Veins n5

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Numero CINQUE

Rivista tecnico-scientifica on-line a diffusione mirata • Organo ufficiale della AFI - Associazione Flebologica Italiana

A volte le cose cambiano... AFI DAY Puglia, un successo di molti... La Chirurgia del cavo popliteo oggi Chirurgia delle vene varicose: Stripping vs Metodo CHIVA, uno studio randomizzato controllato La schiuma sclerosante nel trattamento endoscopico delle emorroidi sintomatiche Studio clinico randomizzato di scleroterapia eco-guidata con schiuma vs intervento chirurgico per incompetenza della vena grande safena La Scleroterapia Termoassistita con Radiofrequenza Transdermica: esperienza preliminare L’insegnamento della Flebologia nel percorso formativo del Medico


È un supplemento de

Organigramma AFI

L’AMBULATORIO

MEDICO

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Diffusione nazionale

Medici specialisti in: anestesia e rianimazione, Angiologia e Flebologia, chirurgia generale, chirurgia plastica, dermatologia, dietologia, endocrinologia, fisiatria, malattie reumatiche, medicina sportiva e patologia vascolare, centri di medicina e Chirurgia Estetica, estetica medica, medici di base, studi privati di agopuntura e mesoterapia, infermieri professionali, ambulatori di chiroterapia, fisioterapia, fisiokinesiterapia e massaggi, poliambulatori, case di cura e cliniche private, direttori sanitari: A.S.L., ospedali, stabilimenti termali, associazioni e istituzioni sanitarie, istituti scientifici e di ricerca, docenti e corsisti Divisione Didattica VALET: C.P. M.A. e C.E.D.A.

A volte le cose cambiano...

EDITORIALE DI Dr. Alessandro Frullini Presidente AFI

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roprio così, a volte le cose possono cambiare. Mi riferisco al nostro Sistema Sanitario Nazionale, fino a oggi così utile, universale, onnipresente e, se vogliamo, un po’ prepotente. La notizia è quella che gira da un po’: le varici dovrebbero uscire dal SSN e i tagli imposti dalla situazione economica ridisegnano il rapporto tra SSN e strutture private convenzionate (con la perdita dell’accreditamento delle cliniche con meno di 80 posti letto). Un amico mi assicura di aver letto la lista proposta per i nuovi LEA dove appunto sparisce il DRG 119. Ai flebologi italiani non sfuggiranno le tante implicazioni di tali provvedimenti, a tutti i livelli. Gli ospedali e le cliniche dovranno per forza cambiare i loro obiettivi, il trattamento dell’insufficienza venosa non sarà più remunerativo per loro. Anche da un punto più squisitamente medico ci sarà un ripensamento riguardo a certe tecniche di trattamento: chi potrà più permettersi di continuare a fare lo stripping o costose radiofrequenze? Consideriamo che fino a oggi nel nostro Paese la chirurgia è stato “il trattamento” più fornito agli utenti del

Buon lavoro a tutti Dr Alessandro Frullini Presidente AFI - Associazione Flebologica Italiana

PROSSIMI AFI DAYS

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NAZIONALE

Padova - 26 Gennaio 2013

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Coordinatore ricerca medica Dr. Alessandro Pieri aogpieri@tin.it

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SSN in caso d’insufficienza venosa. Gli ospedali ma soprattutto i medici dovranno cambiare mentalità. In questa rivoluzione poi si inseriranno le compagnie assicurative. Ho il sospetto che presto si parlerà anche di franchigie per i trattamenti più comuni, e quindi nascerà un’offerta di polizze per coprire questo gap assistenziale. Le conseguenze sembrano scontate. La flebologia sarà sempre di più qualcosa per i centri privati, che avranno interesse a fornire servizi sempre più all’avanguardia e a basso costo per rimanere sul mercato. Dall’altra parte si libereranno risorse all’interno dei nostri ospedali per patologie più gravi Tutto questo non mi sembra per niente negativo e il mio augurio e che questo possa risultare in un migliore servizio ai pazienti, in fondo non è questo quello che conta?

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SARDEGNA

Cagliari - 16 Marzo 2013


AFI DAY Puglia, un successo di molti... È

stato un evento molto apprezzato per i suoi alti contenuti professionali, rivolto agli specialisti e cultori della materia. Hanno partecipato in massa senza esclusione alcuna tutti i massimi rappresentanti della Chirurgia Vascolare Universitaria ed Ospedaliera di Puglia, oltre ad importanti esponenti della Chirurgia Vascolare di altre regioni e sinanche d’oltralpe. Se ne è dedotto che la flebologia effettuata oggigiorno, avendo fatto passi avanti da gigante sia nell’ambito diagnostico che terapeutico, ha attratto molto gli esponenti della chirurgia vascolare, consapevoli probabilmente di averla ultimamente sottostimata, proprio per non perdere ulteriore terreno nelle moderne conoscenze in ambito flebologico. In realtà, la Flebologia ha assunto ormai un ruolo così importante nel moderno scenario medico-scientifico, tanto da poter essere considerata una disciplina a sè stante. In effetti, il FLEBOLOGO non è un chirurgo vascolare completo, non è un chirurgo generale completo e nè è un angiologo completo ma è una nuova figura professionale che condensa in sè contemporaneamente un pò del chirurgo vascolare, un pò del chirurgo generale ed un pò dell’angiologo. Nell’evento scientifico in questione si è voluto parlare di tutti i trattamenti chirurgici e medici, mettendo a confronto le varie metodiche, per portare i presenti, coinvolgendoli, alla consapevolezza che i trattamenti in flebologia devono assolutamente essere mirati e selettivi

RESOCONTO DI Dr. Sabino Paradiso paradisosabino@libero.it

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P U G L I A

tronelli e del dott. Luigi Mariano, un pò per rendere più vivace ila discussione ma soprattutto perchè è bene che si sappiano che quelle metodiche terapeutiche esistono e possono rappresentare una seconda scelta nel caso di insuccesso ripetuto con la metodica classica. Dobbiamo saper che abbiamo anche un’arma in più nel nostro bagaglio terapeutico. Per esempio, se abbiamo trattato per due volte ripetutamente l’incontinenza di una vena perforante, con una metodica ritenuta la più opportuna, e siamo di fronte ad un ripetuto insuccesso, dobbiamo sapere che c’è anche la radiologia interventistica che ci potrebbe dare una mano. Insomma, è stato un evento che ha dato molti punti su cui riflettere ed approfondire in futuro. Grazie all’AFI (Associazione Flebologica Italiana) stiamo portando le attualità flebologiche in tutta Italia, suscitando sempre più l’interesse da parte dei medici italiani, nell’interesse esclusivo della salute dei nostri pazienti e rendendo la flebologia moderna sempre più snella ed ambulatoriale, con una notevole riduzione delle giornate di malattia.

Trani - 27 Ottobre 2012

Sede: Hotel San Paolo al Convento

e con metodiche facilmente ripetibili, quale potrebbe essere il trattamento con schiuma sclerosante. Deve maturare questa consapevolezza e probabilmente se avessimo parlato solo di scleroterapia ci sarebbe potuto essere solo una sterile antitesi. Per esempio, i vari proff. presenti all’evento mi hanno detto di aver apprezzato molto la mia relazione sul trattamento combinato ed hanno anche capito che questa potrebbe essere solo una via di passaggio per arrivare magari in un prossimo futuro anche alla sola terapia sclerosante sia con liquidi che con schiuma. Ho volutamente inserito le relazioni del dott. Sergio Pe-

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Continua la rubrica dedicata ai commenti dei nostri lettori inerenti a tutti gli aspetti che gravitano attorno alla nostra professione: dal rapporto medico-paziente al racconto di esperienze lavorative personali, dalle questioni medico-legali alle esigenze pratiche del flebologo ai nostri giorni. Ogni riflessione verrà valutata dal comitato redattore e, compatibilmente con gli spazi della rivista, pubblicata. Sono ben gradite anche le critiche costruttive e i suggerimenti per far crescere la nostra Associazione. I commenti andranno inviati al seguente indirizzo:

ronconi@med.unibs.it


La Chirurgia del cavo popliteo oggi C

onsiderata per lungo tempo un banco di prova importante per il flebologo la chirurgia del cavo popliteo ha dovuto cedere il passo alle nuove tecniche mininvasive che hanno reso l’approccio chirurgico meno traumatico e quindi estremamente gradito al paziente. Tuttavia un’attenta conoscenza delle problematiche di questa chirurgia e dei punti di riferimento anatomici delle tecniche tradizionali restano un momento irrinunciabile nella formazione del flebologo, anche se in possesso di nuove tecniche di intervento. Nella Diapositiva 1 ho voluto riassumere le problematiche di questa chirurgia, solo in apparenza semplice, ma che nasconde non poche insidie di carattere anatomico ed emodinamico.

