I SENTIMENTI DEL COMPORTAMENTISTA di Burrhus Frederic Skinner Il comportamentismo è frequentemente accusato di considerare l'essere umano come un organismo vuoto, privo di pensieri e sentimenti. Talvolta si suggerisce che la scienza del comportamento neghi che le persone siano consce. In questo estratto Skinner, figura di riferimento della teoria comportamentista, smentisce queste affermazioni, e mostra inoltre come Egli realmente tratti questo importante argomento. Pensieri e sentimenti, ci insegna Skinner, non spiegano il comportamento; essi sono parte del comportamento da spiegare. A chi accusa di rinunciare a spiegare il comportamento umano riferendo ciò che sentiamo o osserviamo introspettivamente nei nostri corpi, Egli risponde che si tratta del primo passo per costruire una scienza necessaria per analizzare le complesse interazioni tra l'ambiente e il corpo e il comportamento al quale esso dà origine. Mauro Leoni (Traduzione e introduzione)
Una recensione di Behaviorism: A Conceptual Recontruction (1985) di Gerald Zuriff sul London Times Literary Supplement (1985) inizia con la storiella riguardante due comportamentisti. Dopo aver fatto l'amore uno di loro afferma, "È stato bello, per te. Com'è stato per me?" L'autore della recensione, P. N. Johson-Laird, insiste col dire che c'è una "verosimiglianza" con la teoria comportamentista. Si suppone che i comportamentisti non abbiano sentimenti, o almeno che non lo riconoscano. Tra i tanti modi in cui è stato frainteso il comportamentismo per altrettanti anni, questo è forse il più comune. Un riguardo forse eccessivo per l'"oggettività" può aver causato il problema. I comportamentisti metodologici, come i positivisti logici, hanno sostenuto che la scienza deve essere confinata a quegli eventi che possono essere osservati da due o più persone; la verità deve essere verità per mezzo di accordo, convenzione. Ciò che una persona vede attraverso l'introspezione non conta. C'è un mondo privato di sentimenti e stati della mente, ma è fuori dalla portata di una seconda persona e quindi della scienza. Chiaramente questa posizione non era soddisfacente. Ciò che la gente prova è spesso importante quanto ciò che fa. Il comportamentismo radicale non ha mai preso quella direzione. Sentire, provare, è un tipo di azione sensoriale, come vedere o udire. Vediamo, per esempio, una giacca di tweed, e la sentiamo anche. È evidente che non è affatto come sentirsi depressi. Conosciamo abbastanza circa gli organi attraverso i quali sentiamo la giacca, ma sappiamo poco, se non nulla, su quelli per mezzo dei quali ci sentiamo depressi. Possiamo anche sentire sulla giacca facendo scorrere le dita sul tessuto per aumentare la stimolazione, ma non sembra esserci alcun modo di sentire sulla depressione. Conosciamo altri modi di sentire la giacca, e facciamo diverse cose per ottenerlo. In altre parole, abbiamo altre vie per conoscere cosa stiamo provando. Ma cosa stiamo provando quando ci sentiamo depressi? William James ha anticipato la risposta dei comportamentisti: ciò che proviamo è una condizione del nostro corpo. Non piangiamo perché siamo tristi, affermò James, bensì siamo tristi perché piangiamo. Questo inganna un po', naturalmente, perché facciamo ben più che piangere quando ci sentiamo tristi, e possiamo sentirci tristi quando non stiamo piangendo. Tuttavia James puntava nella giusta direzione: ciò che proviamo sono condizioni fisiche. I fisiologi alla fine le osserveranno in un altro modo, come osservano ogni altra parte del corpo. L'opera Bodily Changes in Pain, Hunger, Fear, and Rape (1929) di Walter B. Cannon rappresentò un primo studio di alcune condizioni che si provano spesso. Nel frattempo noi stessi possiamo rispondere ad esse direttamente. Lo facciamo in due differenti vie. Per esempio rispondiamo agli stimoli provenienti dalle nostre articolazioni e dai nostri muscoli in un determinato modo quando siamo in movimento e in uno diverso quando diciamo di essere rilassati o zoppi. Rispondiamo in un senso a uno stomaco vuoto quando mangiamo e in un altro quando diciamo di avere fame. . . . Per secoli, naturalmente, è stato ribadito che ci comportiamo in dati modi a causa dei nostri sentimenti, sensazioni. Mangiamo perché ci sentiamo affamati, attacchiamo perché ci sentiamo arrabbiati, e in generale facciamo ciò che ci sentiamo di fare. Se questo fosse corretto, le nostre conoscenze difettose dei sentimenti sarebbero disastrose. Nessuna scienza del comportamento sarebbe possibile. Ma ciò che si prova non è una causa iniziale o iniziatrice. William James certamente sbagliava con i suoi "perché". Noi non piangiamo perché siamo tristi, né ci sentiamo tristi perché piangiamo; piangiamo e ci sentiamo tristi perché qualcosa è successo. (Forse qualcuno che amavamo è morto.) È facile confondere ciò che proviamo come una causa, per il fatto che lo proviamo mentre ci stiamo comportando (o
Estratto da "The Place of Feelings in the Analysis of Behavior", di B. F. Skinner. Nel London Times Literary Supplement (1989).
