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Difendono la Terra con il loro sangue /America Latina

DIFENDONO LA TERRA CON IL LORO SANGUE

di Monica Mazzoleni - Coord. America Latina

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Ogni giorno ci sono persone che rischiano la vita per difendere il nostro pianeta. Sono i difensori e le difensore dei diritti umani che si attivano per tutelare i diritti della terra e dell’ambiente.

Per lo più si tratta di uomini e donne di comunità indigene che lottano con mezzi non violenti per il rispetto del territorio e delle sue risorse, e per la salvaguardia della loro cultura, che è intimamente legata alla terra e all’ambiente.

Lo fanno per la propria sopravvivenza e per quella dei propri figli e nipoti. Ma anche per tutti noi.

“Quando facciamo questo lavoro, non pensiamo ai nostri diritti, alla nostra acqua, al nostro paese, noi pensiamo a tutte le persone del pianeta, ovunque.” Afferma Martin Gómez, membro del Movimento Indigeno Lenca Indipendente di La Paz Honduras (MILPAH), una delle ONG che difendono la terra e l’ambiente.

E’ passato un anno da quando hanno colpito a morte, nella sua casa in Honduras, Berta Cáceres, difensora indigena Lenca e vincitrice del prestigioso Premio Ambientale Goldman 2015. Per il suo assassinio lo sdegno a livello nazionale e internazionale è stato molto forte.

Berta Cáceres e il Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras (COPINH), di cui era Coordinatrice Generale, portavano avanti una campagna contro la costruzione della centrale idroelettrica Agua Zarca e l’impatto che essa avrebbe avuto sul territorio del popolo Lenca.

Le indagini sulla sua morte sono iniziate senza tener conto del suo lavoro per i diritti umani. La mancanza di indagini su questa ipotesi ha avuto un impatto negativo sul suo diritto ad una pronta indagine efficace ed esaustiva. Inizialmente era stato detto che l’omicidio era la conseguenza di un furto. Alcune ore dopo il crimine il suo ex-compagno, anche lui membro del COPINH, era stato fermato; questo aveva fatto pensare che il Ministero Pubblico si stesse concentrando sull’ipotesi di un “assassinio passionale”. Con il trascorrere del tempo sono stati interrogati i colleghi del COPINH di Berta Cáceres. Solo a fine marzo il Ministero Pubblico aveva emesso un comunicato in cui indicava che l’uccisione poteva essere una conseguenza del suo lavoro per i diritti umani.

Si deve ricordare che la Commissione Interamericana dei Diritti Umani aveva riconosciuto il pericolo che Cáceres affrontava a seguito della sua attività e il suo nome era nella lista dei difensori che lo stato dell’Honduras avrebbe dovuto proteggere con misure di sicurezza.

Meno di due settimane dopo l’assassinio di Berta Càceres, il leader della comunità COPINH, Nelson Garcia è stato ucciso a colpi di pistola da un individuo non identificato. Un’indagine è stata aperta per ora senza risultati.

In maggio, il giornalista Honduregno Félix Molina, aveva subito un attentato dopo aver pubblicato un articolo sul caso di Cáceres. Nessuna inchiesta è stata aperta.

L’ondata di omicidi è continuata in luglio con l’assassinio di Lesbia Urquía, difensora dell’ambiente, e a ottobre con l’uccisione di José Angel Flores, presidente del Movimento Unito dei Contadini e del suo collega Silmer Dionisio George.

Il 9 ottobre Tomas Gòmez Membregno, che ha assunto coraggiosamente l’incarico di responsabile di COPINH, dopo l’omicidio di Berta Càceres, ha subito un attentato mentre stava lasciando una riunione di COPINH. Per fortuna è sopravvissuto all’attacco.

L’assassinio di Berta Cáceres è uno dei rari casi che sono stati indagati. Sono state arrestate otto persone, molte delle quali hanno legami con l’esercito honduregno e con la Desarrollos Energético SA (DESA), la compagnia costruttrice della diga a cui Berta Cáceres si opponeva.

Il messaggio degli assassini di Berta e di coloro che hanno dato l’ordine di ucciderla è chiaro: nessuno è al sicuro se difendendo i diritti umani si mettono in discussione potenti interessi economici.

L’America Latina risulta essere il luogo più pericoloso per i difensori dei diritti umani legati all’ambiente. L’ONG Global Witness per il solo 2015 ha registrato 185 uccisioni di difensori della terra e dell’ambiente nel mondo, e 122 di questi sono avvenuti in America Latina.

L’Honduras risulta essere il paese con il maggior numero di uccisioni di difensori della terra e dell’ambiente nel mondo: soltanto nel 2014 ne sono stati uccisi 15.

Il colpo di stato del 2009 ha intensificato l’ostilità verso i difensori, la maggior parte delle comunità e dei movimenti hanno persone alle quali sono state garantite misure di protezione dalla Commissione InterAmericana dei Diritti Umani, ma lo stato dell’Honduras rimane inadempiente lasciando i difensori a rischio di morte.

Amnesty International ha pubblicato nel settembre 2016 il rapporto “We are defending the land with our blood: Defenders of the land, territory and environment in Honduras and Guatemala” (1) nel quale si esamina la situazione che devono affrontare i difensori in diversi paesi delle Americhe.

