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I minori ed il cinema /Cinema
I MINORI ED IL CINEMA
di Francesco Castracane
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Questo articolo, prima di suggerire alcuni film di riferimento sulla questione delle violazioni dei diritti dei minori, dovrà affrontare alcune questioni complessive, necessarie allo scopo di definire l’ambito teorico di riferimento.
Anzitutto la riflessione riguardo le questioni minorili, vanno allargate a tutti i mass media che attualmente costituiscono la struttura comunicativa contemporanea: la TV, i vari social network, i videogiochi, la musica. All’interno di questo magmatico mondo di iperstimolazioni percettive, quale è il ruolo che i messaggi veicolati hanno nella costruzione delle culture giovanili e delle innumerevoli sottoculture che ne derivano? La questione è piuttosto complessa, ma va qui affrontata come premessa. Il problema di fondo è, che nella maggior parte dei casi, per quanto all’infanzia e all’adolescenza si riconosca un proprio diritto all’esistenza, nei fatti ciò non avviene. Il bambino e l’adolescente vengono messi al centro delle aspettative del mondo adulto, senza che questi abbiano però una capacità di rappresentazione autonoma. La maggior parte dei film che parla dei bambini o dei giovani, è piena dei luoghi comuni degli adulti. In tali lavori, quasi sempre non si trova il racconto della vita del minore, ma piuttosto la rappresentazione delle fantasmatiche interiori dell’adulto. Ad esempio molti film parlano dei tentativi dei genitori di riallacciare rapporti con i propri figli, ma spesso si rappresenta unicamente il punto di vista delle figure adulte. Oppure i lavori sono circondati da una patina di rimpianto per l’età dell’innocenza persa. Ovviamente, la scelta dei temi da rappresentare è fortemente influenzata dal contesto storico e culturale dell’autore. Dai paesi meno sviluppati economicamente arriveranno storie di povertà e violazioni concrete dei diritti dei minori, mentre invece dai paesi più “ricchi” le storie riguarderanno soprattutto la solitudine emotiva dei giovani, che inseriti in una società atomizzata, sono accerchiati dalla pressione costante del consumo e dall’incapacità del mondo adulto di dialogare concretamente con il sapere giovanile. La filosofia della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, approvata il 20 novembre 1989 dall’Assemblea delle Nazioni Unite e ratificata dal Governo italiano nel 1991, è fondata sul concetto di minore come soggetto autonomo di diritti politici, civili sociali, culturali, economici. Per essere tale, il minore deve essere informato/formato, in modo adeguato al suo sviluppo psicologico e cognitivo, sui propri diritti e doveri a partire dalla prima infanzia. è evidente che buona parte di questa Convenzione è largamente inattuata.
Inoltre, in Italia, esiste un Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, la cui ultima versione è stata approvata nel Maggio 2018, il quale, nell’ultimo capoverso dell’articolo 11 recita: “La comunicazione commerciale non deve contenere un’esortazione diretta ai bambini affinché acquistino o sollecitino altre persone ad acquistare il prodotto pubblicizzato. L’impiego di bambini e adolescenti nella comunicazione deve evitare ogni abuso dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani. Sono vietate rappresentazioni di comportamenti o di atteggiamenti improntati alla sessualizzazione dei bambini, o dei soggetti che appaiano tali.” Basta accendere la TV è vedere come ci siano continui ammiccamenti al mondo dell’infanzia e a come l’utilizzo dei colori e delle musiche riporti all’estetica infantile. Una parte delle campagne pubblicitarie, sono formalmente rivolte agli adulti, ma costruite per piacere ai bambini. Se lo spot piace ai bambini, questi faranno pressione sugli adulti per essere accontentati. Se convinco un bambino che quel supermercato è bello, questo spingerà i genitori ad andare a fare la spesa in quel posto piuttosto che in un altro.
Infine l’ultima questione generale è la difficoltà ad utilizzare questi film, pensati da adulti e quindi rivolti tutto sommato a degli adulti, per il lavoro con gli adolescenti, che hanno difficoltà a riconoscersi nei contenuti espressi.
Ma proviamo a fissare alcuni appunti in un ipotetico elenco di film che riguardano i diritti violati dei minori.
