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no.#
editoriale
Siamo alla terza uscita di questo libro-magazine molto particolare, sempre più ricco. Una scommessa intrigante che continua e punta alla bellezza e al buongusto, a personaggi noti che fanno discutere e a luoghi da favola. Il consenso stimola, ci sprona a fare sempre meglio e di più.
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Già i titoli sono passati da 25 a circa 40, testi snelli ma curiosi, più inviati specializzati fuori dal contesto “bollicine e gastronomia”. Nuove le rubriche di economia e i binomi classici ristorante-cuoco, guardiamo alle case di vino che sanno coniugare l’estero senza dimenticare la valorizzazione del vino-territorio e il consumatore nazionale, sia domestico che fuori casa. Mai domi, sempre alla ricerca di novità, eccellenze ed esclusività, soprattutto fuori tema, anche un po’ “a sproposito”, come dire “Vediamoci in TV una gara spumeggiante”, oppure “È un Calcio Spumante…” per descrivere il contrario di quello che è oggi la nazionale italiana verso il mondiale. A parte le battute, questo numero di fine anno, ideale da consultare per qualche acquisto in prossimità dei doni del SS. Natale e della Befana, elenca le migliori 60 etichette di vini con bollicine ottenute con Metodo Tradizionale su oltre 900 assaggi e pubblica la terza puntata della storia delle bollicine (da conservare). Forse, visto l’interesse, andrà in stampa un ebook che raccoglie la storia vera delle bollicine, non solo italiane. Un n. TRE che vede tanti protagonisti dello stile di vita italiana oggi, ma anche cultori della vita, scopritori di immagini, di prodotti, tanti gioielli, passioni di uomini e donne. Dalla tavola al calice, dalla cambusa alla taberna, dalla macchina fotografica al telaio della seta, dal cioccolato alla stilista della moda dei millennials. I vini, certo, le bollicine: dalla Sicilia al Prosecco, dal Franciacorta al Lambrusco, passando per il Piemonte, nella cantina di un grande amico cuoco (no Chef) degli anni ’60-’80, in quel di Caorso. C’era un quadrilatero famoso, a cavallo del fiume Po lombardo-emiliano, con la testa in cucina e non fra le stelle e in televisione, alimentato da buongusto, sacrifici, piatti raffinati, rispetto delle ricette, sostenibilità e biodiversità senza grancassa, dal cuore “superstellato”. Io ho vissuto in quel quadrilatero, ho goduto di cotanta “maestria” proprio da Valentino a Marchesi, da Cantarelli a Colombo, da Colombani a Cogny, da Samboseto a Timocenko. Per questo nasce una rubrica delle nobili cucine d’osteria, mai dimenticate, con direttori d’orchestra che sono cuochi espressione della cucina italiana, in Italia e nel mondo. Prende avvio anche uno spazio dedicato agli economisti, sicuramente scomodi, ma sinceri, crudi e diretti che parlano chiaro, senza fronzoli che hanno anticipato nuovi sistemi. L’incontro più difficile del n. TRE? Far raccontare come è nata la grande Commedia dell’Arte, nell’anno domini 1545!
Errata corrige per l’articolo del n. 2 Coppo, alle pp. 40-43 L’anno di fondazione corretto è il 1892
Giampietro Comolli direttore Bubble’s Italia
10 12
18 26
Bellavista Franciacorta Andrea Zanfi Oliviero Toscani Giampietro Comolli Rocche dei Manzoni Riccardo Margheri Un albero blu nel mio giardino Zazza
indice
32
La mia Sicilia Tonino Guzzo
34
Prosecco, basta parlarne Andrea Zanfi
122
Il Toscano compie 200 anni Franco Vergnano
40
Blues & Wine Festival 2017 Redazione Bubble’s
126
44
Chiarli 1860. Viaggio nelle terre del Lambrusco Antonio DIstefano
132
Riqualificazione urbana e spazio pubblico Francesca Paola Comolli
137
Kristina T Lamberto Vallarino Gancia
50
54 60
Hotel de Paris Lea Gaspardi
Tenuta Carretta Claudio Mollo Opera 2 - Ca’ Montanari Antonio Distefano
68
Baglio Pianetto Cinzia Taibbi
74
Rompibubble’s Ernesto Gentili
76 80
84 90
96 102
110
Intrecci. Alta formazione di sala Riccardo Margheri
L’Insolito Mondo del Vino Antonio Distefano
Castellucci Miano Cinzia Taibbi
U-Boat Simona Cangelosi
Unica. Piscine d’autore Redazione Bubble’s Verona. Italian good living Piergiuseppe Bernardi
Dove va la viticultura italiana Attilio Scienza
112
Le migliori bollicine Metodo Tradizionale Giampietro Comolli
118
Alla ricerca del cacao Gilberto Mora
140 146
150 152
Quando Marilyn fu sedotta dal tartufo Piergiuseppe Bernardi
Pentole Agnelli Andrea Zanfi
Al Faro Verde Redazione Bubble’s
L’insostenibile bellezza della grecità Marco Ongaro
I gioielli di Roberto Coin Mara Cappelletti
5
8
Estratto da “L’Asino, 1903” Oreste Azzeccagarbugli
156 160
164 168
172 174
178 184
189
La Locanda da Lino Davide La Mantia
Carl Laich Redazione Bubble’s
Hotel Principe di Savoia Edmondo Mingione
Precursori di sostenibilità Alessandra Piubello
Oscar Giannino Franco Vergnano Aleph Rome Hotel Edmondo Mingione
L’arte del telaio Francesca Paola Comolli Spumanti, bullulae, bollicine, bubbles Giampietro Comolli Vermouth Marianna Natale
Ăˆ ritenuto bello ciò che è carino,
piacevole,
gradevole,
attraente,
avvenente,
deli-
zioso, armonico, meraviglioso, delicato,
grazioso,
leggiadro,
incantevole, magnifico, stupendo,
affascinante,
eccelso,
eccezionale, favoloso, fiabesco, fantastico, magico, mirabile,
pregevole,
spettacolare,
splendido, sublime, superbo. Umberto Eco
Foto di Paolo SpigariolŠ
estratto da
Vi racconto l’ultimo sogno fatto. Sto volando sopra alla periferia di Francoforte.
Guardo il paesaggio e mi stupisco cogliendo all’improvviso che la campagna è campagna, la città... è città, la zona industriale... industriale e poi c’è il fiume, il bosco, i laghetti, il campo da golf e anche la cava di ghiaia. Pensa!!!- Mi dico. Ogni cosa è lì, precisa, lì dove deve stare. Col pensiero faccio un salto temporale e penso alla Pianura Padana dove atterrerò fra circa un’ora.
8
Un’area sterminata ai miei occhi che si illuminerà sotto le ali di questo aereo, come un albero di natale. Ma cosa c’è di diverso? La domanda fa correre il pensiero alla ricerca delle risposte e anche se non sono un urbanista, né mi occupo di gestione territoriale, mi risulta facile constatare che il termine di paragone fra questi due habitat si identifica con una parola: PIANIFICAZIONE! La differenza sta in questo termine, nella capacità che ha un Paese di pianificare, di costruire il proprio futuro sulla scorta di una strategia, di un disegno, di un progetto! Bello, no? Sta nella capacità che player diversi operino nella stessa direzione, secondo un obiettivo condiviso o, se non condiviso, quantomeno accettato per il sociale e il bene comune! Bello anche questo! Ma no, che c’entra! Noi siamo l’Italia, il Paese che affonda la sua storia gloriosa nei Comuni, nelle lotte fra guelfi e ghibellini, fra bianchi e neri, nei Gran Ducati, nelle tante Repubbliche e nei Regni, Principati e Marchesati! Perché mai noi dovremmo limitarci a una VISIONE, quando possiamo averne una per ogni regione, provincia rimasta, comune, frazione e così via… Ma se così è in generale, poteva essere diverso in uno dei settori più caratterizzanti del nostro Bel Paese, come nel settore vitivinicolo a cui tengo parecchio? Giammai. In un Paese dove l’agroalimentare, il turismo e la cultura dovrebbero essere driver fondamentali dello sviluppo economico, ogni tanto ci svegliamo dal torpore e ci accorgiamo di essere privi della benché minima strategia.
” 3 0 9 1 , o n i s “L’A “È colpa della politica!”. Già. È come dire “Piove, Governo ladro”. Uguale Troppo facile! Se da una parte la politica, ai diversi livelli, latita ed è più attenta a esaudire i desideri della pancia del proprio elettorato che a intraprendere percorsi virtuosi e a perseguire visioni strategiche, dall’altra l’imprenditoria vitivinicola non è certamente più lungimirante.
Alla faccia della pianificazione, della visione di un sistema vitivinicolo nazionale. Quasi quasi mi pianto qualche ettaro di Sangiovese o di Corvina in Piemonte! E chissà che il cambiamento climatico non mi aiuti! Sì, perché tanto viviamo nell’epoca del “si può” o, meglio, del “perché no?”. In Italia tutto è concesso, tutto è ammesso, tutto è possibile! Bello anche questo, non trovate? Viviamo in un Paese dove ci si lamenta della proliferazione normativa, del moltiplicarsi degli adempimenti e dei controlli, ma lo sport più praticato resta quello dell’elusione della norma, ammantata dal “diritto di sopravvivenza” o dal più bieco “così fan tutti”. A contrastare il fenomeno, una miriade di anonimi burocrati che, avulsi dalla realtà, in preda al delirio di onnipotenza e frustrati dal veder vanificato ogni loro tentativo di arginare l’italica astuzia, producono atti normativi la cui inefficacia appare tanto più evidente quanto più tesi a voler evitare ogni interpretazione capace di aggirarli. Così, passate le Alpi, inizia la fase di atterraggio. Finalmente sono di nuovo in Italia, un Paese eccezionale, il Paese che amo e che spero, un giorno, possa diventare normale! Poi mi sveglio. Oreste Azzeccagarbugli
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In un mondo che chiede un numero sempre maggiore di bollicine, l’Oltrepò si suicida con un ennesimo scandalo, l’Asti abbandona la sua naturale vocazione per trovare un suo spazio sull’onda del successo planetario del Prosecco, quest’ultimo non è capace di individuare un’adeguata strategia inter-consortile e di filiera, la “Franciacorta” e il TrentoDoc si trastullano nella favola auto assolutiva del “piccolo è bello” e gli altri? Poco più di niente, al di là dell’ormai dilagante propensione a spumantizzare tutto e dappertutto, mentre si parla già di autorizzare la coltivazione della Glera nel veronese e in Toscana!
N
10
on credo esista un’uva che sia soltanto buona e un’altra che sia cattiva, come non esiste quella varietà perfetta che comunque e ovunque la impianti ti darà il vino della vita. Certo è che esistono condizioni climatiche diverse, terreni diversi e persone diverse: e solo il giusto equilibrio di questi elementi ti farà sperare di ottenere un grande vino. È questo, in sintesi, il mio pensiero e il mio modo di agire. Il lavoro dell’enologo non inizia quando l’uva arriva in cantina, ma ne segue tutta la filiera, dalla scelta del terreno fino all’imbottigliamento. L’enologo è come un padre che si prende cura dei propri figli già dal loro concepimento, poiché solo con questo approccio puoi capire cosa sia meglio per un terreno piuttosto che per un altro, cosa sia necessario fare perché un vino esprima le sue massime qualità e la sua territorialità. Non esistono canoni predefiniti, né standard universalmente accettati, perché, come il figlio, anche ogni vigna ha la sua propensione e il proprio carattere che devono essere assecondati perché le costrizioni, gli interventi estremi che ne forzano la natura, ti daranno sempre un prodotto intermedio o mediocre. C’è la necessità di andare in campagna, infangarsi i piedi, sentire l’odore della pianta, toccare la terra per capirne la natura, le potenzialità, la resa e le sue necessità, modulandosi con la natura e valutando ogni singola vite e vigna, ogni singolo grappolo. Solo lasciando esprimere alla pianta il proprio carattere, si otterrà il vino che si era immaginato. In questo percorso è giusto anche sperimentare, pur avendo sempre chiaro l’obiettivo.
Non si può essere un “padre padrone” che ordina a ogni vite cosa fare e ha in tasca la ricetta per farlo, ma si deve essere un attento accompagnatore della loro crescita. Ecco cosa deve fare un artigiano del vino. Negli anni ho fatto mio questo modus operandi che è diventato anche il mio approccio alla vita, e i risultati raggiunti nella “mia Sicilia”, con i miei vini, mi gratificano enormemente.
bianchi, dimostrando che in Sicilia questo è possibile ed è più semplice che per i rossi. L’attenzione del padre, la mano dell’artigiano, la passione dell’innamorato porta al risultato ed è ciò che conta: i vini di Sicilia non hanno bisogno di assomigliare a qualcun altro, bastano a se stessi e di questo ne sono fiero.
