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Controllo delle esportazioni militari: agenda per il vero cambiamento /Armi e conflitti

CONTROLLO DELLE ESPORTAZIONI MILITARI: AGENDA PER IL VERO CAMBIAMENTO

di Giorgio Beretta

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Non raggiungono il record storico siglato nel 2016 dal governo Renzi. Ma segnano comunque la seconda performance dal dopoguerra. E, soprattutto, confermano la propensione da parte dei recenti governi italiani a fare affari di armi con le monarchie autoritarie del Golfo Persico, in totale disprezzo delle violazioni dei diritti umani, del loro coinvolgimento nei conflitti mediorientali e finanche nel sostegno a gruppi terroristici.

Il mega-contratto per navi militari al Qatar

Sto parlando delle autorizzazioni all’esportazione di armi e sistemi militari: nel 2017 si sono attestate a 10,3 miliardi di euro, inferiori solo ai 14,6 miliardi del 2016 (Si veda l’articolo: “Italia: indecente record nell’export di armamenti” – Voci Settembre 2017) (1).

Il calo è dovuto soprattutto alla differenza di valore tra i due maxi-contratti siglati nei due anni con due paesi della penisola araba. Mentre nel 2016 l’affare di Alenia-Aermacchi (gruppo Leonardo, ex Finmeccanica) per la fornitura al Kuwait di 28 Eurofighter era valso 7,3 miliardi di euro, il contratto firmato da Fincantieri col Qatar nel 2017 è di “soli” 4 miliardi di euro. Si tratta di quattro corvette multiruolo complete di sistemi da combattimento e munizionamento, una “nave da sbarco” LPD – Landing Platform Dock e due pattugliatori OPV – Offshore Patrol Vessel comprensivi di sistema di combattimento) e di missili da difesa aerea della MBDA Aster 30 Block 1 e VL Mica oltre agli antinave Exocet MM-40 Block 3. Un ampio arsenale bellico che la sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, on. Maria Elena Boschi, nella sezione di sua competenza ha liquidato sbrigativamente definendola una «fornitura di navi e di batterie costiere».

Sempre più armi ai regimi autoritari

Ma l’elenco dei regimi autoritari a cui l’Italia anche nel 2017 ha autorizzato forniture di armamenti è lungo e vario. Si comincia con l’Arabia Saudita (52 milioni di euro), a cui vanno aggiunti altri 245 milioni di euro per gli Efa “Al Salam” e i Tornado “Al Yamamah” riportati nei programmi intergovernativi. E si prosegue con Turchia (266 milioni), Pakistan (174 milioni), Algeria (166 milioni), Oman (69 milioni), Iraq (55 milioni), Emirati Arabi Uniti (29 milioni), Marocco (7,7 milioni), Egitto (7,3 milioni), Kuwait (2,9 milioni) e Turkmenistan (2,2 milioni).

Come ha rilevato con un comunicato la Rete italiana per il Disarmo, «il risultato è evidente: gli affari “armati” dell’industria a produzione militare italiana si indirizzano sempre di più al di fuori dei contesti di alleanze internazionali dell’Italia verso le aree più problematiche del mondo». I Paesi non appartenenti all’UE o alla NATO sono infatti destinatari del 57% delle autorizzazioni all’esportazione rilasciate nel corso del 2017. E circa il 48% sono per i Paesi MENA, cioé del Medio Oriente e Nord Africa: una zona in cui conflitti, tensioni e violazioni dei diritti umani sono sotto gli occhi di tutti.

Nuove forniture di bombe per l’Arabia Saudita

Spiccano soprattutto quei 52 milioni di euro di autorizzazioni per l’Arabia Saudita. In gran parte sono per bombe aeree del tipo MK82, MK83 e MK84 prodotte dalla RWM Italia, l’azienda che ha sede legale a Ghedi, in provincia di Brescia, e lo stabilimento a Domusnovas in Sardegna. Reperti di queste bombe sono stati ritrovati dagli esperti dell’Onu nelle città yemenite bombardate dalla Royal Saudi Air Force. Nel 2017 le nuove forniture ai sauditi di queste bombe hanno superato i 45 milioni di euro: rappresentano un record non solo per la piccola azienda di Domusnovas, dove la RWM Italia le produce per conto della multinazionale tedesca Rheinmetall, ma per l’intera produzione ed esportazione italiana di ordigni bellici.

