colore); se un elettrone già in uno stato di eccitazione incontra un fotone di adeguata energia, scende ad un livello orbitale inferiore emettendo un fotone; il primo fotone prosegue per la sua strada; ne risultano 2 fotoni di lunghezza d’onda identica. In natura, l’emissione spontanea è dominante. Gli atomi cercano di mantenere gli stati di energia più bassi e rimangono eccitati per un tempo così breve che ci sono poche possibilità di incontrare un fotone giusto, producendo una emissione stimolata. Come dice la stessa sigla (LASER -> Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation), la radiazione laser proviene dal processo di emissione stimolata della radiazione. Per far si che l’emissione stimolata sia predominante è necessario avere la maggioranza degli elettroni nel livello energetico maggiore (fenomeno conosciuto come “inversione di popolazione”); l’inversione della popolazione si ottiene pompando energia elettrica o luminosa su una data popolazione di atomi per eccitarli. La sorgente di energia (elettrica o luminosa) dipende dal mezzo ottico, che è anche il fattore determinante della lunghezza d’onda emessa; può essere un gas, un liquido un solido o un semi19


conduttore (diodo).Quindi il dispositivo laser di base è costituito da tre componenti: una fonte di energia o “pompa”, un mezzo ottico attivo, due specchi che formano un mezzo di risonanza ottica. La pompa fornisce energia al sistema laser. Le fonti di energia sono scariche elettriche, flash luminosi, luce da un altro laser e anche reazioni chimiche. Il tipo di pompa utilizzata dipende principalmente dal mezzo ottico. Il mezzo ottico è quindi il fattore determinante la lunghezza d’onda e l’energia emessa dal laser e può essere un gas, un liquido, un solido o un semiconduttore (diodo laser). È nel mezzo ottico che avviene l’emissione spontanea o stimolata dei fotoni. Il mezzo di risonanza ottica, o cavità ottica, nella sua forma più semplice è composta da due specchi alle estremità del mezzo ottico. La luce è riflessa nel mezzo molte centinaia di volte con amplificazione del fascio. Lo specchio semiriflettente di uscita permette ad una parte della luce di fuoriuscire, creando il fascio laser. Il laser è quindi un dispositivo in grado di emettere un fascio di luce coerente, monocromatico e concentrato in un raggio rettilineo estremamente collimato. Queste tre proprietà (coerenza, monocromaticità e alta brillanza) sono alla base del vasto ventaglio di applicazioni che i dispositivi laser hanno avuto e continuano ad avere nei campi più disparati. Per queste proprietà un laser è più potente della luce ordinaria di pari potenza. Se la luce da una lampada di 60 W entra nell’occhio non danneggia la retina. Un fascio collimato è una luce focalizzata e concentrata ed è dannosa per l’occhio a potenza molto più bassa. INTERAZIONE LASER-TESSUTI L’energia laser (fotoni) incontrando un tessuto può essere riflessa, difratta, assorbita, trasmessa. Riflessione La riflessione ottica della luce LASER determina quale proporzione del fascio penetrerà nel tessuto; la conoscenza della capacità di riflessione dei tessuti è importante ed è la ragione per la quale la protezione degli occhi per il paziente e l’operatore è obbligatoria, come anche è fondamentale non avere superfici riflettenti quali specchi o sostanze infiammabili nei pressi del tavolo operatorio. La riflessione ottica della luce laser aumenta con l’aumentare dell’angolo d’incidenza e può essere minimizzata applicando il raggio laser perpendicolarmente alla superficie tissutale. Difrazione Quando la luce attraversa i tessuti, la direzione del raggio incidente viene modificato dalle molecole presenti e la dispersione svolge un ruolo importante nella distribuzione spaziale dell’energia assorbita. Aumentando il diametro del fascio incidente (dimensione dello spot) permettiamo ad un maggior numero di fotoni di mantenersi nella zona bersaglio, aumentando la densità di energia nel bersaglio soprattutto

