Costruttori Irpini n. 3/2018

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COSTRUTTORI IRPINI PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE COSTRUTTORI EDILI DELLA PROVINCIA DI AVELLINO

SOMMARIO

Nuova serie - anno XXXII n. 3 lug. - set. 2018

Il Libro Bianco della Fiscalità Immobiliare ANCE Giovani Avellino al convegno del 26 settembre...........pag. 4

Assemblea gruppo giovani ANCE Avellino: Il nuovo Presidente è l’ing. Raffaele Trunfio.......................pag. 2

Responsabile Giampiero Galasso Redazione Linda Pagliuca Segretaria di redazione Franca Cesa Direzione e redazione Via Palatucci, 20/A - 83100 Avellino Tel. 0825.36616 - Telefax 0825.25252 Sito internet www.ance.av.it E-mail legislativo@anceav.it - anceavellino@pec.ance.av.it Stampa International Printing - Avellino

Costruzione di edifici “Tupini”: l’Agenzia delle Entrate conferma l’IVA al 10%.......................................................pag.5 Consumo del suolo e rigenerazione urbana: aggiornato il quadro regionale............................................pag.7 Linee guida ANAC per le procedure “sotto-soglia”...............pag.9 Appalti pubblici: l’Adunanza Plenaria e l’ANAC chiariscono il calcolo della soglia di anomalia...................pag.16 Consiglio di stato: responsabilità precontrattuale anche prima dell’assunzione definitiva..............................pag.18 E-fattura per i subappalti: emanati i chiarimenti dell’Agenzia della Entrate................................................................pag.21 Speciale Privacy: D. Lgs. n. 101/2018...............................pag.25 Qualificazione nelle categorie scorporabili di importo inferiore a 150.000 euro................................................pag.29 ANAC: illegittima la scelta di prevedere il sopralluogo obbligatorio in un momento antecedente alla fase di gara...........................................pag.31

La collaborazione al periodico è aperta a tutti. Gli articoli firmati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la redazione. È vietata la riproduzione degli articoli pubblicati se non è citata la fonte. Autorizzazione del Tribunale di Avellino n. 304 del 25 febbraio 1993 Registro stampa Diffusione gratuita

Appalti pubblici: la PA non deve pagare se c’è l’interdittiva antimafia ....................................................pag.32 Appalti pubblici: obbligo di SOA negli appalti misti..............pag.34 Regione Campania - Selezione di progetti esecutivi per la riduzione dei consumi energetici negli edifici pubblici .....................................................pag.37 Acquisto di box pertinenziale: sì al bonus per le ristrutturazioni solo se nuova costruzione ........................pag.38 Indice sintetico di affidabilità fiscale per le costruzioni. Parere ANCE ................................................................pag.39

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ASSEMBLEA GRUPPO GIOVANI ANCE AVELLINO: IL NUOVO PRESIDENTE È L’ING. RAFFAELE TRUNFIO

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Palma ha ripercorso le numerose iniziative realizzate dal Gruppo, le problematiche affrontate e le importanti esperienze fatte in Ance Campania e in ANCE. Nel ringraziare tutti gli iscritti e il Consiglio Direttivo uscente, Palma ha, dunque, proposto all’Assemblea di nominare Presidente l’Ing. Raffaele Trunfio. Dopo l’acclamazione il Presidente ha illustrato il programma. “Obiettivo del Gruppo – ha dichiarato – è quello di veicolare un reale cambiamento”. Il Presidente ha espresso gli obiettivi del nuovo Consiglio Direttivo per il triennio 2018/2021, puntando l’attenzione sui temi dell’innovazione, dello sviluppo tecnologico applicato alla gestione aziendale, dell’associazionismo e

resso la sede dell’Associazione Costruttori Edili di Avellino il 18 giugno 2018 si è svolta l’Assemblea del Gruppo Giovani Imprenditori Edili per il rinnovo delle cariche sociali per il prossimo triennio 2018/2021. All’unanimità e per acclamazione è stato eletto nuovo Presidente l’ing. Raffaele Trunfio, Direttore Tecnico dell’impresa edile T.A.V.A. srl di Villamaina (AV). I lavori sono iniziati con la relazione introduttiva del Presidente uscente, il dott. Alfonso Palma dell’impresa edile Costruzioni Alfonso Palma s.r.l. di Atripalda (AV) che ha ricordato con viva commozione l’ing. Giuseppe Scognamillo, collega e amico che lo ha accompagnato e seguito durante la sua Presidenza.

Gruppo Giovani Ance Avellino - Nella foto da sx: Antonio Prudente, Gianluca Volpe, Tonino Santosuosso [direttore], Dario De Angelis, Angelo Bruschi [vicepresidente ANCE Avellino], Alfonso Palma, Edoardo De Vito, Raffaele Trunfio, Amato Natale, Maria Elena San Severino

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della partecipazione attiva e collaborativa tra i componenti del Gruppo Giovani. Ha preso poi la parola il VicePresidente di ANCE Avellino Angelo Bruschi che ha espresso viva soddisfazione per le linee programmatiche del Presidente del Gruppo Giovani e ha condiviso le iniziative proposte. “Il Gruppo Giovani ha un ruolo fondamentale – ha affermato – quello di raccontare l’edilizia fuori dagli schemi tradizionali”. Il Presidente Trunfio, nell’accogliere con entusiasmo e senso di responsabilità il nuovo incarico ha presentato la squadra di imprenditori che in seno al Consiglio Direttivo lo affiancherà: – l’Avv. Gianluca Volpe (VicePresidente) socio dell’impresa Edilizia Volpe s.a.s di Montella; – il sig. Antonio Prudente, titolare dell’impresa La Casa Nova Soc. Coop. di Nusco; – il dott. Dario De Angelis, socio dell’impresa edile S.I.L.A. srl di Monteforte Irpino. Viva soddisfazione da parte dei giovani associati per l’elezione del nuovo Presidente, che rappresenta pienamente lo spirito e i valori degli imprenditori aderenti all’ANCE Giovani Avellino.

Il Presidente Alfonso Palma (a sx) con il Presidente Raffaele Trunfio

Fin da piccolo ha sempre messo a disposizione dell’azienda la propria energia e negli anni a seguire la propria competenza tecnica, implementata nello svolgimento della attività libero professionale di Ingegnere ed investita a tempo pieno nella società, ancora a conduzione familiare, nella quale come direttore tecnico si occupa all’attività tecnico progettuale, cantieristica, sicurezza nonché nella gestione del sistema di controllo ISO 9001. Animato da passione ed impegno civile ha dato il proprio contributo sociale portandolo ad essere nel 2011 membro attivo dell’amministrazione comunale del paese irpino in cui è cresciuto e nel quale ha sede legale l’azienda. Amante del verde dell’Irpinia, è socio accomandatario della società agricola T.A.C.A.R., una impresa agricola che produce prodotti tipici del territorio e che vanta un agriturismo, Torre Gianluise, in una antica struttura restaurata dall’impresa di costruzione che rappresenta e vincolata dai beni culturali.

Il profilo affaele Trunfio è nato ad Avellino il 21 luglio 1981, sposato e padre di Luigia e Angelo. Laureato in Ingegneria Meccanica, opera nel settore edile ed industriale sia da libero professionista che da Direttore tecnico dell’impresa di famiglia, la T.A.V.A. di Angelo Trunfio & C. S.r.l., fondata nel 1975 dal padre Angelo e dallo zio Antonio, con sede a Villamaina (AV). La T.A.V.A è un’ azienda specializzata nella costruzione e ristrutturazione di edifici civili, nel restauro monumentale, nella costruzione di strade e acquedotti nonché nella costruzioni di strutture in legno, opera negli appalti pubblici e privati. Già componente del Gruppo Giovani ANCE AVELLINO, l’ing. Trunfio è membro del Consiglio generale di Confindustria Avellino.

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IL LIBRO BIANCO DELLA FISCALITÀ IMMOBILIARE ANCE GIOVANI AVELLINO AL CONVEGNO DEL 26 SETTEMBRE

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i è tenuto il 26 settembre presso la sede di via Pola dell’Università LUISS a Roma, il convegno di presentazione del “Libro Bianco della Fiscalità Immobiliare”. Al convegno per ANCE Avellino erano presenti il VicePresidente ANCE Giovani avv. Gianluca Volpe e il consigliere ANCE Giovani Antonio Prudente, accompagnati dalla dott.ssa Linda Pagliuca. Il convegno, che si è svolto alla presenza del Presidente dell’Ance Gabriele Buia, del Vice Presidente Marco Dettori e della Vice Presidente della LUISS Paola Severino, ha visto la partecipazione, in qualità di esponenti del mondo politico, dei senatori Alberto Bagnai e Gianni Pietro Girotto, degli onorevoli Chiara Braga e Alessandro Cattaneo, e del Sottosegretario di Stato per l’Economia e le Finanze Massimo Garavaglia. Sono intervenuti, invece, in rappresentanza del mondo delle associazioni e dell’ambiente e in qualità di coautori del Libro Bianco, Edoardo Zanchini Vice Presidente di Legambiente, Alessandro Maggioni Presidente di Confcooperative Habitat, Massimo Rizzo Vice Presidente di Legacoop Abitanti, Silvia Maria Rovere Presidente di Assoimmobiliare, Giuseppe Melis Ordinario di diritto tributario presso la LUISS, Marco Miccinesi Professore Ordinario di diritto tributario presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e l’Avvocato Francesco Nobili. Il dibattito è partito dall’idea che la leva fiscale immobiliare, se orientata allo sviluppo sostenibile, possa diventare uno strumento funzionale alla realizzazione dell’interesse pubblico del Paese alla tutela dell’ambiente. Nel

corso della discussione è emersa una complessiva condivisione della necessità di porre al centro dell’attenzione politica i temi della rigenerazione urbana, della riqualificazione energetica, della messa in sicurezza sismica, e del benessere abitativo. In particolare, gli esponenti delle forze politiche hanno apprezzato il metodo di lavoro che ha dato origine al documento, frutto della condivisione tra soggetti portatori di interessi eterogenei tra loro. È stata, inoltre, manifestata l’intenzione, soprattutto in vista dell’approvazione della prossima legge di Bilancio per il 2019, di approfondire sotto il profilo squisitamente tecnico le misure fiscali messe a sistema nel Libro Bianco.

Roma. Università LUISS

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COSTRUZIONE DI EDIFICI “TUPINI”: L’AGENZIA DELLE ENTRATE CONFERMA L’IVA AL 10%

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onfermata l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta al 10% ai contratti di appalto per la costruzione di edifici cosiddetti “Tupini” anche se destinati all’attività di agriturismo. Questo è quanto precisato dall’Agenzia delle Entrate con la risposta n.4 ad un interpello del 18 settembre 2018, resa a un imprenditore agricolo proprietario di un terreno e in possesso della concessione edilizia per la costruzione di tre appartamenti, di cui due da destinare all’attività agrituristica e uno da utilizzare come “prima casa”, e di un garage da destinare all’attività agricola. La fattispecie presenta le seguenti caratteristiche: l’intero fabbricato, costruito in zona agricola, avrà destinazione agrituristica vincolante per almeno 10 anni, gli appartamenti saranno classificati catastalmente in A/2 (abitazioni), mentre il deposito agricolo sarà classificato come immobile strumentale nella categoria catastale D/10. I costi di costruzione saranno sostenuti interamente dal contribuente istante.

complessive tra l’attività agrituristica e agricola, e la sfera privata, ai fini della corretta applicazione dell’IVA, in particolare per la corretta detrazione dell’IVA derivante dall’attività imprenditoriale; – quale criterio utilizzare per imputare le spese edilizie all’attività agrituristica, a quella agricola nonché alla sfera privata. Con riferimento al primo quesito l’Agenzia delle Entrate accoglie l’istanza del contribuente considerando applicabile al caso di specie, ovvero ai fabbricati che si configurano come “Tupini”, l’aliquota IVA ridotta del 10% ai sensi del n. 127-quaterdecies della Tabella A, parte III del DPR 633/72 che assoggetta a tale minor aliquota le prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto relativi alla costruzione di case di abitazione di cui al 127-undecies. I fabbricati “Tupini”, come noto, sono quei fabbricati non di lusso, che comprendono oltre alle abitazioni anche negozi e uffici, e che soddisfano i requisiti fissati dalla legge 408/1949 (“legge Tupini”): almeno il 51% della superficie totale dei piani sopra terra deve essere destinato ad abitazioni e non più del 25% della stessa superficie deve essere destinato a negozi o uffici. Sull’applicabilità, anche a tali edifici, dell’aliquota agevolata al 10%, l’Agenzia richiama: – la C. M. n. 1/E del 2 marzo 1994, con la quale è stato già chiarito che, sebbene la norma di legge non faccia espresso riferimento alle prestazioni di appalto aventi ad oggetto la realizzazione di interi “edifici Tupini” rese nei confronti di committenti che non li realizzano per la successiva vendita, l’aliquota ridotta debba comunque ritenersi applicabile anche alla