Diapositiva 1

LAVORO PERSONALE DI Dr. Antonio Garavello - Roma garavellalberto@gmail.com

La chirurgia della piccola safena, di gran lunga meno popolare rispetto a quella della grande safena, deve essere approcciata con cautela e precise conoscenze anatomiche a causa della notevole variabilità della sede della crosse; mai come in questo caso lo studio preoperatorio deve essere accurato in modo da localizzare con precisione lo sbocco popliteo del vaso ed eventuali variazioni di decorso [Diapositiva 2]. Il problema della variabilità della sede della crosse safenica è noto da tempo; nelle diapositive sottostanti ho riportato un lavoro storico di Kosinsky e quindi uno più recente (1988) di Ouvry, che hanno cercato di sistematizzare l’anatomia della crosse ad uso dei chirurghi [Diapositive 3-4].

Diapositiva 5

Diapositiva 8

Diapositiva 6

Diapositiva 9

Diapositiva 3

Nella Diapositiva 5 ho riportato l’attuale classificazione della UIP, che ha il pregio della semplicità e si è avvantaggiata dei recenti studi della diagnostica per immagini. Un discorso a parte merita la “vena di Giacomini” un importante ramo venoso che realizza una connessione tra la grande e la piccola safena [Diapositiva 6]. In realtà Giacomini descrisse le “estensioni craniali” della piccola safena, tra cui l’anastomosi intersafenica che ha preso il suo nome e in cui le valvole sono orientate in modo da permettere un flusso centripeto [Diapositiva 7]. Oltre alla vena di Giacomini anche la “Vena della fossa Poplitea” (VFP) rappresenta un’entità spesso incontrata dal flebologo; si tratta di un tronco varicoso che decorre sulla faccia posteriore del ginocchio e della sura [Diapositiva 8].

DIapositiva 2

DIapositiva 4

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Come vedete le interconnessioni della VFP nell’ambito della fossa poplitea sono estremamente varie e lo studio emodinamico dovrà essere estremamente accurato al fine di evitare dissezioni e crossectomie inutili [Diapositiva 9].

Diapositiva 7

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Proprio a causa di un inadeguato studio preoperatorio la VFP è spesso coinvolta nella recidive della piccola safena; è stato inoltre rilevato come la presenza di una VFP insufficiente possa essere considerato come un “marker” della severità della patologia varicosa [Diapositiva 10]. Questo preambolo anatomico-emodinamico ha avuto lo scopo di precisare le indicazioni alla chirurgia della piccola safena; in particolare è importante sapere quando NON operare, evitando uno stripping inutile sulla base di precisi riscontri morfologici ed emodinamici [Diapositiva 11]. Riguardo alla tecnica chirurgica oramai da molti anni preferiamo l’approccio in anestesia locale in regime di Day Hospital; la deambulazione immediata del paziente di per se costituisce un’efficace profilassi della trombosi venosa postoperatoria inoltre l’anestesia locale non abolisce del tutto la sensibilità dei tronchi nervosi adiacenti alla piccola safena, così che il paziente possa subito segnalare trazioni o stiramenti dei rami nervosi evitandone il danneggiamento iatrogeno [Diapositiva 12]. Il danno neurologico rimane il principale problema di questo tipo di chirurgia, costituendo la prima causa di contenzioso medico legale con i pazienti. Nella fotografia sottostante al

Diapositiva 10

centro è evidenziato il nervo tibiale, che può essere danneggiato in caso di crossectomie “alte” quando lo sbocco della piccola safena di trovi cranialmente al poplite; lo sciatico popliteo invece può abbracciare “a cravatta” la crosse” esponendosi così a lesioni accidentali, ma le lesioni più frequenti rimangono quelle a carico del nervo surale [Diapositiva 13]. Nella Diapositiva 14 potete osservare una dissezione anatomica del nervo surale a contatto della piccola safena (a sinistra) e in sede sottocutanea (a destra); al centro potete osservare una immagine intraoperatoria in cui il nervo, a stretto contatto con la crosse safeno poplitea, viene dissecato con cautela (filo nero singolo) prima della crossectomia. Le tecniche minivasive hanno guadagnato grande popolarità nel trattamento dell’insufficienza della piccola safena; da molti anni utilizziamo la tecnica scleromousse, che abbiamo riassunto nelle Diapositive 15 e 16. La piccola safena viene incannulata a livello del malleolo ed il catetere spinto fino alla giunzione safeno poplitea; si procede quindi alla preparazione estemporanea della mousse mediante la tecnica del “tourbillon” secondo Tessari ed all’iniezione per via retrograda.

Diapositiva 12

Diapositiva 14

Diapositiva 16

Diapositiva 15

Diapositiva 17

Nella chirurgia della piccola safena un argomento dibattuto riguarda l’incidenza delle recidive ; nella tabella seguente abbiamo elencato le cause che vengono più frequentemente citate in Letteratura, ma che possono riassumersi nella maggior parte dei casi in un errore tecnico o in uno studio preoperatorio insufficiente Diapositiva 17.

BIBLIOGRAFIA • Abela e coll. - Eur.J.Vasc.Endovasc.Surg. 2008 Oct.; 36(4) 485-90 Reverse foam sclerotherapy of the great saphenous vein with sapheno-femoral ligation compared to standard and invagination stripping; a prospective clinical series. • Bergan J., Pascarella L., Mekenas L. - Venous disorders: treatment with sclerosant foam. J. Cardiovasc.Surg. 2006 Feb; 47(1): 9-18. • Rasmussen LH, Bjoern L., Blemings A., Eklof B. - Randomized trial comparing endovenous laser ablation of the great saphenous vein with hig ligation and stripping in patients with varicose veins: short term results. J.Vasc.Surg. 2007 Aug; 46 (2): 308-15 • Sadick NS, wasser S. - Combined endovascular laser plus ambulatory phlebectomy for the treatment of superficial venous incompetence; a 4 year perspective. J.Cosmet.Laser Ther. 2007 Mar.; 9(1): 9-13. • Lurie F., e coll. - Prospective randomised study of endovenous radiofrequency obliteration (closure) versus ligation and vein stripping (EVOLVeS): two year follow-up. Eur.J.Vasc.Endovasc.Surg. 2005 Jan; 29(1): 67-73. • Perrin M. - Endovenous radiofrequency ablation of saphenous vein reflux; The VNUS Closure procedure with Closurefast. An updated review. Int.Angiol. 2010 Aug; 29(4): 303-7

Un’analisi della Letteratura rivela che ancora oggi la chirurgia tradizionale della piccola safena ha molti sostenitori; da parte nostra crediamo che le tecniche mininvasive svolgano oggi un ruolo importante, con percentuali di successo estremamente significative. La mousse sclerosante possiede tuttavia grandi vantaggi, soprattutto per quanto riguarda la semplicità di esecuzione e i costi estremamente contenuti, senza la necessità di apparecchiature sofisticate.

Diapositiva 11

Diapositiva 13

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Riteniamo tuttavia che la chirurgia tradizionale possa ancora avere una sua validità nelle recidive quando, in mani esperte, una crossectomia può risolvere in una sola seduta il problema clinico ed emodinamico, in maniera ambulatoriale.

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Chirurgia delle vene varicose: Stripping vs Metodo CHIVA, uno studio randomizzato controllato

RIASSUNTO E COMMENTO DI Dr. Colombano De Cesare - RE colombano.decesare@ausl.re.it

Varicose vein Surgery: Stripping vs the CHIVA Method: a randomized controlled trial

Josep Oriol Pare´s, MD, Jordi Juan, MD, Rafael Tellez, MD, Antoni Mata, MD, Coloma Moreno, MD, Francesc Xavier Quer, MD, David Suarez, PhD, Isabel Codony, MD, and Josep Roca, MD - Annals of Surgery • Volume 251, Number 4, April 2010

RIASSUNTO L’obiettivo dello studio (randomizzato, aperto e controllato) era quello di confrontare l’efficacia della cura CHIVA nel trattamento delle vene varicose degli arti inferiori in rapporto ai trattamenti standard di stripping e di evidenziare le differenze riguardo a complicanze e durata della convalescenza. Per oltre cent’anni lo stripping ha rappresentato il trattamento di riferimento per la sua semplicità, rapidità e sicurezza, peraltro non supportato, per lungo tempo, da valutazioni ecografiche emodinamiche. Nel 1988 Franceschi descriveva la CHIVA, il cui obiettivo è quello di conservare il sistema safenico, mantenendo il drenaggio dei tessuti cutaneo e sottocutaneo, ma eliminare le varici riducendo la pressione idrostatica attraverso la deconnessione degli shunt venosi. Il trial ha riguardato un gruppo sperimentale (cura CHIVA) e due gruppi controllo (stripping con mappatura clinica e ultrasonografica). L’efficacia è stata verificata misurando le recidive cliniche a cinque anni. I 501 pazienti arruolati presentavano varici essenziali e sono stati randomizzati in tre gruppi. L’efficacia a cinque anni è stata valutata, da osservatori indipendenti, usando la classificazione di Hobbs (guarigione: assenza di varici; miglioramento: varici di calibro inferiore a 0,5 cm; fallimento: varici di calibro superiore a 0,5 cm). I risultati sono stati: per la CHIVA, guarigione 44,3%, miglioramento 24,6%, fallimento 31,1%; stripping con mappatura clinica, guarigione 21%, miglioramento 26,3%, fallimento 52,7%; stripping con mappatura ultrasonografica, guarigione 29,3%, miglioramento 22,8%, fallimento 47,9%. È stata anche eseguita una valutazione ecografica di recidiva: CHIVA 36,3%, stripping con mappatura clinica 64,4%, stripping con mappatura ultrasonografica 57,8%. In nessun gruppo si sono verificate complicanze maggiori, ad esempio TVP, mentre fra le complicanze minori la neuropatia del safeno è stata assente solo nella CHIVA. La convalescenza media nella CHIVA è stata di soli tre giorni. Tutti i dati sono risultati statisticamente significativi.

