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La primavera siriana. Sei anni di assedio contro il regime di Assad /Medio Oriente

LA PRIMAVERA SIRIANA. SEI ANNI DI ASSEDIO CONTRO IL REGIME DI ASSAD

di Daniela Brignone

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Ancora una volta il Medio Oriente è teatro della ricerca di un nuovo equilibrio mondiale. La mattanza che si svolge per le strade di Aleppo e nel restante territorio siriano, di cui giunge notizia giornalmente, coinvolge non solo militanti pro governativi e ribelli, ma anche civili, tra cui donne e bambini, innocenti testimoni della tragedia di un popolo dalla storia millenaria.

In un contesto più ampio che tocca parte dei paesi arabi e che è noto come la “primavera araba”, la guerra siriana nasce da manifestazioni contro il regime di Bashar al-Assad. Dal 15 marzo 2011 scoppia quella che oggi è considerata come la principale guerra del XXI secolo. Iniziata come pacifica opposizione contro il regime, la guerra civile siriana si è trasformata in un conflitto di vaste proporzioni, degenerato in un genocidio.

L’aspra repressione da parte dell’esercito di Assad nei confronti degli oppositori e degli autori di slogan antiregime, fomenta la violenza dei ribelli e i tentativi di conquista di città come Damasco e Homs. La coesistenza armata dei due schieramenti, soprattutto nella città di Aleppo, instaura un clima di forte tensione, inasprito dalla componente religiosa che vede in opposizione musulmani sunniti, che rappresentano la maggioranza della popolazione, e sciiti, sostenitori di Assad.

Le milizie jihadiste dello Stato Islamico (IS) che nel 2014 hanno proclamato la nascita di un Califfato nello stato siriano, si schierano contro Assad e l’intervento straniero, ma allo stesso tempo sono determinate a cancellare la storia e l’identità di un popolo con violenza nel nome di un regime d’intolleranza religiosa.

Stati Uniti e Russia, tra accuse di faziosità a favore dell’uno o dell’altro schieramento, intervengono con raid aerei contro i gruppi terroristici, favorendo l’avvio delle trattative di pace tra regime e opposizione a Ginevra il 14 marzo 2016, non ancora concluse.

Il regime dittatoriale di Assad ha sollevato un muro di incomunicabilità, delineando nettamente la divisione tra la maggioranza sunnita e la fazione sciita.

Scompare fisicamente la civiltà antica che ha conosciuto i fasti di Ebla, di Damasco e di Palmira, quest’ultima vittima della distruzione operata dall’IS, e con essa qualunque istanza liberale della popolazione, costretta all’isolamento dal mondo.

Sono poche e incerte, infatti, le notizie che pervengono dai media. Si contano numeri impressionanti di giornalisti, siriani e stranieri, uccisi o scomparsi in due anni, che si sono assunti la responsabilità e l’alto rischio di testimoniare le violenze del regime di Assad.

Quelli che riescono a sopravvivere, recano testimonianze devastanti di un territorio lacerato, nel corpo e nell’anima. Tra questi, l’italiano Michele Pero, autore dei reportage “Syria, Aleppo, la città fantasma sotto le bombe” e “Syria, un passo verso il cielo”, che racconta l’atmosfera, il pericolo quotidiano, la lotta per la sopravvivenza, in cui la gente locale è costretta a vivere e che opprime incessantemente un popolo, le cui tradizioni ataviche e la narrazione millenaria sono minacciate dalla violenza nella sua forma più disumana. Pero, autore, tra l’altro, di reportage sui conflitti in Croazia, Bosnia, Albania e Kosovo, sa cogliere il profondo degrado e la disumanità, ma anche il dolore dietro gli sguardi, e ne presenta le immagini drammatiche, scioccanti. Sono le immagini di tutte le guerre che ognuno di noi conosce, direttamente o indirettamente, e che accomunano l’esperienza siriana a tutte le tragedie dell’umanità, a cui ogni individuo non potrà mai abituarsi. Il progresso genera anche una crescente brutalità nei confronti della popolazione con l’utilizzo di mezzi repressivi sempre più sofisticati: sistemi di tortura nelle carceri, artiglierie, gas sarin, raid aerei e attacchi chimici per sconfiggere i ribelli.

Il sito del Centro di documentazione delle violazioni in Siria, Vdc, parla di 171.886 morti tra marzo 2011 e dicembre 2016, di cui 108.322 civili. Aleppo ha il più alto numero di vittime, seguite da Damasco. Secondo Amnesty International le persone morte in carcere dall’inizio del conflitto fino ad agosto 2016 ammontano a 17.723. Ma si parla anche di genocidio di bambini. Quelli che sopravvivono hanno la morte nel cuore, il disincanto, la paura negli occhi. Crescono troppo in fretta, con il fucile in mano che ha rubato loro le fantasie infantili, conformandosi inevitabilmente alla realtà che li circonda.

Ogni scatto propone una visione straniata dei luoghi, irriconoscibili e privi ormai della propria identità, come la gente che vaga tra i cumuli di macerie di edifici vuoti come scheletri.

Non si può pensare alla Siria senza ricordare tristemente epoche remote e civiltà che furono, luogo mitico di storie e di leggende che parla il linguaggio antico di una cultura millenaria, che lascia il posto all’orrore, alla distruzione di tesori artistici incomparabili. Città dalle profonde contraddizioni, sospese tra le infinite miserie del popolo e la ricchezza e la sontuosità dei privilegiati in una coesistenza di solitudine, di violenza e ricerca individuale di salvezza, anche negli occhi di chi, come le donne, abituate tradizionalmente alla devozione e al silenzio, sente il bisogno di farsi ascoltare e di agire.

Non c’è tempo per provare malinconia o sentimentalismi. è tempo solo di fuggire o, per chi è impossibilitato, di combattere per salvare ciò che resta, anche un ideale, per tenere stretto un luogo, un simbolo affettivo o la propria libertà all’interno di una guerra assurda e sanguinaria, in virtù di una nuova presa di coscienza, quella del proprio valore e della propria dignità.

Secondo i dati dell’UNHCR, sono oltre 4.7 milioni i migranti che sono fuggiti dalla Siria in cerca di asilo. Molti nei territori limitrofi (Egitto, Turchia, Giordania), altri in occidente, mescolandosi ai migranti che approdano sulle coste italiane e greche.

Ci si chiede cosa è rimasto, a giudicare dalle immagini che giungono fino a noi, di quei luoghi mitici e se sarà mai possibile il recupero di un territorio dissanguato e traumatizzato. Una profonda e dolorosa ferita ha segnato la popolazione a cui rimane l’angoscia e l’incubo quotidiani, tra rovine e vuoto esistenziale, e con la perdita della sacralità dell’esistenza.

Ph Michele Pero - michelepero.it

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