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USA: Famiglie di richiedenti asilo separate forzatamente /Nord America

USA: FAMIGLIE DI RICHIEDENTI ASILO SEPARATE FORZATAMENTE

di Bruno Schivo

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Fin dal momento del suo insediamento, nel gennaio 2017, l’amministrazione del presidente Trump ha messo in atto politiche in tema di immigrazione che hanno causato danni gravi e forse irreparabili a migliaia di persone che cercavano salvezza negli Stati Uniti. Si sono verificati respingimenti di massa di richiedenti asilo al confine con il Messico, mentre un numero sempre più alto di loro è stato sottoposto a detenzione arbitraria e a tempo indeterminato. Tali procedure, che in diversi casi si possono assimilare a vere e proprie forme di torture o trattamenti disumani e degradanti, violano non solo gli standard internazionali, ma le stesse leggi degli USA.

A fare le spese di questa politica sono stati soprattutto i nuclei familiari e, come è ovvio, in modo particolare i minori. Molto spesso infatti questi ultimi vengono divisi dalle loro famiglie.

Apparentemente non ci sono motivazioni che giustifichino queste separazioni. Valquiria, trentanove anni, è stata allontanata dal figlio, un bambino di sette anni, il giorno dopo aver richiesto asilo ad El Paso, nel Texas. “Voi non avete alcun diritto qui! Tu non hai alcun diritto di restare insieme a tuo figlio!”, così si è sentita rispondere dagli agenti del Customs and Border Protection (CBP). “Mi sono sentita morire in quel momento.” - racconta la donna- “Non sapere dove è mio figlio, che cosa sta facendo. E’ la sensazione peggiore che una madre possa avere. Come può una madre non avere diritto a stare con il proprio figlio?” La stessa risposta se l’è sentita dare da un funzionario del Department of Home Security (DHS) un uomo originario del Salvador, padre di un ragazzino di 12 anni, quando ha protestato perché il figlio veniva ammanettato. Eppure in entrambi i casi erano stati regolarmente presentati i documenti che provavano l’appartenenza alla stessa famiglia, così come la richiesta di asilo per il rischio di persecuzioni nel proprio paese di origine.

“L’amministrazione Trump – afferma Erika Guevara- Rosas, Americas Director di Amnesty International – sta portando avanti una campagna di deliberato aumento delle violazioni dei diritti umani allo scopo di punire i richiedenti asilo al confine tra USA e Messico e di creare un deterrente”. La separazione delle famiglie, con l’allontanamento forzato dei figli dai loro genitori, rientra in pieno in questa strategia. A conferma di ciò, tale pratica è stata utilizzata almeno a partire dall’autunno del 2017, in clima di riservatezza, mentre nell’anno in corso, oltre ad essere divenuta una prassi molto frequente è stata anche ampiamente pubblicizzata.

Nell’ambito della politica della cosiddetta “tolleranza zero”, introdotta il 6 aprile 2018, l’amministrazione Trump rivendica che la separazione delle famiglie è una necessaria conseguenza del perseguire penalmente tutti i richiedenti asilo e le altre persone che attraversano illegalmente il confine tra Messico e USA. In realtà le autorità statunitensi hanno diviso anche richiedenti asilo per i quali non è stata proposta alcuna azione penale, compresi molti che hanno chiesto protezione ai valichi di frontiera ufficiali.

Non è noto a quanto ammonti il numero totale di queste divisioni forzate. Tuttavia il CBP ha reso noto ad Amnesty International che tra l’aprile e l’agosto 2018 più di 6000 unità familiari sono state separate, molte di più di quanto avevano ammesso precedentemente le autorità. Il numero complessivo quindi è molto più alto, forse intorno ad 8ooo casi. Tanto più che la stima comunicata ufficialmente non tiene conto delle unità familiari non costituite da genitori e figli (ad esempio, nonni e nipoti), le quali non vengono riconosciute come tali.