Ecco “la mia Sicilia”, diversa e unica, un “continente” nel quale esistono altre isole. È una frase fatta, di circostanza, ma non ne ho trovate altre per esprimere ciò che sento dentro. Quel “mia” ha il valore del possesso, anche solo ideale, di un qualcosa che amo visceralmente per come è. La “mia” terra è bella e selvaggia e il mio è un innamoramento senza vincoli, senza aver mai pensato di voler arrotondare le sue spigolature e difetti, senza mai volerla piegare alla mia volontà immaginandola diversa da ciò che è, senza sentire il desiderio di cambiarla per farla assomigliare a qualche altra cosa. È ribelle, contorta ma in grado di dare emozioni. La lascio fare, l’assecondo a ogni stagione, la seguo più che indirizzarla, così come faccio con i suoi vitigni autoctoni, a partire dal tanto snobbato Catarratto al quale applico, così come a tutti gli altri vitigni, potature e allevamenti secondo metodi tradizionali. I risultati sono stati dei vini fragranti, fruttati, sapidi, di immediata bevibilità, ma anche pronti all’invecchiamento, soprattutto i
di Tonino Guzzo
La mia Sicilia Internet Source: http://partners.winemag.com
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Un caso? di Andrea Zanfi
Non credo alle coincidenze, ma sta di fatto che, a distanza di tempo, sei venuto qui per incontrarmi e lo fai in un anno in cui succedono cose importanti per me, a livello personale poiché ho da poco festeggiato i 50 anni di matrimonio con mia moglie Mariella, e per la mia attività imprenditoriale: cade infatti l’anniversario dei 50 anni della Moretti S.p.A., quello dei 40 anni di Bellavista, dei 30 anni della Contadi Castaldi, dei 20 anni di Petra, dei 10 anni di Tenuta La Badiola e l’anno 0 dell’acquisizione di Sella & Mosca, in Sardegna, e delle Tenute Teruzzi & Puthod, in Toscana. Operazioni, quest’ultime, che ho portato a termine con due partner: Simest, la società...
per lo sviluppo estero delle imprese italiane nel mondo, e il fondo Nuo Capital della famiglia Cheng/Pao di Hong Kong con l’obiettivo di aprirsi ulteriormente ai mercati esteri. Come vedi, ogni dieci anni c’è stato qualcosa di nuovo nella mia vita. Ogni anniversario è contraddistinto dal numero 7: 1967, 1977, 1987, 1997, 2007, 2017.
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Un caso quindi? Non credo al fato, anche se… È come se fossi un pianeta che ogni dieci anni si avvicina a una stella e, carpendole l’energia, dà vita a cose nuove; le quali, a loro volta, alimentano le vecchie, in un perenne esercizio per movimentare il presente e costruire un futuro diverso e migliore.
È questo il motore del mio pensare. Tic, tac, un metronomo puntuale che scandisce il tempo di una sinfonia di emozioni che accompagnano tutto ciò che ho realizzato.
Eppure, dopo tanti anni, mi scopro ancora non pago dei risultati ottenuti, alla ricerca di un nuovo che consolidi il già fatto; un impegno che affronto quotidianamente contando su una buona dose di razionalità, ma soprattutto sulla capacità di ascoltare salvo poi decidere autonomamente, forte del coraggio di aver sempre scommesso sul futuro. Al mio fianco ho tre figlie, alcune di loro le conosci bene, e ognuna segue un settore dell’attività del gruppo: Carmen si occupa del settore dell’accoglienza e della ristorazione a L’Albereta e a L’Andana; Valentina, essendo architetto, segue il settore delle costruzioni, mentre Francesca, l’enologa, è coinvolta direttamente nella gestione delle aziende vitivinicole ed è il futuro di questo settore. Tre gruppi operativi per tre figlie. Ci siamo strutturati bene. Ma, conoscendomi, sai che non è finita qui. Se vuoi ci rivediamo fra dieci anni per un altro anniversario e per raccontarti cosa, nel frattempo, ho fatto. Stanne certo, non sono un tipo che va in pensione, pur avendone l’età.
Col carattere che ho, penso che
lavorerò fino all’ultimo giorno della mia vita, perché “fare” mi appassiona più di qualsiasi cosa, costruire mi diverte, così come colorare i sogni, provando a realizzarli. E, pur essendo vecchio, ne ho di sogni da colorare... Dopo una certa età ci si accorge del valore delle cose, si attribuiscono loro delle priorità e si arriva alla conclusione di voler tralasciare ciò che non ci interessa per dedicarci alle nostre passioni. Le mie?
La famiglia, il lavoro e la barca a vela. Se ripenso agli albori di questa mia storia mi emoziono, non mi sembra vero d’essere dove sono arrivato. Ho iniziato come capomastro e poi, da imprenditore edile, mi sono accostato al mondo del vino per gioco.
Anche dopo anni dentro mi sento più costruttore che vignaiolo, essendo nato da una famiglia di imprenditori edili, ma il mondo del vino mi affascina e mi ha spinto a fare molte più cose di quanto pensassi. Fin dal primo impatto mi ci sono trovato bene, perché anche questo impegno l’ho affrontato a modo mio, con il mio metro di misura, secondo la mia filosofia, quella da costruttore, avendo ben chiaro cosa avrei dovuto fare per realizzare grandi cose. Sapevo che non avrei dovuto inventare niente che non fosse già stato scoperto; mi sarebbe bastato osservare e porre attenzione a ciò che facevano quelli bravi, ma quelli bravi davvero, che ho ingaggiato per assecondare il mio obiettivo.
16
Volevo fare bollicine e sono andato in Francia, e dove se no!!! Era il 1975. Così ho dato corpo al mio progetto di cantina in Franciacorta ed è nata Bellavista.
Cosa mi serviva oltre questo? Un territorio che offrisse servizi per sviluppare un tessuto economico di supporto al vino. Fu così che decisi di dar vita a L’Albereta Relais & Châteaux, una struttura recettiva di altissimo livello, dove ho chiamato da Milano Gualtiero Marchesi, e poi pensai di realizzare un campo da golf, che portasse clientela internazionale. Questi sono solo alcuni esempi di quel mosaico che è indispensabile vi sia intorno al vino. Al resto ci hanno pensato altri imprenditori bresciani, bravi quanto e più di me, gli stessi che hanno contribuito a far sì che le cose qui cambiassero in pochi decenni. Si è creato un movimento che ha consentito a Bellavista e al territorio di crescere in maniera esponenziale oltre le più rosee aspettative.
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il “fare” mi appassiona
Non è stato tutto semplice; costruire l’azienda e fare un grande vino ha richiesto tempo e notevoli investimenti su cose concrete, oggettive e quantificabili in termini qualitativi, numerici e di risultati. Niente è stato lasciato al caso. È questo il mio punto forte:
far bene le cose. Se decido una cosa, voglio farla bene e senza mezze misure.
Se sbaglio e sbatto la testa, so che può essere solo colpa mia. Sono un decisionista, ma anche una persona drastica e esigente, soprattutto nei miei confronti. Del resto si vive in un sistema economico globale in cui, se vogliamo distinguerci, siamo condannati a fare solo eccellenza e cose belle, e per farle c’è bisogno di avere conoscenze e collaboratori di altissimo profilo professionale, di cui mi sono sempre circondato. Da solo posso prendere le decisioni, ma so che per il loro sviluppo ci vogliono le
persone, quelle brave ma brave davvero. Non so se sono fortunato, ma certamente mi sento un ottimista di natura; vedo solo le cose positive, quelle brutte non mi interessano, le lascio a chi si crogiola nel piangersi addosso dando la colpa agli altri; io guardo avanti e questo ancora mi entusiasma.
Ora brindiamo alla vita, che è una cosa bella.
INTERVISTA, NO! DIALOGO LIBERO LECTIO MAGISTRALIS DI OLIVIERO TOSCANI di Giampietro Comolli Foto di Oliviero Toscani©
oliviero
toscani
Giugno su Italo, tratta Torino-Firenze, carrozza numero tre. Due file avanti, seduto, vedo Oliviero Toscani. È dal 2002 che non ci vediamo. Se non ricordo male fu nell’occasione dei 100 anni di vita delle grandi bollicine del Giulio Ferrari di Trento. Lui si ricordava benissimo solo del “Giulio”, e basta! Pazienza. La butto lì. Gli chiedo di concedermi un’intervista, potremmo
parlare di lui e della fotografia.
Ho tante domande da fargli sui social, i media, il valore dell’immagine e di quale sia il gusto di una foto. Vorrei domandargli cosa voglia dire fotografare. Se una foto è globale e se fotografare sia come raccontare. Se esiste la foto delle foto o perché ci sono fotografi che parlano e altri che stampano. Vorrei chiedergli se l’attimo fuggente esiste e se c’è sempre della verità dietro ogni foto. Se davvero il grande fotografo sia un animale solitario o se il soggetto e oggetto non siano
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altro che il punto d’osservazione dello stesso obiettivo. Oppure se la fotografia esista davvero. Troppe domande, lasciamo stare. Raccontami… facciamo come fosse un monologo a teatro o una lezione del tuo Neverendingphotomasterclass: «Certo». Mi sembra quasi contento di non dover dar risposte alle mie domande. Così inizia ed è un fiume in piena, il segno tangibile che passione, arte, voglia e idee sono sempre vive anche dopo anni. «…il fotomasterclass è un workshop. Un percorso formativo introspettivo; è un modo per capire cosa vuol dire fotografare. Non serve farsi tante domande tutti i giorni, sempre, in ogni luogo.
Creare un’ immagine è imprimere l’espressione della vita. Morale ed etica di chi sta dietro la macchina si mischiano. La foto non è arte, è un linguaggio, è un modo di esprimersi e di parlare che può essere anche mediatico, ma ha soprattutto una componente fondamentale che si crea dentro l’animo, in un attimo o magari anche in giorni. Un esercizio di prove continue prima di trovare
21
La fotografia è la memoria storica dell’umanità
22 la strada giusta. Non ce l’ho con i selfies o con Instagram, non banalizziamo ciò che sarebbe facile banalizzare; sono due forme diverse. La Reflex è come la matita di un disegnatore, ma non tutti quelli che usano una matita sono creativi o sanno cogliere aspetti unici. Non è il mezzo che fa la differenza, ma chi, come, quando, dove e perché, lo usa e fa clic!».
«…un bel luogo invita a fotografare, ma senza anima, spirito, coscienza e introspettiva personale difficilmente lo scatto è completo. Infatti la foto non deve essere eclatante, non deve stordire a tutti i costi, non deve essere contro…
Oliviero Toscani è sempre lo stesso, non
C’è la necessità di coniugare insieme un
cambia, rivoluzionario e innovativo, alla
fatto, un luogo, un momento, un colore con
continua ricerca di una forza creativa che
il proprio stato d’animo, se ciò riesce pos-
sa bene, debba nascere da dentro.
sono scaturire effetti straordinari, strani e anche ritoccati...
…Fotografare vuol dire selezionare qualcosa tra tutto ciò che è possibile vedere, usando tutte le varie opportunità che la luce consente; la scrittura della luce permette di poter esprimere il proprio punto di vista, ciò che si vuol far vedere. La fotografia è in realtà la memoria storica dell’umanità: da quando c’è la fotografia esiste la storia, prima dell’invenzione della fotografia essa è tutta contestabile. Ci sono dei fatti e degli eventi nel mondo che negli ultimi 50-60 anni ricordiamo e riviviamo solo tramite un’ immagine. Questo nell’or-
Se non c’è emotività personale
dinarietà della vita personale e soggettiva.
Non sono contro la tecnologia, anzi, ma il
La foto è il mezzo con cui io comunico il
dettaglio di un’immagine può comunicare
mio pensiero. Tutte le mie foto sono le mie
cose diverse a seconda di come sono viste,
e tensione continua, spirito e
foto, realmente, anche se commissionate,
colorate, dimensionate. La foto, o meglio
coscienza dinamica, difficil-
e se non posso arrivare allo scopo finale, al
fare il fotografo, è un continuo farsi un
completamento di un’idea creativa, meglio
autoritratto, un volersi esprimere a tutti i
mente riesco a mettere insie-
rinunciare.
costi, essere estroverso e nei fatti rimanere
me immagine e identità nel
chiuso nei propri pensieri per creare, at-
mio obiettivo. E questo è il mio
Quante volte ho rinunciato a una foto perché… non me la sentivo dentro. Brutta espressione, ma chiara, netta.
traverso realtà e altri soggetti, una propria visione.
Vuol dire mettere a fuoco il proprio cuore, anima e cervello.
