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Azerbaijan: Affari VS Diritti Umani /Europa

AZERBAIJAN: AFFARI VS DIRITTI UMANI

di Giuseppe Provenza

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L’Azerbaijan: un paese di circa 10 milioni di abitanti spesso ricorrente nelle cronache politiche ed economiche internazionali, capace di farsi assegnare grandi eventi, come l’edizione inaugurale del Giochi Europei nel 2015, o l’Eurovision Song Contest nel 2012, malgrado sia additato universalmente come uno stato in cui i Diritti Umani vengono pesantemente e costantemente calpestati.

A base di queste contraddizioni stanno ragioni economiche che approfondiremo più avanti, dopo aver presentato storicamente e politicamente il paese.

L’Azerbaijan è una delle tre “repubbliche caucasiche”, insieme alla Georgia e all’Armenia, paesi posti fra il Mar Nero ed il Mar Caspio e quindi geograficamente asiatici, ma che, per ragioni storiche, sono considerati politicamente europei, tanto da essere stati inclusi nel Consiglio d’Europa, l’organizzazione per la promozione della democrazia e dei Diritti Umani in Europa (da non confondere con l’Unione Europea). La Repubblica dell’Azerbaijan vi fu ammessa nel 2001.

Dopo il crollo dell’Impero Russo entrò a far parte dell’Unione Sovietica fino alla dissoluzione di questa, divenendo quindi indipendente nel 1991.

Capo dello Stato è oggi Ilham Aliyev, eletto con votazione diretta nel 2003, succedendo al padre Heydar. La carica presidenziale ha una durata di 5 anni. Nel 2016 una modifica costituzionale, votata con un referendum popolare, ha portato a 7 il numero massimo di mandati presidenziali. Aliyev, pertanto, potrà restare alla presidenza del suo paese fino al 2038 (quando avrà 77 anni). Le prossime elezioni presidenziali si svolgeranno nel 2018.

Le elezioni presidenziali in Azerbaijan sono state criticate dall’OSCE (Organization for Security and Cooperation in Europe) che le ha valutate non in linea con gli standard internazionali.

Aliyev è anche a presidente del suo partito, YAP (Nuovo Partito dell’Azerbaijan), che detiene, da solo, la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento.

L’Azerbaijan è un paese mussulmano a maggioranza sciita. Una influenza certamente rilevante sulla situazione socio-politica del paese è attribuibile all’ormai trentennale scontro con la confinante Armenia, scontro iniziato prima della caduta dell’URSS, e divenuto guerra armata dopo il 1991, determinato dalla situazione del Nagorno-Karabak enclave armena in territorio azero, reclamata dall’Armenia e in atto in stato di sostanziale indipendenza.

Va notato che nel paese si contano circa 620.000 sfollati interni provenienti dal Nagorno-Karabak (6,2% della popolazione).

Il PIL pro-capite dell’Azerbaijan nel 2016 (a parità di potere d’acquisto) è stato di dollari 17.700 (in Italia è stato di dollari 36.300). Ciò è indicativo di un tenore di vita medio-basso, malgrado il paese disponga di due fonti di ricchezza in quest’epoca di grande importanza: il petrolio ed il gas naturale, ponendosi, pur essendo un piccolo paese, al 19° posto al mondo come esportatore di greggio ed al 24° posto al mondo come esportatore di gas naturale.

Le esportazioni azere sono dirette sostanzialmente ai paesi europei, ed è questa circostanza che probabilmente si pone alla base della contraddizione precedentemente posta in evidenza fra le violazioni dei diritti umani denunciate dalle organizzazioni internazionali per i Diritti Umani, e gli atteggiamenti di politica internazionale degli altri paesi.

L’Italia, in particolare, è un paese con importanti rapporti d’affari con l’Azerbaijan, essendo destinatario del 26,3% delle esportazioni azere (sostanzialmente petrolio e gas), mentre l’Azerbaijan importa dall’Italia il 6,3% delle proprie importazioni (dati 2015).

Tuttavia le esportazioni di petrolio e gas da parte dell’Azerbaijan verso l’Europa sono state da sempre condizionate dal passaggio attraverso la Russia.