I quesiti posti all’Amministrazione riguardano: – la possibilità di applicare l’aliquota IVA del 10 % alle spese di costruzione delle singole unità, ai sensi del D.P.R. 633/72, Tabella A, parte III, numeri 127-quaterdecies) e 127-undecies); – la necessità di ripartire le spese edilizie 5


pronunciandosi riguardo un contratto di appalto avente ad oggetto la costruzione di una struttura destinata a residence turistico-ricettivi, aveva precisato che i locali destinati all’esercizio dell’attività imprenditoriale (scopi “alberghieri”) ancorché classificati nella categoria catastale A/2, avrebbero dovuto essere ricondotti alla categoria del “negozio”. Ai fini dell’esercizio del diritto della detrazione IVA e in riferimento al secondo e terzo quesito posto all’Agenzia, viene inoltre specificato che le spese di costruzione devono essere ripartite in relazione all’effettiva destinazione di ogni singola unità immobiliare. Quindi, quelle riconducibili ai due appartamenti da destinare all’attività agrituristica verranno contabilizzate nell’ambito di tale specifica attività d’impresa, e distinte da quelle relative al locale seminterrato, che verrà, invece, destinato all’attività agricola, nonché da quelle necessarie alla costruzione dell’appartamento da attribuire alla sfera privata dell’istante. A tal scopo, viene accolta l’istanza del contribuente in merito alla possibilità di utilizzare un criterio di ripartizione basato sulle quote millesimali.

realizzazione di tali edifici. Una soluzione diversa sarebbe contraria alla “ratio agevolativa” che caratterizza, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, l’insieme delle disposizioni che disciplinano le aliquote IVA applicabili al settore edilizio per quanto riguarda operazioni di edilizia abitativa economica; – la R.M. n. 8/E del 14 gennaio 2014 nella quale è stata ammessa l’applicazione dell’aliquota al 10% (sempre ai sensi del citato n. 127- quaterdecies) all’appalto per la costruzione di complessi destinati a residenze turistico-alberghiere i cui edifici erano composti di unità accatastate in A/2 e di locali in aree condominiali accatastati nella categoria D/2. Questo sempre nel rispetto delle proporzioni richieste per la configurabilità degli edifici “Tupini”. Al riguardo, infatti, l’Agenzia delle Entrate conferma che per “case di abitazione non di lusso” devono intendersi quelle classificate nel gruppo catastale A (diverse da A/1, A/8 e A/9 e A/10) a prescindere dall’utilizzo effettivo e quindi anche se utilizzate per l’attività turisticoalberghiera. Sul punto l’Agenzia si esprime, quindi, in senso difforme dalla Corte di Cassazione che

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Consumo del suolo e rigenerazione urbana: aggiornato il quadro regionale

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efficace politica di contenimento del consumo del suolo si basa principalmente sulla previsione di norme mirate a rendere agevoli, diffusi e economicamente sostenibili gli interventi di trasformazione del patrimonio edilizio esistente e in particolare di quelli che comportano la sostituzione integrale degli edifici mediante demolizione e ricostruzione. In attesa della riforma del governo del territorio, l’Ance ritiene dunque prioritario che a livello nazionale vengano definite misure apposite per avviare una profonda e radicale opera di rinnovamento delle città, in termini di sicurezza, innovazione e qualità, quali, tra gli altri: – dichiarazione di interesse pubblico degli interventi; – riduzione del contributo di costruzione, fino ad arrivare all’esenzione in particolari ipotesi (interventi che richiedono una bonifica di suoli inquinati ovvero dell’amianto, ecc.); – esonero dal contributo straordinario di cui all’art. 16 del DPR 380/2001; – corresponsione degli oneri di urbanizzazione esclusivamente per la volumetria aggiuntiva rispetto a quella di origine; – monetizzazione degli standard urbanistici, qualora non sia possibile reperire aree per servizi nel contesto urbano in cui si colloca l’intervento; – possibilità di modificare anche i prospetti, oltre che la sagoma dell’edificio originario; – in attesa della revisione della normativa sugli standard, deroghe ai limiti di densità edilizia, altezza e distanza fra edifici stabiliti dagli articoli 7, 8 e 9 del DM 1444/1968. Al riguardo si evidenzia che di recente la Regione Emilia Romagna nella LR 24/2017 e la Regione Lazio nella LR 7/2017 hanno previsto deroghe espresse

egli ultimi anni – partendo da istanze di matrice europea che impongono agli Stati membri di raggiungere nel 2050 l’obiettivo del consumo di suolo “netto” pari a zero – lo sviluppo territoriale si sta orientando sempre più verso logiche di contenimento dell’uso del suolo e di rigenerazione del patrimonio edilizio esistente. Il modello territoriale di carattere espansivo, alla base della normativa urbanistica nazionale dal 1942 in poi, sta lasciando il passo a indirizzi pianificatori che impongono di dare priorità alla trasformazione e al riuso della città costruita, consentendo l’utilizzo di nuove risorse territoriali solo nei casi in cui non esistano alternative alla riorganizzazione del tessuto insediativo esistente. È evidente che i provvedimenti che regolano l’urbanistica nazionale, come la Legge 1150/1942 e il DM 1444/1968, non sono più in grado di governare lo sviluppo delle città, né tantomeno di assicurare quella qualità e quella resilienza oggi più che mai fondamentali per la sopravvivenza stessa delle città. A livello statale il Governo ha presentato nella scorsa legislatura un apposito disegno di legge (Atto C/2039-S/2383) che, dopo essere stato approvato dalla Camera dei Deputati nel maggio 2016 in un testo che aveva accolto molte delle modifiche auspicate dall’Ance, non ha potuto concludere l’iter in Senato a seguito dello scioglimento del Parlamento. A livello regionale, invece, si continua ad assistere all’approvazione di disposizioni legislative sul governo del territorio o specifiche finalizzate al contenimento del consumo del suolo e alla rigenerazione del patrimonio edilizio esistente. L’Ance fornisce un quadro delle norme introdotte dalle Regioni, nella consapevolezza che una 7


ai limiti di densità edilizia e di altezza del DM 1444/1968 per gli interventi di rigenerazione con incremento del volume. Per quanto riguarda le distanze fra edifici (l’art. 9 del DM 1444/1968 fissa il limite inderogabile di 10 metri), la LR 24/2017 dell’Emilia Romagna ha previsto, in attuazione dell’art. 2-bis del Dpr 380/2001 “Testo Unico Edilizia”, la possibilità che gli “incentivi volumetrici riconosciuti per l’intervento possano essere realizzati con la soprelevazione dell’edificio originario, anche in deroga agli articoli 7, 8 e 9 del DM 1444/1968, nonché con ampliamento fuori sagoma dell’edificio originario laddove siano comunque rispettate le distanze minime tra fabbricati di cui all’articolo 9 del DM 1444/1968 o quelle dagli edifici antistanti preesistenti, se inferiori” (art. 10). Il Lazio sempre nella LR 7/2017 ha stabilito che “Per la ricostruzione degli edifici demoliti è consentito il mantenimento delle distanze preesistenti con l’eventuale modifica delle stesse nel rispetto della distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate..” ; - liberalizzazione dei cambi di destinazione d’uso, accompagnata da un disciplina agevolata sia sotto il profilo procedurale che economico. L’aggiornamento odierno del quadro regionale dà conto: – della Delibera del Veneto che individua, in attuazione della LR 14/2017 sul consumo di suolo, la quantità di suolo consumabile ammesso nel territorio regionale fino al 2015; – della Legge della Valle d’Aosta che, modificando la normativa urbanistica regionale, introduce il principio del contenimento del consumo del suolo nella pianificazione urbanistica; – della Legge delle Marche che proroga al 31/12/2020 il termine entro il quale i comuni sono soggetti a disposizioni finalizzate alla riduzione del consumo di suolo in attesa dell’approvazione della nuova disciplina regionale sul governo del territorio; tale nuovo termine viene a coincidere peraltro con quello di scadenza del Piano casa regionale; – della Legge della Puglia che inserisce, nell’ambito 8

del Codice del commercio regionale, il principio per cui la pianificazione della rete commerciale è improntata al risparmio del consumo di suolo, con preferenza per le aree già urbanizzate, degradate o dismesse, sottoutilizzate, da riqualificare o rigenerare. Premesso che non si è tenuto conto delle disposizioni regionali “straordinarie” emanate in attuazione dell’Accordo Stato-Regioni 1° aprile 2009 (Piano casa) ancora efficaci, la situazione normativa attuale può essere così brevemente sintetizzata: – Calabria, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Toscana, Prov. Trento, Umbria, Veneto: sono presenti normative organiche sul contenimento del consumo di suolo e/o sulla rigenerazione del patrimonio edilizio esistente nell’ambito di leggi specifiche ovvero nella leggi regionali sul governo del territorio; – Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Puglia, Prov. Bolzano, Sardegna: sono presenti norme sul contenimento del consumo di suolo ovvero sulla rigenerazione del patrimonio edilizio esistente; si sottolinea che in Puglia la LR 26/2014 “Disposizioni per favorire l’accesso dei giovani all’agricoltura e contrastare l’abbandono e il consumo dei suoli agricoli. Istituzione della banca della Terra di Puglia” è prevalentemente incentrata sull’incentivazione all’attività agricola; – Basilicata, Campania, Piemonte, Valle d’Aosta, Abruzzo: il contenimento del consumo di suolo è presente come principio, unitamente in alcuni casi a singole norme relative alla riqualificazione urbana.


Linee guida ANAC per le procedure “sotto-soglia”

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«semplificare le procedure nel sottosoglia, garantendo al contempo il rispetto dei principi di legalità a tutela del mercato e della concorrenza».

seguito della modifica introdotta con il decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56 (cd. decreto correttivo), l’ANAC ha modificato le Linee Guida n. 4/2016, di attuazione del Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recanti “Procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici”. La bozza delle nuove linee guida n. 4/2018 è stata sottoposta a parere del Consiglio di Stato che aveva espresso alcune osservazioni, soprattutto di carattere formale, accolte nel testo definitivo (Cons. St., comm. spec., 12 febbraio 2018, n. 361). Nel parere è evidenziato, tra l’altro, che tali linee guida rappresentano un atto amministrativo generale di indirizzo non vincolante, che dà alle stazioni appaltanti modo di discostarsi da quanto disposto dall’Autorità, laddove sia adottato un atto che contenga una adeguata e puntuale motivazione.

2. Il valore stimato dell’appalto Nelle nuove linee guida viene precisato che al fine di evitare il frazionamento artificioso degli appalti si applicano anche per gli appalti sottosoglia comunitaria le disposizioni di cui all’articolo 35 del Codice dei contratti pubblici. Ciò vale anche per le opere a scomputo di cui all’articolo 36, comma 3 e 4 del Codice dei contratti pubblici, indipendentemente se si tratta di lavori di urbanizzazione primaria o secondaria, fatto salvo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 380/2001. 3. Principi comuni Il Consiglio di Stato ha chiarito che, in un mercato sempre più rilevante in termini percentuali come quello del “sotto-soglia”, la volontà di semplificazione sottesa alle linee guida non può in ogni caso mettere a rischio la qualità delle prestazioni e il rispetto dei principii generali di pubblicità, trasparenza, libera concorrenza, non discriminazione, proporzionalità. Sotto tale aspetto con le linee guida n. 4/2018, l’ANAC introduce alcune novità. In particolare, viene chiarito che le stazioni

1. Ambito di applicazione Le linee guida sugli affidamenti sotto-soglia si applicano ad appalti di lavori, forniture e servizi di importo inferiore alla soglia di rilevanza europea, nei quali sono compresi i servizi di architettura e ingegneria. L’obiettivo del testo è stabilire dei paletti per garantire una diffusa qualità delle procedure, delle indagini di mercato, e della formazione e gestione degli elenchi dei fornitori. E, più in particolare, la relazione AIR che accompagna il nuovo testo spiega che, in seguito al Correttivo e in base a quanto richiesto dal legislatore, con l’aggiornamento ha voluto 9


appaltanti: - possono applicare le disposizioni sulle clausole sociali, tenendo conto anche delle indicazioni, che saranno fornite dall’ANAC in uno specifico atto regolatorio, -garantiscono, in aderenza ai criteri di sostenibilità energetica e ambientale, la previsione nella documentazione progettuale e di gara dei criteri ambientali minimi adottati con decreto del Ministro dell’ambiente; -applicano il principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti, posto al fine di evitare il consolidarsi di rapporti solo con alcune imprese, favorendo la distribuzione delle opportunità degli operatori economici di essere affidatari di un contratto pubblico. 4 .La disciplina della rotazione Il principio di rotazione, su cui si era concentrata l’attenzione del Consiglio di Stato, riguarda gli affidamenti diretti (fino alla soglia dei 40mila euro per lavori, servizi e forniture), e le procedure negoziate fino alla soglia comunitaria per servizi e forniture e fino ad 1 milione di euro per i lavori. Il principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti si applica alle procedure rientranti nel medesimo settore merceologico, categorie di opere e settore di servizi di quelle precedenti, nelle quali la stazione appaltante opera limitazioni al numero di

operatori economici selezionati. A tale scopo, i regolamenti interni delle stazioni appaltanti possono prevedere fasce, suddivise per valore, sulle quali applicare la rotazione degli operatori economici. Il principio di rotazione comporta, di norma, il divieto di invito a procedure dirette all’assegnazione di un appalto, nei confronti del contraente uscente e dell’operatore economico invitato e non affidatario nel precedente affidamento. La rotazione non si applica laddove il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione. Ne consegue che il rispetto del principio di rotazione espressamente fa sì che l’affidamento o il reinvito al

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contraente uscente abbiano carattere eccezionale e richiedano un onere motivazionale più stringente. L’affidamento diretto o il reinvito all’operatore economico invitato in occasione del precedente affidamento, e non affidatario, deve essere motivato. 5. Affidamento ed esecuzione di importi inferiori a 40 mila euro So no p revi s te p ro c edu re u l ter io r mente s emp l i f ic ate r iguardanti gli affidamenti sotto soglia di importo inferiore, che prendono avvio con la determina a contrarre o con atto ad essa equivalente e si concludono con la verifica dei requisiti degli affidatari di lavori d’importo inferiore a 20.000 euro. In particolare, nella nuova formulazione delle line guida n. 4: - per gli affidamenti fino a 5mila


euro, la stazione appaltante può procedere alla stipula del contratto sulla base di un’apposita autodichiarazione resa dall’operatore economico dalla quale risulti il possesso dei requisiti di carattere generale (art. 80 del Codice). La stazione appaltante consulta, inoltre, il casellario Anac, acquisisce il Durc (Documento unico di regolarità contributiva) e, eventualmente, verifica i requisiti stabiliti da leggi speciali per determinate attività da espletarsi nei confronti della pubblica amministrazione. La stazione appaltante, inoltre, può comunque effettuare tutte le verifiche ritenute opportune, oltre ai necessari controlli a campione sulle autocertificazioni acquisite; - Rispetto alla fascia che la precede, quella compresa tra i 5mila e 20mila euro, prevede l’obbligo per le stazioni appaltanti di effettuare le verifiche relative ai requisiti considerati obbligatori dall’art. 57 della Direttiva 2014/24/UE (penale, fiscale, contributivo). Nella fascia tra 20 mila e 40 mila, per la stazione appaltante è obbligatoria la verifica di tutti i requisiti generali. In ogni caso, alla luce del principio di concorrenza, viene sottolineato che anche in questa fascia di importo rappresenta una best practice il confronto dei preventivi di spesa forniti da due o più operatori economici.