Il primo autore del quale parlare è il giapponese Hayao Miyazaki, il più importante autore di anime (cartoni animati) giapponesi. I protagonisti dei suoi film sono bambini (il mio vicino Totoro; La città Incantata) oppure adolescenti (Kiki-Consegne a domicilio), dove le figure adulte di riferimento sono assenti e i protagonisti devono trovare un nuovo equilibrio. Il cinema anime è inserito nel contesto dei manga, fumetti che hanno grosso impatto sugli adolescenti giapponesi. Il successo di questi film fra le nuove generazioni è probabilmente rappresentato dal fatto che le storie raccontate, si intrecciano con la condizione emotiva dei ragazzi che sentono una difficoltà di rapporto con il mondo adulto.
Degno di nota è il film “Il sole dentro” di Paolo Bianchini, un lavoro ispirato alla storia vera di Yaguine Koita e Fodè Tounkara, due ragazzini Guineani, che riescono a nascondersi nei motori di un aereo diretto in Europa, ma che arriveranno morti a Parigi. Nelle tasche dei due giovani fu ritrovata una lettera rivolta “Alle loro Eccellenze” i capi dell’Europa.
Del 2008 è invece “Pa-ra-da” di Marco Pontecorvo, sulla realtà dei bambini di strada rumeni.
Celine Sciamma invece firma una riflessione sull’identità di genere: “Tomboy” una storia di una bambina di 10 anni che si finge un bambino.
Una citazione a parte merita il cinema iraniano postrivoluzione. Nel 1979 lo Scià viene rovesciato e la produzione cinematografica viene interrotta. Nel 1983 il nuovo governo tenta il rilancio della produzione, finanziando film che parlino della realtà dei bambini. Emergono due grandi registi: uno è Abbas Kiarostami che dirige nel 1988 “Dov’è la casa del mio amico”, la storia di un bambino che deve riportare un quaderno a un suo compagno. Invece Jafar Panahi (che negli anni recenti ha scontato 5 anni di arresti domiciliari e non può uscire dall’Iran) dirige nel 1995 “Il palloncino bianco”, che racconta la giornata di una bambina che perde i soldi mentre sta andando a comprare un pesciolino rosso. La caratteristica importante di questo regista è l’uso della macchina da presa, che viene montata ad altezza di bambino, cercando di mostrare, anche fisicamente, quale sia l’orizzonte concreto di una bambina e la contraddittoria realtà dell’Iran e dei minori afgani che vivono in quel paese.
Majidi Majidi, invece, con “I ragazzi del paradiso” (1998), racconta le vicende di due bambini poveri che perdono un paio di scarpe.
Come non citare invece il bellissimo “Central do Brasil” di Walter Salles, dove una donna accompagna un ragazzino di strada attraverso il Brasile, alla ricerca del padre.
I due cineasti belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne, hanno affrontato in alcuni loro film, la tematica della ricerca del padre o del significato della paternità: ne “Il figlio” un insegnante di falegnameria in un laboratorio per ragazzi disadattati, si ritrova fra gli allievi colui che 5 anni prima gli ha ucciso il figlio; in “L’Enfant – una storia di amore”, il compagno di una donna che ha appena partorito, vende il figlio ad un gruppo di spacciatori; Ne “Il ragazzo con la bicicletta”, un ragazzo dodicenne abbandonato dal padre, cerca di ritrovarlo.
Altro film degno di nota e il bello e commovente “Billy Elliot” di Stephen Daldry, la nota storia del ballerino irlandese Philip Mosley.
Assolutamente interessante il film “Class Enemy” del giovane regista sloveno Rok Biček; un severo professore inizia ad insegnare in una scuola superiore. A causa della tragica morte di una ragazza, gli studenti accusano il professore della sua morte. Le tensioni della guerra, apparentemente sopite, riesplodono.
“Il segreto di Esma”, della regista bosniaca Jasmila Žbanić, è ambientato dopo la guerra della ex Jugoslavia, dove una ragazza adolescente vive con la madre a Sarajevo, città ancora ferita dall’assedio della città.
Nel recente “A Ciambra”, di Jonas Carpignano, il protagonista Pio, è un ragazzino che fa parte della comunità Rom della piana di Gioa Tauro, e ne mostra, senza nascondere nulla, la vita.
Concludo con un documentario, ancora non uscito in Italia, ma che affronta lo scabroso tema della pedofilia: “Shootball” del regista spagnolo Fèlix Colomer. I protagonisti sono Manuel Barbero, padre di una vittima di abusi sessuali, e Joaquín Benítez, il pedofilo che ha abusato del figlio di Manuel e di altri venti minori. Il regista del film affronta le figure chiave di questa storia con un lavoro di ricerca giornalistica. Per la prima volta, un pedofilo parla e confessa a una telecamera le proprie responsabilità.