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Valenze psico-sociologiche nel processo educativo /Psicologia - Pedagogia

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Buone notizie!

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VALENZE PSICO-SOCIOLOGICHE NEL PROCESSO EDUCATIVO

di Aristide Donadio

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Ovide Decroly, che può essere considerato il padre della pedagogia contemporanea, individua nella sua ricerca quattro principi basilari per un adeguato approccio educativo: l’unità, vale a dire la necessità di far convergere i contenuti attorno ad un interesse centrale del soggetto che apprende, l’individualizzazione dell’apprendimento, per cui l’insegnamento deve adeguarsi alle caratteristiche mentali dei singoli soggetti, l’adattamento all’ambiente, che presuppone la trasmissione di conoscenze che consentano al soggetto d’inserirsi attivamente nella vita, ed infine il principio l’integralità dello sviluppo, per cui va promosso lo sviluppo di tutti gli aspetti della vita e della personalità del soggetto.

Un’impostazione, questa di Decroly, indubbiamente di ampio respiro, che dovrebbe ispirare qualsiasi approccio didattico-pedagogico per lo sviluppo di personalità, e quindi di comunità, sane, armoniche e solidali, ponendo le basi d’una cittadinanza attiva ma anche di un’efficace educazione.

Vorrei soffermarmi sul principio dell’integralità sopra menzionato, i cui contenuti e le cui conseguenze sono forse meno intuitivi degli altri. Lungi dall’essere un monolite, la persona umana è composita ed articolata. Diverse le sue componenti, fra le quali spiccano quella cognitiva, emotivo-affettiva, corporea, sociale e spirituale. Anche il concetto di personalità è complesso e rivela la straordinaria molteplicità dell’essere umano, che presuppone un approccio olistico per ogni attività che ne contempli la cura, la tutela e la formazione. Allport definisce la personalità un’unità dinamica in cui si integrano armonicamente fattori biologici, psicologici e sociali per formare un’individualità unica e irripetibile, mentre Guilford la considera come un insieme unico di tratti: morfologici, fisiologici, temperamentali, di bisogni, interessi, atteggiamenti, attitudini, il cui funzionamento è durevole e distinguibile da una persona all’altra. Ma Guilford ci ha anche insegnato a distinguere fra il pensiero convergente, teso a riprodurre l’esistente, donde la possibilità di concepire una singola soluzione ad un problema seguendo una regola; e il pensiero divergente, in grado di generare più soluzioni allo stesso problema, pensiero alla base della creatività.

A questo punto è necessario considerare in che fase storica ci troviamo circa l’applicazione di principi come il rispetto delle esigenze della persona e della personalità umane. In questo senso può darci una mano un affermato pedagogista contemporaneo, Ken Robinson (1) che, partendo dal presupposto per cui l’educazione e l’apprendimento dovrebbero consistere in un’esperienza estetica, che coinvolga pienamente le persone coinvolte nella dinamica insegnamento-apprendimento, denuncia invece la progressiva alienazione di milioni di soggetti in età evolutiva all’interno di esperienze anestetiche nelle istituzioni scolastiche occidentali. Robinson cita studi (2) che dimostrano quanto siano nocive le istituzioni scolastiche particolarmente riguardo lo sviluppo del pensiero divergente e principalmente a causa dell’uso indiscriminato di test standardizzati (pensiamo all’INVALSI), ma mette sotto accusa anche il processo di aziendalizzazione della scuola pubblica in corso ormai da diversi decenni, per cui prevale un insegnamento standardizzato che privilegia competenze spendibili all’interno del mercato del lavoro a danno dello sviluppo integrale della persona umana e della costruzione d’una cittadinanza attiva e solidale.

Chi scrive trova sorprendete come, a fronte d’una mole di studi e conoscenze impressionanti in campo sociopsico-pedagogico, la struttura delle scuole occidentali, tranne felici eccezioni come quella finlandese, sia esattamente la stessa della “Casa delle tavolette” dell’antica Mesopotamia, difatti, tranne che per il materiale con cui erano costruiti banchi, cattedra e “quaderni”, il resto risulta identico: file di banchi disposte in ordine davanti ad una cattedra, come se 5.000 anni di studi e sperimentazioni non fossero valsi a nulla. Normalmente (Fromm distingueva saggiamente fra normalità e sanità), quando si tenta di disporre i banchi a cerchio accanto alla sedia del docente (a poco valgono le esperienze del “circle time” quando sono sporadiche e occasionali) l’obiezione che viene opposta da colleghi e presidi è che, con tale disposizione, si violerebbero le famose (famigerate) “norme sulla sicurezza”, dimenticando almeno due cose: che sarebbe sufficiente, certo, porre un piccolo spazio ogni due o tre sedie; ma soprattutto che, allorché si nomina il concetto di sicurezza, non si tiene conto che questo attiene al concetto di salute che l’O.M.S. considera sotto tre profili, non solo quello fisico, ma anche quelli psicologico e sociale. Il timore è che si sia allora in cerca, più o meno consapevolmente, di facili alibi o razionalizzazioni per non cambiare schemi e abitudini consolidate e quindi per non dover affrontare la ben più complessa gestione di situazioni cooperative e non-direttive. Efficaci potrebbero essere, invece, lezioni all’aperto, in giardino o comunque in luoghi informali.