6. Selezione degli operatori da invitare Nel nuovo testo, viene inserita la previsione secondo cui la stazione appaltante, nell’avviso pubblico di avvio dell’indagine di mercato ovvero di costituzione dell’elenco degli operatori economici, indica i criteri oggettivi di selezione. Qualora la stazione appaltante ritenga di non potere invitare tutti gli operatori risultanti dall’indagine ovvero dall’elenco, nell’avviso deve esplicitare il numero massimo di operatori selezionabili e i relativi criteri di selezione. Rispetto alla prima versione delle linee guida, l’obbligo di ricorso al sorteggio scatta quando la stazione appaltante ritenga opportuna la riduzione del numero di operatori da invitare alla gara e non abbia previsto, nell’avviso pubblico di avvio dell’indagine o di costituzione dell’elenco, ulteriori criteri di selezione. Al riguardo nella relazione AIR, l’ANAC ritiene in parte di condividere la contrarietà all’attuale previsione del sorteggio, nella parte in cui finirebbe per svilire la professionalità degli operatori economici ponendosi quale unico, sostanziale criterio discretivo per la partecipazione alle competizioni pubbliche nel sotto-soglia. Tuttavia, l’Autorità ritiene che «in linea generale,

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in mancanza di strumenti allo stato praticabili quali il rating di impresa, di cui all’art.83, comma 10 del Codice dei contratti pubblici, il meccanismo del sorteggio non possa ragionevolmente essere scartato, appalesandosi comunque uno strumento oggettivo di selezione». 7. Minor prezzo ed esclusione automatica delle offerte Nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 95 del Codice, la stazione appaltante motiva l’applicazione del criterio del minor prezzo di cui al predetto articolo 95, comma 4. Tenuto conto dell’esistenza di interpretazioni giurisprudenziali non univoche sulla modalità di individuazione delle ali da tagliare (art. 97, lett. a, b ed e), viene imposto alla stazione appaltante di indicare nella lettera di invito le modalità di calcolo dell’accantonamento delle ali e le modalità con cui individuare e trattare eventuali offerte identiche per la determinazione delle ali. Le linee guida, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 69 del 23 marzo scorso, sono entrate in vigore dopo 15 giorni dalla pubblicazione. Riportiamo, di seguito, le FAQ relative alle Linee guida n. 4 aggiornate al 12 settembre scorso che

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l’ANAC ha pubblicato sul proprio sito istituzionale. 1. Con riguardo al punto 5.2.6, lettera k), punto delle Linee guida n. 4, la regola per cui le offerte con identico ribasso vanno considerate, ai fini della soglia di anomalia, come un’unica offerta si applica a tutte le offerte, o solo a quelle comprese nelle ali? La regola del trattamento unitario delle offerte con identico ribasso, secondo la prevalente giurisprudenza (Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 19 settembre 2017), si applica alle offerte poste a cavallo o all’interno delle ali. La regola stabilita al punto 5.2.6, lettera k) delle Linee guida si applica, come letteralmente previsto nella disposizione in questione, soltanto laddove sia sorteggiato uno dei metodi cui alle lettere a), b), e) dell’articolo 97, comma 2 del Codice dei contratti pubblici, che prevedono il taglio delle ali e, in armonia con il predetto orientamento giurisprudenziale, limitatamente alle offerte con identico ribasso che si collocano a cavallo o all’interno delle ali. In tutte le restanti ipotesi (metodo di cui alle lettere c) o d) dell’articolo 97, comma 2 del Codice dei contratti pubblici ovvero offerte residue a seguito del taglio delle ali), le offerte con identico ribasso


vanno mantenute distinte ai fini della soglia di anomalia. 2. Con riguardo alle stazioni appaltanti che, a fronte di una soggettività giuridica unitaria, sono dotate di articolazioni organizzative autonome, l’applicazione del principio di rotazione va applicata in termini assoluti, ossia tenendo conto di tutte le procedure avviate complessivamente dalla stazione appaltante, oppure considerando esclusivamente gli affidamenti gestiti dalla singola articolazione organizzativa? L’applicazione del principio di rotazione nelle stazioni appaltanti dotate di una pluralità di articolazioni organizzative deve tendenzialmente essere applicata in modo unitario, avendo cioè a riguardo gli affidamenti complessivamente attivati e da attivare nell’ambito della stazione appaltante. Tale impostazione si rivela, oltre che rispettosa di quanto previsto dall’articolo 36 del Codice dei contratti pubblici, che non distingue in relazione alla presenza di articolazioni interne, più aderente all’impronta centralizzante di cui all’articolo 37, ed efficace presidio nei confronti del divieto di artificioso frazionamento delle commesse, ex art.51, primo comma del Codice dei contratti pubblici. È ragionevole derogare a tale regola nel caso in cui la stazione appaltante (es. Ministero, ente

pubblico nazionale) presenti, in ragione della complessità organizzativa, articolazioni, stabilmente collocate per l’amministrazione di determinate porzioni territoriali (ad esempio, Direzione regionale/centrale) ovvero per la gestione di una peculiare attività, strategica per l’ente, dotate di autonomia in base all’ordinamento interno nella gestione degli affidamenti sotto soglia (ad esempio nel caso in cui l’articolazione abbia attivato autonomi elenchi per la selezione degli operatori economici). In tali casi, salvo diversa previsione dell’ordinamento interno, la rotazione può essere applicata considerando esclusivamente gli affidamenti gestiti dalla singola articolazione organizzativa. Resta ferma, comunque, la necessità per la stazione appaltante di rispettare, in ogni sua articolazione, i vigenti obblighi di centralizzazione degli acquisti, stabiliti e richiamati dall’articolo 37 del Codice dei contratti pubblici, nonché di adottare, anche nelle more dell’introduzione 13

del sistema di qualificazione in esito all’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri previsto dall’articolo 38, comma 2 del Codice dei contratti pubblici, modelli organizzativi complessivamente improntati al rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, evitando duplicazioni di funzioni e perseguendo l’obiettivo del miglioramento dei servizi e, ove possibile, il risparmio di spesa e dei costi di gestione attraverso le economie di scala. A tal fine le stazioni appaltanti dovrebbero valutare l’opportunità di condividere al proprio interno sistemi informatizzati che consentano di conoscere gli affidamenti effettuati dalle singole articolazioni organizzative. 3.Con riguardo agli affidamenti diretti, nei casi di cui all’articolo 36, comma 2, lettera a del Codice dei contratti pubblici, si rivolgono alcuni quesiti in merito all’utilizzo del documento di gara unico europeo (DGUE) nella dichiarazione relativa al possesso dei requisiti generali e speciali da parte dell’operatore


economico affidatario: – a far data dal 18 aprile 2018 per gli acquisti fino a 5.000 euro è necessario comunque il ricorso al DGUE, o è possibile utilizzare l’autocertificazione ordinaria, come consentito dalle Linee guida Anac n.4? – anche negli acquisti di modesto importo è doverosa l’acquisizione del DGUE ovvero dell’autocertificazione ordinaria? – il DGUE deve necessariamente riportare gli estremi del CIG ovvero può essere utilizzato per più procedure di affidamento, e in tal caso per quale lasso temporale? – qual è la validità temporale dell’autocertificazione ordinaria? Dal 18 aprile 2018, ai sensi dell’articolo 85, comma 4 del Codice dei contratti pubblici, il DGUE deve essere utilizzato esclusivamente in formato elettronico, e non più cartaceo, come indicato anche nel comunicato del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti pubblicato il 30 marzo 2018. In caso di affidamento diretto per importo fino a 5.000 euro, secondo quanto previsto dal paragrafo 4.2.2 delle Linee guida Anac n. 4, recanti la disciplina degli affidamenti sotto soglia, le stazioni possono acquisire, indifferentemente, il DGUE oppure un’autocertificazione ordinaria, nelle forme del decreto del Presidente della Repubblica

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28 dicembre 2000, n.445. Per gli affidamenti diretti di importo fino a 20.000 euro, ai sensi del par. 4.2.3 delle citate Linee guida, è necessario acquisire il DGUE. L’obbligo di acquisire il DGUE, ovvero l’autocertificazione ordinaria, si applica a tutti gli affidamenti sopra considerati, a prescindere da una soglia minima di spesa. Ai sensi dell’articolo 85, comma 4 del Codice dei contratti pubblici, il DGUE può essere riutilizzato per successive procedure di affidamento, a condizione che gli operatori economici confermino la perdurante validità delle precedenti attestazioni. In tale dichiarazione l’operatore economico include l’indicazione del nuovo CIG, se disponibile (v. par. 5 delle Linee guida sulla tracciabilità dei flussi finanziari, di cui alla delibera n.556 del 31 maggio 2017), per la diversa procedura alla quale intende partecipare. Analoga operazione potrà essere adottata in caso di utilizzo dell’autocertificazione ordinaria. 4. Nei casi previsti dall’articolo 103, comma 11, primo periodo del Codice dei contratti pubblici, allorché la stazione appaltante opti per esonerare l’affidatario dall’obbligo di presentare la garanzia definitiva, è necessario prevedere un miglioramento del prezzo di aggiudicazione? La miglioria del prezzo di aggiudicazione è necessaria, in applicazione di quanto stabilito dall’articolo 103, comma 11, secondo periodo del Codice dei contratti pubblici. Le stazioni appaltanti determinano tale miglioria sentito l’affidatario e tenendo conto del valore del contratto, del presumibile margine d’utile e del costo che l’affidatario sosterrebbe per l’acquisizione della garanzia definitiva, allo scopo di soddisfare la reciproca esigenza delle parti al contenimento sostenibile dei costi. Le motivazioni circa l’esercizio di tale opzione sono formalizzate


dalla stazione appaltante in apposito documento, da allegare agli atti del procedimento. 5. Con riguardo all’applicazione del principio di rotazione, sussistendo i presupposti di cui al paragrafo 3.6 delle Linee guida e al di fuori delle ipotesi eccezionali contemplate al successivo paragrafo 3.7, è legittimo nelle procedure negoziate il re-invito all’operatore uscente, che abbia manifestato interesse alla candidatura a seguito di avviso pubblico e sia stato poi estratto tramite sorteggio con estrazione casuale? Come previsto al paragrafo 3.7 delle Linee guida n.4, il re-invito all’operatore uscente costituisce ipotesi di stretta eccezionalità, ammissibile al ricorrere delle circostanze ivi indicate. Fermo quanto previsto ai paragrafi 3.6 e 3.7, il meccanismo dell’estrazione casuale, sia pure a seguito di avviso pubblico, non assicura il rispetto del principio di rotazione, come declinato all’articolo 36, primo comma del Codice dei contratti pubblici, novellato dal decreto legislativo 19 aprile 2017, n.56. Tale disposizione, infatti, rende doverosa la rotazione tanto in relazione agli affidamenti che agli inviti. 6. Il paragrafo 5.1.10 delle Linee guida n.4 prevede che gli elenchi degli operatori economici utilizzati per la selezione degli operatori economici da invitare alle procedure negoziate vengano pubblicati sul sito web della stazione appaltante, non appena

costituiti. Ciò posto, è legittimo prevedere nel bando l’omissione della pubblicazione dei suddetti elenchi, nei casi in cui, per le condizioni del mercato locale, sia prevedibile che un ridotto numero di operatori economici faccia domanda di iscrizione? La disposizione recata dal paragrafo 5.1.10 delle Linee guida n. 4 è finalizzata ad attuare il rispetto dei generali principi di pubblicità e trasparenza dei procedimenti di selezione del contraente, in armonia con quanto stabilito dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 e dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, oltre che dal Codice dei contratti pubblici (v. art. 29). Ciò nondimeno, nelle ipotesi in cui gli operatori economici accreditati presso la stazione appaltante procedente siano esigui in relazione al settore merceologico di riferimento, la pubblicazione preventiva degli elenchi potrebbe favorire l’insorgenza di accordi collusivi. Tuttavia, nel caso in cui la stazione appaltante preveda un ridotto numero di operatori economici interessati all’iscrizione all’elenco non è corretto prevedere nel bando la segretazione del nominativo dei partecipanti. In tali casi, si suggerisce di fare ricorso non già ai suddetti elenchi ma a successive indagini di mercato, mediante avviso pubblicato sul sito web, o alla costituzione di elenchi di operatori economici congiuntamente con altre stazioni appaltanti che hanno analoghi fabbisogni da soddisfare in modo da aumentare il numero di operatori economici potenzialmente interessati ad essere iscritti. Si ritiene, infatti, che la presenza di un numero ridotto di operatori accreditati possa rappresentare, a prescindere dalla pubblicazione dell’elenco, un fattore di criticità nella gestione delle procedure negoziate, specie ove si consideri che gli elenchi hanno una naturale vocazione all’utilizzo in un arco pluriennale di tempo e che, pertanto, i nominativi degli iscritti potrebbero essere noti anche in assenza della predetta pubblicazione.