Certe tragedie del XX secolo le conosciamo grazie alla fotografia. Grandi eventi dell’anno 1000 li conosciamo grazie ai
scopo. Grazie Ninetto per l’intervista». Grazie Oliviero per la lectio magistralis sulla fotografia.
Una continua prova e sfida.
La prossima volta ci vediamo in cantina da
frati amanuensi: è la stessa storia
te ad assaggiare un tuo buon vino a Casale
distante nel tempo.
Marittimo.
OLIVIERO TOSCANI
26
ROCChe dei MANZONI
Coraggio lungimiranza forza d’animo sperimentazione continuità consistenza
bollicine storiche nella terra del Barolo
28
a Monforte d’Alba
di Riccardo Margheri
Coraggio, lungimiranza, forza d’animo, sperimen-
prima che la DOCG Alta Langa venisse riconosciuta
tazione, continuità, consistenza sono le parole che
e attestasse di fatto, con quell’atto, la vocazionali-
mi vengono in mente durante l’incontro che ho con
tà di un terroir eclettico e quanto mai propositivo
Rodolfo, di Podere Rocche dei Manzoni, il deus ex ma-
come sono queste alture, se pur difficili e complesse
china dell’azienda, il fautore di altre innumerevoli
da interpretare sotto l’aspetto pedoclimatico.
iniziative vitivinicole ed enologiche che caratterizzano, da sempre, l’operato della famiglia Migliorini.
Ho menzionato coraggio e lungimiranza non a caso,
Una azienda vitivinicola di 60 ettari vitati fondata
perché sono doti importanti che bisogna possedere
dal padre Valentino che ho avuto il piacere d’intervi-
a profusione per mettere sul mercato, a partire dal
stare poco prima che ci lasciasse.
lontano 1976, il primo assemblaggio tra Nebbiolo e
Mi trovo nel cuore delle Langhe; “in Langa” per l’esattezza, come si usa dire.
Barbera scandalizzando il mercato; come ce ne vuole per sperimentare, nello stesso anno, le barrique di rovere francese per il Nebbiolo da Barolo, operazione che non era mai stata eseguita in tutta la DOCG da nessun altro produttore; come ce ne vuole per produrre il primo spumante Metodo Classico langarolo
Terra conosciuta per i grandi vini rossi a base di Nebbiolo, ma che nasconde, però, un’anima di elezione anche per grandi spumanti Metodo Classico; anima emersa, in questa azienda per la volontà e l’audacia di Valentino e che continua a splendere per merito di Rodolfo; anima figlia delle sperimentazioni compiute, iniziate in tempi non sospetti ancor
datandolo 1978.
Con questa storia alle spalle Rodolfo si è formato e, forte degli insegnamenti di Valentino, non si è tirato
29
Nebbiolo e Barbera. Il primo assemblaggio nel 1976
v
motivazioni giuste per perseguire i propri obiettivi sia perpetuando l’attività e l’eredità paterna, sia sancendo la capacità di saper fare, continuando a sperimentare e a guardare al futuro.
zare che include la scelta dei siti dove impiantare nuovi vigneti con sempre più Pinot Nero, fino alle scelte vendemmiali mirate e poste in relazione alle differenti cuvée prodotte, dalla gestione della pressatura dei frutti, da parametrare sul livello di maturità delle uve e sulla sensibilità d’applicare all’annata, fino alla definizione dei tempi della sboccatura. È così che si fanno grandi “bollicine”, figlie,
Valentino del resto è stato un maestro di vita e alla
sempre, di conoscenza e sperimentazioni come lo
sua scuola Rodolfo si è formato, non nell’ambizio-
comunione fra Rodolfo e il Maestro Ezio Bosso, che prevede l’affinamento
ne d’emularlo, ma nel desiderio di poter coltivare quelle passioni acquisite nelle frequentazioni
sono quelle nate dall’ultimo progetto realizzato in
paterne.
delle migliori cuvée con onde sonore.
Sperimentazione, continuità e consistenza, sono
Un progetto originale, fantastico, unico nel pano-
le parole chiave quando si ha la curiosità di andare oltre come Rodolfo, desiderando produrre un Metodo Classico originale e territoriale. C’è la necessità di provare e riprovare, avendo l’umiltà di imparare dai propri errori, “alzando l’asticella della qualità ad ogni vendemmia” con importanti investimenti e l’ausilio di esperti spumantistici francesi, appositamente ingaggiati, con i quali ha avviato un programma evolutivo del comparto
rama mondiale, non stravagante, ma scientificamente testato, che si basa sulla maturazione del vino in un ambiente in cui è diffuso un sottofondo musicale caratterizzato da frequenze specifiche scelte dal grande Maestro Bosso. I risultati parlano chiaro tanto da richiamare l’attenzione delle più importanti Maison di Champagne francesi.
v
spumantistico aziendale.
Un altro traguardo raggiunto da Rocche dei Manzo-
Del resto le bollicine sono una scuola di pensiero, ri-
movimento spumantistico della Langa.
chiedono una filosofia produttiva e un’applicazioni metodologica diversa rispetto ad altri vini. Per Rodolfo sono tanti piccoli particolari, sommati insieme, a fare la differenza fra un’idea e un’altra di Spumante e spesso sono gli stessi che conducono a un miglioramento significativo del prodotto finale. Tramite lui la scommessa di Valentino è diventata ben altra cosa; quelle quantità confidenziali di poche migliaia di bottiglie, oggi sono una realtà importante nell’economia aziendale, che conta su ben 75mila bottiglie prodotte, con la prospettiva di arrivare a 100mila quando nuovi impianti andranno in produzione. Numeri rilevanti per un’azienda che si trova nel cuore delle Langhe, in uno dei territori più vocati per il Nebbiolo da Barolo. Rodolfo per ottenere tutto questo, ha stilato una lunga lista di cose fatte e di quelle ancora da realiz-
ni che ancora una volta ha indicato una strada al
È una storia già onusta di gloria che, grazie a Ro-
dolfo, guarda al futuro con la stessa perseveranza che ne ha caratterizzato il cammino.
31
v
indietro davanti alle vicissitudini della vita che lo hanno proiettato all’apice dell’azienda quasi improvvisamente, trovando dentro di sè le
Un albero blu nel mio giardino
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arrivato e come mai si a si ve do da a, si i ch Lo guardo e mi domando . trovi nel mio giardino lo aveva autorizzato a o un ss ne ve do lì o ri tto o prop Guarda si è accomodat i non si scompone. Nessuno gli ha ancora de anni stare. Lo guardo, ma lue tutte le mie sicurezze acquisite in anni e che stando lì st ravolg di sano egoismo. nel mio giardino. re ni ve di o st ie ch ha i Nessuno gl otise non ne ho ancora m e ch an i, nt ro nf co oi su Sento già dell’odio nei o e insolente. vo. Guardalo!!! Sfacciatdall’idea fattami dell’altro che mi sconvolge. lì non È nudo e così diverso a ragione del perché sia qui. Io so solo che Certamente ci sarà un dovrebbe starci. io. l collettivo del mio spaz de za an st so la , me ie ns Modifica il paesaggio, l’i ere accoglierlo, a condivid ad , ro lt l’a e ar tt ce ac Mi hanno insegnato ad con lui ciò che è mio. Non ci riesco.
entità, con qualcosa id ra lt ’a un n co mi ar lazion No, non ho voglia di re … che è “diverso”. se la fanno facile, loro co Le o. an rl pa o, an rl Lui è l’alt ro!!! Pa ro blu nel giardino. rlo Loro non hanno un al be ere più comprensione, sforzandomi di capindo Mi ripeto che dovrei av meglio me stesso, usce tre de en pr m co , ta er op e, attraverso la sua sc r seminare, insieme a lui, idee feconde, acce dalla mia solit udine pevincoli di sorta. tandolo senza limiti e avere più tolleranza, essere più cristiano. Per far questo dovrei Ma come faccio? zzo è blu!!! Lui è troppo diverso. Ca ma generato il fenomeno, IO. er av ò pu e ch ò ci su Provo a documentarmi ma e più scopro che la causa di tutto sono più. più approfondisco il te . Non è possibile. La cosa mi spaventa ancor di Io, l’essere perfettissimo r, in riflessioni di Heidegge idea lle ne te os sp ri e tr al o Affannosamente cerc nas, Sart re, sperando di trovare nella loro riquelle di Gadamer, Lévi sonali e della fede, delle er rp te in ti or pp ra i de di etica, della morale ta al mio autocentrismo. sposte, ma tutto mi ripor cont rovertibile che in è hé rc pe e ch an e, serv È inutile parlarne, non uno st raniero, un alienato, sicuramente unon ce ho i qualcosa. No. N rà ie gl davanti ai miei occh to mi i, po o a im e, pr folle, uno pericoloso chno un al bero blu. di lo voglio nel mio giar o che germogli? Ora lo taglio, o aspett Zazza
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34
Prose Foto di Paolo SpigariolŠ
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ecco Andrea Zanfi
BASTA PARLARNe “In principio era la Parola... e la Parola era Dio “, così inizia il quarto vangelo, presentandosi come una grammatica del linguaggio religioso, intendendo con questo termine la facoltà umana di comunicare a un gruppo sociale. Per questo il linguaggio è diventato, nel corso dei secoli, oggetto di ricerca acquisendo spessore, capacità comunicative, sviluppando storie e determinando opinioni. Una teoria evolutasi nel tempo al punto d’essere trattata in termini filosofici e scientifici magari comprendendo come mai oggi se ne abusi, formulando linguaggi che dicono tutto e il contrario di tutto e questo, ahimè, avviene per ogni forma e argomento in cui ci addentriamo usando la parola. Fiumi che riempiono spazi con una infinità di strumenti comunicativi perdendo di significato nel marasma dell’informazione, fino a scomparire.
Con questa premessa potrei introdurre qualsiasi argomento degno del verbo. Mi limito invece a parlare di vino, come faccio da quasi trent’anni, senza velleità o prosopopea d’avere in tasca la verità o la soluzione dei problemi. Del resto in questi lunghi anni mi sono limitato a fotografarne l’evoluzione del comparto vitivinicolo nazionale, segnandone i progressi e le crepe culturali che disegnano i suoi limiti. Oggi, mi trovo costretto ad abbandonare il mio ruolo di osservatore neutro e, usando la trasparenza intellettuale che mi ha sempre contraddistinto, dire basta all’azione denigratoria in atto nei confronti de Prosecco da una pletora di personaggi che da più parti e con linguaggi diversi si attivano sistematicamente nei confronti di questo vino.
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In questi ultimi tempi ho letto molto e di tutto sul Prosecco; su cosa sia diventato, su quali pericoli corra, sui difetti e la pochezza qualitativa che lo caratterizza, sulla salubrità delle aree produttive, sull’incapacità di saper aggiungere valore storico all’area trevisana. Ognuno dice la sua. Del resto siamo uomini pensanti, ma anche presuntuosamente convinti che il nostro pensiero sia quello più vicino alla Parola di Dio. Così comunichiamo e lo facciamo quasi sempre quando l’argomento è al centro di un dibattito, quando solleva perplessità e opportunità, sviluppa riflessioni, sentimenti e alcuni fra i peggiori peccati capitali. Anch’io mi adopero in questo esercizio, partecipando al dibattito in atto intorno al Prosecco, che nel frattempo, fregandosene delle parole che delineano i linguaggi, spopola sui mercati nazionali e internazionali come farebbe un tornado.
A BCD NOPQR
Ò
Èef
À ÉÌ abc nopqrst d
àèéìòù
Già, ecco il motivo di tanto interesse, il tornado; forse è proprio questo uno dei motivi del contendere e dell’utilizzo di più linguaggi verso questo vino. È chiaro che se ce c’è un tornato la colpa sarà pure di qualcuno, non vi pare? Come dare torto a chi si preoccupa di questo; i tornadi fanno paura. Basta parlarne... Sono in tanti che si dilettano in questo sport. Di solito si divertono più di altri chi sa raccontare le cose sia quando vanno male sia quando vanno bene, soprattutto in questo caso, denigrando le certezze e l’evidenza dei fatti, sperando di riuscire così nell’intento d’avere un’altra occasione di poter comunicare, questa volta, le cose che vanno male come “certamente andranno”. La sorpresa maggiore è stata quella di controllare il linguaggio usato in questi casi, accorgendomi come l’exploit, il successo, il risultato e le cose positive non siano mai merito di qualcuno, ma attribuibili alle coincidenze, al fattore C o alla contingenza economica, mentre invece le colpe hanno nomi e cognomi precisi. Trovo la cosa fantastica. Questo è quello che sta accadendo alla parola Prosecco che nell’ultimo anno ha stimolato una crociata tendente a delegittimarne il successo, affossandone
il prose
Ò fghi
DEFGHIJ RSTUVWXYZ Ù jklm tuvwxyz
ecco come linguaggio
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KLM
il prestigio portandosi dietro anche l’immagine di un’Italia che produce con successo. Così è apparso il linguaggio delle illazioni, quello delle supposizioni, delle congiunture politiche, della precarietà di un effimero successo senza futuro. Che gufi tristi sono questi personaggi che sembra abbiano vissuto su un pero, dal quale sono caduti scossi dal tornado, accorgendosi di come il Prosecco stia investendo il mondo con strategie e azioni ficcanti, mirate al soddisfacimento del mercato globale. Che stupore!!! Così elaborano fantomatiche diagnosi dentistiche assemblando numeri forniti loro da organi poco raccomandabili come l’associazione odontoiatrica inglese che nel Prosecco vede la causa catenante della carie dentali dei cittadini britanni. Vi sono altri che si avventurano nella diagnosi sull’eco sostenibilità dei vigneti, oppure sulla precarietà della gestione di un numero fantascientifico di bottiglie che cresce di giorno in giorno, o del fatto che il Prosecco non sia in grado di premiare l’Italia come questa meriterebbe, in quanto pur essendo esportato in enormi quantità, non riesce a fatturare come i francesi con lo Champagne.