Per tale ragione il paese ha concluso una serie di convenzioni internazionali per la realizzazione di un oleodotto per il trasporto del gas naturale attraverso la Georgia, la Turchia asiatica, il Mar di Marmara, la Turchia Europea, la Grecia, ed il mar Adriatico, per giungere in Italia nella provincia di Lecce (vedi piantina geografica).

Emerge chiaramente come l’interesse per i prodotti energetici azeri abbia indotto i paesi acquirenti a sorvolare sulle condizioni socio-politiche del paese, già messe in evidenza dallo strapotere politico del presidente e, come si vedrà, da quello economico dell’intera famiglia.

Tuttavia ben altro avviene in quel paese in termini di violazioni dei diritti umani, infatti, come evidenziato da Amnesty International, da anni languono nelle carceri del paese decine e decine di “prigionieri di coscienza”, di molti dei quali si conoscono i nomi, i processi e le condanne: Leyla Yunus, Arif Yunus, Rasul Jafarov, Intigam Aliyev, Khadija Ismayilova, Orkhan Eyybzade, Elvin Karimov, Faraj Karimov, Siraj, Mammad Azizov, Rashad Hasanov, Rashadat Akhundov, Ilkin Rustamzade, Omar Mammadov, Hilal Mammadov, Abdul Abilov, Rashad Ramazanov, Ilgar Mammadov, Tofig Yagublu,Yadigar Sadigov, Anar Mammadli, Bashir Suleymanli.

A favore di parecchi di questi prigionieri di coscienza Amnesty Italia ha predisposto appelli che, sottoscritti dai suoi sostenitori, sono stati indirizzati al presidente Aliyev. L’azione congiunta di Amnesty, e di altri organismi, sia governativi che non governativi, ha contribuito alla liberazione di una parte di essi nel marzo del 2016, con un successo parziale, visto che altri sono rimasti in prigione.

Va messo in rilievo che i reati per i quali gli oppositori ed i critici vengono arrestati e condannati sono sempre comuni e non politici, sulla base di accuse inventate di sana pianta da polizia e procure: frode, irregolarità finanziarie, evasione fiscale, droga, ecc.

Alcune delle loro storie meritano di essere raccontate perché significative ed illuminanti sulla situazione politica del paese.

Leyla e Arif Yunus

I coniugi Leyla ed Arif Yunus sono due importanti difensori dei Diritti Umani di notorietà internazionale. (1)

Fin dagli inizi del conflitto con l’Armenia essi si sono messi in luce per aver perorato attivamente la pace con l’Armenia. Leyla fin dal 1995 è Direttrice dell’Institute of Peace and Democracy.

A partire dal 2009 essi sono stati attivi nel protestare nei confronti dei comportamenti del regime e in particolare della polizia, fino a pubblicare nel 2014 un elenco dei prigionieri politici.

Nel luglio del 2014 Leyla ed Arif furono arrestati con l’accusa, del tutto pretestuosa, di “spionaggio a favore dell’Armenia”.

Tale arresto provocò l’immediata protesta di svariate organizzazioni, fra cui Amnesty International, Human Right Watch, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa ed altre.

Amnesty Italia, fra l’altro, organizzò il viaggio in varie città italiane della figlia Dinara, che vive in Olanda, perché esponesse la grave situazione dei Diritti Umani nel suo paese, e raccontasse la vicenda dei genitori.

Processati, i coniugi furono condannati nell’agosto 2015, Leyla ad 8 anni e 6 mesi, ed Arif a 7 anni, condanne aggravate dalle precarie condizioni di salute di entrambi (lei epatite cronica, calcoli biliari, ipertensione, diabete, lui ipertensione).

In considerazione di tali condizioni di salute, ma verosimilmente in seguito alle pressioni pervenute da tutte le parti, i coniugi sono stati liberati, nel mese di novembre 2015 lui e nel mese di dicembre 2015 lei, e posti in libertà vigilata per 5 anni.

Nell’aprile 2016 ai due coniugi è stato consentito di lasciare l’Azerbaijan e di trasferirsi in Olanda, dove vive la figlia.