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Appalti pubblici: l’Adunanza Plenaria e l’ANAC chiariscono il calcolo della soglia di anomalia

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elle gare aggiudicate con il criterio del prezzo, il “fattore di correzione della media delle offerte”, previsto nel secondo dei cinque metodi di calcolo della soglia di anomalia, è elaborato tenendo conto solo di quelle rimanenti dopo il taglio delle ali. E’ quanto chiarito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 13 del 30 agosto 2018, con la quale ha risposto al quesito della Quinta Sezione (Cons. St., sez. V, ord., Cons. St., sez. V, ord., 8 giugno 2018, n. 3472) che, rilevato un contrasto in giurisprudenza circa un profilo di diritto decisivo ai fini della definizione della controversia, aveva sospeso il giudizio e rimesso la questione alla stessa Adunanza Plenaria, a cui ha chiesto la corretta interpretazione dell’articolo 97, comma 2, lettera b) del Codice dei contatti (d.lgs. 50/2016) con specifico riguardo alla nozione di “concorrenti ammessi”. Tale articolo esplicita cinque meccanismi matematici (metodi) alternativi volti a scongiurare i tentativi di turbativa delle gare ad evidenza pubblica, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, e, tra questi, proprio quello previsto al comma 2, lettera b), poneva numerosi dubbi interpretativi a causa della non felice formulazione del testo legislativo, peraltro già oggetto di correzioni ad appena un anno dalla sua entrata in vigore (cfr. il cd. ‘decreto correttivo al codice’, d.lgs. 56/2017). Come rilevato dalla Quinta Sezione, nonostante dette modifiche e prima dell’intervento dell’A.P., restava tuttavia problematica l’individuazione della soglia di anomalia nel caso in cui, in occasione della gara, il RUP o la commissione giudicatrice avessero sorteggiato il citato metodo di cui alla lettera b) dell’art. 97. In particolare, 16

quest’ultimo metodo di cui alla lettera b) prevede due distinte operazioni matematiche: 1. il calcolo della media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, dalle quali vanno escluse il venti per cento rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e di minor ribasso arrotondato all’unità superiore (c.d. taglio delle ali); 2. calcolo dalla somma dei ribassi offerti dai concorrenti ammessi, che costituisce il correttivo da applicare alla media in precedenza determinata a seconda che la cifra dopo la virgola sia dispari (per cui la media viene decrementata percentualmente di un valore pari a tale cifra) ovvero pari ovvero uguale a zero (nel quale caso la media resta invariata). Su questo secondo passaggio matematico - denominato dal Consiglio rimettente ‘calcolo del fattore di correzione della soglia di anomalia’ - la giurisprudenza ha assunto posizioni divergenti (cfr. TAR Piemonte, sez. II, 8 marzo 2017, n. 327 e idem, sez. II, 21 aprile 2017, n. 538 in base alle quali la somma dei concorrenti ammessi dovesse identificarsi nella stessa somma effettuata tramite il c.d. taglio delle ali nonché T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 27 ottobre 2017 n. 10752, Tar Sicilia - Palermo, sez. II, 19 settembre 2017, n. 2196 secondo cui la seconda somma doveva riguardare tutte le offerte ammesse anche in ragione del principio generale del favor partecipationis). Al fine di dirimere tali divergenze, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha pertanto enunciato il seguente principio di diritto: «l’articolo 97, comma 2, lettera b) del decreto legislativo 50 del 2016 (‘Codice dei contratti pubblici’) si interpreta nel senso che la locuzione “offerte ammesse” (al netto del c.d. ‘taglio delle ali’) da prendere in considerazione ai fini del computo della media aritmetica dei ribassi


e la locuzione “concorrenti ammessi” da prendere in considerazione al fine dell’applicazione del fattore di correzione fanno riferimento a platee omogenee di concorrenti. Conseguentemente, la somma dei ribassi offerti dai concorrenti ammessi (finalizzata alla determinazione del fattore di correzione) deve essere effettuata con riferimento alla platea dei concorrenti ammessi, ma al netto del c.d. ‘taglio delle ali’». Anche l’ANAC ha aderito all’opzione interpretativa di cui sopra, con le Linee Guida n. 4, nel testo aggiornato con la delibera n. 206 del 1° marzo 2018 (di portata non vincolante e recanti “Procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici”). In particolare, al punto 5.2.6, sub k) di dette Linee Guida l’ANAC ha stabilito che «nel caso di sorteggio del metodo di cui all’articolo 97, comma 2, lettera b) del Codice dei contratti pubblici, una volta operato il cosiddetto taglio delle ali, occorre sommare i ribassi percentuali delle offerte residue e, calcolata la media aritmetica degli stessi, applicare l’eventuale decurtazione stabilita della norma tenendo conto della prima cifra decimale del numero che esprime la sommatoria dei ribassi» Inoltre, alla ricostruzione sistematica prospettata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la suddetta sentenza ha di recente aderito il TAR Toscana, Firenze, Sez. I 20/09/2018, n.1204. Sempre in tema di taglio delle ali bisogna segnalare la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 6 agosto 2018, n. 4821 secondo la quale offerte uguali all’interno delle ali o al margine delle stesse (20% o 10% rispettivamente per i metodi ex art. 97, comma 2, lettere a) e b) o lettera e), del Codice dei contratti), devono essere considerate come un’unica offerta ai fini

dell’accantonamento per il calcolo della soglia di anomalia. Come pure occorre richiamare la faq n. 1 relativa alle Linee Guida n. 4 aggiornate al Decreto Legislativo 19 aprile 2017, n. 56 con delibera del Consiglio n. 206 del 1 marzo 2018 nella quale l’ANAC afferma che “La regola del trattamento unitario delle offerte con identico ribasso, secondo la prevalente giurisprudenza (Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 19 settembre 2017), si applica alle offerte poste a cavallo o all’interno delle ali. La regola stabilita al punto 5.2.6, lettera k) delle Linee guida si applica, come letteralmente previsto nella disposizione in questione, soltanto laddove sia sorteggiato uno dei metodi cui alle lettere a), b), e) dell’articolo 97, comma 2 del Codice dei contratti pubblici, che prevedono il taglio 1 delle ali e, in armonia con il predetto orientamento giurisprudenziale, limitatamente alle offerte con identico ribasso che si collocano a cavallo o all’interno delle ali. In tutte le restanti ipotesi (metodo di cui alle lettere c) o d) dell’articolo 97, comma 2 del Codice dei contratti pubblici ovvero offerte residue a seguito del taglio delle ali), le offerte con identico ribasso vanno mantenute distinte ai fini della soglia di anomalia”

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CONSIGLIO DI STATO: RESPONSABILITà PRECONTRATTUALE ANCHE PRIMA DELL’ASSUNZIONE DEFINITIVA

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a responsabilità precontrattuale dell’amministrazione scatta anche prima dell’aggiudicazione definitiva, nello svolgimento dell’attività autoritativa. L’amministrazione è tenuta a rispettare oltre alle norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), anche le norme generali dell’ordinamento civile. E’ quanto deciso dal Consiglio di Stato in Adunanza plenaria nella sentenza del 4 maggio 2018, n. 5, in cui sottolinea che l’amministrazione deve agire con lealtà e correttezza. Vi è pertanto responsabilità precontrattuale dell’amministrazione per violazione degli obblighi di buona fede nei confronti di un raggruppamento che, pur avendo presentato l’offerta migliore, si è visto annullare in autotutela l’intera procedura di gara dalla stazione appaltante, prima dell’aggiudicazione, per un errore nella predisposizione degli atti di gara. 1. L’ordinanza di rimessione La pronuncia dell’Adunanza plenaria, nasce dall’ordinanza collegiale 24 novembre 2017, n. 515, con cui la Sez. III del Consiglio di Stato le aveva rimesso i seguenti quesiti: «1. Se la responsabilità precontrattuale sia o meno configurabile anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire della sua individuazione, allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione; 2. Se, nel caso di risposta affermativa, la responsabilità precontrattuale debba 18

riguardare esclusivamente il comportamento dell’amministrazione anteriore al bando, che ha fatto sì che quest’ultimo venisse comunque pubblicato nonostante fosse conosciuto, o dovesse essere conosciuto, che non ve ne erano i presupposti indefettibili, ovvero debba estendersi a qualsiasi comportamento successivo all’emanazione del bando e attinente alla procedura di evidenza pubblica, che ne ponga nel nulla gli effetti o ne ritardi l’eliminazione o la conclusione». 2. L’orientamento tradizionale sui presupposti della buona fede Quest’ultima sezione aveva aderito alla contraria tesi, secondo cui il dovere di correttezza e di buona fede trova il suo presupposto in una “trattativa” già in stato avanzato, tale da far sorgere un ragionevole affidamento nella conclusione del contratto (la c.d. “trattativa affidante”). Secondo tale orientamento, superato dall’Adunanza plenaria, nelle procedure ad evidenza pubblica, era soltanto dall’aggiudicazione (definitiva) che il partecipante alla gara poteva fare un ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto e, dunque, può contestare il “recesso” ingiustificato dalle trattative della stazione appaltante (attraverso l’esercizio dei poteri di autotutela pubblicistici sugli atti di gara). Secondo tale indirizzo giurisprudenziale, era, ad esempio, legittima la revoca dell’aggiudicazione provvisoria di una gara di appalto motivata con riferimento al risparmio economico che ne sarebbe derivato dalla revoca stessa ovvero per carenza di copertura finanziaria e sopravvenuta mancata corrispondenza della procedura alle


esigenze dell’interesse pubblico (cfr. Consiglio di Stato con la sentenza n. 1599 del 21 aprile 2016 e tra le tante altre, Cons. Stato, sez. III, 29 luglio 2015, n. 3748; 26 settembre 2013, n. 4809; 6 maggio 2013, n. 2418). 3. Doveri di correttezza e buona fede prima dell’aggiudicazione Ad avviso dell’Adunanza plenaria l’interpretazione del dovere di correttezza «rappresenta una manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale che trova il suo principale fondamento nell’art. 2 della Costituzione» (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188), poiché mira a tutelare non la conclusione del contratto, ma la libertà di autodeterminazione negoziale, a prescindere dall’esistenza di una formale “trattativa” di cui all’art. 1337 del cod. civ.. La conferma di tale soluzione sta nel danno risarcibile, che, secondo un consolidato orientamento, non è mai commisurato alle utilità che sarebbero derivate dal contratto un sottoscritto, ma al c.d. interesse negativo a non subire indebite interferenze nell’esercizio della libertà negoziale (o, eventualmente, al c.d. interesse positivo virtuale, c a l c o l a t o s u l l a d i f f e re n z a di utilità rispetto a quanto effettivamente percepito). La violazione del dovere di correttezza può far quindi

nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo dell’impresa l e s a , ma s u l l a l i b e r t à d i autodeterminazione negoziale di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze i l l e c i t e f r u t t o de l l ’ a l t r u i scorrettezza (Cons. St., sez. VI, 6 febbraio 2013, n. 633; id., sez. IV, 6 marzo 2015, n. 1142; id., A.P., 5 settembre 2005, n. 6) Di qui la possibilità che una responsabilità da c o m p o r t a me n t o s c o r re t t o sussista nonostante la legittimità del provvedimento amministrativo che conclude il procedimento. In tale contesto, va richiamata anche la recente sentenza della sez. VI, 6 marzo 2018, n. 1457, che ha espressamente evocato un modello di pubblica amministrazione, come si è andato evolvendo nel diritto vivente, permeato dai principi

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di correttezza e buona amministrazione, desumibili dall’art. 97 Cost.. L’Adunanza plenaria afferma, quindi, che «nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, i doveri di correttezza e buona fede sussistono, anche prima e a prescindere dell’aggiudicazione, nell’ambito in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, con conseguente possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il procedimento» (A.P. cit.). Può pertanto configurarsi la responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione, a prescindere dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva e senza che possa riconoscersi rilevanza alla circostanza che


sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministrazione».

la scorrettezza maturi anteriormente alla pubblicazione del bando oppure intervenga nel corso della procedura di gara. 4. Presupposti dell’affidamento incolpevole Secondo il dettato del quale all’articolo 1337 del codice civile (rubricato “Trattative e responsabilità precontrattuale”) «Le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede». Tuttavia, come chiarisce l’Adunanza plenaria, affinché « … nasca la responsabilità dell’amministrazione non è sufficiente che il privato dimostri la propria buona fede soggettiva (ovvero che egli abbia maturato un affidamento incolpevole circa l’esistenza di un presupposto su cui ha fondato la scelta di compiere conseguenti attività economicamente onerose), ma occorrono gli ulteriori seguenti presupposti: a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà; b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo; c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale),

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5. Le circostanze da valutare nel caso concreto L’affidamento incolpevole del privato deve essere valutato tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto e sempre considerando che il dovere di correttezza è un dovere reciproco e grava, quindi, anche sul privato. A titolo esemplificativo, gli aspetti in grado di condizionare il giudizio, sull’esistenza dei sopra richiamati presupposti della responsabilità, sono: a) il tipo di procedimento di evidenza pubblica che viene in rilievo (tenendo conto dei margini di discrezionalità di cui dispone la stazione appaltante); b) lo stato di avanzamento del procedimento rispetto al momento in cui interviene il ritiro degli atti di gara; c) il fatto che il privato abbia partecipato al procedimento e abbia, dunque, quanto meno presentato l’offerta (in assenza della quale le perdite eventualmente subite saranno difficilmente riconducibili a comportamenti scorretti); d) la conoscenza o, comunque, la conoscibilità, secondo l’onere di ordinaria diligenza da parte del privato dei vizi (di legittimità o di merito) che hanno determinato l’esercizio del potere di autotutela, tenuto conto che non può considerarsi incolpevole l’affidamento che deriva dalla mancata conoscenza della norma imperativa violata; e) la c.d. affidabilità soggettiva del privato partecipante al procedimento (ad esempio, con verifica dei requisiti per partecipare alla gara di cui lamenta la mancata conclusione).


