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GIOVENTÙ RUBATA: MAMMA A QUINDICI ANNI /Giornalismo

GIOVENTÙ RUBATA: MAMMA A QUINDICI ANNI

di Rossella Puccio

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In Italia sono oltre 10 mila, solo il 18 per cento sono straniere. La maggior parte ha tra i 18 e 19 anni, ma ben 2.500 sono minorenni. La Sicilia è la prima regione italiana, seguita da Puglia e Campania. Palermo è la città con la maggiore incidenza: nel 2012, secondo l’Istat, 139 minorenni hanno partorito un bimbo.

Le interviste riportate nell’articolo sono state effettuate durante le riprese dell’inchiesta ‘Le piccole donne dei Danisinni’ realizzata da Rossella Puccio, nell’omonimo quartiere palermitano, in cui il fenomeno delle gravidanze precoci è tutt’ora in aumento, soprattutto a seguito della chiusura del consultorio e dell’asilo nido Galante, unici presidi sociali insieme alla parrocchia Sant’Agnese.

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Hanno sguardi da bambine, nonostante una cultura degenerata le abbia costrette a un ruolo che forse neppure comprendono fino in fondo, non solo quello di donna ma quello ancora più complesso di madre. Con i loro figli si tolgono appena un decennio, e fa effetto vederle spingere un passeggino o tenere in braccio quello che potrebbe essere il fratello minore. Questo è uno dei tanti copioni di un fenomeno in preoccupante ascesa: le mamme adolescenti. In Italia, ogni anno, avvengono 10mila parti di ragazzine tra i 13 e i 19 anni, talvolta anche più piccole. Chi pensi si tratti soprattutto di straniere sbaglia: l’82% sono italiane, oltre 7mila contro le 2mila di altra nazionalità. Questa Italia che spesso cede ai luoghi comuni e formula pensieri errati e intolleranti, sotto la spinta di quell’ignoranza sull’immigrazione che ci pone tra i peggiori informati sul tema, anche nella classifica Ocse.

A livello mondiale la situazione è ancora più complessa. Il rapporto sulle mamme bambine presentato nel 2013 dall’Unfpa, Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, ha evidenziato come ogni giorno, 20mila ragazze sotto i 18 anni diventano madri nei Paesi del sud del mondo. Le giovani sotto i 15 anni che partoriscono ogni anno sono due milioni su un totale di 7,3 milioni di madri adolescenti; un trend in preoccupante aumento: si stima che nel 2030 il numero di partorienti sotto i 15 anni potrebbe salire a tre milioni l’anno. Circa 200 di loro muoiono per complicazioni legate alla gravidanza o al parto. Più in generale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni giorno nel mondo 830 donne muoiono durante la gravidanza o nel dare alla luce un bambino, a causa di infezioni o emorragie che nella maggioranza dei casi potrebbero essere evitate con assistenza prenatale e opportune diagnosi. Questo tasso di mortalità materna (calcolato come numero di decessi per 100.000 parti) è mediamente di 12 nei Paesi industrializzati, di 500 nell’Africa a sud del Sahara, mentre In Italia si attesta a quattro.