Il rapporto è il risultato di un’indagine compiuta a gennaio e febbraio 2016 intervistando decine di ONG e comunità campesine e indigene in Honduras e Guatemala.

Nel rapporto si denuncia che ogni giorno i difensori dei diritti umani sono attaccati per la loro attività: perché prendono parte a manifestazioni pacifiche, perché documentano e pubblicizzano gli abusi dei diritti umani e le loro violazioni, perché chiedono giustizia, verità riparazione e non ripetizione di queste violazioni; perché propongono educazione ai diritti umani o per qualsiasi altra attività avente lo scopo di ottenere rispetto e garanzia dei diritti umani. Nei casi più estremi i difensori dei diritti sono stati uccisi a causa del loro lavoro.

I difensori sono spesso bersaglio di minacce, sorveglianza e controllo arbitrario, sono sottoposti a procedimenti processuali a causa della loro attività. Sono criminalizzati, stigmatizzati, dichiarati nemici dello sviluppo e anche accusati di terrorismo.

In Guatemala e Honduras i conflitti sociali sono esplosi in diverse località coinvolti in progetti di localizzazione, sviluppo e costruzione di impianti per esplorare o sfruttare risorse naturali.

Tra i fattori più comuni che alimentano i conflitti c’è il diritto negato alle popolazioni indigene al libero consenso informato preventivo. Vale a dire che, secondo la convenzione 169 dell’OIL, le comunità indigene devono essere messe in grado, attraverso consulte convocate secondo protocolli ben specificati, di esprimere un giudizio su un progetto che colpisce il loro territorio dopo aver acquisito adeguate, vere e imparziali informazioni.

Un altro grave fattore di aggravamento dei conflitti è l’utilizzo delle forze militari in azioni di sicurezza pubblica, aspetto che caratterizza sia l’Honduras che il Guatemala.

In entrambi i paesi sono state create forze speciali, con formazione militare, per combattere la violenza e il crimine organizzato e garantire la sicurezza pubblica.

Questo modello non è appropriato per mantenere la pubblica sicurezza e l’utilizzo delle forze armate in operazioni di ordine pubblico aumenta il rischio di uso eccessivo della forza.

Metà della popolazione in Honduras e in Guatemala vive sotto il livello di povertà e le popolazioni indigene sono quelle più povere. La precaria situazione economica dei difensori dei diritti umani rende loro difficile a volte, assumersi anche semplicemente il costo del viaggio per partecipare a proteste pacifiche, o avviare procedimenti legali per rivendicare i loro diritti, o per difendersi da procedimenti legali pretestuosamente aperti contro di loro.

Ne segue che il diritto alla giustizia non è garantito. Nel 2013 l’80% delle uccisioni in Honduras sono rimaste impunite. L’impunità garantisce la ripetizione dei crimini nei confronti dei difensori dei diritti umani.

Di fronte a questa situazione in tutte le Americhe i difensori continuano, ogni giorno, il loro lavoro per difendere i loro diritti dalle prevaricazioni dei grandi interessi economici.

Esemplare è la resistenza di Maxima Acuña Chaupe, una contadina analfabeta di circa 45 anni, che nelle Ande Peruviane, a più di 4.000 metri, continua a fare fronte alle minacce, alle intimidazioni e anche alle persecuzioni della società statunitense Newmont Mining Corporation, che la vuole cacciare dalla sua terra e dalla sua casa in quanto collocate proprio nel bel mezzo del progetto di espansione minerario Conga promosso dall’impresa Minera Yabacicha, la miniera d’oro più grande dell’America Latina di proprietà della Newmont.

Maxima Acuña, non vuole lasciare la sua terra, non solo per una questione di interesse personale, ma per la sopravvivenza dell’ecosistema andino, e per questo continua a subire violenze fisiche e psicologiche.

Nel 2016 Máxima Acuña ha vinto il premio Goldman per l’ambiente per l’America Latina e continua ad essere un esempio di successo per molti difensori dell’ambiente. (2)

Il primo obiettivo delle ONG che supportano il lavoro dei difensori del pianeta Terra è dare loro voce, difenderli dagli attacchi di denuncia di terrorismo e di altre forme di denigrazione. Ricordare ai governi che il lavoro dei difensori è essenziale, necessario e legittimo. Quindi richiamare i governi al riconoscimento del loro lavoro, al dovere di proteggerli e di garantire loro il diritto alla giustizia.

A questo scopo Amnesty International ha creato, tra l’altro, la piattaforma digitale http:// speakout4defenders.com/, ancora in fase di sviluppo, per mettere a conoscenza del pubblico la gravità delle violazioni e raccontare le singole storie dei difensori.

Così commenta Martin Gomez, attivista ambientalista:

Noi possiamo ancora alzare la nostra voce. Noi non abbiamo armi, non abbiamo soldi, non abbiamo potere, ma abbiamo una voce ed è quella che stiamo utilizzando. E così abbiamo fatti veri progressi.

(1) - https://www.amnesty.org/en/documents/amr01/4562/2016/en/

(2) - http://www.aguasdeoro.org/

#JusticiaParaBerta

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