E-fattura per i subappalti: emanati i chiarimenti dell’Agenzia della Entrate

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al 1° luglio scorso sono obbligati ad emettere fattura elettronica i subappaltatori e i subcontraenti per i quali l’appaltatore ha eseguito le comunicazioni alla PA committente prescritte dal “Codice dei contratti pubblici”, mentre sono esclusi dal nuovo adempimento i fornitori dell’appaltatore per i quali non vige alcun obbligo comunicativo. La nuova modalità di fatturazione, inoltre, presuppone che “a monte” ci sia un contratto stipulato con “pubbliche amministrazioni”, intendendosi per tali i soggetti pubblici che sono già a loro volta destinatari di fatture elettroniche, per effetto dell’art.1 della legge 244/2007. No n s o no , q u i nd i , considerate “pubbliche amministrazioni” le società controllate o partecipate da soggetti p u b b l ic i , a nc o rc hé rientranti nel più ampio obbligo di “tracciabilità dei pagamenti”. Questi alcuni dei chiarimenti contenuti nella Circolare n.13/E del 2 luglio 2018, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha dato finalmente seguito a quanto annunciato nella sua precedente CM 8/E/2018, fornendo le attese indicazioni sul perimetro d’applicazione dell’obbligo di fatturazione elettronica che, dallo scorso 1° luglio, è posto a carico dei subappaltatori e dei subcontraenti della filiera delle imprese che operano nell’ambito di un contratto di appalto pubblico. Come noto, infatti, il DL 79/2018 ha prorogato

al 1° gennaio 2019 l’obbligo di emettere fattura elettronica unicamente per le cessioni di carburante per autotrazione effettuate dagli impianti stradali di distribuzione, mentre ha confermato l’entrata in vigore in via anticipata per i soggetti operanti nel quadro di un appalto stipulato con una pubblica amministrazione. Ancorché la CM 13/E/2018 sia ora intervenuta a chiarimento delle principali criticità connesse al nuovo adempimento, si ribadisce che l’Ance non mancherà di intervenire nuovamente, evidenziando la necessità, quantomeno, di eliminare qualsiasi forma di sanzione in caso di utilizzo della modalità tradizionale di fatturazione, anziché di quella elettronica, vista la facilità di incorrere in errore nell’adempiere al nuovo obbligo, per il quale sarebbe stato opportuno prevederne, in prima battuta, un avvio meramente sperimentale e non obbligatorio. “Subappaltatori” e “subcontraenti” interessati dal nuovo obbligo Vista la genericità della norma (art.1, co.917, legge 205/2017), una delle principali criticità connesse all’assolvimento dell’obbligo di fatturazione elettronica in via anticipata a decorrere dal 1° luglio 2018, era connessa proprio all’identificazione dei soggetti in esso ricadenti. Sul punto, l’Agenzia precisa che, in virtù di quanto stabilito dall’art.105, co.2, del D.Lgs. 50/2016 (cd. “Codice dei contratti pubblici”), l’obbligo di 21


emettere fattura in formato elettronico riguarda i seguenti soggetti operanti nell’ambito di un contratto d’appalto pubblico: – subappaltatori, ossia i titolari di un contratto di subappalto, intendendosi per tale «il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto» (art.105, co.2, del Codice dei contratti pubblici); – subcontraenti, ossia i titolari di un sub-contratto, diverso dal subappalto, che eseguono un’attività nei confronti dell’appaltatore e per i quali quest’ultimo ha l’obbligo di comunicare alla stazione appaltante, prima dell’inizio della prestazione, gli elementi elencati nel citato art.105, co.2, del Codice dei contratti pubblici. Sono, di contro, esclusi dai nuovi obblighi di fatturazione, precisa la CM 13/E/2018, tutti coloro che

cedono beni all’appaltatore senza essere direttamente coinvolti nell’appalto principale, in quanto, per questi, l’appaltatore non ha alcun obbligo di comunicazione verso la stazione appaltante, o p e rc hé no n i nt e re s s a t i dall’imposizione dei codici CIG (codice identificativo di gara) e/o CUP (codice unico di progetto) riguardanti la disciplina sulla “tracciabilità dei pagamenti”. In realtà, ai sensi del citato a r t . 1 0 5 , c o . 2 , de l C o d ic e dei contratti pubblici D.Lgs. 50/2016, l’obbligo di comunicazione alla stazione appaltante riguarda tutti i subcontratti, intendendosi per tali anche le forniture di beni e materiali e i noleggi. Pertanto, l’unico caso che sembra rimanere escluso dall’entrata in vigore anticipata del nuovo obbligo è quello citato in via esemplificativa dalla CM in esame. Si tratta, in particolare,

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dei soggetti che forniscono beni all’appaltatore senza sapere quale utilizzo egli ne farà, poiché destinati in parte per l’appalto pubblico ed in parte in una fornitura privata. In ogni caso, in quest’ultima ipotesi, in un’ottica di semplificazione e anche in risposta a quanto evidenziato dall’ANCE, l’Agenzia delle Entrate ha escluso, per il fornitore, l’obbligo di emissione delle fattura in formato elettronico in via anticipata dal 1° luglio scorso. Tali chiarimenti si aggiungono a quanto anticipato dalla precedente CM 8/E/2018, con la quale l’Agenzia ha precisato che la fatturazione elettronica (oltre al rapporto a monte tra PA e appaltatore) riguarda, comunque, i soli rapporti diretti tra appaltatore e subappaltatore/ subcontraente, con esclusione degli ulteriori passaggi


successivi. Così, nei rapporti tra il subappaltatore/ subcontraente ed eventuali suoi prestatori e contraenti, la fatturazione, anche dal 1° luglio 2018, può comunque avvenire con la tradizionale modalità cartacea. Concetto di “appalto pubblico”: identificazione delle PA committenti Un’altra questione aperta era relativa alla definizione di “pubbliche amministrazioni” committenti e, con esse, all’identificazione dei contratti pubblici nell’ambito dei quali deve operare la fatturazione elettronica anche nei rapporti “a valle” tra appaltatore e subappaltatore/subcontraente. Sul punto, la CM 13/E/2018 precisa che, a tal fine, le “pubbliche amministrazioni” vanno identificate nei soggetti pubblici nei confronti dei quali devono essere già emesse fatture elettroniche, ai sensi dell’art.1, co. 209-214, della legge 244/2007 e del DM attuativo 55/2013. Come chiarito dalla CM 1/DF del 9 marzo 2015, si tratta: – degli Enti e dei soggetti indicati nell’elenco pubblicato annualmente dall’ISTAT e delle Autorità indipendenti (art.1, co. 2, legge 196/2009); – tutte le Amministrazioni dello Stato, compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti

pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 e, fino alla revisione organica della disciplina di settore, il CONI (art.1, co.2, D.Lgs. 165/2001); – le Amministrazioni autonome (art.1, co.209, legge 244/2007). Sono quindi per ora esclusi dal nuovo adempimento i rapporti per i quali, a monte della filiera contrattuale, il soggetto committente non sia una “pubblica amministrazione” nel senso sopra precisato. Pertanto, ai fini dell’anticipo dell’obbligo di fatturazione elettronica, non sono considerati “appalti pubblici” i rapporti contrattuali che vedono, come committenti, società controllate o partecipate da soggetti pubblici. Consorzi: fatturazione dei rapporti interni tra Consorzio e consorziate La CM 13/E/2018 interviene anche sull’ipotesi, piuttosto frequente, di esecuzione dell’appalto pubblico tramite strutture consortili, precisando che l’obbligo di fatturazione elettronica, in ogni caso, non si estende nei rapporti interni tra Consorzio e imprese consorziate (che, in linea generale, non si configurano comunque come subappalti o ipotesi affini). Pertanto, anche laddove il Consorzio operi nei confronti dell’appaltatore principale, ricadendo quindi, dal 1° luglio scorso, nell’obbligo di fatturazione elettronica, le società consorziate non sono comunque obbligate a fatturare in modalità elettronica nei confronti del Consorzio medesimo. ••••

Per il resto, la CM 13/E/2018 interviene in senso più generale, precisando, tra l’altro, che: – sono esclusi dall’obbligo di emissione della

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fattura elettronica i soggetti non stabiliti, ma solo identificati, in Italia. I soggetti identificati possono però ricevere fatture elettroniche, sempre che sia loro assicurata la possibilità di ottenerne una copia cartacea, qualora ne facciano richiesta. Nel novero dei soggetti a cui non si applica l’obbligo della fattura elettronica rientrano, inoltre, i residenti nei comuni di Livigno e Campione d’Italia; – le norme relative alla fatturazione elettronica non derogano in alcun modo ai termini di emissione della fattura, che, quindi, restano ancorati al momento di effettuazione dell’operazione e di esigibilità dell’imposta, in base a quanto stabilito dall’art.6 del DPR 633/1972 (che, per le prestazioni di servizi, individua tale momento nel pagamento del corrispettivo o, se precedente, all’emissione della fattura medesima). Sul punto, la CM chiarisce che, inviata tempestivamente la fattura al Sistema di interscambio, in assenza di un suo scarto, i tempi di elaborazione (ossia consegna/messa a disposizione del cessionario/committente) devono essere considerati marginali, essendo rilevanti, ai fini del rispetto dei termini di emissione, la sola data di formazione della fattura ed il suo

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contestuale invio al Sistema di interscambio. In ogni caso, viene precisato che, in fase di prima applicazione delle nuove disposizioni, si considera violazione meramente formale (quindi non punibile) l’invio della fattura al Sistema di interscambio effettuato con un minimo ritardo, comunque tale da non pregiudicare la corretta liquidazione dell’imposta. – la fattura elettronica scartata dal Sistema di interscambio deve essere preferibilmente emessa (ossia nuovamente inviata tramite Sdi entro cinque giorni dalla notifica di scarto) con la data e il numero di quella originaria. Tuttavia, qualora non sia possibile mantenere numero e data originari, si può alternativamente emettere: – una fattura con un nuovo numero e una nuova data, per cui risulti un collegamento alla precedente fattura scartata (successivamente stornata con variazione contabile interna); – una fattura con una specifica numerazione dalla quale emerga che si tratta di un documento rettificativo di una precedente fattura scartata dal Sistema di interscambio.


SPECIALE PRIVACY: D. Lgs. n. 101/2018 “Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)” Disposizioni di interesse Linee guida piccole e medie imprese (art. 14, co.1, lett. d)

Tra le novità di maggior interesse, si rileva, in primo luogo, l’introduzione al codice privacy, dell’art. 154-bis che indica tra i poteri dell’Autorità Garante (co.1, lett.a) quello di “adottare linee guida di indirizzo riguardanti le misure organizzative e tecniche di attuazione dei principi del Regolamento, anche per singoli settori e in applicazione dei principi di cui all’art. 25 del Regolamento”. Viene, inoltre, previsto (co. 4) che, “in considerazione delle esigenze di semplificazione delle micro, piccole e medie imprese, il Garante, (…) promuove, nelle linee guida adottate a norma del comma 1, lettera a), modalità semplificate di adempimento degli obblighi del titolare del trattamento”. Tali previsioni, in linea con quanto più volte richiesto dall’Ance, favoriranno la definizione di modalità semplificate per l’adempimento, da parte delle piccole e medie imprese, degli obblighi previsti dal GDPR, tenendo conto anche delle specificità dei “singoli settori”.

Periodo “di attenzione” di 8 mesi (art. 22, co.13)

Il decreto ha, inoltre, previsto che il Garante, per i primi 8 mesi dall’entrata in vigore del decreto (fino al 19 maggio 2019), dovrà tenere conto, ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative, della fase di prima applicazione delle disposizioni sanzionatorie.