Una società troppo erotizzata, l’ignoranza sessuale, famiglie instabili ed economicamente degradate, la solitudine e il disagio giovanile, sono tutte componenti di questo fenomeno che in alcune città siciliane, Palermo tra tutte, è radicalizzato da generazioni. «Già a 15 anni ho avuto il mio primo figlio, non ho capito niente, ma bene…» – sorride imbarazzata come se cercasse nel mio sguardo indulgenza, fiutando una diversità che all’inizio ha scambiato per giudizio, tenendomi a una distanza che ho fatto fatica ad azzerare. Enza, è una donna di quarant’anni, la prima a raccontarmi della sua gravidanza, quando era ancora una bambina. Ed è proprio lei a convincere le ragazzine, che ci stanno intorno durante l’intervista, a parlare. Sono giovani e riottose, adesso al suo posto a dovere gestire la propria baby maternità, che a stento riescono a spiegare. Si aggiusta gli occhiali, mi chiede cosa deve dire, ricambiando il sorriso la invito a parlarmi della sua esperienza in quello stesso quartiere di ventisei anni fa, dove niente sembra essere cambiato. «Ero piccola non è che potevo… - fa una lunga pausa indirizzando quelle parole alle altre intorno come a scusarsi, poi riprende -. Noi, facciamo tutto presto». Sono risposte secche e diffidenti, a difesa di quella bolla di isolamento in cui si trovano, pretendendo o forse sperando che sia la città a venire nel loro atollo e non viceversa. Il gineceo privato in cui ci troviamo si chiama Danisinni, un quartiere palermitano socialmente svantaggiato, un mondo appartato e lontano dal resto, con la sua piazza i suoi vicoli e parentele che si mescolano continuamente. Un rione periferico come tanti a Palermo, in cui l’incidenza dei parti precoci non è indifferente, così come la delinquenza e il degrado socio-economico. Un lascito inquinato che non smette di essere tramandato, come il linguaggio che lo accompagna: ‘metterla incinta’, ‘fujtina’, che ancora oggi resiste. Spaccature dove il concetto di ‘contraccezione’ si scontra contro tabù arcaici mescolati a ignoranza. Dietro queste storie si celano forti criticità, come il basso livello di istruzione, condizioni di deprivazione e di svantaggio. Così i nuovi nuclei familiari che si creano coincidono con quelli di origine: vivono negli stessi quartieri, e frequentemente nella stessa abitazione dove coabitano tre generazioni con uno scarto minimo di età. Tamara Trovato, operatrice sociale volontaria ai Danisinni, ha raccontato come la continuità familiare della maternità precoce non solo sia un modello ricorrente, ma venga vissuto con assoluta naturalezza. Talvolta madre e figlia vivono contemporaneamente la maternità. In questa famiglia grappolo, in cui si condividono i pochi e affollati metri quadrati di una casa molto spesso fatiscente, i ruoli si confondono, l’aggravamento delle già precarie condizioni economiche genera instabilità affettive e psicologiche che si ripercuoteranno sull’equilibrio del nascituro. In questo contesto, ciò che è peggio, è l’arrivo di una seconda gravidanza a distanza di poco tempo.

Il fenomeno delle mamme adolescenti è assai complesso, e va necessariamente raccontato in prima persona, attraverso la voce di chi ha dovuto rinunciare alla propria adolescenza e crescere troppo in fretta: «Ero piccola, per me era una cosa nuova, stavo diventando mamma ed ero contenta, ma non sapevo che cosa era», racconta Veronica, mamma a 16 anni, mentre intreccia le mani della sua bambina, ora cinquenne. Potrebbero sembrare sorelle sedute così al sole nella piazza Danisinni, con le unghie spizzicate e le mani macchiate di colore, mentre l’una mi racconta in un italiano claudicante e l’altra, la figlia, gioca con un cellulare.

Il numero delle partorienti teenager potrebbe essere più elevato (un aumento annuale dello 0,5%, come segnalato dall’Istat) visto che sei ragazzine su dieci scelgono l’interruzione volontaria, la Sicilia in testa con una percentuale di aborti più alta tra le minorenni: il 10,6% contro l’8,5% della media nazionale. Nove ragazzine su dieci sono quelle che, invece, rischiano una gravidanza precoce, entro il primo anno di attività sessuale. Il primo rapporto viene vissuto come una sorta di iniziazione all’età adulta, senza nessuna formazione socio-affettiva e conoscenza della contraccezione. In molti, tra i giovani, sono convinti che non si possa rimanere incinta durante il primo rapporto. L’età media della prima volta è di 15 anni, e potrebbe continuare a scendere, come sottolineano gli esperti della Società Italiana Ginecologia ed Ostetricia. Il vero problema è la mancanza di una rete diffusa di servizi per le donne e per l’infanzia, a partire dai consultori e dagli asili nido, che conferisce all’Italia altra maglia nera in Europa. A rendere più complessa la situazione è l’incapacità e impossibilità di reinserire socialmente e lavorativamente le giovani donne, soprattutto quelle che a causa di una gravidanza precoce hanno dovuto interrompere il percorso di formazione scolastica. In pochissime lavorano e, abbandonata quasi del tutto la scuola, vivono la propria vita in casa; le uniche concessioni relazionali si limitano alla famiglia e al quartiere a cui appartengono

LA CHIUSURA DI CONSULTORI E LA SCARSEZZA DI ASILI NIDO, MAGLIA NERA ALL’ITALIA.