quando questo è posto a maggiore profondità. Ciò significa che possiamo utilizzare minore energia per ottenere una densità di energia efficace per trattare il tessuto bersaglio. Assorbimento L’assorbimento della luce deve avvenire affinchè si verifichi un effetto biologico. Una data lunghezza d’onda può essere assorbita da un tessuto e riflessa da un altro. Nel 1983 Rox Anderson e John Parrish riportano la teoria della FOTOTERMOLISI SELETTIVA8. Etimologicamente fototermolisi significa assorbimento della luce (photo) da parte dei pigmenti (ad es. emoglobina e melanina), trasformazione della luce assorbita in calore (thermo), distruzione (lysis) del cromoforo target da parte dell’alta temperatura. Questa proprietà rende i laser superiori (gold standard) alle altre metodiche di trattamento (crioterapia, diatermocoagulazione, scleroterapia etc..) delle teleangectasie del volto. La fototermolisi selettiva indica l’affinità della specifica lunghezza d’onda per un dato cromoforo. Questo permette di: 1) localizzare il danno termico al tessuto trattato 2) minimizzare il danno termico apportato al tessuto circostante Per un trattamento laser meno invasivo è necessario quindi scegliere sempre la lunghezza d’onda appropriata per il nostro target. I principali picchi di assorbimento dell’emoglobina sono nella porzione del blu-verde-giallo della luce visibile (418, 542, 577 nm). Lunghezze d’onda più lunghe penetrano più in profondità, quindi target più profondi richiedono lunghezze d’onda superiori, mentre gli obiettivi superficiali possono essere trattati con lunghezze d’onda più corte. Altro dato importante da considerare è il tempo di rilassamento termico (TRT), definito come la quantità di tempo necessaria al cromoforo per dissipare il 50% del calore assorbito al termine dell’impulso laser erogato. Il TRT, espresso in secondi, è proporzionale al quadrato del diametro del target espresso in mm; quindi il TRT di una struttura più grande è più lungo del TRT di una struttura più piccola. Nel trattamento LASER, l’obiettivo è riscaldare il target al massimo, ma sospendere l’apporto di energia prima che il calore inizi a fuoriuscire e danneggiare le strutture adiacenti. Pertanto, la durata ideale dell’impulso corrisponde allo specifico TRT. Una durata dell’impulso troppo breve potrebbe essere inefficace, ma una troppo lunga potrebbe causare effetti collaterali. Per vasi di 50-75 μc di diametro il TRT è di circa 1 msec; vasi più grandi, come quelli che troviamo ad es. sull’ala del naso, hanno un TRT più lungo: per vasi di 300 μc di diametro, il TRT è di circa 42 msec, circa 10 volte quello di un vaso di un terzo del diametro; vasi con un diametro di 1000 μc hanno un TRT di

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circa 500 msec. La durata dell’impulso pertanto è importante; impulsi troppo brevi ad energia elevata potrebbero causare la rottura del vaso, con emorragie intracutanee e porpora. La fluenza è la misura dell’energia erogata per area, generalmente espressa in joule per centimetro quadrato (J/cm2). La fluenza necessaria per un trattamento efficace è inversamente proporzionale alla frazione di luce assorbita dal cromoforo bersaglio. Quindi, maggiore fluenza è necessaria quando si usano lunghezze d’onda assorbite poco, quando il nostro targhet contiene poco cromoforo o è posto in profondità nella cute. Pertanto, ogni volta che effettuiamo un trattamento laser, per ottimizzare i risultati e ridurre le complicanze dobbiamo considerare: 1) lunghezza d’onda (quanto più selettiva possibile per il cromoforo) 2) durata dell’impulso (proporzionale alle dimensioni del targhet) 3) fluenza (ottimale per ottenere un danno completo, ma evitando la rottura del vaso e l’emorragia; quindi sempre correlata alla durata dell’impulso) TRATTAMENTI LASER NELLE LESIONI VASCOLARI Poiché l’emoglobina ha un vasto spettro di assorbimento, da 400 nm a 1.100 nm, diverse lunghezze d’onda e sorgenti luminose possono eliminare o ridurre le teleangectasie del volto, compresi il diodo 810 nm, il 585-595 nm dye laser pulsato (PDL), il 532-nm titanile di potassio fosfato (KTP) e la luce pulsata (IPL). Arndt per primo ha riportato la terapia laser per le teleangectasie del volto nel 19829. Trentuno pazienti con piccole lesioni vascolari furono trattati con il laser argon, con risultati buoni o eccellenti. Il laser argon divenne il trattamento di scelta per le lesioni vascolari, ma la natura continua del raggio prodotto rendeva il trattamento operatore dipendente e si verificarono spesso danni termici ai tessuti adiacenti, con cicatrici e alterazioni della pigmentazione permanenti. Lo sviluppo di più efficaci laser ad impulsi come il PDL, il titanile di potassio fosfato pulsato (KTP) ed il laser infrarosso pulsato hanno notevolmente migliorato l’efficacia e diminuito gli effetti collaterali. Pertanto, i laser KTP ed il PDL sono oggi comunemente usati come gold standard nelle lesioni vascolari del volto. In particolare il PDL è stato il primo laser progettato utilizzando il concetto della fototermolisi selettiva per il trattamento di lesioni vascolari (1989). Il PDL originale aveva una lunghezza d’onda di 577nm e durata dell’impulso di 0.3 ms. E’ stato poi modificato per una lunghezza d’onda di 585nm e una durata dell’impulso di 0.45 ms per consentire una più profonda penetrazione nei tessuti ed il trattamento di vasi sanguigni più grandi. I PDL attuali emettono lunghezze d’onda di 585 o 595 nm, hanno impulsi più lunghi e sono diven-