Consenso minori con più di 14 anni (art. 2, co.1, lett.f)

Introdotto al codice privacy l’art. 2-quinquies che stabilisce che il consenso al trattamento dei propri dati in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, può essere espresso dal minore che abbia compiuto i 14 anni.

Misure di garanzia (art. 2, co.1, lett.f)

Previsto all’art. 2-septies del codice che i dati genetici, biometrici e relativi alla salute, possono essere oggetto di trattamento se in presenza delle condizioni di cui all’art. 9, par. 4 GDPR (previo consenso o in adempimento ad obblighi di legge o esercizio di un diritto in ambito lavoristico) e in conformità alle misure di garanzia che saranno disposte dal Garante, con cadenza biennale e previa consultazione pubblica (es. su sistemi di cifratura, pseudonimizzazione, minimizzazione e le altre misure utili per garantire i diritti degli interessati).

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Trattamento dati relativi a condanne penali e reati (art. 2, co.1, lett.f)

Introdotto, inoltre, l’art. 2-octies,che ha previsto la necessità che il trattamento dei dati personali relativi a condanne penali e a reati connessi a misure di sicurezza, è consentito se autorizzato da norma di legge o, nei casi previsti da legge, di regolamento e in particolare: a) per l’adempimento di obblighi e l’esercizio di diritti da parte del titolare o dell’interessato in materia di lavoro, nell’ambito dei rapporti di lavoro, secondo i limiti stabiliti da leggi, regolamenti e contratti collettivi; h) per l’adempimento di obblighi previsti da disposizioni di legge in materia di comunicazioni e informazioni antimafia o in materia di prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di pericolosità sociale, nei casi previsti da leggi o da regolamenti, o per la produzione della documentazione prescritta dalla legge per partecipare a gare d’appalto; i) per l’accertamento del requisito di idoneità morale di coloro che intendono partecipare a gare d’appalto, in adempimento di quanto previsto dalle vigenti normative in materia di appalti; l) l’attuazione della disciplina in materia di attribuzione del rating di legalità delle imprese. Con decreto del Ministero di Giustizia, è autorizzato il trattamento di tali dati se effettuato in attuazione del Protocolli di intesa per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di criminalità organizzata, stipulati con il Ministero dell’Interno o con le prefetture-UTG. Il decreto individuerà le tipologie di dati trattati, gli interessati e i trattamenti eseguibili. Fino all’entrata in vigore del decreto ministeriale, da adottarsi entro 18 mesi dall’entrata in vigore del DLgs, il trattamento di tali dati in attuazione dei suddetti protocolli è consentito, purché previo consenso del Garante, tali Protocolli indichino la tipologia dei dati da trattare e le operazioni eseguibili.

Persone “designate” (art. 2, co.1, lett.f)

Prevista, all’art. 2-quaterdecies la possibilità che il titolare o il responsabile del trattamento prevedano l’assegnazione a persone fisiche, espressamente designate e che operano sotto la loro autorità, di compiti e funzioni connesse al trattamento dei dati personali.

Organismo nazionale di accreditamento (art. 2, co.1, lett.f)

Indicato, all’art. 2-septiesdecies quale organismo nazionale di accreditamento, Accredia, l’Ente Unico nazionale di accreditamento designato dal governo italiano, in applicazione del Regolamento europeo 765/2008. Resta fermo il potere del Garante di assumere direttamente l’esercizio di tali funzioni in caso di grave inadempimento dei suoi compiti da parte dell’ente di accreditamento.

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Sanzioni amministrative pecuniarie (art. 15)

Indicate, nel novellato art. 166 del codice privacy, le violazioni oggetto di sanzione amministrativa, ivi compresa la mancata effettuazione della valutazione d’impatto. Il Garante, nell’ambito dell’esercizio dei poteri di indagine, e a seguito di ispezioni o verifiche può avviare il procedimento per l’adozione di sanzioni notificando al titolare o al responsabile del trattamento le presunte violazioni. Entro 30 giorni dalla ricezione il contravventore può chiedere di essere sentito dal Garante o inviare scritti difensivi. Entro il termine per la presentazione del ricorso, il trasgressore e gli obbligati in solido possono definire la controversia adeguandosi alle prescrizioni del Garante, ove impartite, e mediante il pagamento di un importo pari alla metà della sanzione irrogata. Previsto che il 50% del totale annuo dei proventi delle sanzioni, saranno utilizzate per specifiche attività di sensibilizzazione e di ispezione. Il Garante, con proprio Regolamento pubblicato in G.U. definisce le modalità per l’adozione dei provvedimenti e delle sanzioni con relativi termine.

Trattamento illecito dei dati (art. 15, co. 10)

Novellato l’art. 167 del codice in merito al trattamento illecito dei dati e introdotti l’art. 167-bis che introduce il reato di comunicazione e diffusione illecita di dati su larga scala e l’art. 167-ter che introduce il reato di acquisizione fraudolenta di dati personali oggetto di trattamento su larga scala.

Procedimenti sanzionatori pendenti (art. 18)

Previsto che per i procedimenti sanzionatori non ancora definiti con l’adozione dell’ordinanza-ingiunzione, è consentito il pagamento in misura ridotta (2/5 del minimo edittale) entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto (18 dicembre 2018). Decorso tale termine, l’atto assume valore di ordinanza-ingiunzione senza ulteriore notificazione, e dovrà essere corrisposto l’importo indicato entro 60 giorni dalla scadenza del termine suddetto (16 febbraio 2019). Il Garante, ferma restando la possibilità per il contravventore di fornire memorie difensive, può disporre l’archiviazione o l’ordinanza-ingiunzione.

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Trattazione affari pregressi (art. 19)

Entro 15 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto (4 ottobre 2018) il Garante provvederà a pubblicare un avviso sul proprio sito istituzionale, a seguito del quale i soggetti interessati potranno, entro i successivi 60 giorni, presentare motivata richiesta di trattazione di reclami, segnalazioni e richieste di verifica preliminare pendenti.

Autorizzazioni generali del Garante (art. 21)

Il Garante, con provvedimento da porre in consultazione entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto (17 dicembre 2018), individua le prescrizioni contenute nelle autorizzazioni già adottate che risultano compatibili con il regolamento e il DLgs e provvede, se necessario, al loro aggiornamento. Le autorizzazioni incompatibili re effetti dalla pubblicazione del

Disposizioni transitorie (art. 22)

cessano di provvedimento

prodursuddetto.

Precisato che, dal 25 maggio 2018, i provvedimenti del Garante continueranno ad applicarsi se compatibili con il GDPR e il Dlgs.

Titolo edilizio e diritti dei terzi

C

osa significa l’espressione “fatti salvi i diritti dei terzi” che ritroviamo sempre riportata nei titoli edilizi? Lo spiega il Consiglio di Stato con la sentenza del 30 agosto 2018 n. 5115 che, ribadendo un principio già affermato dalla giurisprudenza amministrativa, ha chiarito che in sede di rilascio del titolo edilizio il Comune deve verificare solo la conformità delle opere sotto il profilo urbanistico ed edilizio e non può accertare l’eventuale lesione di diritti dei terzi. In pratica il Comune non incorre in alcuna responsabilità e il titolo edilizio rilasciato non può essere dichiarato illegittimo se l’intervento realizzato o da realizzare comporta un pregiudizio per i terzi i quali potranno rivolgersi in un’altra sede (giudice ordinario e non giudice amministrativo) per tutelare i propri interessi. Il caso affrontato dal Consiglio di Stato riguardava la realizzazione di alcuni lavori di manutenzione straordinaria sulla facciata di un edificio condominiale eseguiti con SCIA 28

senza la preventiva autorizzazione da parte dei condomini. Quest’ultimi avevano diffidato l’amministrazione ad adottare provvedimenti di sospensione dell’efficacia della SCIA in base a quanto previsto dall’articolo 19, comma 6-ter della Legge 241/90 che espressamente prevede che “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (ossia azione avverso il silenzio)”. Per i giudici le verifiche che il privato terzo può richiedere sono solo quelle relative alla compatibilità di quanto si intende realizzare con la disciplina urbanistica ed edilizia e non anche, come nel caso in esame, questioni di natura privata come l’assenso dei condomini.


Qualificazione nelle categorie scorporabili di importo inferiore a 150.000 euro

L

a disciplina secondo la quale (art. 92 comma 7 del DPR 207/2010) per le categorie scorporabili superspecializzate (DM 10 novembre 2016 n. 248) di importo inferiore a 150.000 euro, qualora il concorrente non possegga l’attestazione SOA può qualificarsi con i requisiti di cui all’art. 90 comma 1 del DPR 207/2010, è applicabile anche alle categorie scorporabili che non sono superspecializzate. Questo il principio affermato dal Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia - Brescia, Sezione 1, con la Sentenza 17 settembre 2018, n. 859. Nel caso esaminato dal TAR Lombardia, relativamente alla qualificazione, l’importo complessivo dei lavori (inclusi gli oneri per la sicurezza) era così ripartito: (a) € 319.304,29 nella categoria prevalente OG3 (Strade, autostrade, ponti, viadotti), classifica II; (b) € 78.864,50 nella categoria scorporabile a qualificazione obbligatoria OG10 (Impianti per

la trasformazione e distribuzione di energia elettrica), classifica I. Il ricorrente, escluso dalla gara, era in possesso dell’attestazione SOA per la categoria prevalente OG3 - classifica II ma non disponeva di quella per la categoria scorporabile OG10. Relativamente a quest’ultima non aveva dichiarato l’intenzione di subappaltare per intero le lavorazioni (come previsto dalla lettera di invito), ma di possedere i requisiti di cui all’art. 90 comma 1 del DPR 207/2010 che consentono di sostituire l’attestazione SOA negli appalti di importo inferiore a € 150.000. Il Tribunale amministrativo ha ritenuto illegittima la predetta esclusione affermando che: “16. Al di sotto della soglia di € 150.000 è prevista (v. art. 92 comma 7 del DPR 207/2010) la possibilità di eseguire i lavori delle categorie superspecializzate senza l’attestazione SOA, quando sussistano i requisiti semplificati di

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capacità tecnica descritti dall’art. 90 comma 1 del DPR 207/2010 (lavori analoghi, costo del personale, attrezzature adeguate). 17. Si deve ritenere che della medesima disciplina di favore possano beneficiare a maggior ragione le categorie specializzate. Non sarebbe infatti ragionevole ipotizzare che, da sopra soglia a sotto soglia, l’ordinamento preveda un salto tra il massimo rigore e la massima semplificazione proprio per le categorie superspecializzate, che sono quelle più bisognose di controlli a causa della rilevante complessità tecnica, e mantenga invece fermi in posizione intermedia i requisiti delle categorie specializzate, che hanno un grado di complessità tecnica inferiore. 18. Un indizio formale in questo senso è contenuto nella parte finale dell’art. 12 comma 2-b del DL 47/2014, che, pur essendo riferito alle categorie specializzate, dichiara applicabile l’art. 92 comma 7 del DPR 207/2010, relativo alle categorie superspecializzate. La norma non è formulata in modo del tutto chiaro, perché contiene anche un riferimento al comma 1 dell’art. 12 del DL 47/2014, riguardante le categorie superspecializzate. Tuttavia, non sarebbe

utile precisare che l’art. 92 comma 7 del DPR 207/2010 si applica alle categorie superspecializzate, trattandosi appunto di una norma scritta per tali categorie. Si deve invece ritenere che per il legislatore questa norma rappresenti uno strumento di carattere generale per superare le rigidità della qualificazione quando i lavori rimangano sotto soglia. 19. Non vi sono argomenti sistematici che contraddicano questa ricostruzione. È vero che per le categorie specializzate l’attestazione SOA può essere sostituita, sopra e sotto soglia, dal subappalto delle lavorazioni, ma di questa facoltà non si può fare un perno interpretativo per sostenere che i requisiti semplificati di capacità tecnica pareggerebbero per le categorie superspecializzate la funzione del subappalto nelle categorie specializzate. Da un lato, infatti, il subappalto è principalmente un aggravio per i singoli concorrenti, sia in termini organizzativi sia per la sottrazione di una parte del fatturato della gara, e dunque non può essere considerato equivalente alla facoltà di sfruttare da soli la capacità tecnica maturata in proprio. Dall’altro, non vi è alcun interesse pubblico a favorire, sotto soglia, le imprese che lavorano nelle categorie superspecializzate rispetto a quelle che lavorano nelle categorie specializzate.”

CILA e mancato pagamento dei diritti di segreteria

I

l mancato pagamento dei diritti di segreteria per una Comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) non può mai determinare la sua archiviazione ma può essere regolarizzata successivamente alla sua presentazione su invito dell’amministrazione. E’ quanto ha affermato il Tar Campania con la sentenza del 28 agosto 2018, n. 1215 chiamata a giudicare la legittimità di un provvedimento di archiviazione di una CILA che aveva determinato la conseguente diffida dall’esecuzione degli interventi contemplati nell’atto nonché l’accertamento di abusività dei medesimi. 30

Il Tar con la sentenza in esame ha ricordato che in caso di presentazione di CILA, a differenza dell’attività subordinata a SCIA, non è prevista una fase di controllo successivo da esperirsi entro un termine perentorio ma l’amministrazione dispone di un unico potere che è quello sanzionatorio da esercitarsi nel caso in cui le opere realizzate risultino in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia. Nel caso in esame si era in presenza di un vizio che poteva essere regolato successivamente dall’amministrazione con una semplice richiesta da parte del Comune e non attraverso l’emanazione di un provvedimento di archiviazione.