Khadija Ismayilova

Khadija Ismayilova è una giornalista investigativa, conduttrice di Radio Free Europe/Radio Liberty.

A partire dal 2010 iniziò la pubblicazione di una serie di articoli con cui accusava il Presidente Ilham Aliyev, la moglie ed i loro figli di essere fortemente implicati nella grave corruzione del paese, non in termini generici, ma citando con precisione dati e fatti, come la proprietà di imprese che si aggiudicavano i più importanti appalti pubblici del paese. Peraltro da più parti è stato messo in evidenza l’imponente patrimonio immobiliare, del valore di parecchie decine di milioni di dollari, in varie parti del mondo, riconducibile ai membri della famiglia del presidente.

Il tentativo di fermare l’azione della giornalista si concretizzò nel marzo 2012 mediante il reperimento di un plico contenente istantanee ricavate da un filmato realizzato con microcamere che erano state collocate nella sua camera da letto che la riprendeva in momenti d’intimità con il fidanzato. Il plico conteneva una lettera con cui si minacciava la pubblicazione su internet del filmato. In seguito al rifiuto della Ismayilova di cedere al ricatto, il filmato fu pubblicato.

Anche questo episodio suscitò le proteste di varie organizzazioni, fra cui Amnesty International, Human Rights Watch, l’Instutute for Media Rights (Azerbaigian), l’Institute for Reporters’ Freedom and Safety (Azerbaigian), il Committee to Protect Journalists, l’Association of Women Journalists (Azerbaijan), la sezione locale dell’Helsinki Committee for Human Rights, ed altre.

Risultati infruttuosi I tentativi di persuaderla a desistere con le minacce e le vessazioni, il 5 dicembre 2014 veniva arrestata con l’accusa, senza senso, di aver istigato al suicidio un ex collega, e posta per due mesi in custodia cautelare. Dall’accusa fu successivamente assolta.

Nel febbraio 2015 venne accusata di evasione fiscale ed abuso di potere. Ovviamente anche in questo caso si trattò di un pretesto per fermare la sua azione di denuncia. Il processo si concluse nel settembre dello stesso anno con la condanna a 7 anni e mezzo di carcere. Anche questa sentenza fu duramente contestata da numerosissime organizzazioni ed enti fra cui le più in vista sono Amnesty International, Human Rights Watch, Freedom House, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, e numerosissime altre.

Il 25 maggio 2016, molto attendibilmente per le autorevoli proteste sollevate dalla condanna, Khadija Ismayilova, con provvedimento della Corte Suprema Azera, è stata liberata e posta in liberà vigilata.

Questi riportati sono soltanto due esempi, particolarmente clamorosi anche per le reazioni internazionali che hanno suscitato, fra i tanti casi di persecuzioni in Azerbaijan contro chi dissenta nei confronti del regime di Aliyev.

Recentemente un ex membro Italiano dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, Luca Volonté, è stato accusato dalla Procura della Repubblica di Milano di aver ricevuto nel 2013 e nel 2014 un totale di 2.390.000 euro da fonti vicine al governo azero come tangente per fare lobby a favore degli interessi dell’Azerbaijan presso l’Assemblea. Il processo è in corso.

Si è in presenza, nel caso dell’odierno Azerbaijan, di un chiaro esempio di scontro fra affari e Diritti Umani. Affari sorti in violazione dei Diritti Umani e che su questi si accaniscono successivamente per mantenersi in essere, affari che inquinano la società all’interno del paese e che corrompono anche il mondo esterno che, pur manifestandosi a parole per la difesa dei principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, nel momento di difendere anche i propri interessi, quando coincidono con quelli di chi viola quei principi, volge lo sguardo altrove fingendo di non vedere e non capire.

Fortunatamente c’è chi lotta per le proprie idee contro ogni deformazione di quella corretta vita sociale così difficile da conquistare, organizzazioni non governative, governative e sovranazionali.

(1) - I coniugi Yunus saranno ospiti di Amnesty Italia in occasione dell’Assemblea Generale che si terrà a Palermo dal 23 al 25 aprile 2017.

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