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Non so quale sia lo spacciatore di certi personaggi che scrivono queste cose. Credo che qualsiasi addetto ai lavori sappia che non si possono fare simili paragoni; lo Champagne e il Prosecco sono prodotti diversi che hanno il grande merito d’interpretare le bollicine in modo originale, non sovrapponendosi, ma distinguendosi sul mercato, senza togliere niente l’uno all’altro. Tralasciamo poi le disquisizioni sterili sul linguaggio usato per definire quali dovrebbero essere i prezzi di vendita, quello sulla collocazione del Prosecco sui mercati, l’altro sulla frammentazione qualitativa della gamma proposta dai produttori. Ognuno trova parole per raccontare il noto e il risaputo. Su questo argomento potrei aprire un libro di mille pagine coinvolgendo enti, cantine, cooperative e consorzi di tutta Italia, indicando i motivi che consentono ai furbetti di agire nel sottobosco con la complicità di tutto il settore… Troveremmo di tutto, andando oltre al Prosecco, toccando l’argomento dell’imbottigliamento, della provenienza, quello di nobili bollicine bresciane offerte a sei euro, di Neri d’Avola venduti, franco dogana canadese, a 0,98 centesimi, e di milioni di bottiglie di Pinot Grigio partite per il mercato americano a prezzi inspiegabili, e poi…. Ma di cosa ci meravigliamo? Di ciò che regola la domanda e l’offerta? Del mercato? Del vestito che indossiamo o di come ci vedono gli altri? È questo il mercato, che piaccia o no e bisogna dar merito a chi sa usarlo.
Alcuni si meravigliano e, nel descrivere la loro meraviglia, usano linguaggi astrusi, il copia-incolla di statistiche e opinioni di seconda e terza mano. Del resto a molti i tornadi fanno paura, mentre a me preoccupano più i linguaggi di chi guarda il pelo sul culo di un cavallo.
È così e non ci sono novità. Se caso mai vi fossero delle colpe nel successo di questo vino, divenuto marchio dello stile italiano, dove dovremmo cercarle? Nei prezzi delle bottiglie, nell’ampliamento delle aree produttive, nella mancanza di una visone programmatica di sviluppo del brand che di per sé è già troppo sovraesposto? Preferisco lasciare agli imprenditori il loro ruolo essendo loro stessi i responsabili delle proprie scelte. Chi usa la parola in questo settore vitivinicolo dovrebbe invece sostenere questo tornado Prosecco, come tutto ciò che rappresenta il vino Made in Italy, invece di sparargli addosso ogni giorno. I francesi fanno sistema, hanno uno Stato che sostiene lo sviluppo agricolo capace di dare valore ai prodotti.
Scopriamo sempre l’acqua calda, dopo che la pentola bolle. I linguaggi sono questi, e io non ci posso fare niente, così come il mondo del vino italiano è questo e non vuol dire che sia peggiore di altri; è diverso e, per me, sicuramente migliore di molti altri. Se c’è chi sa cavalcare le mode e il successo, ben venga in questo mondo mediocre. I vini hanno picchi e discese e anche questa non è una novità. È sempre stato così a qualsiasi latitudine della nostra Penisola e lo sarà per molto ancora, perché alla fine, per fare un grande vino e consolidarlo nella storia ci vogliono più di cento anni e diverse generazioni. Noi siamo solo all’inizio della nostra storia. L’importante è che ogni vino venduto con il marchio di una qualsiasi denominazione italiana sia prodotto nell’areale di riferimento, senza averne il dubbio, discostandolo dalle speculazioni e da forvianti linguaggi. Si può migliorare molto in questo senso. Il confronto con i mercati è duro e molto più complesso di quanto pensi chi usa le parole e costruisce linguaggi; richiede ingegno, capacità e cultura imprenditoriale e questo i trevigiani, piacciano o no, lo hanno nel DNA essendo un popolo di mercanti e viaggiatori. Convinciamoli a produrre sempre più Prosecchi e meno Prosecchini, allora sì che avremo dato valore alle parole. Ora fatemi un piacere: tacete. Non per molto però, ma per un po’ fate silenzio. Grazie.
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È questa la differenza. È un dato di fatto storico.
Giuseppe PassarelloŠ
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2017 festival
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Blues & Wine
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Cronaca di Bubble’s sulle principali tappe del Blues & Wine Festival 2017
D
ovevano essere tutte serate all’insegna della “bellezza”, e lo sono state.
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È stato uno di quei viaggi in cui incontri una moltitudine di persone, stringi mani, regali abbracci e sorrisi, fai nuove amicizie, bevi bollicine, ma soprattutto ascolti una grande musica, quella del Blues & Wine Soul Festival. L’occasione era, infatti, l’edizione 2017 del Blues & Wine Soul Festival, creato e ancora una volta diretto da Joe Castellano, di cui mi vanto d’essere amico, questo grande maestro di cerimonia, nonché grande musicista, che ha messo in piedi il più grande Wine Music Festival del mondo, come ricorda il sito ufficiale italiano (www.italia. it), un “Festival del Vino Italiano e della Mu-
sica”, nel quale si abbinano i borghi italiani agli uomini del vino nostrano, amalgamando questi alla tradizione gastronomica di particolari territori e fondendo ogni cosa nel linguaggio planetario di Joe, la musica. E ovunque, per il decimo anno consecutivo, si celebrava anche il Blues & Wine Awards Book, dedicato al giornalismo enogastronomico. Noi per la prima volta abbiamo cercato di affiancare Joe Castellano. Non vi è stato niente di monotono o banale, né di scontato. Ogni puntata di questo viaggio è stata una spremuta di vita, un succo gustoso, piacevole e colorato da gustare, a prescindere che fosse stato proposto con la formula dei “Soul Party”, che ci ha visto promotori, attori e comparse di grandi feste/ concerto in prestigiose cantine italiane, oppure che si abbinassero musica e buon bere nel contesto di “Gran Galà” svolti in Hotel e Resort di lusso o presso Castelli, Ville, Casali, Grandi Club d’Italia. Altre volte, ancora, il festival ha scelto ambientazioni magiche, con lo scenario di piazze storiche e anfiteatri del Bel Paese, dove i “Big Soul Night” hanno celebrato l’estate 2017 e la XV edizione del più importante tour musicale italiano.
Nelle meravigliose terrazze del Luxury Hotel Metropole di Taormina, il concerto si è svolto in occasione del Taormina Film Festival; un Gran Galà è stato realizzato nella piazza medievale di Civitella d’Agliano. Da Agrigento e Aragona abbiamo seguito il grande concerto di Joe Castellano, e dei suoi 16 grandissimi musicisti, fin sulla spiaggia di S. Leone, ospiti del bellissimo club Oceanomare. Abbiamo vissuto notti magiche in cui la grande sensualità ed emozionalità della musica soul, ha unito le bollicine degli spumanti italiani con i profumati bouquet del Catarratto, del Grechetto, del Perricone, dei Barbera, Vermentini, Sauvignon, Lambruschi, Malvasie e con quelli di altre decine di vini, portati sui palcoscenici di questo spettacolo unico e inimitabile. Abbiamo dato vita a cene e degustazioni, a incontri didattici e seminari, a convegni e alla
promozione del network che gravita intorno a questo festival che fino al primo settembre ha dato spettacolo sullo specchio di mare posto davanti alle Isole Eolie, in una delle tappe del tour dedicate alle “Musiche dell’Anima”, e poco dopo a Naso (ME) con una serata dedicata al migliore Flamenco e alla Rumba Gitana, con la partecipazione del grande chitarrista Miguel Fernandez. E ovunque, la presenza di personaggi della Rai, di attori, giornalisti, atleti di fama nazionale e mondiale. Di tutto questo noi di Bubble’s dobbiamo ringraziare Joe Castellano, ma anche tutte le aziende che hanno contribuito a far sì che tutto ciò potesse accadere: aziende come quelle siciliane di Milazzo, Feudo Disisa e Castellucci Miano, solo per citarne alcune, e quelle del Prosecco, del Durello, dell’Alta Langa o dei migliori Lambruschi italiani, oltre agli amici toscani di Banfi. Anche stavolta il “sabor” più autentico ha accompagnato tutti i momenti della quindicesima messa in scena del Blues & Wine Soul Festival a cui Bubble’s ha partecipato.
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Così, siamo passati dal suggestivo mare della Sicilia, ai borghi medievali dell’Italia Centrale, aggregando intorno a noi, in un cammino emozionante e ricco di grande musica internazionale e di grandi vini, un numero impressionante di persone di ogni età e ceto sociale.
aziende partner degli eventi Azienda Feudo Disisa Azienda Milazzo Bisol Cantina del Castello (Soave) Castellucci Miano Prime Alture Sergio Mottura Tenute Barzan
Chiarli 44
Antonio Distefano
U
Chiarli, e con essa la tradizione vitivini-
al di fuori degli avventori della trattoria
cola del territorio modenese, evolutasi
di proprietà, posta nel centro di Modena,
attraverso l’impegno, la dedizione, la sa-
chiamata dell’Artigliere, per cui era ini-
gacia e la lungimiranza imprenditoriale
ziata la produzione. Con lui il Lambrusco
Da lì attraverso le strade immerse nelle
di una famiglia che ha legato il proprio
travalicò il territorio locale approdando
campagne modenesi fino ad arrivare alla
nome al brand aziendale e al Lambrusco,
ad aree metropolitane e a gran parte del
cantina Cleto Chiarli Tenute Agricole a
che ritengo sia uno dei grandi vini italiani.
territorio italiano.
proprietaria anche di altre due, quella di
Come sappiamo il successo, sia che si
Successivamente furono Giorgio e Gio-
Modena, Chiarli 1860, e l’ultima nata a
parli di vino o del territorio dove si pro-
vanni, i figli di Anselmo, a rifondare
Sozzigalli, la QUINTOPASSO Metodo Clas-
duce, passa attraverso la capacità di al-
Chiarli dalle ceneri del disastroso perio-
sico, realizzate come supporto di ben set-
cuni uomini che, più di altri, hanno sapu-
do bellico della Seconda Guerra Monda-
te aree agricole, locate in provincia, che
to interpretare gli elementi che avevano
le, riprendendo la direzione tracciata dal
contano un’estensione complessiva di
a disposizione, relazionandoli ai mercati
padre, come fecero dopo, negli anni ’80,
350 ettari, dei quali ben 100 vitati, per
attraverso la costruzione di un proprio
Mauro e Anselmo, figli di Giorgio, che
lo più condotti seguendo il protocollo del-
terroir.
consolidarono la struttura aziendale con
scita Modena Sud, A1.
Castelvetro della famiglia Chiarli, che è
la lotta integrata, ma anche, in parte, in coltivazione biologica.
investimenti mirati e un’apertura monTutto ha inizio nel 1860, cinque generazioni orsono. Cleto Chiarli fu il fonda-
A ricevermi trovo la storia del Lambru-
tore della cantina, mentre Anselmo, il fi-
sco, identificabile nella figura di Anselmo
glio, si prodigò a diffondere il Lambrusco
diale ai mercati, non dimenticandosi, nel frattempo, di far crescere la V generazione.
Modena viaggio nelle terre del lambrusco
Dopo poche battute scambiate con Ansel-
Ripercorrendola mi sento fiero e orgo-
mo percepisco immediatamente quali si-
glioso d’essere nato in un paese come
ano i valori che hanno regolato il diveni-
l’Italia.
re di questa cantina familiare, così come l’onestà intellettuale che l’ha governata.