Le ultime normative sulla scuola pubblica italiana, oltre a snaturare il senso stesso della comunità educante e della collegialità (in ottemperanza alla temperie politico-culturale in corso, già preannunciata come necrofila da Eric Fromm) (3) per instaurare la pericolosa cultura dell’ “uomo solo al comando”, privilegia competenze in luogo delle conoscenze, per indurre abilità immediatamente spendibili sul mercato del lavoro e mortificando proprio quelle molteplici componenti della persona e della personalità di cui parlavamo, a partire dalle emozioni, il cui ruolo viene rivalutato anche da recenti studi (4): non a caso si parla ormai da tempo, per noi occidentali, del preoccupante fenomeno dell’analfabetismo affettivo (5). Anche l’abuso di tecnologie ha contribuito, accanto ad una scuola sempre più anestetica, al diffondersi di ciò che Robinson definisce la “peste bubbonica del XXI secolo”: il Disturbo da Deficit Attentivo, per far fronte al quale anche in Italia si sta diffondendo in modo preoccupante l’uso-abuso di psicofarmaci (6), evitando di andare all’origine psicologica e culturale del fenomeno.

Come esposto altrove (7), l’educazione formale, in quanto gerarchica, frontale, razionalistica, burocratica, individualistica e competitiva, corrisponde all’esatto contrario di quanto richiesto per una sana impostazione didattico-pedagogica, per cui bisognerebbe tendere verso l’approccio olistico che solo l’educazione informale consente; ma il deterioramento, attualmente in corso, dei luoghi formativi (anche in considerazione della frantumazione dello status del docente a causa dei demansionamenti previsti dall’attuale normativa e del moltiplicarsi di non ben definite figure professionali) destabilizza le basi stesse del patto formativo, proprio a partire dal riconoscimento socio-culturale e istituzionale del ruolo e dello status dell’insegnante, del destrutturarsi dei compiti e dei ruoli ad esso assegnato, del venir meno di ciò che definirei lo statuto epistemologico su cui dovrebbe fondarsi la comunità educante. In tal modo, non solo viene impedito ai luoghi formativi istituzionali di svolgere il loro compito educativo per diventare meri luoghi di addestramento alla precarietà e flessibilità aziendalistica, ma si va in direzione opposta rispetto ai dettami dell’art. 3 della nostra Costituzione, che recita, al secondo comma: “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”; la scuola nella quale ci troviamo ad operare si trova, di fatto, ad essere a mio parere incostituzionale, in quanto non rimuove affatto quegli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la sua -effettivapartecipazione all’organizzazione del Paese, anzi li rafforza, creando ulteriori sperequazioni, a partire dai docenti di serie A e B che si troverebbero ad essere diversamente distribuiti sul territorio nazionale, e scuole di serie A e B, in base ai risultati delle prove INVALSI e della conseguente asimmetrica allocazione delle risorse che premierebbe le scuole “migliori” anziché investire in quelle “peggiori”, ma anche per le persistenti e peggiorate sperequazioni su base regionale e macroregionali ancora tristemente attuali nel nostro Paese.

La scuola non dovrebbe essere luogo di scorrerie per ceti politici in cerca di facili consensi, né di oligarchie con disegni mercantilistici, ma la diretta emanazione di una intellighenzia, espressione delle migliori menti del campo educativo e degli studi di intellettuali di settore a stretto contatto con chi la scuola la vive sul serio: da questo campo semantico dovrebbero partire le indicazioni imprescindibili che la politica dovrebbe poi declinare in campo socio-educativo, ma non pare sia questo il clima culturale che si respira in Italia da almeno cinque lustri a questa parte.

Urge un’inversione di tendenza, che metta al centro la persona in età evolutiva con i suoi reali bisogni e interessi, le conoscenze in luogo delle mere competenze, la creatività e la capacità di problematizzare in luogo dei quiz dell’INVALSI, la relazione nel continuum insegnante-allievo / insegnante-allievi, fatta di complicità e alleanze che devono saper sopravvivere alle necessarie frustrazioni (8); il gruppo classe, in grado di gestire, progressivamente, i necessari conflitti interni in modo costruttivo (9); una valutazione che possa essere realmente formativa e non appiattita su banali test standardizzati (10) studiati a tavolino da precise oligarchie per ottenere generazioni “flessibili” e prive di pensiero critico; una didattica finalmente orientata verso l’educazione informale.

Mettere al centro relazioni, comunità, pensiero critico, educazione informale.

Desidero cercare di spendere, se me ne verrà data l’opportunità, gli spazi futuri proprio per proporre metodologie e tecniche didattico-pedagogiche che vadano, appunto, verso il campo semantico dell’educazione informale, con la convinzione che sia proprio tale campo la bussola di riferimento per rifondare la scuola pubblica del nostro Paese, guarendola dalle tante offese ricevute.

(1) - Cfr. Ken Robinson, Changing education paradigms, Youtube;

(2) - G. Land-B. Jarman, Breackpoint and beyond: mastering the future today, op. cit. in Changing education paradigms;

(3) - Cfr. E. Fromm, Anatomia della distruttività umana, Mondadori, Milano, 1995;

(4) - T. Chemi, Dealing with emotions, ed. Sense, Rotterdam, 2015;

(5) - Cfr. anche Cfr. D. Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 2015;

(6) - A proposto dell’abuso incoraggiato, anche da professionisti, di psicofarmaci, cfr. A. Ehrenberg, La fatica di essere se stessi, Einaudi, Torino, 1999;

(7) - Cfr. “Educazione informale”, ed. Amnesty International Sezione italiana, Roma, 2009, disponibile on-line;

(8) - Cfr., M. Recalcati, L’ora di lezione, Einaudi, Torino, 2014;

(9) - Cfr. U. Morelli, Conflitto, Meltemi, Roma, 2006;

(10) - Cfr. V. Pinto, Valutare e punire, Cronopio, Napoli, 2014.

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