Nel corso del 2018 Amnesty International ha intervistato 15 famiglie che sono state separate dai loro bambini, sia prima che dopo l’introduzione della politica della cosiddetta “tolleranza zero”. Molti di loro riferiscono di non aver ricevuto alcuna informazione sui motivi della separazione e in ben 13 dei 15 casi, essa è avvenuta dopo che avevano avanzato la richiesta di protezione nei punti di frontiera regolari. Durante gli incontri con i ricercatori di Amnesty International, numerosi genitori o tutori hanno mostrato di essere in uno stato di grave sofferenza ed angoscia, ben evidenziato dal fatto che diversi di loro sono scoppiati a piangere non appena hanno iniziato a raccontare la loro vicenda. Appare evidente come la pratica delle separazioni familiari abbia lo scopo di spingere le persone a rinunciare alla richiesta di asilo.

Inoltre, taluni episodi di separazione detentiva delle famiglie di richiedenti asilo si configurano come veri e propri casi di tortura sia per la normativa internazionale che per la legge americana (gli USA hanno ratificato la Convenzione ONU contro la Tortura a metà anni 1990).

Maria, 55 anni, è stata separata da suo nipote Matheus (di 17 anni e disabile), in seguito alla loro richiesta di asilo, inoltrata a Santa Teresa, Texas. “Avrei bisogno di recarmi da uno psicologo.” – racconta la donna – “Non mi ricordo delle cose e non mi riesce di dormire. Durante la notte mi sveglio e non mi riesce più di addormentarmi. Inizio a parlare di qualcosa, ma mi dimentico di cosa stavo parlando. Piango molto, giacché rimango separata dal mio Matheus”.

La separazione forzata delle famiglie viola diversi diritti fondamentali, tra cui il diritto all’unità familiare, alla libertà, a non essere sottoposti a tortura o maltrattamenti. L’incriminazione dei richiedenti asilo per l’ingresso non regolare, così come la separazione forzata delle famiglie, costituiscono una violazione degli obblighi degli USA nei confronti delle norme internazionali in materia di rifugiati. Anche i diritti dei minori vengono ampiamente calpestati, soprattutto a causa della loro esposizione ad un trauma grave e non necessario. Nei casi documentati da Amnesty è evidente che le autorità statunitensi non tengono in alcun conto i bisogni primari dei bambini. E ciò nonostante tutti i 50 stati della confederazione abbiano adottato una legislazione in tal senso.

In effetti il 20 giugno scorso il presidente Trump, in seguito alle forti pressioni politiche e dell’opinione pubblica, ha dovuto firmare un ordine esecutivo che, a suo dire, poneva fine alla pratica delle separazioni forzate. In realtà però il documento si presta ad interpretazioni arbitrarie e lascia ancora ampio margine di manovra al DHS. Inoltre non prevede alcun intervento per riunire i circa 2600 minori che restano forzatamente divisi dalle loro famiglie. Per di più consente la detenzione a tempo indefinito dei minori con le loro famiglie, durante il periodo in cui viene valutata la loro richiesta di asilo; cosa illegale negli USA, secondo quanto stabilito dal Flores Settlement Agreement del 1997, che regola il trattamento dei minori migranti, e che il DHS e l’amministrazione hanno più volte cercato di cancellare o depotenziare.

Amnesty International, tra le altre cose, chiede al Congresso degli Stati Uniti di esercitare un’attenta supervisione sull’operato del DHS, per porre fine all’arbitraria separazione delle famiglie dai loro figli. Sarebbe anzi opportuna l’approvazione di una legge che metta al bando la separazione e/o la detenzione di famiglie con bambini. Gli USA dovrebbero inoltre ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo che hanno firmato nel 1995. Ma al momento sono l’unico stato al mondo a non averla ancora adottata.

Un bambino guarda Tijuana attraverso il muro della frontiera che separa il Messico dagli Stati Uniti. Aprile 2018 © Amnesty International / Sergio Ortiz Borbolla

IN EVIDENZA https://www.amnesty.org/download/Documents/AMR5191012018ENGLISH.PDF

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