COMMENTO In questo studio la CHIVA ha ottenuto, rispetto allo stripping, una netta diminuzione delle recidive, miglioramento dei risultati ecografici e, infine, riduzione delle complicazioni e del tempo di convalescenza. I risultati nei due gruppi controllo sono pressoché sovrapponibili in tutte le variabili esaminate, eccetto la convalescenza, migliore nel gruppo stripping con mappatura ecografica (15 giorni), probabilmente per la minore aggressività della tecnica chirurgica. Questo dimostra come l’ultrasonografia non fornisca informazioni determinanti al chirurgo nella tecnica dello stripping, o che richieda capacità di mappatura ecografica da parte sua. La distanza dei risultati della CHIVA rispetto allo stripping con mappatura ultrasonografica, invece, dimostra che non è quest’ultima a fornire vantaggi specifici alla metodica emodinamica. Una possibile interpretazione dei risultati dello studio è che il mantenimento del sistema venoso superficiale e la riduzione della neoangiogenesi favoriscano una situazione emodinamicamente favorevole per la cute e il tessuto sottocutaneo. La minore aggressività della procedura riduce complicanze e convalescenza. Da ultimo, la conservazione del patrimonio venoso lo rende disponibile per eventuali futuri bypass arteriosi.Altro vantaggio della CHIVA è costituito dalla possibilità di eseguire un’anestesia locale, invece che spinale, come è avvenuto nello stripping. Il training chirurgico nella CHIVA, invece, è più complesso, in rapporto alla capacità di mappatura emodinamica, identificazione precisa degli shunt e scelta strategica, fattori che condizionano i risultati. Anche se il tasso di recidiva è inferiore nella CHIVA, appare comunque piuttosto alto. Questo potrebbe dipendere dal fatto che la malattia varicosa è evolutiva e quindi tende a coinvolgere vasi dapprima apparentemente “sani”. Le vene reticolari, solitamente coinvolte, il più delle volte, subiscono reflussi provenienti da perforanti poste al di sotto della deconnessione precedentemente eseguita. Queste ultime diventando insufficienti coinvolgono varici successive. Altri tipi

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di varici persistono dopo l’intervento, probabilmente perché la riduzione di pressione legata alla deconnessione, non riesce a ottenere un recupero di vasi eccessivamente danneggiati. Da qui la considerazione che flebectomie complementari sui segmenti più dilatati, o una scleroterapia postoperatoria abbiano un’utilità nel rendere più gradevoli i risultati estetici della CHIVA, senza sacrificare eccessivamente l’emodinamica. Per quanto riguarda le recidive da evoluzione della malattia, poiché queste coinvolgono principalmente vene reticolari, occorre considerare che ulteriori deconnessioni e flebectomie o, alternativamente, scleroterapia, possono essere un accettabile opzione terapeutica, in considerazione della loro modesta invasività ed impegno, tanto per il chirurgo, quanto per il paziente.

La schiuma sclerosante nel trattamento endoscopico delle emorroidi sintomatiche

LAVORO PERSONALE DI Dr. A. Palmeri, Dr. M. Palmeri drpalmeri@supereva.it

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a parola emorroide, che deriva dal greco “haima”, cioè sangue, e “rheo” che significa scorrere , ci dice che già nell’antica grecia la patologia emorroidaria era ben conosciuta e con questa parola si evidenziava il sintomo più importante ed ecclatante:il sanguinamento. Notizie di questa patologia le ritroviamo nel codice di Hammurabi nel 2000 a. c. nella civiltà babilonese, ad indicare che all’epoca come adesso è una delle malattie più frequenti. In letteratura la sua incidenza varia dal 4.6% al 36%, con una prevalenza nel sesso maschile ed una maggiore prevalenza a partire dalla quarta decade con un corteo sintomatologico non specifico, che ci deve portare sempre a fare diagnosi di certezza solo dopo aver escluso l’integrità del distretto retto-sigmoideo con un’indagine endoscopica. Oggi si ritiene che l’elemento patogenetico principale della patologia emorroidaria sia rappresentato dallo slittamento dei cuscinetti anali sottomucosi a seguito della degenerazione del ligamento sospensore di Parks associato ad una iperperfusione del suo plesso artero-venoso con conseguente prolasso e sanguinamento, ma non esiste una correlazione anatomo-clinica in rapporto al grado della malattia in quanto possiamo avere emorroidi voluminose asintomatiche e invece piccole emorroidi sintomatiche ed è per questo che la terapia si basa sulla sintomatologia

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presente. Le terapie proposte negli anni in regime ambulatoriali sono varie (Fig. 1) noi abbiamo preferito la tecnica sclerosante secondo “Ros-Col” di Rosi-Colucci (1) per i seguenti motivi: a) facile ripetibilità - b) fatti-

Fig 1


Fig. 2

bilità ambulatoriale - c)tassenza di dolore-d)assenza di complicanze e f)azione della schiuma di Polidocanolo che agisce sia in sede intravasale creando vasospasmo con maggior contatto del farmaco sull’endotelio e sia in sede extra-vasale creando nel tempo fibrosi (Fig. 2). Con questa tecnica come si vede (Fig. 3) la sclerosi avviene dall’alto verso il basso eliminando le complicanze della tradizionale sclerosi quali ematuria, emospermia, disfunzione erettile etc ed in più con la retroversione abbiamo una visione magnificata dei peduncoli emorroidari (Fig. 4) che ci permettono una sclerosi più mirata. Ultimamente abbiamo esteso questa tecnica anche alle emorroidi di III e IV grado ottenendo un miglioramento della sintomatologia.

Benin (5) possiamo trasferire questa esperienza anche in campo proctologico per il trattamento delle emorroidi sintomatiche in quanto si è visto che la reazione fibrotica indotta dal farmaco comporta una diminuzione fino all’arresto del sanguinamento e alla risalita verso l’alto almeno parziale del prolasso, pur non essendo in questo caso l’indicazione principale per il suo uso. L’iniezione dall’alto verso il basso, possibile solo con la manovra di retroversione, riduce notevolmente le complicanze di questa metodica e l’uso del polidocanolo elimina tutti gli effetti collaterali legati al farmaco che in passato si sono avuti e anche attualmente con il nuovo sclerosante ALTA(aluminum potassium sulfate tannic acid) usato in Giappone (6).

STRUMENTI E TECNICA È necessario disporre di un endoscopio flessibile, un gastroscopio dedicato e/o un sigmoidoscopio, un ago 23 G e come soluzione sclerosante Polidocanolo al 1% e 3%. Durante l’endoscopia, con la manovra di retroversione si visualizza l’apice dei gozzi emorroidari e si inietta, tramite l’ago introdotto attraverso il canale operatorio dell’endoscopio, a livello della sottomucosa del peduncolo, dall’alto verso il basso, 2 cc di schiuma sclerosante per ogni gruppo emorroidario fino ad un massimo di 8 cc. La preparazione della schiuma è quella classica (Tessari (2), frullini-cavezzi (3) della flebologia con un’ iniezione lenta senza opporre resistenza altrimenti si corre il rischio di creare dolore trovandosi in una zona non distensibile, al contrario un’iniezione troppo superficiale crea un grosso ponfo, sempre evidenziabile endoscopicamente, con dolore e tenesmo. Monitoriamo sempre il pz con un pulsiossimetro.

BIBLIOGRAFIA 1)Rosi G, Colucci R: Risultati a 5 anni del nuovo approccio “RosCol” alla patologia emorroidaria con endosclerosi del plesso con uso di schiuma sclerosante con polidocanolo. Abstracts da Sclerotherapy 2012, Marzo 23. 24-Firenze 2)Tessari L: Nouvelle tecnique d’obtention de la sclèro-mousse. Phlèbologie 2000;53, 1:129 3)Frullini A, Cavezzi A:Sclerosing foam in the treatment of varicose veins and telangectasias:history and analysis of safety and complications:Dermatol Surg. 2002 Jan;28(1):11-15 4)Ronconi M, Cervi e: la scleromousse nella cura delle emorroidi sintomatiche:esperienza personale. Veins 2010:4-10 5)Benin P, D’Amico C: Foam sclerotherapy with fibrovein(STD)for the treatment oh Hemorroids, using a flexible endoscope:Minerva Chirurgica 2007 Agosto;62(4):235-40 6)Miyamoto H, Asanoma M, Miyamoto H, Shimada M:ALTA injection sclerosing therapy: non-excisional treatment of internal hemor rhoids:Hepatogastroenterology-2012 Jan-Feb;59(113):77-80.