Nonostante tre risoluzioni del Parlamento europeo abbiano ribadito la necessità di imporre un embargo sugli armamenti nei confronti dell’Arabia Saudita in considerazione delle gravi violazioni del diritto umanitario nell’ambito del conflitto in corso in Yemen, lo scorso settembre il Parlamento italiano non ha fermato queste esportazioni (2) . Rigettando le risoluzioni proposte dalle opposizioni, la Camera ha di fatto deciso di non accogliere la richiesta delle associazioni della società civile (tra cui Amnesty International – Italia) che avevano chiesto di sospendere queste esportazioni. Il giorno prima del voto alla Camera, il Parlamento europeo si era espresso, con una risoluzione votata ad ampia maggioranza, in modo inequivocabile: (il Parlamento europeo) «Ritiene che le esportazioni all’Arabia Saudita violino almeno il criterio 2 (della Posizione Comune) visto il coinvolgimento del paese nelle gravi violazioni del diritto umanitario accertato dalle autorità competenti delle Nazioni Unite; ribadisce il suo invito del 26 febbraio 2016 relativo alla necessità urgente di imporre un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita». Evidentemente per alcuni partiti ciò che si può votare a Strasburgo non si può, anzi non si deve, votare a Roma.

Una nuova denuncia internazionale

Lo scorso aprile, la Rete Italia per il Disarmo insieme all’’European Center for Constitutional and Human Rights (Ecchr) e all’organizzazione yemenita per i diritti umani Mwatana, ha presentato una nuova denuncia penale (3) alla Procura della Repubblica italiana di Roma. L’esposto chiede che venga avviata un’indagine sulla responsabilità penale dell’Autorità italiana che autorizza le esportazioni di armamenti (Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento – UAMA) e degli amministratori della società produttrice di armi Rwm Italia S.p.A. per le esportazioni di armamenti destinate ai membri della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita coinvolti nel conflitto in Yemen. Una denuncia estremamente dettagliata che riporta il caso di un raid aereo effettuato l’8 ottobre 2016, verosimilmente dalla coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita, che ha colpito il villaggio di Deir Al- Hajari, nello Yemen nord-occidentale, distruggendo la casa della famiglia Houssini e uccidendo sei persone, tra cui una madre incinta e quattro bambini. Sul luogo dell’attacco sono stati rinvenuti i resti di bombe e un anello di sospensione prodotti da Rwm Italia. «Quello nello Yemen è un conflitto in cui vengono commessi crimini di guerra» – ha commentato Riccardo Noury di Amnesty International – «L’idea che l’Italia possa essere stata complice di crimini di guerra attraverso la produzione, l’autorizzazione, l’esportazione e l’uso di bombe partite dallo stabilimento della RWM Italia dovrebbe produrre orrore».

Il Palamento UE: “Si applichino le norme dell’ATT”

La già citata Risoluzione del Parlamento europeo è particolarmente rilevante. Attraverso di essa, l’Europarlamento non solo ha chiesto maggior rigore e trasparenza sulle esportazioni di sistemi militari da parte dei Paesi membri ma, soprattutto, ha ribadito l’obbligo di attenersi alle norme del “Trattato sul commercio di armi” (Arms Trade Treaty – ATT). Il Parlamento europeo ha infatti espressamente chiesto agli Stati membri di «effettuare un esame più dettagliato della produzione su licenza da parte dei paesi terzi e a garantire il rafforzamento delle salvaguardie contro gli usi indesiderati; chiede l’applicazione rigorosa della Posizione comune per quanto riguarda la produzione su licenza in paesi terzi; incoraggia gli Stati membri ad esaminare la posizione assunta dal paese terzo e il suo status in relazione all’ATT al momento di decidere in merito a trasferimenti che rafforzerebbero la capacità di tale paese in termini di produzione e/o esportazione di attrezzature militari». Ma c’è di più. Il Parlamento europeo rileva, infatti, «che non tutti i parlamenti nazionali dell’Unione esercitano un controllo sulle decisioni del governo in merito al rilascio di licenze elaborando, tra le altre cose, relazioni annuali sulle esportazioni di armi». Per questo ha chiesto «un rafforzamento generale della vigilanza parlamentare e pubblica».

Un’agenda per il cambiamento

Un compito, quest’ultimo, al quale la Rete italiana per il Disarmo non si è mai sottratta. All’indomani dell’insediamento del nuovo governo, Rete Disarmo ha infatti chiesto un confronto con le Commissioni Esteri e Difesa, sul controllo delle esportazioni militari, sulla riduzione della spesa militare, la ridefinizione di obiettivi e strumenti delle missioni militari all’estero, la partecipazione dell’Italia a processi concreti di disarmo nucleare, il definanziamento della produzione di mine anti-persona e bombe a grappolo, la messa al bando preventiva delle armi completamente autonome, la difesa civile non armata e nonviolenta, le azioni di controllo sull’utilizzo dei droni armati. Un’ampia, ma necessaria agenda, che non può essere elusa da quello che si definisce il “Governo del cambiamento”.

(1) - http://www.amnestysicilia.org/wordpress/voci-numero-3-anno-3/

(2) - https://www.osservatoriodiritti.it/2017/09/22/guerra-yemen-camera-vendita-armi/

(3) - https://www.disarmo.org/rete/a/45314.html

ATT - Third Conference of State Parties - Ginevra, 11 Settembre 2017 / mwatana.org

IN EVIDENZA https://www.amnesty.it/campagne/armi-diritti-umani/

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