Le parole di Anselmo danno ragione a quanti, come me, vedono sventolare la
Un decalogo comportamentale di altri
bandiera del Lambrusco, al fianco del
tempi che si basa su un dialogo schietto,
Tricolore, nonostante gli anni, le mode, le
vero, pragmatico, che non travalica mai
critiche e le difficoltà che ha attraversato.
i valori etici di correttezza verso il proprio e l’altrui lavoro, verso il prodotto e il
Anselmo ripercorre le vicissitudini del
mercato, verso la qualità e l’opportunità
Lambrusco con oculatezza e precisone,
di crescita cha avrebbe il territorio del
scadenzando i tempi della sua consacra-
Lambrusco di Modena DOC se…
zione, le crepe del successo e le prospetti-
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ve future di un vino simbolo di un’Italian Il brand Chiarli, per diritto acquisito sul
Style nel mondo. Nell’ultimo decennio il
campo, è inserito nelle mappe mondiali
Lambrusco ha smesso d’essere “Cene-
dei mercati del vino, e lo è oggi come lo
rentola” indossando i più regali panni
era cinquant’anni orsono, insieme a tanti
che vestono i grandi prodotti enologici
altri vini a denominazione italiani.
italiani, essendo capace di soddisfare
Grande Storia, quella che cercavo, quella
non solo il gusto dei neofiti, ma anche
con la lettera maiuscola.
quello degli intenditori che cercano in un
la Storia con la
47
S maiuscola
vino l’unicità territoriale, in questo caso di bollicine mai banali e capaci di costruire consensi
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planetari. Ne riscontro il valore degustando i vini aziendali proposti da Anselmo che tiene a puntualizzarmi come sia stato “geneticamente assunto” per traghettare verso il futuro l’azienda di famiglia. Mi parla dei suoi vini alla base dei quali vi è un’idea filosofica produttiva che governa il suo agire e si alimenta di uno spirito socio-
logico e imprenditoriale che tiene conto da
una parte del brand Chiarli, dall’altra valorizza il Lambrusco, il territorio e le altre eccellenze dell’Emilia.
Un’idea consona all’evoluzione dei tempi, come lo è il Lambrusco, essendo modulare e capace di adattarsi ai gusti e alle abitudini alimentari del mondo, pur mantenendo la propria originalità, la massima semplicità e schiettezza. Un vino da bere sempre e tutti i giorni. Questa è la forza del Lambrusco e di chi, come i Chiarli, lo produce da oltre 150 anni, parlando di vino al mondo.
Hotel de Paris . Montecarlo
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di Lea Gasparoli
conoscere i suoi fattori e i suoi pescatori. E adesso che tutto si è trasformato radicalmente, in realtà, nulla è cambiato. Questi luoghi continuano ad essere la mia fonte di ispirazione. E la storia continua. Più bella di prima. Alain Ducasse
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Questa terra che splende di sole ha ispirato la mia cucina. La amo profondamente, in un modo che mi piace definire carnale. Tutto nasce dalla sua forza e dal suo essere vera e pura. Ho imparato a conoscerla e a domarla, lei mi ha donato la sua luce, i suoi colori, i suoi paesaggi. Mi ha confidato ricette antiche, di donne semplici e capaci. Mi ha fatto
Così Alain Ducasse descrive il suo rapporto con “il cuore della Riviera monegasca”, la cui scoperta è stata essenziale per la sua vita e per l’arte creativa che distingue la sua cucina, traducendosi in un approccio gastronomico moderno e contemporaneo, ancora oggi ancorato alle tradizioni, ai sapori e ai profumi di un luogo magico che nel tempo si è evoluto, senza mai perdere il suo legame con le radici. Seguendo la filosofia di Ducasse, riconosciuto tra i più autorevoli Chef al mondo, Le Louis XV dell’Hotel de Paris è divenuto il tempio della gastronomia francese.
Non può esistere gastronomia senza un luogo in cui la stessa si evolve nella consapevolezza del valore intrinseco che hanno le materie prime.
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Guardare a un prodotto cercando di rispettarne l’essenza e valorizzandone i sapori conduce alla verità assoluta che si traduce nel seguire delle elementari regole, che sono quelle di utilizzare una giusta cottura e di avvalorare con intelligenza le giuste combinazioni con altri sublimi prodotti. È questo il compito di un cuoco che comprende l’importanza del suo bagaglio culturale:
“Savoir d’où l’on vient pour savoir où l’on va”. Questa espressione è il fil rouge della filosofia di Ducasse che non crede ai geni dei fornelli e sostiene fermamente che “il prodotto è la sola verità, il solo divo della cucina”. La ricerca spasmodica della qualità è ciò che deve distinguere l’offerta gastronomica ed è ciò che identifica quella dell’hotel più iconico di Monte Carlo che, dopo un’importante ristrutturazione conclusasi nel 2018, riapre i battenti con tre ristoranti: Le Louis XV, Le Grill e La Brasserie; molto diversi tra loro, ma accomunati dalla “guida” di uno degli Chef più importanti del panorama internazionale: Alain Ducasse. L’eccellenza declinata in tre concetti differenti ma con un progetto comune: l’accoglienza. Creare sinergie tra culture culinarie lontane è la nuova proposta di questo hotel che da sempre è stato teatro di incontri di mondi diversi, tanto da dedicare uno spazio-cucina, all’interno di uno dei ristoranti, agli Chef ospiti, provenienti dall’Italia e dal resto del mondo, i quali diventano protagonisti, insieme ai “padroni di casa”, di eventi gastronomici mondani preparati a più mani, celebrando, di fatto, la passione per l’arte della tavola e del bien vivre. E così la cucina italiana, con un menu ispirato ai migliori prodotti del Sud Italia, arriva nel regno del “Padre della cucina francese”. Vincenzo Candiano Chef
Vincenzo Candiano, Chef con due stelle Michelin per il ristorante La Locanda Don Serafino di Ragusa Ibla, infatti, è il primo ospite d’onore a Le Grill, uno dei ristoranti più eleganti e suggestivi di Monaco, all’ottavo piano dell’hotel, sospeso tra cielo e mare.
Un ristorante “mediterraneo e marino”, così lo descrive Frank Cerruti, Executive Chef delle cucine dell’Hotel de Paris, due aggettivi densi di significato nell’immaginario culinario, che evocano una palette infinita di sapori ineguagliabili. Una danza di colori e di profumi. Un incontro di tradizioni sotto un cielo stellato con un panorama mozzafiato sul Mediterraneo e sul Principato e mille luci che si riflettono sull’acqua della costa. Il mare è la musa ispiratrice di un blu carpet che conduce verso un viaggio sensoriale incentrato sulla ricerca dell’eccellenza nel contesto di un hotel che, a ristrutturazione conclusa, interpreterà in modo ancor più raffinato il sogno di François Blanc (fondatore di diversi casinò nel mondo, tra cui il più famoso fu certamente quello di Monte Carlo): “realizzare un hotel migliore di qualsiasi altro sia mai stato progettato”.
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un soggiorno da grandi Gourmet
ristorante 21punto9
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Tenuta Carretta
21.9
Di Claudio Mollo
Ovunque lo sguardo
Ci troviamo immersi nel paesaggio viticolo del Roero; un territorio molto più vasto di quanto dicano le carte. Qui ogni serra, “bric” o vigneto ha una sua unicità, “…una sua storia di vescovi e di marchesi, di invasori e di difensori, di campane suonate a festa o a lutto, di odori di vendemmia e di funghi, di cieli azzurrini fino alla barriera bianca delle Alpi” come le ricordava il grande Giorgio Bocca. Un’area geografica del Piemonte situata nella parte nord-orientale della provincia di Cuneo che prende il nome dalla famiglia omonima, quella dei conti Roero, che dominò per vari secoli questo territorio. Un grappolo di colline, variegate, multiformi e dai marcati contrasti in cui si alternano boschi, arativi, selvagge rocche, castelli e ordinate geometrie di vigneti. Qui la vite e il vino sono cultura, passione e orgoglio ed è in questo contesto che si inserisce la Tenuta Carretta, oggi una delle aziende di proprietà della famiglia Miroglio, ma residenza storica
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di nobili famiglie e prima ancora di una nobildonna (la “domina Careta”) proprietaria di terreni nel comune di Piobesi (“terre et prati scitam in finibus Pubbliciarum”). La nobildonna, citata anche con il suo cognome (Constanzi), compare in un atto di compravendita di terreni in Piobesi d’Alba del 1353 rinvenuto nell’archivio dei Conti Roero di Guarene. Nell’atto viene indicata come figlia del nobiluomo albese Ruffino Capre e della vedova del nobiluomo Manuele Constanzi di cui aveva conservato il cognome. Il successivo rinvenimento di un altro atto redatto una ventina d’anni prima, nel 1334, e sempre relativo ad appezzamenti in Piobesi, cita alcuni tra i comparenti come eredi di Careta Constanzi, presumibilmente la nonna della precedente “donna Carretta”. Un soggiorno nobile quindi ci attende all’Hotel Ristorante 21.9, confermato dalla professionalità dello Chef Flavio Costa che gestisce, con la famiglia, questa residenza di campagna e l’annesso ristorante. Un “grande”, arrivato alla Tenuta Carretta dopo diverse esperienze avute in giro per l’Italia, da quella che lo ha visto al fianco di Corrado Fasolato, a Borgo San Felice a Siena, a quella avuta al Palma di Alassio, dai Viglietti, arrivando a ottenere una stella Michelin, nel 2003, e sempre ottimi punteggi su tutte le maggiori guide, senza mai dimenticarsi la cosa più importante, il riconoscimento dei clienti.
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si posi ci sono vigne
Camere accoglienti e luminose, circondate da 35 ettari di vigneti, e una cucina “calda” lineare e immediata, ricca di freschezza, leggerezza e incisività, sono gli ingredienti principali di un soggiorno speciale. Cucina basata sulle materie prime del territorio, come gli ortaggi e le carni, strizzando l’occhio a un pescato della costa ligure fornitogli da piccoli e medi pescherecci. La posizione strategica della struttura ci permetterà di raggiungere comodamente qualsiasi meta a partire dalla città di Alba fino ai rinomati borghi di Barolo e Barbaresco. Fin dal primo momento è facile lasciarci alle spalle tutto lo stress e le preoccupazioni del quotidiano, immergendoci nella pace della natura e nel godimento vero dell’atmosfera che qui si respira, nonché il piacere di riscoprire e apprezzare le cose belle.
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Del resto non è quello che cercavamo?
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O
2
Ca’ Montanari
pera
L
di Antonio Distefano
asciatomi alle spalle Castelvetro, mi arrampico sulle colline delle prime alture appenniniche, verso Levizzano Rangone. Il paesaggio si popola quasi subito di vigneti adagiati su colline morbide.
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Un piccolo cartello indica la direzione da seguire e, in breve, inoltratomi su una strada ora asfaltata, raggiungo, in cima a una collina, l’Opera 02, l’Azienda Agricola Ca’ Montanari, dell’omonima famiglia.
Non impiego molto tempo a raggiungere la mia destinazione, che risulta unica nel suo insieme proprio per essere contraddistinta da una forma lineare, elegante e ben collocata nell’habitat che lo circonda, dandomi l’idea di trovarmi al cospetto non di una cantina, ma di una suite del vino. Arrivato, scopro con grande piacere che l’azienda Ca’ Montanari è molto di più di quanto immaginassi, essendo strutturata come un resort di campagna...
ze contraddistinte da un arredo sempre diverso e mai banale e da nomi come Grappa, Nocino, Prugna, Saba e Miele. Ognuna delle suite ha un terrazzo che si affaccia sul paesaggio vitato sottostante e ha l’ingresso lungo un corridoio posto in penombra e nell’atmosfera incantata di una grande acetaia con oltre 320 piccole botticelle, ognuna delle quali composta da 6 caratelli di diverse dimensioni, divisa da una lunghissima vetrata che accentua ancora di più l’atmosfera mistica di quel luogo
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in possesso di tutti i crismi utili per far trascorrere ai propri ospiti una vacanza magica, ricca di profumi e percezioni sensoriali molto particolari. Un ristorante e una show room dove poter acquistare i prodotti aziendali danno il benvenuto a tutti quelli che arrivano qui per trascorrere qualche ora lontano dal caos cittadino della vicina Modena; mentre per coloro che vogliono regalarsi giorni piacevoli la proposta si fa affascinante con l’opportunità di soggiornare in una delle otto stan-
“sacro” in cui riposa una delle eccellenze italiane: l’Aceto Balsamico di Modena DOP. Niente è lasciato al caso e ogni minimo particolare è studiato non per essere originale o per farsi notare, ma solo per creare una consonanza con l’ambiente circostante, riuscendo, di fatto, a sorprendere con il tempo, subito dopo che l’occhio incomincia ad abituarsi al bello. Dovunque guardo noto una grande sensibilità, quella che deve aver spinto chi ha ristrutturato questa cantina nella scelta oculata dei materiali, utilizzati non per scopi imprenditoriali fini a se stessi, ma per renderli simbiotici a una filosofia aziendale prettamente agricola e a una viticoltura biologica.