CONTROINDICAZIONI La tecnica non si effettua in soggetti affetti da trombosi emorroidarie, ragadi, ascessi, fistole, Crohn e Colite Ulcerosa.

Fig 3

CASISTICA Dal marzo 2010 al maggio 2012 (Fig. 5) abbiamo trattato 111 pz con emorroidi di I-IV grado sec. la tecnica “RosCol” con 40 donne e 71 uomini, età media 50, 7 (range 25-76) eseguendo a tutti una retto-coloncopia e una copertura antibiotica nelle 12 ore precedenti e per altre 24 ore e due clisteri di pulizia due ore prima del trattamento per ridurre la batteriemia e l’eventuale rischio di setticemia. A tutti è stato chiesto di compilare un questionario a cui veniva spiegata la metodica e data una scala analogica del dolore, del disagio e del sanguinamento secondo un protocollo elaborato dal nostro gruppo di studio di Assisi nel 2012. Come endoscopio flessibile è stato usato un gastroscopio e/o un colonscopio a secondo del fastidio che poteva procurare lo strumento. Il liquido sclerosante usato è stato il polidocanolo al 1% inizialmente e successivamente al 3%in schiuma. Le sedute sono state 365 in media 3.2 a pz. ad una distanza di 3 settimane; al I stadio abbiamo 12 pz. (10.9%) al II 74 pz (66.8%) al III 22 pz (20.2%) e al IV 2 pz (2.1%) con i seguenti sintomi: sanguinamento 36%, sanguinamento + fastidio-dolore 35%, fastidiodolore 24% e prolasso 6%. Il miglioramento globale del

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Fig. 4

quadro sintomatologico è stato, già del 70% dopo il primo trattamento salendo all’87% al secondo per attestarsi al 92% alla fine delle sedute. Nel follow up che va da un minimo di 6 mesi ad un massimo di 24 mesi solo l’11% hanno necessitato di ulteriori trattamenti di 1, 2 o 3 sedute sempre con il Polidocanolo al 3% riscontrando le recidive maggiori quando abbiamo usato l’1%. In tre casi (3.3%) siamo ricorsi all’intervento chirurgico sec. M. M. Come complicanza abbiamo avuto solo un dolore con sindrome vago-vagale da attribuirsi ad una iniezione troppo profonda. CONCLUSIONI I vantaggi della schiuma rispetto alla forma liquida si sono ormai consolidati da anni in campo flebologico e grazie ai lavori di Rosi-Colucci , di Ronconi (4) e di

Fig. 5

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Studio clinico randomizzato di scleroterapia eco-guidata con schiuma vs intervento chirurgico per incompetenza della vena grande safena

COMMENTO DI Dr.ssa Patrizia Pavei - PD patrizia.pavei@sanita.padova.it

Randomized clinical trial of ultrasound-guided foam sclerotherapy versus surgery for the incompetent great saphenous vein

La Scleroterapia Termoassistita con Radiofrequenza Transdermica: esperienza preliminare LAVORO PERSONALE DI Dr. Giorgio Falaschi - PO giorgiofalaschi@libero.it

Shadid N, Ceulen R, Nelemans P, Dirksen C, Veraart J, Schurink GW, van Neer P, vd Kley J, de Haan E, Sommer A. Br J Surg. 2012 Aug;99(8):1062-70. doi: 10.1002/bjs.8781. Epub 2012 May 25.

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’interesse per la patologia varicose è sempre maggiore, sia per l’impatto che la stessa ha sulla qualità di vita dei pazienti, sia per l’impegno economico richiesto ai sistemi sanitari, considerando che secondo studi epidemiologici un quarto della popolazione è affetto da varici. Questo studio clinico randomizzatoeseguito in Olanda confronta il trattamento sclerosante ecoguidato con schiuma (UFGS) con la chirurgia, nella cura dell’incompetenza della vena grande safena. Gli autori hanno scelto come outcome primario la probabilità di recidiva a 2 anni dal trattamento e come outcome secondari la presenza di reflusso, la riduzione dei sintomi, la qualità di vita, la comparsa di eventi avversi ed i costi dei 2 trattamenti. La scleroterapia ecoguidata è stata effettuata con Polidocanolo al 3%; la schiuma prodotta con il metodo Tessari con un rapporto liquido-aria di 1:4. L’intervento di safenectomia è stato eseguito in regime di Day surgery in anestesia generale o spinale. Lo studio ha valutato un gruppo di 460 pazienti: 233 trattati con UFGS e 227 con chirurgia. A 2 anni la probabilità di recidiva era simile nei 2 gruppi: 11.3% per l’UFGS e 9% per la chirurgia. Considerando la sola presenza di reflusso rilevata all’ecocolordoppler a 2 anni dal trattamento questo era rilevabile nel 35% dei pazienti trattati con UFGS e nel 21% dei pazienti sottoposti a chirurgia, con una differenza statisticamente significativa a favore di quest’ultimi. Tuttavia se il parametro considerato era invece il reflusso associato a varici non vi erano differenze statisticamente significative tra i 2 gruppi. Inoltre a 2 anni non si sono osservate differenze significative nel miglioramento della qualità di vita. Per quanto riguarda i costi gli autori hanno stabilito un costo complessivo per paziente (inclusi i vari accessi ambulatoriali ed il trattamento di eventuali complicanze) di 774 euro per UFGS contro i 1824 per la chirurgia. Gli autori concludono quindi che a 2 anni il trattamento sclerosante con schiuma dell’insufficienza della vena grande safena ottiene risultati sovrapponibili alla chirurgia se si considera come outcome la presenza di reflusso e di sintomi venosi, con un costo decisamente

inferiore. Si potrebbe obiettare che il trattamento chirurgico è stato eseguito in anestesia generale o spinale, quando può essere condotto anche in anestesia locale tumescente o altra anestesie più adatte ad un setting ambulatoriale, ma in ogni caso lo studio appare ben condotto ed equilibrato e mette a fuoco alcuni problemi aperti: 1. come definire la recidiva? Come la sola presenza di reflusso all’ecodoppler o l’associazione di reflusso e di sintomi venosi-varici? 2. vista la sempre maggiore difficoltà dei sistemi sanitari il problema del costo è sempre più pressante. Per quanto riguarda il primo punto ritengo che una patologia non possa essere definita da un solo dato strumentale, come il reflusso all’ecodoppler, ma debba essere un insieme di segni e sintomi. È chiaro comunque che, per chi segue la patologia varicosa, il rilevare un reflusso con esame strumentale è un segno di allarme che spinge ad un monitoraggio più stretto del paziente, ma non è di per sé un indicazione al trattamento. Sarebbe interessante indagare con studi a medio-lungo termine il destino di questi pazienti. Il problema del costo è un problema attuale in un periodo di ristrettezze economiche ed ha sicuramente il suo peso. È ovvio che esso deve andare di pari passo all’adeguatezza del trattamento e delle indicazioni al trattamento nell’interesse del paziente e non del guadagno che se ne può ricavare. Tenendo conto di tutte queste considerazioni la UFGS si pone sempre più come una valido e riconosciuta alternativa nella cura dell’insufficienza della vena grande safena.

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Abstract Le proprietà della radiofrequenza su tessuti biologici, e in particolare sul collagene, sono ampiamente dimostrati. Il meccanismo di azione risiede principalmente nella produzione e veicolazione del calore per via transdermica ai tessuti. Tra le modalità applicative quella “bipolare” veicola il calore a pochi mm. di profondità; la modalità “monopolare”, con moderni dispositivi, può surriscaldare i tessuti fino oltre i 15 mm. Forti fluenze di energia hanno effetti denaturativi sul collagene (“shrinkage”), tuttavia, fluenze più modeste sembrano possedere proprietà inducenti la fibrogenesi. Tali proprietà sono ampiamente sfruttate in medicina estetica per il rassodamento dei tessuti ed il lifting non ablativo. Il nostro studio sembra comprovare tale azione fibrogenetica in campo flebologico. Ventisei pazienti, affette da teleangectasie e ectasie reticolari degli arti inferiori, furono sottoposte ad un trattamento scleroterapico di 5 sedute bisettimanali, usando una debole concentrazione di POL; in uno dei due lati di ogni singola paziente fu somministrato in aggiunta un trattamento di radiofrequenza. I risultati, valutati a due settimane e a sei mesi post trattamento mostrano una miglior risposta (92% verso 77%) e una minor incidenza degli effetti collaterali locali (assenza completa effetti collaterali a sei mesi 88% verso 58%) nei lati trattati con radiofrequenza aggiuntiva rispetto ai lati trattati con sola scleroterapia. Premessa La scleroterapia, quale trattamento della patologia venosa, è in uso dai primi anni del ‘900. Tuttavia, è dal 1924 (Bazelis/Sicard) che il trattamento viene codificato e introdotto su larga scala. Seguiranno nuovi pionieri quali Linser, Filderman, Delater, Gaugier e, molto più tardi, Laubry, Bassi, Olivier, Fegan, per citarne solo alcuni, sino agli anni ’60/’70 con, Sigg, Tournay, Wallois. Il principio terapeutico risiede nella capacità lesiva sull’endotelio venoso di alcune sostanze chimiche iniettate endovena con evocazione di successiva reazione fibrotica, obliterativa del lume. Fu presto evidente che l’efficacia obliterativa di tale metodica era limitata alle vene di piccolo calibro. Ciò per i seguenti principali motivi: 1) impossibilità di ottenere una concentrazione adeguata del farmaco nel lume venoso, per l’effetto diluente del sangue nelle vene di in certo calibro. 2) Impossibilità di un contatto sufficientemente omogeneo