ANAC: ILLEGITTIMA LA SCELTA DI PREVEDERE IL SOPRALLUOGO OBBLIGATORIO IN UN MOMENTO ANTECEDENTE ALLA FASE DI GARA L’Autorità Nazionale Anticorruzione, a seguito di alcune richieste di chiarimento in merito alle linee guida n. 4/2018, concernenti le procedure negoziate sotto soglia comunitaria, ha pubblicato sul proprio portale il comunicato del Presidente del 18 luglio u.s. con il quale fornisce indicazioni alle stazioni appaltanti sulla fase della manifestazione di interesse. Riportiamo il testo del Comunicato. Comunicato Presidente A.N.A.C. 18/7/2018
 Indicazioni alle stazioni appaltanti sul tema del sopralluogo obbligatorio nella fase della manifestazione di interesse nelle procedure negoziate. Sono giunte richieste di chiarimento in merito al tema del sopralluogo obbligatorio nelle procedure negoziate. In particolare, è stato segnalato che, talvolta, nelle procedure negoziate le stazioni appaltanti prevedono, a carico degli operatori economici, l’effettuazione del sopralluogo quale tassativa condizione da soddisfare già nella preliminare fase della manifestazione di interesse (es. a seguito di avviso di indagine di mercato), ai fini dell’eventuale invito alla procedura di gara. Il sopralluogo obbligatorio è ammissibile, in termini generali, laddove l’oggetto del contratto abbia una stretta e diretta relazione con le strutture edilizie (cfr. bando tipo Anac n. 1/2017, paragrafo 14 della nota illustrativa). In senso conforme, l’articolo 79, comma 2 del Codice dei contratti pubblici contempla la circostanza che i termini di ricezione delle offerte tengano conto dell’eventualità che le stesse possano essere presentate soltanto previa visita dei luoghi di pertinenza per l’esecuzione dell’appalto. In disparte quanto sopra, si ritiene che la scelta di prevedere il sopralluogo obbligatorio preliminare, ossia in un

momento antecedente alla fase di gara (e quindi alla formulazione delle offerte) non sia legittima, in quanto: – fuoriesce dal perimetro applicativo della disposizione recata dal predetto articolo 79, comma 2, che collega il sopralluogo alla formulazione delle offerte; – determina, in violazione dei principi di proporzionalità e libera concorrenza, un significativo ostacolo per gli operatori economici, sotto il profilo organizzativo e finanziario, alla competizione per l’affidamento degli appalti pubblici, considerata peraltro la possibilità che gli operatori economici non ricevano l’invito o decidano comunque di non presentare offerta. Raffaele Cantone Depositato presso la segreteria del Consiglio in data 26 luglio 2018
Il Segretario Maria Esposito

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Appalti pubblici: la PA non deve pagare se c’è l’interdittiva antimafia

L

’effetto preclusivo a qualsiasi erogazione della PA derivante dall’informativa interdittiva antimafia interessa anche l’obbligo di pagamento riconosciuto da un giudicato. Lo ha stabilito l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, chiamata a pronunciarsi sul ricorso di una società colpita da interdittiva antimafia, il quale ha altresì approfondito la natura ed agli effetti dei provvedimenti assunti dalle prefetture nei confronti delle aziende collegate alle organizzazioni criminali (Cons.St., A.P., 6 aprile 2018 n. 3 - Pres. Pajno, Est. Forlenza). La decisione nasce da un deferimento di una questione concernente un privato che, in conseguenza della mancata aggiudicazione di una gara di appalto alla quale aveva partecipato, si vedeva accogliere la domanda risarcitoria per il mancato utile e il danno all’immagine, quantificati in sede giurisdizionale con sentenza passata in giudicato (C.d.S., sez. V, ordinanza del 28 agosto 2017, n. 4078). La società aveva agito, quindi, per l’esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato recante la determinazione dell’ammontare del credito risarcitorio, ma l’amministrazione resistente aveva eccepito in giudizio l’impossibilità del pagamento a causa di una informativa interdittiva emessa a carico del ricorrente, conosciuta solo nel momento in cui si era reso necessario procedere al pagamento della somma. Al riguardo, secondo una giurisprudenza consolidata, l’interdittiva antimafia costituisce una misura per prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese, volti a condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica Amministrazione, a tutela sia dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, riconosciuti dall’art. 97 Cost., 32

sia dello svolgimento leale e corretto della concorrenza tra le stesse imprese nel mercato, sia, infine, del corretto utilizzo delle risorse pubbliche. Su tale presupposto, l’Adunanza plenaria ha affermato che l’interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità, sia pure temporanea (in quanto un successivo provvedimento dell’autorità amministrativa competente potrebbe revocarla) che preclude all’azienda, ai sensi dell’art. 67, co. 1, lett. g) del Codice antimafia, la possibilità di accedere a tutti i “contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali”: in tale ambito va ricondotta ogni forma di “esborso da parte dell’Amministrazione”, ivi incluse le somme dovute a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all’attività di impresa, anche in caso di sentenza passata in giudicato. Ciò deriva dall’ampia clausola contenuta nella disposizione e dalla ratio della norma che non consentono di distinguere tra erogazioni dirette ad arricchire l’imprenditore ed erogazioni dirette a compensarlo di una perdita subita. L’obiettivo è quello di evitare ogni esborso di matrice pubblicista in favore di imprese soggette a infiltrazioni criminali.


Pertanto, secondo l’Adunanza plenaria, l’enunciato linguistico “erogazioni dello stesso tipo” contenuto nella disposizione deve essere inteso come riferito al genus delle obbligazioni pecuniarie poste a carico dell’amministrazione, quale che ne sia la fonte e la causa. L’ i n f o r m a t i v a a n t i m a f i a , comporta, quindi, secondo il Collegio: - l’incapacità, per il soggetto colpito, di assumere o mantenere, per il tempo di durata dell’interdittiva, la titolarità delle posizioni giuridiche riconducibili nell’ambito applicativo dell’art. 67 d.lgs. n. 159 del 2011, anche se riconosciute da sentenza passata in giudicato; - l’impossibilità, per il soggetto colpito, di far valere il credito in sede giurisdizionale. Una volta venuta meno l’efficacia dell’interdittiva, il diritto di credito riconosciuto dalla sentenza passata in giudicato può essere fatto valere dal titolare del diritto. Il periodo di efficacia dell’interdittiva non può essere computato a fini della prescrizione ai sensi dell’art. 2935 c.c. La citata sentenza dell’Adunanza Plenaria si inserisce all’interno di una copiosa giurisprudenza che definisce l’interdittiva antimafia come una misura preventiva, volta a colpire l ’ a z io ne de l l a c r i m i na l i t à

organizzata impedendole di avere rapporti con la Pubblica amministrazione e fondata sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente (Cons. Stato, Sez. III, 14 marzo 2018, n. 1624). Ne consegue che, secondo tale impostazione, se l’informazione interdittiva è una misura cautelare di polizia, espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, questa non deve fondarsi su prove o collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certo “ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata” (Cons. Stato, Sez. III, 7 febbraio 2018, n. 820; Cons. Stato, Sez. III, 10 gennaio 2018, n. 97; Cons. Stato, Sez. III, con la sentenza n. 1866 del 21 aprile 2017, Cons. Stato, sez. III, 19 gennaio 2012, nr. 254; in termini, Cons. Stato, sez. III, 30 gennaio 2012 nr. 444; id., 23 luglio 2012, nr. 4208; id., 5 settembre 2012 nr. 4708; id., sez. VI, 15 giugno 2011, nr. 3647). Il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più “probabile che non”, alla luce 33

di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, quale è, anzitutto, anche quello mafioso (13 novembre 2017, n. 5214; 9 maggio 2016, n. 1743). Gli elementi sintomatici dai quali è possibile evincere il tentativo di infiltrazione non vanno considerati separatamente, “dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità” (Cons. Stato, sez. III, 19 gennaio 2012, nr. 254; id., 23 luglio 2012, nr. 4208)“. A tale proposito, tra le tante, sono state riconosciute come circostanze rilevanti e idonee a formare un complessivo quadro indiziario: a) i rapporti di parentela o i contatti che, considerati nella loro globalità, inducono a ritenere che l’impresa possa e s s e re c o nd i z io na t a da l l a criminalità organizzata (Tar Campania, sez. I, 14 febbraio 2018, n. 1017); b) le cointeressenze economiche c o n s o c ie t à , a s ua v o l t a destinataria di un’interdittiva antimafia (Cons. Stato, Sez. III, con la sentenza n. 1866 del 21 aprile 2017).


Appalti pubblici: obbligo di SOA negli appalti misti

A

i fini della partecipazione alla gara per l’affidamento di un appalto misto di servizi e lavori, ANAC e giurisprudenza concordano che la stazione appaltante deve sempre richiedere i requisiti propri dell’esecutore dei lavori, oltre ai requisiti propri dei prestatori di servizi.

1.Inquadramento normativo La disciplina degli appalti misti è contenuta nell’articolo 28 del d.lgs. 50/2016, il cd. Codice dei contratti, secondo cui l’operatore economico che concorre alla procedura di affidamento di un contratto misto aggiudicato secondo le disposizioni applicabili al tipo di appalto che caratterizza deve possedere i requisiti di qualificazione e capacità prescritti per ciascuna prestazione prevista. Il codice segue l’impostazione della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, che in tema di appalti misti prevede: - all’11° considerando, in caso di diverse parti costitutive dell’appalto oggettivamente non separabili, l’applicabilità delle norme determinate in funzione dell’oggetto principale dell’appalto; - al 12° considerando, in caso di prestazioni che possono essere separate, la libertà delle amministrazioni aggiudicatrici di aggiudicare 34

appalti separati per le parti separate dell’appalto misto, nel qual caso le disposizioni applicabili a ciascuna parte separata dovrebbero essere determinate esclusivamente in funzione delle caratteristiche dell’appalto specifico. 2.L’obbligo di qualificazione nei lavori secondo l’ANAC Il problema della qualificazione degli operatori economici che concorrono ad una appalto misto è stato in ultimo affrontato dall’l’Autorità Nazionale Anticorruzione, ANAC, con la delibera n. 756 del 5 settembre 2018. Tale delibera è stata adottata in risposta all’istanza di parere di precontenzioso presentata da ANCE Napoli ai sensi dell’art. 211, comma 1 del Codice dei contratti (d.lgs. 50/2016), per un servizio di conduzione e manutenzione presso gli edifici dell’Università di Napoli. Da notare che la manutenzione di immobili rappresenta una tipologia di appalto caratterizzata da molteplici prestazioni, tra cui lo svolgimento di servizi in senso proprio (ad es., attività di coordinamento degli interventi, conduzione e gestione degli impianti) e altre attività qualificabili come lavori (ad es., interventi di riparazione o sostituzione degli impianti).


Seppure con riferimento al previgente d.lgs. 163/2006, il concetto di “manutenzione” era stato in ultimo approfondito dall’Autorità nelle “Linee guida per l’affidamento dei servizi di manutenzione degli immobili” di cui alla Determinazione ANAC n. 7 del 28 aprile 2015. Per la soluzione della controversia, l’Autorità riparte da tale determinazione ricordando che si è “ nell’ambito dei lavori pubblici qualora l’attività dell’appaltatore comporti un’azione prevalente ed essenziale di modificazione della realtà fisica (c.d. quid novi) che prevede l’utilizzazione, la manipolazione e l’installazione di materiali aggiuntivi e sostitutivi non inconsistenti sul piano strutturale e funzionale. Viceversa, qualora tali azioni non si traducano in una essenziale/significativa modificazione dello stato fisico del bene, l’attività si configura come prestazione di servizi”. Ne consegue che la tipologia dei requisiti da richiedere ai fini della partecipazione va valutata con riferimento alle attività oggetto del contratto. Nel caso in esame, l’analisi dell’oggetto del contrato è risultato viziato da una palese contraddittorietà sussistente tra documenti di gara (bando e disciplinare, entrambi tarati sui servizi prestati), e il Capitolato descrittivo e prestazionale, che prevedeva, oltre ai

servizi, anche l’esecuzione di lavori, riconoscendo, seppure genericamente, la natura mista del contratto. Secondo l’ANAC, l’oggettiva contraddittorietà della legge di gara ha indotto a ritenere che la stazione appaltante non abbia analizzato gli interventi oggetto del contratto di appalto per verificare se alcuni di essi fossero qualificabili come lavori. La procedura di affidamento non è stata ritenuta quindi non conforme alla vigente normativa di settore, poiché “nel caso, la stazione appaltante avrebbe dovuto identificare in modo preciso la natura, le caratteristiche e l’importo delle varie lavorazioni, in modo tale da commisurare la qualificazione da richiedere ai fini della partecipazione all’effettiva entità degli interventi da realizzare”. In altri termini, l’amministrazione avrebbe dovuto chiedere oltre alla qualificazione per l’esecuzione dei