Basta guardarmi intorno per capire che qui è in atto un approccio innovativo, originale, figlio dell’infinita schiera di particolari che conferiscono un’identità precisa a questo luogo. So per certo che mi attende un bel soggiorno, che trascorrerò in pieno relax, vissuto all’insegna del buon gusto e di una gastronomia che non tralascia la memoria di una terra ricca di prelibate primizie come è quella modenese.
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Foto di Paolo SpigariolŠ
BAGLIO PIANETTO
70
di Cinzia Taibbi
N
on ha importanza da dove arri-
vi, se da Palermo, attraverso le gallerie dell’antica linea ferrata che aveva proprio a Pianetto l’ipotetico capolinea, o se attraversando Santa Cristina Gela, lo spettacolo a cui si assisterai è lo stesso. Improvvisamente ti troverai immerso in uno scrigno di legno pregiato come è la Piana degli Albanesi. L’apparente semplicità del paesaggio lascia spazio a una suggestiva ambientazione, quasi ovattata, discreta, distaccata, capace di nascondere gioielli di inestimabile valore.
La comunità arbëreshë che la popola da quasi cinquecento anni ha fatto sì che molto del passato rimanesse integro. Ovunque domina il silenzio. Le strade sono costeggiate da orti e filari di vigne, colture che danno armonia a una terra coperta da un velo di seta verde cangiante, tessute dall’uomo che tuttavia qui non palesa troppo la sua presenza.
Rallento, mi guardo intorno. Ogni qual volta passo da queste parti mi sento come una novella Alice in un mondo incantato; un mondo dove il conte (Paolo) Marzotto ha deciso di costruire Baglio di Pianetto, composto da una modernissima cantina e da una struttura recettiva, (l’Agrirelais) tinta con i colori del sole agostano su cui svetta la cupola di color rosso arancio che ricorda alcuni tra i più importanti monumenti palermitani, come la chiesa della Martorana e San Giovanni degli Eremiti.
A ricevermi trovo Renato De Bartoli, amministratore delegato dell’azienda, nonché figlio di quel Marco che ha contribuito a scrivere la storia della viticoltura siciliana. Renato è il rappresentante odierno della quarta generazione di vignaron in quel di Marsala, che ha deciso di acquisire altre esperienze in un’azienda molto più
“bello” hanno avuto pari considerazione nella filosofia aziendale in ogni loro manifestazione.
complessa. Mi conferma che Baglio di Pianetto è un’altra storia,
Ogni cosa è curata; è lì perché è lì che deve stare, essendo capace
diversa da molte altre.
di contribuire a creare un mix che distingue. Del resto non potrebbe essere diversamente essendo una perla che si coniuga ad una
Questa è un’azienda che nasce DALL’AMORE PER LA SICILIA, mi
Sicilia bella, diversa da se stessa a ogni palmo. Solo chi viene da
racconta Renato, e della passione del conte Paolo PER IL VINO, del
lontano se ne accorge e l’impatto è sconvolgente. Questo è un luo-
quale Renato è da sempre complice, testimone e rappresentante.
go che inibisce i pensieri; se si ha la fortuna di soggiornare in una delle magnifiche stanze di questa storica dimora di campagna, ci
Un’idea lungimirante applicata a una viticoltura sostenibile che tiene conto degli aspetti ambientali, sociali, economici e culturali.
si rende conto che alla base di tutto vi è un pensiero nobile, avvezzo al bello, scevro da qualsiasi idea che potesse allontanarlo dal fine di dare ancora più valore a questa terra magica. Un pensiero che ha spinto ha investire qui, così come fece in Val di Noto nella Tenuta Baroni sulla costa orientale della Sicilia, ricercando nei vini l’unione tra mare e montagna, tra sabbia e minerali, fra lo scirocco e le brume delle nubi che si abbassano così tanto da coprire di bianco i vigneti qui a Piana degli Albanesi.
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Ormai si contano già vent’anni di storia nei quali il vino, l’arte e il gusto del
Un crogiolo che coinvolge e fonde un
quest’azienda che continua ad ammirare
po’ tutto, distinguendosi fra antico e
come una creatura diventata adulta, alla
moderno, fra ricercatezza e sobrietà,
quale ha donato le ali per volare.
tra tecnologia e classe, tra vitigni autoctoni e alloctoni, tra salotti e stanze della musica, tra rosoli e paste di mandorla, tra terrazzi, giardini e una piscina che, ricavata in un terrazzamento, sembra librarsi sulle vigne. Il mio stupore, quasi fanciullesco, regala un sorriso a Renato che cono-
ricordando con orgoglio la “prima zampata dello scavatore”, per scavare le fondamenta della cantina.
sce questi luoghi
Leggo nel suo sguardo una certa soddisfazione per l’emozione che ha
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saputo trasmettermi, raccontandomi
il Con
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nte Marzotto
ROMPIBUBBLE’S di Ernesto Gentili
Pregiudizi ed equazioni Ci ho riflettuto non so quanto e sono giunto, dopo
Allora, tanto per fare il rompibubbles, prenderò
avere ben soppesato il tutto, a questa geniale con-
ad esempio l’annata 2014 che è stata preceduta,
clusione: ogni vendemmia possiede caratteristiche
in molte zone, da una fama poco favorevole in
uniche che la rendono diversa da qualsiasi altra. Lo
quanto fredda, piovosa, caratterizzata da una serie
so, ho detto una banalità imbarazzante, soprattut-
infinita di attacchi parassitari nel vigneto, con vini
to per un rompibubbles, ma ho messo in conto le
conseguentemente immaturi, magri, acidi. Ho
conseguenze.
assaggiato i Chianti Classico di questo millesimo e qualcuno era effettivamente magro e immaturo,
Perché confesso che mi sono stufato di sentir
altri invece freschi, agili, decisamente piacevoli e
recitare a ogni vendemmia la solita tiritera, della
altri ancora sorprendentemente eccellenti. In que-
quale posseggo ormai un campionario infinito,
sta degustazione non mancava la Riserva Caparsino
dal classico e stringato “vendemmia del secolo”, al
dell’azienda Caparsa a Radda in Chianti, il cui titola-
più preciso e scontato “quantità scarsa ma qualità
re, Paolo Cianferoni, mi sembra, per quel poco che
eccezionale”, per passare al messaggio super otti-
lo conosco, una persona sincera, autentica, di pochi
mista e articolato “è stata un’annata molto difficile
fronzoli, che, come spesso accade, produce vini che
a causa della gelata primaverile, della siccità estiva,
gli assomigliano e incontrano generalmente i favo-
delle grandinate settembrine, dei nubifragi di inizio
ri di chi ama il Chianti Classico di stampo tradizio-
ottobre, ma le nostre uve alla fine erano splendida-
nale, schietto, ottenuto solo da vitigni autoctoni,
mente sane e mature (?) e possiamo così festeg-
un vino “contadino” nel senso più vero del termine.
giare un’altra grande annata”. Insomma, chi più ne
Da parte mia ho sempre trovato i suoi vini buoni,
ha più ne metta, ma in relazione alle annate vanno
riconoscibili, mai banali, di carattere indubbio ma
sottolineate anche le prese di posizione di molti
anche nervosi, scorbutici, duri; in certe occasioni
critici che, nel giudicare i vini, partono dal valore
un po’ tannici, in altre acidi, in altre ancora chiusi
assegnato a ogni singolo millesimo e si comportano
nei profumi. Interessanti sicuramente, ma mai
come quei commentatori di partite di calcio che
rilassati e armoniosi. In conclusione, sommando il
attribuiscono pagelle ai singoli calciatori partendo
carattere spigoloso del Caparsino con quello, non
dal 6 in su se la loro squadra ha vinto, anche se ha
meno spigoloso, dell’annata 2014, che cosa dovevo
giocato male, e dal 6 in giù se ha perso, pur giocan-
attendermi? Una lotta sul palato dai toni taglienti
do bene.
e senza esclusione di colpi? Neanche per idea, il risultato è stato un vino dal carattere forte ma nello stesso tempo gentile, dal piglio deciso ma dal tatto incredibilmente soave e vellutato.
ROMPIBUBBLE’S
alta formazione di sala
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di Riccardo Margheri
T
utto è nato da un’idea. Risolvere il problema comune a qualsiasi avventore di moltissimi ristoranti italiani che spesso si trova al cospetto dell’imbarazzante professionalità di chi conduce o dirige il servizio di sala in quei locali. Un’idea figlia anche della volontà di Dominga, Marta ed Enrica di riuscire a dare un maggior peso a ciò che stanno facendo a Falesco, l’azienda di famiglia Cotarella, pensando a una scuola di specializzazione, capace di formare dei futuri IMM, Italian Master Maitre (oppure Italian Accademy Maitre). Una scuola completa, altamente formativa, unica nel programma didattico proposto e nel corpo docenti coinvolto nel percorso di studi. Un master in piena regola che non solo arricchirà il quotidiano di queste tre donne, ma anche quello dei futuri ambasciatori della ristorazione italiana, capaci di accogliere e consigliare chiunque varchi la soglia di una di quelle mille “nobili trattorie italiane”. Un impegno forte, e non poteva essere diversamente dato che tutte e tre portano un cognome importante, quello di Cotarella. Essere figlie o nipoti di uno degli enologi fra i più importanti d’Italia non è solo entusiasmante, ma anche impegnativo e al
contempo stimolante, avendo avuto la fortuna di crescere in una fucina di idee. Posso comprendere come si siano sentite motivate a seguire la tradizione di famiglia, facendo di più e meglio di ciò che stanno già facendo, provando a regalare al mondo del vino qualcosa di nuovo, in cambio del molto che, dallo stesso, hanno ricevuto. Ed ecco che è scattata la scintilla, ecco che nasce Intrecci. Saper produrre un vino di qualità è ampiamente dimostrato dalla famiglia Cotarella, ma creare le condizioni per comunicarlo, renderlo fruibile facendolo percepire a molti non è facile, così come non lo è abbinarlo al mondo della ristorazione che, pur innalzando il livello qualitativo dell’offerta gastronomica, ha tralasciato l’educazione a proporla. Qualcuno si stizzirà per questa mia affermazione, ma è così, purtroppo, nella stragrande maggioranza dei casi. Perché? Perché non è scontato trovare chi conosca cosa vi sia dentro o dietro a una bottiglia di vino. Quante volte ho visto l’esperienza di degustazione mortificata da un sommelier sbadato, sciupata dall’inesperienza di camerieri domenicali improvvisati, dall’incompetenza del patron capace di servire il vino in un bicchiere non adatto, dalla
sua stessa incuria nello stappare una bottiglia a una temperatura sbagliata, dall’ignoranza che dimostra nell’abbinare il vino al cibo che nel locale si propone, dall’incapacità di saper comunicare in lingue diverse il proprio saper fare a chi, arrivato da lontano, vorrebbe trovare in un piatto e in un bicchiere di vino quell’Italian Good Style che va cercando.
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Quante occasioni in cui l’atmosfera di un ristorante famoso non consente di godere pienamente delle sensazioni che un grande vino può offrire.
Inoltre chi fuoriesce dalle scuole alberghiere non ha una grande preparazione, non ha esperienza e non è capace di soddisfare le esigenze di avventori sempre più eruditi e alla ricerca del piacere del buon vivere e non più del soddisfacimento di un bisogno primario come quello di cibarsi. Who? What? Where? When? Why? (chi ha fatto che cosa, dove lo ha fatto, quando e perché lo ha fatto?). Sono queste le domande a cui gli allievi della scuola Intrecci dovranno saper rispondere a quel mondo con cui verranno in contatto e dove elementi come l’eccellenza, l’efficacia e l’efficienza sono scontati.
tecniche d’illuminazione e insonorizzazione degli ambienti alle lingue straniere, dalle escursioni didattiche ai viaggi studio. Sei mesi intensi di aula a cui si aggiungono altri sei di praticantato. L’obiettivo? Formare e fornire una base culturale a giovani che hanno voglia di elevarsi dando una diversa dignità a un lavoro che ne ha molta, utilizzando lo studio per andare oltre in una professione di grande pregio e importanza.
