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Egitto, il caso Ahmed Nagy e il sostegno di Amnesty International /Letteratura

EGITTO, IL CASO AHMED NAGY E IL SOSTEGNO DI AMNESTY INTERNATIONAL

di Paola Caridi

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Funzionava così, in Egitto. Gli scrittori sottoponevano la loro produzione (romanzi, poesie, saggi...) all’autorità competente per la censura nel ministero della cultura. Ricevevano un benestare, oppure vedevano cassata parte dei loro scritti per una serie infinita di accuse: tra le più in voga era le censure per frasi politicamente non opportune, oltraggiose per pubblico pudore, offensive per il sentimento religioso. Cominciava allora un tira e molla tra lo scrittore e il burocrate, tra tentativi di ridurre l’intervento censorio e la pressione politica e psicologica esercitata dal regime. Funzionava così, in Egitto, sia per gli scrittori che sostenevano il regime e sia per quelli dichiaratamente nelle file dell’opposizione, che cercavano in qualche modo di ricavarsi uno spazio di autonomia e di libertà condizionata.

Il tira e molla con gli uffici della censura, lungi dall’essere confinato in una dimensione burocratica, è spesso divenuto ‘oggetto’ di performance artistiche. Alaa al Aswani ne ha fatto un bel racconto, per esempio. E sono esilaranti, in un film profetico sulla rivoluzione egiziana del 2011 come Microphone di Ahmed Abdalla, le scenette tra il burocrate che si professa artista, da un lato, e i giovani musicisti della nuova scena in buona parte hip-hop di Alessandria d’Egitto.

Funzionava così e funziona ancora tutto sommato allo stesso modo, in Egitto. Con una differenza. Finora l’intervento statale si sostanziava in una pressione sulla produzione artistica. Superato l’ostacolo della censura di Stato, si poteva incorrere, sì, in un procedimento giudiziario. Ma la libertà personale dello scrittore non era stata sinora messa in discussione. Come invece è accaduto nel caso di Ahmed Nagy.

È per questo che è un caso simbolico e allo stesso tempo atipico, quello di Ahmed Nagy, scrittore egiziano, poco più che trentenne. Esponente della nouvelle vague letteraria egiziana, Ahmed Nagy ha pubblicato stralci del suo ultimo romanzo su una delle riviste di critica più importanti nel 2014. Il romanzo è poi uscito anche in traduzione italiana, lo scorso settembre, con il titolo Vita: Istruzioni per l’Uso, pubblicato dalla coraggiosa casa editrice il Sirente e con il sostegno di Amnesty International.

Ahmed Nagy aveva superato lo scoglio della censura, in una prima fase, e quindi tutto sembrava a posto. Sino a che un individuo, Hani Saleh Tawfik, non ha depositato una denuncia contro Ahmed Nagy, con l’accusa di avergli provocato - con alcune pagine del suo romanzo - palpitazioni cardiache, problemi di salute e un calo pressorio. La macchina della giustizia si è messa in moto, Ahmed Nagy ha subito un primo processo conclusosi con l’assoluzione, ed è poi stato condannato in un secondo processo con il massimo della pena, due anni di detenzione, e una sanzione contro la casa editrice egiziana. (1)

In galera per alcune pagine in cui il protagonista beve alcolici, si fa le canne e fa sesso al di fuori di un rapporto matrimoniale. Pagine esplicite, senza dubbio, che al Salone Internazionale del Libro di Torino dello scorso maggio abbiamo deciso di leggere ad alta voce in versione integrale in una serata dedicata agli scrittori incarcerati e vessati. Pagine esplicite che hanno significato, per Ahmed Nagy, una detenzione che viola la libertà di espressione e di scrivere e di pensare. A nulla sono valse le pressioni sinora esercitate in ambito internazionale, ivi compreso il premio Barbey Freedom To Write del prestigioso Pen International.

Il cambio di passo è evidente. E i motivi vanno ben oltre le pagine esplicite di un romanzo. Semmai, è il romanzo in toto a rappresentare, per il regime egiziano, un j’accuse politico pesantissimo. Vita: Istruzioni per l’uso è un romanzo da collocare pienamente nel filone della letteratura distopica. Ambientato in una città del Cairo futura e fosca, dove le persone diventano animali, dove gli stessi panorami cittadini sono stravolti. Scritto prima della rivoluzione di Tahrir del 2011, il romanzo è a dir poco profetico, e parla di una generazione piegata dall’autocrazia. La generazione a cavallo del 2011.

Non è un caso. Su questa generazione lo scrittore si è interrogato più volte, come uno dei suoi esponenti di punta. In un suo lungo articolo-confessione, Ahmed Nagy ne ha tracciato un ritratto perfetto. È la generazione che ha fatto la rivoluzione e soprattutto che, in pochi ahimè lo sanno in Italia, aveva lavorato per un cambiamento importante dell’Egitto già da alcuni anni prima di piazza Tahrir. Una generazione che, sin dall’adolescenza, aveva compreso di non poter più sostenere e sopportare la dittatura. “La prima volta che ho visto la bestia è stato nel 2005”, scrive nel suo “Addio alla giovinezza”. Aveva dunque 20 anni, Ahmed Nagy. E a vent’anni ha visto - come migliaia di ragazzi egiziani - forze dell’ordine in divisa e baltagyyia (i membri dei servizi di sicurezza in borghese) scagliarsi contro i suoi coetanei pacifici nel centro del Cairo. Una vita blindata, all’insegna della paura e del silenzio.

“Gli zombie vecchi avevano occupato tutti i posti” - scrive ancora. “Il generale zombie, lo sheykh zombie, il presidente zombie, il businessman zombie, il partito di governo zombie, l’opposizione zombie, gli islamisti moderati zombie, e gli islamisti radicali zombie. E tutto quello che hanno offerto ai giovani è stato di essere zombie anche loro e di lasciar perdere i loro sogni idealistici e la loro etica. Siamo stati obbligati a mescolarci con questi zombie. Siamo stati obbligati a conversare con loro, a convincerli, talvolta a blandirli, per proteggere noi stessi dalla loro malvagità.” “Con le mani fredde, siamo stati in mezzo a loro; abbiamo guardato ma non abbiamo visto”, è il modo in cui il poeta Youssef Rakha ha descritto anni dopo la situazione in un suo grande poema, “Dormire con la realtà”. “Quando ci siamo opposti agli zombie o ci siamo rifiutati di digerire la loro arcaica interpretazione della nazione e della religione, ci hanno combattuto con la tortura, la marginalizzazione e l’assedio”.

Ecco cos’è successo. Ahmed Nagy ha scritto e non ha taciuto. Ha scritto ciò che succedeva e succede nelle quotidiane, nascoste relazioni tra un regime e i cittadini. In un ufficio ministeriale della censura. In una scuola. In un’azienda di Stato. La vecchia storia del “re nudo” è scandalosa, lo è oggi come lo era secoli e secoli fa.

(1) - La pena di Ahmed Nagy è stata sospesa dal tribunale competente nella seduta del 18 dicembre scorso, in attesa della pronuncia della Corte di Cassazione, all’inizio di gennaio. Quattro giorni dopo la sospensione, Ahmed Nagy è stato liberato la mattina del 22 dicembre, dopo una estenuante procedura fatta di tappe e di attese della documentazione. Per lo scrittore si tratta di libertà a tempo, in attesa della prossima sentenza.

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