tati un pilastro per il trattamento di lesioni vascolari, come angiomi, macchie di vino-porto, teleangectasie del viso e rosacea. I PDL hanno una dimensione dello spot circolare o ovale e le aree di trattamento non devono sovrapporsi di oltre il 30%. Alla fine degli anni ’90 escono i primi studi con il KTP 532 nm 10,11. Nonostante il PDL sia più efficace nello schiarire le teleangectasie, i pazienti potrebbero preferire trattamenti multipli con il laser KTP grazie alla bassa incidenza di effetti collaterali e riduzione del dolore rispetto al PDL. Risulta evidente che il grande vantaggio di questa lunghezza d’onda è l’assenza della porpora post-trattamento (oltre al dolore post-trattamento ridotto ed al costo inferiore della tecnologia) rispetto al PDL. Poiché la porpora persiste anche per due settimane, la compliance dei pazienti per questo tipo di laser è ridotta e comunque i pazienti devono essere ben informati. La luce pulsata intensa (IPL), frequentemente usata nel trattamento vascolare, agisce sempre tramite la fototermolisi, ma rispetto alla tecnologia LASER non è selettiva; l’IPL è non coerente, ad ampio spettro e diffusa (non collimata). Il vantaggio di questo tipo di tecnologia rispetto al laser sta nel fatto che essa consente di trattare aree più ampie, con maggiore sicurezza, versatilità e velocità di esecuzione. Le caratteristiche tecniche specifiche cambiano in base al modello e al produttore ma, sostanzialmente, la luce pulsata è costituita da un accumulatore energetico e una speciale lampada allo xeno, e di un’apposita ottica, in grado di generare un fascio di luce molto intenso che illumina la zona da trattare. L’erogazione della luce non è continua ma avviene attraverso brevissimi impulsi. L’IPL può essere considerata un’alternativa o un complemento ai dispositivi laser esistenti per il trattamento teleangectasie del viso. Le lunghezze d’onda nello spettro blu-verde-giallo, come il KTP 532-nm, sono efficaci per i piccoli vasi ma sono in grado di penetrare la cute solo 1-2 mm, con una ridotta efficacia per le teleangectasie più profonde, quelle più grandi di 500 μc, nei vasi ad alto flusso ed in quelli di colore blu 12,13. Il 585- o 595-nm PDL è altrettanto efficace, ma ha dei limiti simili a quelli del KTP e può causare porpora, soprattutto quando viene utilizzato per eliminare le vene reticolari più grandi. Inoltre, la melanina si comporta come cromoforo competitor, assorbendo le lunghezze d’onda emesse da KTP e PDL; per questo motivo possono verificarsi danni epidermici (ustioni e depigmentazioni) quando questi LASER sono utiilizzati in pazienti che hanno un fototipo scuro (maggiore di III sec. Fitzpatrick). La lunghezza maggiore emessa dal Nd-Yag:1064 nm colpisce il picco dell’ossiemoglobina, nello spettro di assorbimento nel vicino infrarosso (700-1100 nm). Il tradizionale Nd-Yag:1064 nm con impulsi in millisecondi ha la capacità di penetrare più in profondità (4-6 mm) e di distruggere piccoli vasi posti più in profon-