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dello sclerosante con l’endotelio causa il fattore flusso ematico nelle vene più grandi. 3) Possibile inattivazione dello sclerosante da parte delle proteine plasmatiche e attivazione del processo fibrinolitico da parte dello sclerosante ad una certa concentrazione (1). Nel 1944 Orbach evidenziò che unendo aria al liquido sclerosante si otteneva una sclerosi più efficace, ma fu solo nel 1992 che le esperienze di Juan Cabrera (2) dimostrarono come con una schiuma sclerosante ottenuta sfruttando le proprietà tensioattive di alcuni sclerosanti detergenti (Polidocanolo-Tetradecilsolfato di sodio) si potevano trattare anche vene di grande calibro. Dopo alcuni anni Lorenzo Tessari individuò un sistema facilmente ripetibile (due siringhe connesse con un rubinetto a tre vie) per ottenere una schiuma sclerosante di ottima qualità e stabilità. Le successive esperienze di Frullini e Cavezzi dimostrarono definitivamente l’efficacia della schiuma sclerosante. Dal punto di vista fisico la schiuma è una dispersione di un gas (aria, CO2) in un liquido tensioattivo (sclerosanti di tipo detergente): le microbolle di cui è composta tendono nell’arco di alcuni minuti, a coalescere in bolle più grandi sino a dissolversi; le due parti, liquida e gassosa, (“fasi”) di cui è composta la schiuma tendono pertanto gradualmente a separarsi (degradazione). La schiuma sclerosante pertanto, prima della sua degradazione, ha i seguenti vantaggi rispetto al liquido sclerosante: 1) spiazza completamente il sangue nel progredire nel lume vasale. 2) Espandendosi riempie completamente il lume vasale con contatto omogeneo e uniforme. 3) data la sua lenta progressione (modificabile anche con manovre compressive) rende più duraturo il contatto dello sclerosante con l’endotelio. 4) ha proprietà iperecogene; la procedura è pertanto effettuabile sotto ausilio ecografico. 5) data la proprietà di spiazzamento del sangue, non subisce diluizione: è pertanto possibile l’uso di quantità e concentrazioni di sclerosante minori rispetto alla scleroterapia liquida. Allo stato attuale è riconosciuta l’efficacia della scleroterapia ecoguidata con schiuma per il medio periodo (3, 4, 5), tuttavia è da rimarcare una eterogeinità eccessiva nei risultati, causata anche dalla mancanza di protocolli attuativi condivisi che codifichino sia la prassi esecutiva della metodica, sia, possibilmente, i migliori rap-


porti tra volumi, concentrazioni e tempi di contatto, rispetto alle varie classi di calibro/lunghezza delle vene da trattare. L’evento che si verifica immediatamente dopo l’iniezione sclerosante è l’attivazione del processo di coagulazione endovasale (attivazione estrinseca della coagulazione per lesione endoteliale). L’alterazione irreversibile della membrana fosfolipidica induce la necrosi della cellula endoteliale con attivazione della “fase di contatto” del processo coagulativo che comprende: adesione delle piastrine alla parete lesa e la loro attivazione per contatto con il fattore tissutale. Ciò comporta la biodisponibilità del Fattore V, coenzima attivante il fattore X ematico: sulla superficie biocatalitica piastrinica si forma un complesso multimolecolare costituito da Fattore Xa (enzima), Fattore V (coenzima), Protrombina ematica (zimogeno) che attiva la trombinogenesi e la conseguente trasformazione di fibrinogeno in reticolo di fibrina. Inoltre l’attivazione di contatto delle piastrine provoca, tramite liberazione di trombossano, una potente azione di aggregazione piastrinica. Altri importanti fattori regolano l’entità e l’evoluzione del processo trombotico. Il primo è determinato dalla Antitrombina III (glicoproteina circolante) ad azione antitrombinica e attiva se adesa all’endotelio integro; il secondo è il complesso proteina C/proteina S, anch’esso ad azione antitrombinica, che viene attivato sull’endotelio dalla trombina stessa. Tali sistemi di controllo anticoagulativo nel vaso integro, vengono regolarmente soverchiati dai meccanismi coagulativi in caso di lesione endoteliale (6). Il trombo conseguente all’intrappolamento dei globuli rossi e globuli bianchi nel reticolo di fibrina è caratteristicamente sin dall’inizio molle e ben adeso alla parete venosa (“trombo infiammatorio”). La stasi venosa a monte e a valle del segmento venoso interessato dal trombo infiammatorio determina invece un processo coagulativo prodromo di una trombosi non infiammatoria (“trombo da stasi”): trombo scarsamente adeso, con sottile reticolo fibrinico e suscettibile di rapida lisi ; ciò rende conto della precoce ricanalizzazione di segmenti venosi più distanti al punto di iniezione quando il volume dello sclerosante non sia stata sufficiente. L’evoluzione del trombo è un processo complesso ed ancora non del tutto chiarito, il cui esito determina la riuscita della terapia sclerosante. Infatti due meccanismi ad azione opposta si innescano contemporaneamente con prevalenza finale dell’uno o dell’altro. Il primo meccanismo, ad origine sia parietale, sia ematica, porta alla lisi progressiva del trombo ed alla ricanalizzazione. L’altro, ad origine prevalentemente parietale, conduce alla organizzazione del trombo tramite colonizzazione da parte di fibroblasti e sostituzione finale del trombo con tessuto cicatriziale. Artefice principale della lisi è la fibrinolisina (plasmina) derivante dal plasminogeno (glicoproteina prodotta dal fegato e presente nel plasma) dopo la sua attivazione da parte di due tipi di proteasi: l’una è il tPA (attivatore tissutale del plasminogeno), liberato dall’endotelio leso; l’altra, di minore importanza, è l’urokinasi plasmatica, derivata dalla pro urokinasi plasmatica sotto l’azione della callicreina prodotta dalle piastrine nella fase di contatto e adesione. Questa attività fibrinolitica è particolarmente attiva nei primi giorni della trombosi; essa viene progressivamente sostituita dalla trombolisi da parte dei polimorfonucleati attratti per diapedesi da stimoli chemiotattici nella sede del trombo. Essi esplicano la loro azione

Prima del trattamento

Due settimane post trattamento con Scleroterapia e RF

in modi diversi: digestione della fibrina tramite proteasi (elastasi, catepsina G), lisi piastrinica, fagocitosi diretta della fibrina. In condizioni normali, l’esaltata attività fibrinolitica è modulata da una attività antifibrinolitica ed anti piastrinica espressa dall’endotelio vitale tramite la trombomodulina (attività sia anticoagulante, sia antifibrinolitica) e la ciclossigenasi endoteliale (CLOX2) che, catalizzando la sintesi di prostaciclina, inibisce l’aggregazione piastrinica (7). Il secondo processo che si instaura contestualmente è l’organizzazione del trombo. Secondo gli studi più recenti esso inizia con la migrazione nel trombo (attrazione chemiotattica) di leucociti che in parte esercitano azione macrofagica sul trombo, in parte(monociti), tramite produzione di chemochina-interleuchina-8 (IL-8) promuovono una azione pro fibroblastica. I fibroblasti che invadono il trombo sono di provenienza intimale e sottointimale: La formazione di proto collagene amorfo sembra catalizzata dai fattori di crescita derivanti dalla lisi piastrinica (Pdgf, Tgf-B, Fgfb) (8)). La maturazione in collagene da tipo I a tipo III