«Ho avuto la bambina a 16 anni, il consultorio era chiuso. Forse se c’era una guida a farmi capire che ero piccola e non era opportuno fare una bambina, magari una ci pensava – continua a spiegarmi Veronica, mentre intorno c’è chi si lamenta di non fare più il Pap-test o un controllo ginecologico da otto o nove anni, per mancanza di soldi o informazioni su come fare, ma anche impossibilità a raggiungere presidi sanitari perché sprovvisti di mezzi di trasporto e soldi (ai Danisinni i servizi pubblici non raggiungono neppure la piazza, nda) –. Non sapevo a che cosa andavo incontro, essendo che non avevo aiuto di nessuno, non c’era il consultorio e siamo andati da un dottore ‘estraneo’ (sconosciuto, nda) però non è che ci seguiva o ci spiegava a cosa andavamo incontro». L’assenza di servizi integrati o più semplicemente dei consultori, soprattutto in contesti svantaggiati, è spesso la causa o l’acceleratore di questo fenomeno. E’ proprio quello che è accaduto ai Danisinni, dove a oggi la parrocchia sant’Agnese è l’unico presidio sociale del rione, «perché i due baluardi: la scuola d’infanzia e l’asilo da diversi anni sono chiusi (nove anni l’asilo e il consultorio da circa sei) – spiega Fra Mauro Billetta, parroco del quartiere -. Piccole difficoltà hanno determinato quella temporanea chiusura che è diventata a tempo indeterminato. L’asilo e il consultorio costituivano dei centri di aggregazione e quindi di educazione e accompagnamento alla crescita, al rispetto, alla conoscenza di sé per i minori e per le giovani donne». Durante l’intervista Fra Mauro racconta come i Danisinni siano una realtà con una loro cultura e appartenenza molto forte, dovuta anche a un ecosistema del tutto particolare essendo una porzione di città non di transito in cui si deve appositamente andare, con una organizzazione sociale che si è sviluppata intorno alla piazza, che costituisce il letto del fiume Papireto. Un luogo che sta affondando nel suo isolamento e che sta pagando lo scotto della sua caratteristica morfologia: «Noi abbiamo un poliambulatorio portato avanti da volontari che si prestano gratuitamente. E’ un delirio, potremmo dire, perché a Palermo ci sono centinaia di professionisti di supporto a minori e famiglie svantaggiate che con la chiusura dei centri sociali e dei consultori hanno dovuto lasciare la missione educativa, demandata alle buone pratiche del volontariato. A livello statistico a questa chiusura – continua il parroco – è corrisposto un aumento delle gravidanze precoci». La strada da percorrere è la programmazione di interventi di prevenzione socio-assistenziali ed economica destinati non solo ai minori o alle giovani mamme, ma anche alle famiglie. Interventi integrati per realtà multiproblematiche, come quelle in cui si radica il fenomeno delle gravidanze precoci; al mero supporto medico-sanitario va affiancato quello educativo e psicologico sia nelle scuole che nei quartieri, progetti di educazione sessuale per interrompere un modello genitoriale sbagliato e trans-generazionale, per offrire una possibilità di scelta e riscatto al minore e alla società. Per offrire la possibilità di poter essere adolescente e sognare.

LE MAMME MINORENNI IN ITALIA: CAUSE E CONSEGUENZE. SICILIA AL PRIMO POSTO

A detenere il triste primato di regione italiana con il più alto tasso di mamme adolescenti la Sicilia, seguita da Puglia e Campania. Una situazione che si presenta anche altrove, col 90% dei casi, all’interno di nuclei familiari in cui la figura del padre è assente perché altrove, in carcere o morto. Poi c’è quel 68% di casi in cui le neo mamme subiscono l’abbandono del partner, così da costringere le minori a restare nella propria famiglia di origine e, spesso, a delegare alla nonna il ruolo di co-mamma. Per quasi tutte questo passaggio veloce all’età adulta comporta una serie di rinunce: nessuna progettualità futura, l’interruzione del percorso scolastico (il 74% termina le scuole medie e solo il 21% arriva alla licenza superiore); stringendole in una rete di isolamento e diffidenza, che spesso si traduce in depressione postpartum, che colpisce il 70% delle giovani, con effetti a caduta sui figli, a rischio di abusi, maltrattamenti, o nella migliore della ipotesi portatori di quel ‘gene’ della maternità precoce. Come ravvisato da operatori, volontari, e anche esperti, il problema è il processo di adultizzazione dei minori che in assenza di punti di riferimento, sia all’interno della famiglia che all’esterno, cercano l’approvazione del gruppo, quasi sempre formato da ragazzi più grandi già attivi sessualmente. La bassa scolarità, l’assenza di punti di riferimento e la mancanza di un progetto di vita trasformano così la gravidanza in un’opportunità sociale che piuttosto che isolare le giovani è come se le mettesse in luce, conferendogli un peso sociale all’interno del gruppo d’origine.

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