anche prima che ci comportiamo), ma i fatti che sono realmente responsabili per quello che facciamo (e quindi anche ciò che proviamo) si trovano nel passato forse distante. L'analisi sperimentale del comportamento accresce e corrobora la nostra conoscenza dei sentimenti facendo chiarezza sui ruoli delle condizioni ambientali passate e presenti. . . . Una tale analisi ha un importante rapporto con due questioni pratiche: quanto possiamo conoscere di ciò che un'altra persona sta provando, e come può essere cambiato ciò che si prova? Non è sufficiente chiedere alle altre persone come si sentano, e cosa sentano, poiché le parole che useranno nel risponderci saranno acquisite, come abbiamo visto, da persone che non sapevano veramente ciò di cui stavano parlando. Qualcosa del genere sembra essere vero per il primo utilizzo di parole per descrivere gli stati privati. La prima persona che ha detto, "Sono preoccupato" ha preso a prestito una parola che significava "soffocato" o "strozzato". (In inglese anger [collera], anguish [angoscia] e anxiety [ansia] provengono anch'esse da un'altra parola che significava " choked" [soffocato].) Ma quanto lo stato fisico che la parola è solita descrivere è simile all'effetto di soffocare? Tutte le parole usate per i sentimenti sembrano essere originate come metafore, ed è significativo che la trasposizione sia sempre avvenuta dal pubblico al privato. Nessuna parola sembra essere nata come nome di un sentimento. Non abbiamo bisogno di usare i nomi dei sentimenti, delle sensazioni, se possiamo andare direttamente ai fatti esterni. Invece di dire, "Ero arrabbiato", possiamo dire, "Avrei potuto colpirlo". Quello che abbiamo provato era un'inclinazione a colpire piuttosto che colpire propriamente, ma gli stimoli interni devono essere stati quasi gli stessi. Un altro modo di riportare ciò che proviamo è descrivere un setting che è probabile generi la condizione provata. Dopo aver letto per la prima volta la traduzione di Omero ad opera di Chapman, Keats riportò di essersi sentito "come qualche osservatore dei cieli/ Quando un nuovo pianeta scivola dolcemente nella sua percezione". Era più semplice per i suoi lettori sentire ciò che un astronomo avrebbe provato nella scoperta di un nuovo pianeta, piuttosto che sentire ciò che Keats provò leggendo il libro. . . . Ci sono molte buone ragioni perché le persone parlano dei loro sentimenti. Ciò che dicono è spesso un'utile indicazione di quello che è successo loro o di quello che potrebbero fare. Nell'offrire a un amico un bicchiere d'acqua, non chiediamo, "Quanto è passato dall'ultima volta che hai bevuto un po' d'acqua?", né "se ti offro un bicchiere d'acqua quante sono le opportunità che tu l'accetti?" Gli chiediamo, "Hai sete?" La risposta ci dirà tutto quanto necessitiamo di sapere. In un'analisi sperimentale, tuttavia, abbiamo bisogno di un resoconto migliore delle condizioni che agiscono sull'idratazione e di una migliore misurazione delle probabilità che il soggetto beva. Un resoconto di quanto il soggetto si senta assetato non sarà sufficiente. Per almeno 3000 anni, ciononostante, i filosofi, raggiunti recentemente dagli psicologi, hanno cercato dentro loro stessi le cause del loro comportamento. Per ragioni che stanno diventando chiare, non sono mai stati concordi su ciò che avevano trovato. I fisiologi, e nello specifico i neurologi, guardano lo stesso corpo in modo differente e potenzialmente di successo, ma anche quando lo avranno visto più chiaramente non avranno visto le cause originarie del comportamento. Ciò che vedranno deve, a turno, essere spiegato sia dagli etologi, i quali cercano spiegazioni nell'evoluzione della specie, sia dagli analisti del comportamento, i quali cercano le storie individuali delle persone. L'ispezione o l'introspezione del proprio corpo da parte di una persona è un tipo di comportamento che necessita di essere analizzato, ma, come fonte di dati per una scienza, risulta essere d'interesse esclusivamente storico.