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avviene assai lentamente e talora in modo incompleto. In questa importante fase l’impalcatura fibrinica viene progressivamente sostituita da una impalcatura di collagene con interposta sostanza fondamentale. Questa viene invasa da cellule neoangiogenetiche di origine iuxta intimale (cellule “paraendoteliali”?, cellule staminali?) che determinano una progressiva neo micro vascolarizzazione del vecchio trombo. Non è al momento chiaro perché a questo stadio il processo di fibrosi si stabilizzi, ovvero avvenga una progressiva ricanalizzazione (più o meno lenta), tramite il sopravvento litico dei macrofagi e monociti (produzione di ialuronidasi, collagenasi) e il progressivo sviluppo e confluenza dei neo vasi sino a determinare un neo lume, una neo avventizia ed infine un neo endotelio per colonizzazione dai segmenti venosi adiacenti ed integri. L’obliterazione fibrotica duratura del lume venoso avviene solo se il processo fibrogenetico ha il sopravvento sul processo collagenolitico e se il processo fibrinolitico avviene gradualmente evitando una ricanalizzazione precoce. Presupposti essenziali sembrano essere da un lato una completa e uniforme necrosi endoteliale, dall’altro uno stimolo infiammatorio degli strati sottoendoteliali sufficientemente energico ad una valida induzione fibrogenetica. Appare pertanto essenziale un opportuno dosaggio della sostanza sclerosante in termini di concentrazione/volume rispetto al calibro e lunghezza della vena da trattare, nell’ambito di un rigoroso protocollo esecutivo che preveda un appropriato bendaggio compressivo. Le onde elettromagnetiche della Radiofrequenza sono prodotte da un opportuno generatore di microonde (“cannone elettronico”) basato sul principio della modulazione di un intenso fascio di elettroni. Le onde di Radiofrequenza sono in uso in medicina, con diverse metodiche, intensità e lunghezze di onda, da oltre 80 anni. Vengono usate in elettrochirurgia per elettrobisturi di precisione; per provocare una necrosi di tessuto neoplastico; per il trattamento ablativo di aritmie cardiache; per la riduzione di tessuti ostruenti; per ablazione delicata di tendini e ligamenti; per decomprimere dischi intervertebrali; per il trattamento del dolore neuro muscolare. Agli inizi degli anni 2000 la Radiofrequenza è stata approvata dalla FDA per l’ablazione termica endoluminale della vena safena interna (metodo VNUS) e, più recentemente, per terapie di medicina estetica quali, ringiovanimento cutaneo, rilassamenti cutanei e lifting non chirurgico del volto (metodica Thermage e successive evoluzioni) per la dimostrata capacità di ricompattamento del tessuto connettivo (9). Le onde elettromagnetiche (frequenze usate in Medicina Estetica: 1MHz-10MHz) vengono somministrate per via transcutanea tramite apposito manipolo autorefrigerante, per evitare ustioni cutanee, con opportuna energia (10-50 J); la capacità di penetrazione nei tessuti è determinata sia dalla frequenza prescelta (maggiore la frequenza, minore la penetrazione), sia dalle modalità di somministrazione (monopolare, bipolare, tripolare), sia dalle caratteristiche fisiche dei tessuti (coefficiente di penetrazione). Nella erogazione monopolare le onde elettromagnetiche emesse dal manipolo attraversano tutti i tessuti sino alla placca neutra posizionata sul corpo in una sede distante: in questo caso la penetrazione è profonda e l’azione energetica utile può estendersi ad oltre 15 mm dalla cute. Nella erogazione bipolare, anodo emittente e catodo sono situati entrambi nella sonda del manipolo a breve

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Prima del trattamento

Due settimane post trattamento con Scleroterapia e RF

distanza: la penetrazione nel tessuto è eguale alla metà della distanza tra anodo e catodo: efficacia a pochi mm. dalla cute. Nella erogazione tripolare, il manipolo è formato di tre elettrodi: l’emissione (anodo) oscilla continuamente dall’uno all’altro elettrodo, mentre gli altri due fungono vicendevolmente da catodo; in questo modo la diffusione delle onde è assai omogenea nell’area di applicazione, ed assai superficiale: tale dispositivo è utile per il lifting non ablativo del volto. In ogni caso le onde elettromagnetiche inducono uno spiazzamento elettronico transitorio delle molecole dell’acqua presente nei tessuti con polarizzazione e successivo rilassamento delle stesse: l’energia termica prodotta dalla reazione viene trasmessa ai tessuti circostanti in rapporto alla loro conduttività termica (9). Le azioni del calore sul collagene sono state in parte già documentate, in parte oggetto di studi in corso. Allo stato attuale (10, 11, 15, 16, 17): A) A temperature tra 55° C e 65° C. si ottiene una retrazione progressiva delle fibre collagene (shrinkage) dovuto ad


una contrazione e riassestamento dei legami molecolari prolina-idrossiprolina nella struttura elicoidale, che viene tuttavia mantenuta (alfa tripla elica). B) A temperature superiori a 65C si realizza una progressiva alterazione della struttura a tripla elica con aumento del diametro delle fibre sino a denaturazione completa e perdita della struttura fibrillare. Nessun ulteriore cambiamento avviene oltre gli 85C. C) Collagene alterato (rottura dei ponti idrogeno o pretrattato con salicilato) ha una temperatura di “shrinkage” molto più bassa di 65 C. D) Temperature tra 45C e 55C non producono “shrinkage”, ma hanno un potente stimolo fibrogenetico per attivazione leucocitaria di HSP 47 (heat stress protein 47). E) La vasodilatazione conseguente al calore favorisce iperplasia e ipertrofia dei fibroblasti con intensità maggiore nei tessuti danneggiati. Materiali e Metodi Per valutare l’eventuale efficacia della radiofrequenza quale adiuvante alla scleroterapia, nel periodo Gennaio 2011/Dicembre 2011 sono state selezionate a caso 26 pazienti di sesso femminile che presentavano dilatazioni reticolari sub dermiche e teleangectasie di tipo primitivo (non significativa patologia dell’asse safenico all’esame Ecocolordoppler) nella regione antero laterale di coscia di circa simile entità in entrambi i lati. Range età 28-54 anni ; età media 36 anni; tutte erano di razza mediterranea e l’anamnesi era negativa per patologie di rilievo; nessuna assumeva farmaci, in particolare farmaci ormonali. In tutte le pazienti l’indicazione terapeutica era di tipo estetico. Allo scopo di rendere più omogeneo possibile il risultato dell’indagine, fù stabilito il seguente protocollo terapeutico: • Farmaco: POL (Atossisclerol/Lauromacrogol 400) alla concentrazione di 0,25% • Ago 30G, 12 mm (Meso relle), siringa insulina 1 ml (Penta Ferte) • Numero iniezioni: 4-5 per lato (contemporaneamente nella stessa seduta), con uso di lente di ingrandimento (3 diottrie) e apparecchiatura a transilluminazione ove necessario. • Numero totale sedute: 5 a cadenza bisettimanale. • Controllo a due settimane e a sei mesi dopo l’ultima seduta. • I n ogni paziente fu scelto a caso un lato dei due su cui dopo ogni singola seduta scleroterapica veniva applicato un trattamento addizionale di radiofrequenza transdermica della durata di 15 minuti. Il trattamento a radiofrequenza fu attuato con macchinario M10e della Honkon Med e manipolo a frequenza bipolare (Frequenza 2,64 Mz, potenza usata 10-18 Joules; durata impulsi 20 sec), elettrodo di contatto mantenuto senza raffreddamento; la somministrazione della radiofrequenza veniva eseguita mantenendo il manipolo a contatto con la cute su cui era stata eseguita la scleroterapia e imprimendo a questo movimenti circolari. Al termine, sull’area veniva posta borsa di ghiaccio per alcuni minuti e veniva applicata crema lenitiva all’ossido di zinco. • Entrambi i lati trattati vennero quindi mantenuti compressi con fascia coesiva Cofix 10 cm, per i due giorni consecutivi. • Ad ogni seduta veniva esaminato lo stato della cute e

collaterali locali immediati furono: lato A = assenti in 18 pazienti (70%); scarsi in 4 pazienti (15%), significativi in 4 pazienti (15%); a sei mesi, rispettivamente: assenti in 15 pazienti (58%), scarsi in 8 pazienti (31%), significativi in 3 pazienti (11%). Lato B, nell’immediato: assenti in 17 pazienti (65%); scarsi in 7 pazienti (27%), significativi in 2 pazienti (8%); a sei mesi, rispettivamente: assenti in 23 pazienti (88%), scarsi in 2 pazienti (8%), significativi in 1 paziente (4%). Anche questo parametro mostrò, nei mesi successivi, un lieve peggioramento dei resultati (pigmentazione tardiva) nei lati A, viceversa un progressivo miglioramento nei lati B.