Un’accademia impostata con un approccio interdisciplinare, olistico, “contaminato” dalle materie di marketing e di gestione aziendale, dalle tecniche di accoglienza alla psicologia, dalla fisiognostica al portamento, dizione e recitazione, dalla conoscenza dei terroir all’arte della sommellérie e dell’agronomia, fino ai rudimenti di enologia, dalle
Una grande idea che “Bubble’s” seguirà da vicino nella sua evoluzione facendo fin da ora i migliori auguri all’Intreccio delle “tre sorelle”, come amano definirsi, capace di suggellare la comunanza di intenti e il grande rispetto e amore che le unisce.
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Una professionalità nuova, affrontata come vocazione e non come ripiego. Chi frequenterà questa scuola di alta formazione, insediata nel borgo avito di Castiglione in Teverina, nelle storiche cantine dei conti Vaselli, dovrà aver ben chiaro che qui potrà costruirsi un futuro diverso e gratificante. Intrecci è un polo didattico comprensivo di museo del vino, enoteca, ristorazione, cucine, spazi congressuali, aule e convitto.
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i t l o o s n i ’ l’
IN SO LI TO
Insolito è, etimologicamente, tutto ciò che è fuori dall’ordinario, che non ci si aspetta. Una parola spesso accompagnata da curiosità, mistero e meraviglia. E in effetti non si è abituati a entrare in un posto come questo.
L’Insolito Mondo del Vino è un concept store, ma varcando le vetrate del luminoso locale di Sacile, splendido Giardino della Serenissima alle porte del Friuli, sembra di trovarsi in una sontuosa sala concerti privata, dominata dallo sfavillante pianoforte a coda bianco.
Se ci si guarda intorno, dalla scelta degli arredi e dei complementi, dai quadri alle pareti alla varietà della merceologia in mostra, si percepisce la forte passione,
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Antonio Distefano
vin o del o
mond
che sola può dare forma a un luogo come questo. La passione fortemente culturale che abbraccia la musica e tutto l’universo del vino dentro, ma soprattutto fuori dalla bottiglia e l’ha voluta raccontare e proporre in uno spazio dove è declinata a 360 gradi: dall’editoria enogastronomica all’alta cosmesi naturale, dall’oggettistica domestica alla pelletteria, dalle ceramiche al pezzo di design. A completare il tutto l’ampia offerta di etichette delle Tenute Barzan, le cui bottiglie sono elegantemente esposte e dislocate nei due ambienti principali, ma senza farsi troppo notare, senza essere le protagoniste.
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Assieme alla passione si avvertono la classe, il gusto e la ricercatezza di una donna, sola al comando. Il merito infatti è di Lara Barzan, l’imprenditrice dietro questo ambizioso progetto, che ha caricato di femminilità la scelta delle referenze e degli articoli esposti. Nello store troviamo infatti un’ampia gamma di prodotti cosmetici skin care, ben otto linee di prodotti naturali pensati per il pubblico dell’Insolito, per quasi 100 articoli differenti. Per farlo ci si è avvalsi della consulenza di Cristina Portinaro, farmacista cosmetologa di Torino, alla guida di un’azienda cosmetica di private label che punta moltissimo sugli ingredienti attivi dal mondo food. Molto appropriata dunque la linea a base di polifenoli d’uva realizzata per l’etichetta Tenute Barzan, 19 prodotti cosmetici caratterizzati dal packaging con tappo in legno di faggio: dalla soluzione micellare all’olio nutriente, dalla crema viso anti age al gel gambe rinfrescante, tutto a base di polifenoli d’uva, antiossidanti con eccellenti proprietà protettive in grado di preservare l’aspetto giovanile della pelle e aiutarne il rinnovamento cellulare. Su tutta la selezione spicca una vera chicca: l’eau de cologne vinaccia e tabacco, intensa e sensuale. L’offerta culturale si delinea con le presentazioni, le degustazioni, gli incontri con autori e vignaioli, sempre con l’accompagnamento della musica suonata dal vivo. L’Insolito Mondo del Vino è una molteplicità d’intenti e di perché. Uno spazio di 300 metri quadri dall’alto valore scenico e promozionale, davvero unico nel suo genere, un quartier generale di forte rappresentanza per la proprietà. Ma nei piani delle Barzan, madre e figlia Giada, esso è già qualcosa di più, è il pilota di un progetto di franchising internazionale. Un concentrato di Made in Italy che
potrebbe presto comparire sulle strade di Londra, Hong Kong, Singapore, Los Angeles, portando nel mondo il concept fortemente emozionale di unire un’esperienza di shopping di alto livello alla possibilità di poter ascoltare musica suonata dal vivo mentre, su un comodo divano, si sfoglia un libro con un buon calice in mano. Un luogo dei sensi per godere il bello.
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Castellucci
c
Miano È fantastico trovarsi al cospetto dei “sarti del vino” di Cinzia Taibbi
Non c’è appellativo più calzante per definire il lavoro svolto da questa azienda la quale, seppur nata dai resti di un cantina sociale di Valledolmo, ai confini della provincia di Palermo, è conosciuta per essere uno dei piccoli gioielli enologici siciliani. Piccola nelle dimensioni, ma quanto mai preziosa, come una pietra la cui minor grandezza non corrisponda a un minor pregio. L’artigianalità è la regola in questi luoghi. Dietro c’è la volontà, strettamente legata al bisogno, di seguire
ogni capillare passaggio del settore viticolo a causa della locazione dei vigneti sparsi un po’ ovunque su queste Madonie, caratterizzati da alberelli di viti molto vecchie, ognuna delle quali, essendo unica, richiede un intervento specifico a misura d’uomo.
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Non ci sono estensioni vitate, ma orti di viti posti anche oltre i 1.050 metri s.l.m., non più grandi di un ettaro, ai bordi dei quali si trovano piante di fichi, mele o pere, e poco più in là colture di grani antichi. Questa è una Sicilia arcaica, posta al centro del “continente siciliano”, lontana dalla costa, dal traffico e da qualsiasi frastuono. Qui comandano il vento, il sole e la pioggia. La padrona è Madre Natura cui rispondere oggi come ieri, come facevano i vecchi vignaioli, chini sulla pianta a contare i grappoli che devono essere portati a maturazione. Questa è ancora una Sicilia poco conosciuta, dimenticata, ma ricca di suggestioni e di strade seducenti che si arrampicano verso vecchi Bagli posti in alto, molto in alto, dimenticate e con buche grandi come fossati. Qui nascono grandi vini, perché queste sono terre da vini. Qui il Catarratto assume nobiltà assoluta, il Perricone diventa cavaliere e ambasciatore di una viticoltura di montagna in grado di far esprimere ai frutti il sapore di terra, di storia e di volti che hanno nomi. Il merito maggiore di questo piccolo miracolo va dato all’ostinazione del direttore generale, Piero Buffa, e al genio dell’enologo Tonino Guzzo, il vero valore aggiunto a questa viticoltura, capace di far produrre dei bei vini a un piccolo e storico areale vitivinicolo che conta su una mano d’opera locale per la
i sarti d
quale queste vigne sono un punto di riferimen-
to vitale. Anzi direi quasi un vanto che va oltre la realtà aziendale.
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del vino
Sono le rughe di quei volti a garantire la ge-
scomparire, ma che invece resiste grazie a
Un bel messaggio per una Sicilia che sta
nuinità del vino che piace perché è “leale” e
nobili persone che con il loro impegno sono
ancora cercando una sua identità enologica
risponde perfettamente a ciò che ti aspetti
riuscite a far ottenere la DOC Valledolmo al
scevra da mode, ma ricca di sostanza.
da un prodotto naturale realizzato a queste
territorio.
altitudini.
Non deve essere stato facile presentarsi al mondo con due soli vitigni e per di più
Una scommessa, forse una sfida certamen-
quasi sconosciuti. Per il mondo la Sicilia
te importante sia per la proprietà sia per
è ancora Nero d’Avola, Nerello Mascalese,
gli uomini che l’hanno colta. Già nei primi
Grillo o Moscato; ma la diffidenza iniziale
anni del Novecento, in questa zona, come
è scomparsa davanti alla qualità di questi
mi conferma il presidente dell’azienda,
vini e alla loro marcata identità territoriale.
Salvatore Barone, c’erano quasi 800 ettari
L’identità premia, il territorio premia, la
di vigneti ad alberello, tra Perricone e Ca-
volontà e la perseveranza premiano, così
tarratto; oggi ve ne sono poco più del 10%.
come la capacità di sdoganare ciò che altri
Un patrimonio genetico che ha rischiato di
non consideravano.
Il primo tappo di sughero naturale al mondo garantito con TCA non rilevabile*
GARANZIA DI ECCELLENZA IL TAPPO DEI PIÙ PREGIATI VINI AL MONDO La tecnologia NDtech consente un controllo qualità individuale, su ogni singola chiusura per il vino, offrendo il primo tappo di sughero naturale al mondo garantito con TCA non rilevabile*. Un’ulteriore conferma per i viticoltori che si affidano all’eccellenza dei nostri tappi, un’avanguardia che si aggiunge ai già comprovati metodi di prevenzione, trattamento e tutela della qualità che Amorim destina al sommo custode del vino. Per maggiori informazioni su questa rivoluzionaria innovazione nel packaging di settore, vi invitiamo a visitare il sito amorimcork.com.
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U-boat: l’eccellenza del Made in Italy alla ricerca del tempo perduto 90
di Simona Cangelosi
L’Italia è una fonte d’ispirazione infinita, un luogo di grandezza ed eleganza dove l’importanza dello stile permea ogni aspetto della vita. Il segreto è “La Bella Figura” – come amano definirla gli americani – una filosofia culturale che si fonde profondamente nella psiche italiana. “La Bella Figura” influenza l’arte, l’architettura, il design, anche l’etichetta sociale; tutto dal taglio di un vestito, dal design di un’auto fino al modo in cui salutare gli amici. Certamente le radici della moda e del design italiani vanno indietro – alla Firenze del XIV secolo. E come culla del Rinascimento, l’Italia può rivendicare un qualche patrimonio di peso. Famosa per la qualità e l’artigianalità, la prestigiosa etichetta Made in Italy vale il suo peso in oro. Questa etichetta è sempre stata associata al prestigio. Pensate alle marche di moda come Armani, Valentino e ai marchi produttori di automobili di lusso come Ferrari, Maserati, e Lamborghini. La domanda che ci poniamo è: c’è un legame tra i designer italiani anche se sono di settori diversi? Condividono qualcosa? Puoi
riconoscere la stessa “Bella Figura” ad esempio nei disegni automobilistici così come negli orologi? La risposta è senza dubbio “Sì naturalmente!” Quando si parla di orologi si pensa subito alla Svizzera, ma in pochi sanno che uno dei luoghi a essersi contraddistinto nel mondo dell’orologeria è il nostro Bel Paese, e in particolare la regione Toscana.
INTUIZIONI ITALIANE
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È
qui, dove il tempo si ferma e si
nata la “città dalle 100 chiese”, tra torri,
Fontana, esattamente nel 1942, seguendo una commissione governativa per la Marina.
misura, tra le cinte murarie cinquecente-
campanili e monumentali palazzi rinasci-
sche e le colline verdi lucchesi, circondate
mentali. Lucca è una delle principali città
da cipressi e vigneti, che nasce ad esempio
d’arte d’Italia, celebre anche al di fuori dei
l’azienda di orologeria U-BOAT a Gragna-
confini nazionali soprattutto per la sua
no, in provincia di Lucca. Porta vessillo
intatta cinta muraria del XV-XVII secolo,
dalle grandi dimensioni, con la corona a
dei valori Made in Tuscany, Italo Fontana,
una delle poche conservate in Europa
sinistra, per garantire al polso maggiore
designer e fondatore del marchio, inizia a
poiché mai utilizzata nei secoli passati
libertà di movimento, un orologio futu-
fare i suoi primi disegni in giovane età. Da
a scopo difensivo, divenuta patrimonio
ristico. La commessa finì nel nulla, ma i
sempre incuriosito dal design in generale e
dell’umanità dell’UNESCO: le famiglie luc-
disegni diedero a Italo, 18 anni fa, l’idea
dagli antichi strumenti di precisione, rac-
chesi hanno infatti una lunga tradizione
di riportare il progetto alla luce. Il primo
coglie sensazioni ed emozioni da ciò che
di democrazia, non subirono mai attacchi
disegno di suo nonno fu solo il punto di
lo circonda e lo plasma nelle sue creazioni,
ed ebbero la capacità di gestire bene il
partenza.
partendo dalle sue attività e passioni per-
proprio patrimonio, non conoscendo mai
sonali, come le vetture di lusso e le corse
un giorno di guerra, poiché, già nel ‘400,
Il designer è riuscito a creare uno stile uni-
automobilistiche.