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dità rispetto al KTP7; usato in precedenza principalmente nel trattamento delle teleangectasie degli arti inferiori, viene ora usato anche per il trattamento di varie lesioni vascolari, tra cui le teleangectasie del volto. Il Nd:YAG laser 1.064 nm offre il duplice vantaggio di raggiungere vasi sanguigni più grandi e profondi con un assorbimento minimo della melanina a questa lunghezza d’onda. Quindi è più maneggevole nei Pazienti con fototipo più scuro. Poiché il coefficiente di assorbimento dell’emoglobina è basso a 1064 nm e poichè l’acqua è un cromoforo in competizione, devono essere utilizzate alte fluenze per ottenere la distruzione del vaso, con l’aumento del rischio di effetti collaterali14. Il tradizionale Nd-Yag:1064 nm con impulsi in millisecondi è associato infatti con un rischio significativamente maggiore di cicatrici rispetto al laser KTP per il trattamento delle lesioni vascolari15. Il Nd-Yag:1064 nm con impulsi in microsecondi può essere in grado di trattare piccoli vasi con meno dolore e con un profilo di rischio migliore del tradizionale laser Nd-Yag:1064 nm con impulsi in millisecondi16. La durata dell’impulso in microsecondi, infatti, è più breve del TRT sia del bersaglio (vaso) sia delle cellule cutanee circostanti, che hanno un TRT nell’ordine dei millisecondi (0.8 millisecondi). Pertanto, l’obiettivo viene riscaldato più rapidamente rispetto alla velocità con cui la cute circostante conduce il calore, riducendo al minimo i danni alla cute circostante e riducendo il rischio di alterazione della pigmentazione. Inoltre, gli impulsi viaggiano attraverso l’epidermide 30-50 volte più velocemente rispetto al laser Nd-Yag:1064 nm con impulsi in microsecondi, ciò evita il surriscaldamento dell’epidermide e questo a sua volta riduce il dolore e la necessità di raffreddamento epidermico. CONCLUSIONI La tecnologia laser è uno dei campi della medicina in più rapida evoluzione. Ci sono molti e diversi laser e sistemi di luce che possono essere utilizzati per il trattamento delle teleangectasie, e ogni sistema ha i suoi vantaggi e svantaggi. Attualmente, non esiste un unico laser che possa trattare tutte le teleangectasie con uguale efficacia e profilo di rischio. Poichè la tecnologia laser continua ad evolversi, i miglioramenti ci condurranno ulteriormente verso l’obiettivo di ottenere la rapida scomparsa della lesione con effetti collaterali minimi o assenti. I sistemi di KTP, PDL e IPL sono diventati lo standard nel trattamento delle teleangectasie del viso perché la loro efficacia clinica è superiore rispetto ai precedenti trattamenti per l’elevata sicurezza raggiunta. I nuovi progressi, ad es. il perfezionamento del laser NdYag:1.064 nm, permettono di ottenere un trattamento specifico in base al fototipo ed alla tipologia del vaso da trattare; l’evoluzione tecnologica e la personalizzazione del trattamento offrono possibilità promettenti per un trattamento efficace

delle teleangectasie del viso, minimizzando gli effetti collaterali ed i rischi post-procedura. BIBLIOGRAFIA 1) Requena L, Sangueza OP. Cutaneous vascular anomalies. Part I. Hamartomas, malformations, and dilatation of pre-existing vessels. J Am Acad Dermatol 1997;37:523–49. 2) Goldman MP, Bennett RG. Treatment of telangiectasia: a review. J Am Acad Dermatol. 1987 Aug;17(2 Pt 1):167-82. 3) Goldman MP, Weiss RA, Brody HJ, Coleman WP 3rd, Fitzpatrick RE. Treatment of facial telangiectasia with sclerotherapy, laser surgery, and/or electrodesiccation: a review. J Dermatol Surg Oncol. 1993 Oct;19(10):899-906 4) Goldberg DJ1, Meine JG. A comparison of four frequency-doubled Nd:YAG (532 nm) laser systems for treatment of facial telangiectases. Dermatol Surg. 1999 Jun;25(6):463-7. 5) Gupta G, Bilsland D. A prospective study of the impact of laser treatment on vascular lesions. Br J Dermatol 2000;143: 356–9. 6) Lanigan SW. Acquired port wine stains: clinical and psychological assessment and response to pulsed dye laser therapy. Br J Dermatol 1997;137:86–90. 7) Hare McCoppin HH, Goldberg DJ. Laser treatment of facial telangiectases: an update. Dermatol Surg 2010;36:1221–30. 8) Anderson RR, Parrish JA. Selective photothermolysis: precise microsurgery by selective absorption of pulsed radiation. Science1983;220524-7. 9) Arndt KA. Argon laser therapy of small cutaneous vascular lesions. Arch Dermatol 1982;118:220–4. 10) West TB1, Alster TS. Comparison of the long-pulse dye (590595 nm) and KTP (532 nm) lasers in the treatment of facial and leg telangiectasias. Dermatol Surg. 1998 Feb;24(2):221-6. 11) Adrian RM1, Tanghetti EA. Long pulse 532-nm laser treatment of facial telangiectasia. Dermatol Surg. 1998 Jan;24(1):71-4. 12) Lee JH, Na SY, Choi M, et al. Long-pulsed Nd: YAG laser: does it give clinical benefit on the treatment of resistant telangiectasia? J Eur Acad Dermatol Venereol 2011;26:1280–4. 13) Dudelzak J, Hussain M, Goldberg DJ. Vascular-specific laser wavelength for the treatment of facial telangiectasias. J Drugs dermatol 2009;8:227–9. 14) Lee JH, Na SY, Choi M, et al. Long-pulsed Nd: YAG laser: does it give clinical benefit on the treatment of resistant telangiectasia? J Eur Acad Dermatol Venereol 2011;26:1280–4. 15) Pancar GS, Aydin F, Senturk N, et al. Comparison of the 532nm KTP and 1064-nm Nd:YAG lasers for the treatment of cherry angiomas. J Cosmet Laser Ther 2011;13:138–41. 16) Rose AE1, Goldberg DJ. Successful treatment of facial telangiectasias using a micropulse 1,064-nm neodymium-doped yttrium aluminum garnet laser. Dermatol Surg. 2013 Jul;39(7):1062-6.

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