Tav 1, 2 e 3

l’evoluzione della sclerosi: ove necessario veniva ripetuto il trattamento dell’area; viceversa si procedeva al trattamento di aree contigue, sempre trattando le “feeding vein” (transilluminazione) e i rami più grandi per primi. Risultati I controlli furono effettuati a due settimane e a sei mesi dopo la quinta seduta. Onde procedere ad una valutazione sufficientemente obiettiva, i due lati di ogni singolo paziente (definendo lato A quello sottoposto a sola scleroterapia e lato B quello sottoposto a trattamento con radiofrequenza addizionale) furono confrontati e valutati secondo i seguenti parametri: A) Ectasie Residue o Recidive nell’area trattata. B) Presenza di effetti collaterali (pigmentazioni, coaguli, matting, irritazioni cutanee). C) Aspetto globale dell’area trattata, (valutata solo a 6 mesi), con paziente eretto, luce diretta 100W, a 1 metro di distanza. La valutazione di ogni parametro fu data, per ogni lato, con i seguenti criteri valutativi: Par. A): assenti-scarse-significative Par. B): assenti- scarsi- significativi Par. C): miglioramento assente – scarso –significativo Nei lati trattati con sola scleroterapia si osservò, a due settimane dal termine delle sedute, una ottima risposta (pressochè assenti residui) delle ectasie in 10 pazienti (39%), una buona risposta (scarsi residui) in 12 pazienti (46%), una scarsa risposta in 4 pazienti (15%). A sei mesi di distanza, causa ricanalizzazioni, i risultati tesero a peggiorare come segue: ottima risposta in 8 pazienti (31%), buona risposta in 12 pazienti (46%), scarsa risposta in 6

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pazienti (23%). Ciò era in parte atteso data la scelta per il presente studio di una concentrazione di sclerosante (POL 0,25%) molto bassa. Nei lati trattati con aggiunta di Radiofrequenza, i risultati immediati furono: ottima risposta in 14 pazienti (54%); una buona risposta in 10 pazienti (38%); una scarsa risposta in 2 pazienti (8%). In questi lati trattati aggiuntivamente si osservò tuttavia un ulteriore miglioramento al controllo dei sei mesi: ottima risposta in 19 pazienti (73%); buona risposta in 5 pazienti (19%); i casi invece che avevano avuto una scarsa risposta immediata rimasero tali anche al controllo dei sei mesi: 2 pazienti (8%). [Tav 1]. Ciò significa che nei lati B (all’opposto dei lati A) si verifica, con il passare del tempo, non solo un mantenimento, ma anche un continuo miglioramento della risposta alla scleroterapia. Sommando le percentuali di risposta ottima e risposta buona, a sei mesi, si ottiene per il lato A una risposta globale del 77%, per il lato B del 92%. Tali dati coincidono altresì con le valutazioni dell’aspetto estetico globale a sei mesi dal trattamento [Tav. 3]: significativo miglioramento in 16 pazienti (62%) per i lati A e in 23 pazienti (88%) per i lati B. Merita l’osservazione che la maggior parte delle reticolari più grandi (2-3 mm) risultarono, al termine dei sei mesi, scomparse nei lati B; queste tendevano invece a residuare o a recidivare in parte dei lati A. Gli effetti collaterali (pigmentazioni e trombi intravascolari) [Tav. 2] mostrarono col tempo un marcato miglioramento e frequentemente una scomparsa totale in entrambi i lati. Nei lati trattati con sola scleroterapia (lati A) si assistette ad una maggior frequenza di piccole pigmentazioni; nei lati con radiofrequenza addizionale (lati B) furono più frequenti esili coaguli intravascolari e arrossamenti cutanei (ustioni di 1° grado), nel tempo risolti. In solo caso (lato B) comparve un modesto matting (post infiammatorio) ancora presente all’osservazione dei sei mesi. Nel complesso sia le pigmentazioni, sia i coaguli intravascolari, tesero a risolversi più radicalmente nei lati B. Nel dettaglio, gli effetti

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Discussione Il trattamento scleroterapico delle teleangectasie e vene reticolari è stato intenzionalmente effettuato con una bassissima concentrazione del polidocanolo (0,25%), onde poter meglio osservare l’eventuale efficacia additiva del calore. Il calore esercita importanti effetti sui tessuti biologici (10, 11). La Radiofrequenza è una ottima modalità di trasmettere opportunamente il calore. Il tipo di tessuto, l’entità del riscaldamento e il tempo di trattamento sono i tre principali fattori che influenzano i risultati del trattamento (9)). Inoltre, dagli studi di Edelstein e coll. sono dimostrate implicazioni terapeutiche significativamente diverse per la radiofrequenza a seconda che si persegua una azione termo ablativa tissutale intensa (es metastasi neoplastiche) ovvero una azione mirata più blanda. Una denaturazione microscopica del collagene, costituente la maggior parte dei tessuti, costituisce un approccio terapeutico non chirurgico al trattamento di diversi disordini, in specie endoluminali (es. incontinenza urinaria da stress). Il collagene è la proteina più abbondante nei tessuti; le sue catene polipeptidiche sono stabilizzate nella conformazione tripla elica da ponti a idrogeno. Quando è riscaldato a temperature prossime ai 60° C, le fibre vanno incontro ad una transizione di fase: da struttura cristallina a gel amorfo: ciò si materializza in una contrazione del collagene (shrinkage) (11). Riscaldando i tessuti a temperature inferiori a 60° C e per tempi di alcuni minuti, si sono osservate altresì modificazioni più lente: in effetti il riscaldamento provoca effetti di rassodamento (“thightening”), di rimodellamento, di riduzione della compliance e di incremento della velocità di guarigione di ferite sperimentalmente indotte (10, 11). Studi recenti hanno evidenziato che il collagene danneggiato da agenti chimici che causino alterazione dei ponti idrogeno (in questi esperimenti fu testato anche il salicilato), presenta un considerevole abbassamento del punto termico di “shrinkage” (10). La neocollagenogenesi è un altro aspetto estremamente importante. Studi recenti (12, 13, 14, 15, 16) hanno evidenziato la produzione e liberazione dalle cellule sottoposte al calore delle Heat Shock Proteins: una elevazione della temperatura locale di 5° C. determina un significativo aumento della sintesi di tali proteine (variabile da tessuto a tessuto); con il crescere della temperatura esse possono aumentare sino a costituire il 20% delle proteine endocellulari (12, 13). La funzione delle HSP è quella di preservare o degradare le proteine denaturate da stimoli di stress quali il calore. La HPS 47 in particolare, è legata alle alterazioni termiche del collagene. Le molecole del Collagene I sono correttamente assemblate tridimensionalmente solo in presenza di HSP 47. Uno sti-


La neo fibrogenesi si attua lentamente (alcuni mesi) e ciò renderebbe conto del miglioramento progressivo dei vasi trattati e, in aggiunta, del miglioramento trofico della cute e del derma. L’uso della radiofrequenza monopolare permette inoltre il surriscaldamento a profondità più elevate (15-20 mm) e le nuove tecnologie già permettono di convogliare selettivamente il calore in profondità, selezionando accuratamente appropriate lunghezze di onda, potenze, lunghezza dell’impulso ed utilizzando il sistema di raffreddamento cutaneo, onde preservare l’epidermide da ustioni (18). Ciò aprirebbe la strada all’utilizzo della radiofrequenza per vene di calibro maggiore. comprese le vene safene e permettendo consequentemente l’utilizzo di minori quantità e concentrazioni dello sclerosante, con riduzione degli effetti collaterali. Sulla scorta delle osservazioni preliminari, ulteriori studi saranno necessari per meglio definire i parametri applicativi con particolare riguardo al numero di sedute necessarie.

Apparecchiatura a Radiofrequenza con manipolo bipolare

molo termico sufficiente, sembra liberare il TGF Beta 1 (tansforming growt factor beta 1) che induce sintesi di sostanza fondamentale, la quale stimola la formazione di HSP 47 che induce la replicazione fibroblastica. (14, 15). È inoltre confermata l’azione del calore quale stimolo infiammatorio con promozione della espressione del CTGF (connective tissue growth factor) (16, 17) quale stimolante fibrogenetico. La metodologia a radiofrequenza Thermage fu la prima ad essere introdotta per scopi estetici (ringiovanimento non ablativo). La metodica, con successivi miglioramenti, è divenuta assai nota ed ha ricevuto l’approvazione FDA. In campo flebologico la radiofrequenza è in uso sin dagli inizi di questo secolo: la metodica VNUS ottiene lo shrinkage della vena grande safena tramite apposito catetere, la cui estremità viene scaldata a temperature di 85° C e oltre. Recentemente (Frullini) è stata proposta la tecnica LAFOS che tramite catetere laser ad Olmio, per via endovenosa, determina un surriscaldamento della tunica media a 60° C: ciò causa un restringimento parziale del lume, fattore facilitante la successiva scleroterapia ecoguidata. Tali metodiche, pur scarsamente invasive, sono essenzialmente di tipo endoluminale. L’applicazione esterna, per via transdermica, quale coadiuvante la scleroterapia, appare promettente, qualora i risultati preliminari venissero confermati ed implementati, non solo per la facilità esecutiva, ma anche per lo scarso costo della procedura.