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servizi, anche l’attestazione SOA o comunque la qualificazione in gara prevista per importi inferiori a 150.000 euro. 3. L’obbligo di qualificazione nei lavori secondo la giurisprudenza L’orientamento sopra espresso, come ricorda l’Autorità, è condiviso anche da parte della giurisprudenza, che ha più volte ribadito il principio secondo cui l’operatore economico che concorre all’affidamento di un contratto misto deve possedere i requisiti di qualificazione e capacità per ogni singola prestazione di lavori, servizi, forniture prevista dal contratto (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 16 dicembre 1998, n. 1680; Consiglio di Stato, sez. V, 4 maggio 2001, n. 2518 e Consiglio di Stato, sez. IV, 21 febbraio 2005 n. 537). Tra le tante, si segnala in ultimo, quanto espresso dal Consiglio


diStato (sez. V, sent. 11 giugno 2018, n. 3613), che ha osservato: “La ratio dell’inderogabile disciplina richiamata a proposito della necessaria qualificazione per l’esecuzione di lavori pubblici non risiede tanto nella volontà di preservare l’amministrazione dai costi relativi a lavori inadeguati per tempi o qualità di realizzazione, quanto nell’esigenza di garantire le capacità realizzative e le competenze tecniche e professionali (ivi comprese le risorse umane, organiche all’impresa), che informa l’intero sistema di qualificazione degli operatori economici esecutori di lavori pubblici, per come desumibile dal criterio direttivo di cui alla lettera uu) della legge delega […] Ed invero, si violerebbe la normativa di ordine pubblico che impone la qualificazione SOA per eseguire lavori pubblici sia se si consentisse all’imprenditore aggiudicatario non qualificato di eseguire, in proprio, lavori pubblici, sia pure senza gravare dei costi relativi la stazione appaltante; sia se gli si consentisse di affidarli a terzi soggetti esecutori, sotto la sua responsabilità ed a suo carico, ma perciò sottratti al controllo dell’amministrazione appaltante; con l’ulteriore violazione, in tale eventualità, della disciplina sul subappalto di cui

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all’art. 105 del codice”. A conferma di tale inderogabilità, è stato più volte osservato che negli appalti misti di lavori l’operatore economico deve sempre possedere l’attestazione SOA o comunque la qualificazione in gara prevista per importi inferiori a 150.000 euro. Tale principio sussiste anche laddove il concorrente dichiari di sopperire alla carenza della qualificazione in gara, affidando i lavori in subappalto a soggetto idoneamente qualificato (TAR Toscana, sez. I, 30 gennaio 2018, n. 146). Infatti, negli appalti misti, è richiesta all’appaltatore una duplice professionalità, tanto per i lavori, quanto per i sevizi/forniture che concorrono a comporre l’affidamento. Conseguentemente, per i soggetti non in possesso di tutti i requisiti, ricorre l’obbligo di costituire ATI con soggetto debitamente qualificato o di avvalersi dei medesimi requisiti posseduti da altro soggetto, nel rispetto dei principi propri di questo istituto. La carenza della qualificazione per i lavori non può essere mai ovviata, neppure mediante il subappalto integrale delle opere.


Regione Campania - Selezione di progetti esecutivi per la riduzione dei consumi energetici negli edifici pubblici

È

stato pubblicato il Decreto Dirigenziale n. 126 del 17 settembre 2018 avente ad oggetto:” PO FESR Campania 2014/2020 - obiettivo specifico 4.1_azioni 4.1.1 - 4.1.2 - 4.1.3. Con tale Decreto viene approvato l ’A v v i s o P u b b l i c o p e r l a selezione, ai fini dell’ammissione al finanziamento, di progetti esecutivi immediatamente cantierabili predisposti per la riduzione dei consumi energetici negli edifici pubblici, nelle strutture pubbliche, nell’edilizia abitativa pubblica, per l’installazione dei sistemi di produzione di energia di fonte rinnovabile e l’adozione di soluzioni tecnologiche per la riduzione dei consumi energetici delle reti di illuminazione pubblica presenti in Regione Campania. Le risorse programmate sono pari ad € 40.000.000,00 così suddivise: • Azione 4.1.1 €. 24.000.000,00 Promozione dell’eco efficienza e riduzione dei consumi di energia primaria negli edifici e strutture pubbliche: interventi di ristrutturazione di singoli edifici o complessi di edifici, installazione di sistemi i nt e l l ige nt i d i c o nt ro l l o , regolazione, gestione, monitoraggio e ottimizzazione

dei consumi energetici (smart buildings) e delle emissioni inquinanti anche attraverso l’utilizzo di mix tecnologici. • Azione 4.1.2 €. 4.000.000,00 Installazione di sistemi di produzione di energia da fonte rinnovabile da destinare all’autoconsumo associati a interventi di efficientamento e ne rge t ic o da ndo p r io r i t à all’utilizzo di tecnologie ad alta efficienza. • Azione 4.1.3 €. 12.000.000,00 Adozione di soluzioni tecnologiche per la riduzione dei consumi energetici delle reti di illuminazione pubblica, promuovendo installazioni di sistemi automatici di regolazione. All’interno dell’Avviso viene evidenziato che il contributo è concesso fino al 100% del costo dell’intervento ed il costo ammissibile massimo finanziabile è pari a € 3.000.000,00. Nel caso di interventi le cui attività di progettazione sono state realizzate con il contributo del Fondo di Rotazione della Regione Campania (ex DGR 244/2016), l’importo finanziario riconosciuto per la progettazione sarà decurtato dall’importo da liquidare direttamente al 37

Beneficiario. Possono presentare domanda a valere sull’Avviso Pubblico, i soggetti pubblici della Regione Campania, ovvero per l’Azione 4.1.1 e Azione 4.1.2 Comuni, A z ie nde S a n i t a r ie L o c a l i , Aziende Ospedaliere e Istituti Autonomi Case Popolari/ACER; per l’Azione 4.1.3 Comuni, anche in forma associata. Sono escluse le 19 Città Medie in quanto interventi analoghi sono finanziabili, attraverso i PICS, nell’ambito dell’Asse 10 del POR FESR 2014/2020. Ciascun beneficiario non potrà candidare più di un progetto a valere su questa procedura. La richiesta di contributo deve essere relativa ad una s o l a A z io ne. L e i s t a n z e d i p a r t e c i p a z io ne, p e na l’esclusione, devono pervenire a partire dalle ore 10.00 del 20° giorno dalla pubblicazione dell’Avviso sul BURC ed entro e non oltre le ore 13:00 del 45° giorno successivo alla data di pubblicazione sul BURC.


Acquisto di box pertinenziale: sì al bonus per le ristrutturazioni solo se nuova costruzione

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a detrazione Irpef del 50% per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio spetta anche in caso di realizzazione di posti auto pertinenziali, ma le spese sono agevolabili solo se riferite a interventi di “nuova costruzione”. Questa, infatti, è l’unica ipotesi in cui il cd. Bonus Edilizia spetta per interventi sul nuovo. È quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la risposta n.6 del 19 settembre 2018 all’interpello posto da un contribuente che aveva acquistato dall’impresa costruttrice un box auto. L’impresa stessa aveva realizzato il posto auto a seguito di un intervento di ristrutturazione effettuato su un immobile sito al piano terra di cui aveva l’intera proprietà, con frazionamento e cambio di destinazione d’uso dei locali destinati ad autorimessa. Come noto, la detrazione Irpef del 50% per le spese di ristrutturazione edilizia sostenute sino al 31 dicembre 2018 (entro il limite massimo di 96.000 euro) è riconosciuta anche per le spese derivanti da: – interventi di realizzazione di parcheggi (autorimesse o posti auto, anche a proprietà comune), purché esista o venga creato un vincolo di pertinenzialità con un’unità immobiliare abitativa; – acquisto di box e posti auto pertinenziali realizzati dall’impresa costruttrice, per le sole spese imputabili alla realizzazione e a condizione che le stesse siano comprovate da apposita attestazione rilasciata dall’impresa venditrice. Da queste premesse muove l’istanza del contribuente che intende fruire della detrazione IRPEF per le spese sostenute per la realizzazione del box auto di pertinenza dell’appartamento di cui è proprietario. Sul punto, però, l’Agenzia delle Entrate precisa 38

che l’espressione “realizzazione di autorimesse o posti auto” con cui la norma di riferimento estende il Bonus Edilizia anche alle ipotesi di interventi di realizzazione di parcheggi, va riferita ai soli interventi di costruzione “ex novo”. Pertanto nella fattispecie prospettata, in cui il box auto che il contribuente ha acquistato deriva da un intervento di ristrutturazione di un immobile ad uso abitativo con cambio di destinazione d’uso, ma non da un intervento di “nuova costruzione”, lo stesso non risulta agevolabile. Questa, infatti, è l’unica fattispecie in cui le spese sostenute per interventi di nuova costruzione assumono rilevanza ai fini dell’agevolazione in commento. Sistri: aggiornata la documentazione tecnica Il ministero dell’Ambiente ha aggiornato i manuali per la gestione dei rifiuti attraverso il sistema di tracciabilità informatico – Sistri. Le modifiche riguardano, in particolare, le “guide rapide” per produttori, trasportatori e destinatari, nonché i “casi d’uso” per micro-raccolta, trasporto itermodale e transfrontaliero e gestione rifiuti “respinti”. La nuova documentazione è disponibile sul portale www.sistri.it, dove è possibile scaricare, tra l’altro, la normativa di riferimento e la raccolta delle FAQ, con le relative risposte/indicazioni fornite dal ministero. Si ricorda, infine, che non è stato ancora prorogato il termine del 1 gennaio 2019 (previsto dall’art. 12 del d.l. 244/2016) a decorrere dal quale il Sistri diventerà pienamente operativo e con esso entrerà anche in vigore il relativo regime sanzionatorio in caso di violazione o inadempimento degli obblighi derivanti dal sistema di tracciabilità.


Indice sintetico di affidabilità fiscale per le costruzioni. Parere ANCE

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’ANCE esprime il proprio assenso al nuovo Indice sintetico di affidabilità fiscale per il settore delle costruzioni (ISA AG69U), a condizione che siano approfondite alcune potenziali criticità che potrebbero comprometterne la capacità rappresentativa dell’attività delle imprese del settore. Queste le conclusioni espresse dall’ANCE nel parere riguardante il nuovo indice ISA AG69U, trasmesso ufficialmente all’Agenzia delle Entrate lo scorso 14 settembre 2018. Si tratta, in particolare, dell’indice specifico per il settore delle costruzioni presentato dalla SOSE e dall’Agenzia delle Entrate nel corso di una riunione tenutasi il 20 luglio 2018 e che, in base a quanto stabilito dalla legge di Bilancio 2018 (art.1, co.931, legge 205/2017), sostituirà l’attuale Studio di Settore, con effetto dall’annualità d’imposta 2018.

In linea generale, si ricorda che gli ISA sono stati ideati per superare la logica dell’accertamento presuntivo, oggi fondato sullo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli stimati dallo S t ud io d i S e t t o re, e fa v o r i re i n v e c e l a compliance e l’adeguamento spontaneo dei contribuenti, attribuendo loro forme di premialità al raggiungimento di determinati livelli di “affidabilità fiscale”. In particolare, il nuovo indice fornisce, su scala da 1 a 10, il grado di affidabilità fiscale di ogni contribuente e, a sua volta, è influenzato e sintetizza, per il settore delle costruzioni, il valore di: – 3 indicatori elementari di affidabilità: • Ricavi per addetto • Valore aggiunto per addetto • Reddito per addetto

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– 16 indicatori elementari di anomalia, che incidono (con punteggio da 1 a 5) sul calcolo dell’ISA solo in presenza di profili contabili e/o gestionali atipici rispetto al settore o al modello organizzativo di riferimento. Il meccanismo di operatività del nuovo strumento è tale per cui più sarà elevato il valore dell’indice (da 1 a 10) raggiunto dal contribuente, più questi avrà diritto al riconoscimento di premialità, tra le quali l’esonero dal visto di conformità per la compensazione dei crediti fiscali, l’esclusione da alcuni tipi di accertamento ed una riduzione del periodo di accertabilità. Ai fini della determinazione dell’indice, le imprese del settore delle costruzioni sono classificate in 9 Modelli Organizzativi di Business (MOB), che tengono conto della specificità dell’attività esercitata e dell’acquisizione dei lavori, in particolar modo in caso di lavorazioni eseguite prevalentemente in subappalto. Come evidenziato nel parere formulato dall’ANCE, ad una prima analisi, l’ ISA AG69U appare idoneo a rappresentare la realtà produttiva delle imprese del settore, anche alla luce del fatto che è stato costruito tenendo conto di un arco temporale di 9

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anni. Ciò consente di cogliere maggiormente, non solo la dinamica del settore a livello aggregato, ma anche l’andamento economico della singola impresa. Tuttavia, il completo assenso dell’ANCE al nuovo indice è subordinato ad un necessario approfondimento di alcune potenziali criticità, già evidenziate nel corso della riunione di presentazione del nuovo strumento tenutasi il 20 luglio 2018, e dettagliate nel parere ufficiale trasmesso all’Agenzia delle Entrate. Si tratta, in estrema sintesi di rilievi riguardanti: – l’opportunità di diversificare, ai fini della costruzione dell’indice, le imprese che svolgono prevalentemente attività di nuova costruzione, da quelle operanti in prevalenza nel comparto del recupero dell’esistente, che, soprattutto nel corso degli ultimi anni, è divenuto il segmento sempre più rappresentativo dell’intero settore delle costruzioni, anche in termini di numerosità di imprese che in esso operano; – un’adeguata valutazione, e le relative conseguenze nella determinazione dell’ISA, degli oneri che caratterizzano maggiormente il settore delle costruzioni, relative a: formazione, sicurezza ed aspetti finanziari.




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