BIBLIOGRAFIA 1) Parsi K, Exner T, Low J, Fung M, Joseph JE. In vitro effects of detergent sclerosants in cloth formation and fibrinolysis. Eur. J. Vasc. Endovasc. Surg. 2011, Feb 41 (2): 267-277. 2) Cabrera J et al. Nuevo metodo de sclerosis en los varices tronculares. Path. Vasc. 1995 ; 4: 55-73 3) Breu Fx, Guggenblichler S, WollmannJC. Second European Consensus Meeting on Foam Sclerotherapy. Tegernsee. VASA 2008; 37: 90-95. 4) Van der Bas R, Arends L. et al. Endovenou therapies of lower extremities varicosities: a meta analysis. J. Vasc. Surg. 2009; 49: 230-239. 5) Jia x., Mowatt G., Burr JM, Cassar K, Cook J, Fraser C,. Systematic review of foam sclerotherapy for varicose veins. Br. J. Surg. 2007; 94 925-936. 6) Sagripanti A, Grassi B. Il trattamento delle trombosi: Recenti progressi. ETS Ed, 1989: 29-50. 7) Sagripanti A, Grassi B. Il trattamento delle trombosi. Recenti progressi. ETS Ed, 1989: 55-74. 8) Kilian O, et al. Effects of platelets growth factors on human mesenchymal stem cells and human endothelial cells in vitro. Eur. J. Med. Res. (2004); 9: 337-344. 9) Edelstein P. Radiofrequency energy in medicine. Novasys Med. PM0014E ; 07: 1-3. 10) Shihabi Sh et al. Hypertermia can accelerate the healing process of 2nd degree burn wounds. J. Kerman University Med. Sc, -Vol 12, N. 2, 2005 11) Brown PC, Consden R, Glynn E, Observations on the shrink temperature of collagen and its variations with age and disease. Ann. Rheum. Dis. 1958 June 17(2): 196-208. 12) Chen JJ, Jin PS, Zhao S, et al. Effect of heat shock protein 47 on collagen synthesis. ANZ J. Surg. 2011; 81(6): 425-430. 13) Yoshimune K et al. Hsc62, Hsc56and GrpE, the third HSP70 chaperone system of E. coli. Biochem. Biophis. Res., 2002 (5): 1389-95. 14) Tavaria M, et al. A hitchicker’s guide to the humanHSP 70 family. Cell Stress Chaperones, 1996 (1): 23-28. 15) Kawada N, et al. Expression of HSP 47 in mouse liver. Cell. Tissue Rest., 1996; 288: 341-346. 16) Nagata K. Expression and formation of HSP 47: a collagen specific chaperone in the endoplasmic reticulum. Matrix Biol. 16 (7), 1998: 379-386. 17) Leask a. Holmes A, Abraham DJ. Connective tissue growth factor: a new important player in pathogenesys of fibrosis. Curr. Rheum. Rep.; 4 (2) 2002: 136-142. 18) Burdette Clif E et al. Ultrasound therapy applicators for controlled thermal modification of tissues.: web pre print comm.

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L’insegnamento della Flebologia nel percorso formativo del Medico La Formazione del medico dovrebbe tener conto delle patologie che hanno il maggior impatto sulla vita e sulla salute dei cittadini. I dati sulle principali cause di morbilità e di morte nel nostro paese dovrebbero guidare i processi formativi del medico, nel preLaurea come nel post Laurea . Analizzato il Grafico 1 e, nello specifico i dati attinenti la Flebologia, si riscontrano palesi incongruenze col principio sopra enunciato. Nel nostro paese, circa 19.000.000 di individui soffrono di IVC e questo ne fa la 3ª patologia più diffusa (dopo allergie ed ipertensione). solo 1 paziente su 3 sa di essere malato e viene curato. Le vene varicose rappresentano una condizione patologica molto comune, che arriva a colpire fino ad una persona su due oltre i cinquant’anni di età e, più in genera-

Grafico 1

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LAVORO PERSONALE DI Dr. Pietrino Forfori - GE pietrinoforfori@libero.it

le, circa il 15% degli uomini ed il 25% delle donne. Ogni anno il tromboembolismo venoso colpisce e uccide un numero più che doppio di persone di quante ne uccidano AIDS, carcinoma mammario, tumore della prostata e incidenti stradali messi assieme in Europa. Si tratta della terza malattia cardiovascolare più diffusa al mondo (dopo la malattia coronarica e l’ictus) e comprende la trombosi venosa profonda (TVP) e la sua complicanza acuta dal potenziale esito fatale, l’embolia polmonare (EP). La patologia è sottovalutata e non se ne percepiscono la pericolosità e le conseguenze Dei pazienti che afferiscono all’ambulatorio del medico di famiglia in una normale giornata lavorativa, circa il 40% è risultato affetto da IVC, indipendentemente dal motivo


Corso teorico-pratico

per cui i pazienti si erano recati dal medico. In particolare il 44,7% presentava teleangectasie e il 49% varici, ossia stadi già avanzati di patologia, tanto che 1 paziente su 5 (20%)di quelli che erano andati dal medico per motivi diversi dall’IVC è stato inviato allo specialista. 4 pazienti su 5 (80%) NON VIENE INVIATO AD APPROFONDIMENTO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO Perché avviene tutto questo? La maggior parte dei medici di famiglia in attività, ha ricevuto, riguardo la Flebologia, una formazione deficitaria. Come ovviare ? Prevedendo una formazione flebologica per il medico di famiglia.

PERCORSO FORMATIVO DEL MEDICO DI FAMIGLIA CORSO TRIENNALE DI FORMAZIONE SPECIFICA IN MG. RIFORMA OSSERVATORIO NAZIONALE FORMAZIONE MEDICINA GENERALE Su proposta del sottoscritto, accolta unanimemente, nel core curriculum del medico in formazione specifica in medicina generale, viene inserito :Insufficienza Venosa e Rischio TEV. La Flebologia viene inserita ufficialmente in un percorso formativo del Medico di Medicina Generale.

OBIETTIVO DEL CORSO

ATTUALE PERCORSO FORMATIVO DEL MEDICO DI FAMIGLIA Laurea in Medicina e Chirurgia - 6 anni x 60 CF per un tot di 360 CF

Corso triennale di formazione specifica MG - 3 anni x 64 CF per un tot. di 192 CF

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64 CF

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Per la FLEBOLOGIA Solo 1 CFU. Come ADE ATTIVITÀ DIDATTICA ELETTIVA. (Facoltativa per studenti) in genere all’interno dell’insegnamento della Chirurgia Vascolare, con un orientamento quasi esclusivamente chirurgico.

Sclerosi delle emorroidi con schiuma

sull’argomento. Di fatto dipende molto dalla disponibilità, della preparazione e sensibilità presenti nel corpo docente nei vari centri Formativi regionali.

Chi deve insegnare la FLEBOLOGIA? CREARE LA FIGURA DEL DOCENTE IN FLEBOLOGIA per il CORSO TRIENNALE DI FORMAZIONE SPECIFICA IN MG REGIONALE Affinché non accada che, nonostante nel nostro paese, circa 19.000.000 di individui soffrano di IVC e questo ne faccia la 3° patologia più diffusa (dopo allergie ed ipertensione).

Con questo corso è possibile conseguire un significativo bagaglio di nozioni teoriche e pratiche sulla terapia con schiuma sclerosante delle emorroidi. Accanto a una base sulla fisiopatologia delle emorroidi e il loro studio morfologico mediante strumenti dedicati, si forniscono le conoscenze fondamentali sui materiali più idonei e le tecniche classiche e più innovative di trattamento delle emorroidi. La parte principale del corso è dedicata all’utilizzo della schiuma sclerosante, vera e propria rivoluzione nella terapia delle emorroidi, utilizzabile attraverso due approcci distinti: un approccio cosiddetto “esterno” ed un approccio invece “interno”, con l’ausilio di materiale endoscopico. In entrambe i casi la metodica è eseguibile ambulatorialmente e senza necessità di alcuna anestesia. Il corso è strutturato in due sessioni separate al fine di poter fornire, con il primo livello, indicazioni basilari per poter mettere in pratica la tecnica mentre, con il secondo livello, poter affinare la metodologia di lavoro e confrontarsi con i docenti durante le sessioni pratiche in diretta. CORSO BASE (I livello) La prima sessione più generale è dedicata allo studio dell’anatomia e della fisiopatologia delle emorroidi, alla storia della nascita e dello sviluppo della schiuma sclerosante. Verrà dettagliatamente spiegata la tecnica di iniezione delle emorroidi con approccio dall’esterno. Nel corso di questa sessione verranno inoltre affrontate le tematiche medicolegali riguardanti gli aspetti organizzativi per la strutturazione di un ambulatorio medico idoneo all’esecuzione della metodica e alla normativa vigente riguardo all’utilizzo di farmaci “off label”.

TRIENNIO FORMAZIONE SPECIFICA MG (PRE RIFORMA) Nel programma ministeriale non è previsto l’insegnamento della Flebologia, è facoltà del Collegio Didattico e dei Coordinatori delle Attività Teoriche prevedere Seminari

Solo 1 paziente su 3 sa di essere malato e viene curato. la patologia è sottovalutata e non se ne percepiscono la pericolosità e le conseguenze.

Durata del corso: 1 stage di 8 ore Docenti: Equipe didattica coordinata dal Dr. M. Ronconi Data del corso: 22 marzo 2013 CORSO AVANZATO (II livello) La seconda sessione prevede più specificatamente l’insegnamento della tecnica di iniezioni delle emorroidi per via endoscopica, con sessioni live con la sala operatoria della Scuola e possibilità di interazione diretta con gli operatori durante l’esecuzione della metodica. Verranno inoltre fornite le nozioni endoscopiche di base per rendere la tecnica eseguibile in qualsiasi ambulatorio attrezzato. Durata del corso: 1 stage di 8 ore Docenti: Equipe didattica coordinata dal Dr. M. Ronconi Data del corso: settembre 2013

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Richiedi i programmi dettagliati Segreteria e sede del corso: CPMA – VALET – Divisione Didattica Via dei fornaciai 29/b – 40129 Bologna Tel: 051 63.88.334 www.valet.it - info@valet.it

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