seppero governare e ben amministrare la
co: per diversi anni Italo Fontana disegna
ricca cittadina, diventando anche amba-
e ricrea una linea completamente diversa
sciatori di pace, nonostante le vicissitudini
dagli standard classici dell’orologeria, con
legate alle lotte tra guelfi e ghibellini. Tante
pezzi unici artigianali, unisex, caratteriz-
furono le famiglie nobili al potere, come
zati da una forte identità, adatti a ogni
i Nuccorini, a cui Dante Alighieri dedicò i
condizione atmosferica, con un design
propri versi: durante il governo dei Medici
distintivo che ha fortificato il Made in
della vicina Firenze, le grandi famiglie feu-
Italy nel mondo. Ogni orologio è un pezzo
dali prestarono il loro denaro e le ricchezze
unico che offre una nuova dimensione del
Situata nella Toscana nord-occidentale,
per le trattative con la Chiesa, divenendo
tempo, garantito dalla più fine manifattura
nella pianura dell’Appennino Tosco-Emilia-
così un territorio dove ben si radicava il
italiana: le caratteristiche comuni a tutte
no, di origine etrusca risalente al lontano
potere temporale e spirituale e il cui tratto
le creazioni U-BOAT sono l’alta qualità,
220 a.C. Il centro storico monumentale
distintivo era la ricerca dell’armonia
la selezione dei materiali e soprattutto
Gran parte però dalla sua ispirazione proviene da questi luoghi, da una cittadina di origini romane che fu stato indipendente fino al 1799: Lucca.
della città è rimasto intatto nel suo aspetto originario, con architetture di pregio, di notevole ricchezza formale: soprannomi-
La storia di U-BOAT inizia però molto prima di Italo
Suo nonno fece una bozza di un orologio
l’innovazione, in cui Fontana sperimenta l’introduzione di nuove idee, congegni, sistemi e meccanismi, creando e svilup-
pando valore per i suoi clienti. Oltre al campo dell’orologeria le sue passioni si dividono fra le auto da corsa, i velivoli, e la produzione di vini pregiati. La sua ispirazione è poliedrica, con particolare attenzione ai dettagli, alla passione e dedizione verso il concetto di eccellenza. Ogni anno, U-BOAT, presenta le ultime creazioni del marchio davanti a buyer, distributori, clienti appassionati e stampa internazionale, provenienti da tutto il mondo, durante l’appuntamento denominato “One day in Tuscany”. La presentazione viene affidata a Gianfilippo Versari, responsabile comunicazione e PR dell’azienda: «Inizialmente gli orologi U-BOAT venivano riconosciuti dalla grande corona posta sul lato sinistro della cassa e dalle grandi dimensioni, oggi invece per
il loro design iconico e identitario. Si riconosce immediatamente se un soggetto sta indossando un U-BOAT anche da distanza e indipendentemente dalle dimensioni dell’orologio.
Tutti i modelli sono realizzati con materiali che forniscono alte prestazioni: uno degli ultimi esemplari, dell’ultima fiera di Basilea, è in grado di raggiungere i 1001 metri di profondità.
C’è molta ricerca dietro ogni pezzo, accanto all’artigianalità puntiamo tanto sull’innovazione, ne è un esempio l’utilizzo del Carbide di Tungsteno, conosciuto per le sue proprietà indistruttibili, il più duro tra tutti i materiali in commercio, così come l’innovativo sistema brevettato per il rilascio della corona dalla posizione di fermo, o il quarto contatore per le 24 ore del giorno.
A Italo piacciono materiali come il tungsteno, che non può cambiare in milioni di anni, e materiali studiati per cambiare invece col tempo come l’argento e il bronzo sul quale l‘azienda è stata una delle prime a puntare. Un altro orologio sotto il vetro vanta un sottile strato di una pietra, Anatolite, che cambia colore sotto l’esposizione a differenti fonti di luce, consentendo al quadrante di passare dalle tonalità del giallo ambra al verde. Quest’anno l’azienda stupisce introducendo il modello Stratos dallo spessore ridotto e inusuale rispetto alla media degli U-BOAT, adatto a un’occasione speciale, da indossare sotto lo smoking.
Il Doppio Tempo, possiede invece una ghiera bidirezionale girevole, con sfere spazzolate, ed è realizzato in un particolare bronzo che invecchia di proposito con il tempo per donare un effetto vintage, mentre il Sommerso possiede una ghiera girevole in acciaio unidirezionale, con cinturino trattato Kodiak che ne garantisce l’impermeabilità, fibbia ardiglione in acciaio, composto da 25 rubini, diametro 45 mm, vetro con trattamento antiriflesso, con lente di ingrandimento sul datario.
La caratteristica comune è data dai cinturini in cuoio lavorati e rifiniti a mano con tecniche tradizionali che risalgono al 1800.
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In un’industria dell’orologio gestita dalle grandi multinazionali, U-BOAT ha una riconoscibilità internazionale, ma orgogliosamente può ancora considerarsi un’azienda a conduzione familiare, il cui obiettivo è preservare la tradizione orologiaia fiorentina.
In pochi anni, U-Boat ha aperto con successo un network globale di retailer e di boutique monomarca, come a Mosca e Venezia, che si aggiungono a Roma, Cannes e Firenze, sullo storico Ponte Vecchio. Presente anche a Basilea, in Svizzera, al “Baselworld”, la più importante fiera al mondo dell’industria orologiera, è riuscita a conquistare il grande pubblico e diverse celebrity di fama internazionale, tra cui: Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger, Kenzo Takada, David Beckham, Tom Cruise, Nicolas Cage, Steven Tyler, James Blunt, Victoria Beckham, Lindsay Lohan, Bar Refaeli e i nostrani Beppe Grillo, Il Volo e Giorgio Armani. Recentemente, anche l’attore Steven Seagal, star di Hollywood, ha disegnato il suo orologio U-BOAT: confermando così che il nostro Made in Italy, o meglio in Tuscany, conquista ancora oggi le maggiori vette al mondo».
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Piscine
C’è tutto per una serata da ricordare. Il buio della notte, uno spicchio di luna che si appoggia su un casolare in pietra, con il porticato sotto il quale c’è un lungo tavolo su cui spiccano bevande e manicaretti da gustare. Intorno il prato verde e poltrone di design. Luci e monoliti accuratamente posizionati, come gli arredi che fanno da cornice alle scollature di vestiti che svolazzano al soffio di un vento leggero e agli abiti scuri degli uomini che hanno deciso, per una sera, di ritornare eleganti. La musica di sottofondo alleggerisce il chiacchiericcio degli ospiti.
d'autore
C’è tutto per far sì che sia festa. I calici di bollicine si alzano per un brindisi; il tintinnio dei bicchieri fa riscontro agli schiamazzi dei bambini. C’è tutto per essere felici, la luna, le luci, gli amici e la piscina.
C’è tutto in questo sogno che vorrei fosse mio. Chissà, forse lo sarà in un prossimo futuro. Ma certo che lo sarà, anzi voglio che lo sia. Anche se stasera sono così romantica, con il calice in mano mi prendo qualche minuto per osservare meglio questa magnifica piscina. Sono con Patrizia, la padrona di casa, e con lei passeggio piano piano lungo il bordo.
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Le chiedo perché ha scelto e come ha scelto questa piscina e mi racconta che aveva la casa in fase di ultimazione ed era arrivato il momento di realizzarla. Nel progetto, la piscina aveva un disegno con una forma rettangolare, più un altro rettangolino con degli scalini per entrare. Ma c’era qualcosa che non la convinceva. Tutto troppo “normale”: non c’era cura estetica. Proprio in quei giorni, Patrizia, facendo un po’ di pausa Facebook, vide un post molto curioso che descriveva le attività che si possono fare in piscina, dentro e fuori. Era scritto da un paio di pazzi scatenati: un certo Morenito e Andrea. «Mai letto niente del genere!» mi dice. Entrando nella pagina dell’azienda lesse una serie di articoli che descrivevano vari aspetti nell’uso della piscina, nelle forme, nella morfologia interna. Addirittura c’era un libro da scaricare che l’avrebbe guidata all’acquisto di una piscina. Effettivamente Patrizia mi ha fatto capire come la piscina tradizionale (quella disegnata dal suo architetto…) fosse limitata. Sì, è vero, le persone (ma anche i progettisti) non se ne rendono conto: avere una piscina nel giardino di casa è una figata pazzesca a prescindere da com’è e da come viene fatta. Non importa dove sia, perché quando la vedo nel giardino sono certa che lo impreziosirà, valorizzerà la casa e riempirà di una sana e genuina soddisfazione l’ego di chi l’acquista.
A questo punto Patrizia mi fa notare quanto una piscina rettangolare sia limitata nell’utilizzo: ci si può sedere sul bordo, stare in piedi sempre vicino al bordo, una bracciata e via. Al massimo, se ci sono dei gradini, mi ci posso sedere dentro. Ma Patrizia vuole prendere il sole in acqua, come al mare sul bagnasciuga… e lì non si può.
E sai la cosa curiosa? Tutti ti offrono un prodotto diverso, ma che esteticamente, all’esterno, è uguale. Mi parla dell’aspetto interno, cioè del rivestimento. Te le fanno con quelle brutte plastiche celesti, che poi diventano gialle o verdi. Addirittura le plastiche hanno delle stampe tipo mosaico: inguardabili!
La storia non finisce lì, perché appena ha cominciato a muoversi per avere informazioni e offerte, arrivarono “piscinari” in quantità.
Ancora di più, azienda per azienda, arriva con il prezzo sempre più basso. Probabilmente per scalzare il fornitore precedente. Ma come si può comprare la stessa piscina a un prezzo sempre più basso? Alla fine cosa avrai in mano?
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Patrizia vuole prendere il sole in acqua, come al mare
E Patrizia continua a raccontarmi la sua avventura e perché poi ha scelto Unica. Mi racconta che ogni azienda spinge un suo prodotto standard, che è adatto a un particolare uso: per il nuoto o per i tuffi, per l’idromassaggio o per il bagnasciuga. Oppure solo per fornire un elemento estetico al giardino: piscine fatte a forma di lago, ma che diventano delle pozze impraticabili. La soluzione scelta da Patrizia è diversa, è UNICA, avendo pareti verticali, pareti digradanti a “spiaggia”, sedute e anche delle poltrone sommerse. Una moltitudine di soluzioni per una moltitudine di attività in uno spazio unico. Bel connubio, funzionale ed estetico. Mi sono convinta: voglio realizzare la mia piscina.
100
La voglio come questa, ma con un tocco personale. Partirò dalla scelta della sua forma, dei colori e delle rifiniture, così come dell’ambientazione. Piano piano l’idea che ho dentro prende corpo. Sono sincera, scegliere la forma e le dimensioni della piscina, per una persona come me che non ha esperienza di disegno o grafica, non sarà facile. Ma chi ha realizzato questa certamente ha l’esperienza e le competenze per realizzare anche la mia. Sono certa che mi indirizzeranno verso la scelta giusta, facendomi vedere molti esempi e soluzioni. Da quello che ho capito non vi è niente di prefabbricato o costruito in azienda, ma ciò che vedo è un lavoro di ingegneria attento, realizzato sul cantiere da mani esperte e artigianali capaci di valorizzare i più piccoli particolari. Mi piace pensare di poter apportare dei piccoli ma significativi dettagli al progetto che altri realizzeranno, perché saranno quelli che renderanno ancora più UNICA la mia piscina. Come Patrizia mi ha fatto notare, nelle altre tipologie ho visto forme più o meno sempre regolari, mentre in queste piscine la forma è solamente un argomento di gusto e di piacere. La possibilità di avere sponde perpendicolari e degradanti nello stesso momento è fantastico: ogni uso è possibile grazie a questa caratteristica. Ma la cosa che mi sta convincendo maggiormente è la possibilità di avere rifiniture finali uniche potendo scegliere anche il tipo di quarzo naturale che stenderanno sulla superficie della piscina. Quando la realizzerò, e so che la realizzerò, voglio che abbia il colore dalla natura, quello delle spiagge fantastiche della Sardegna, che conosco bene.
Dovrà avere un ingresso come quello di una spiaggia rosa di conchiglie, mentre il fondo dovrà essere bianco per far sì che l’acqua rifletta meglio i colori della natura circostante. All’esterno vorrei poter giocare con colori pastello fra il giallo e il marrone per un giusto ambiente con la mia casa che ha mattoni faccia vista. Fantastico. Il risultato finale è spettacolare, come sarà la mia, come sono certa che la consiglierò anche alla mia migliore amica. Anche io voglio tutto per far sì che sia festa a casa mia.
Unica IL MADE IN ITALY DELLE PISCINE OGGI È UNICA, COSTITUITASI DALL’INCONTRO FRA L’ESPERIENZA DEL SAPER FARE MANUFATTI EDILI E L’ARTE DI COMUNICARLI. IL PROGETTO NASCE DALL’UNIONE DI SPECIFICHE COMPETENZE NEL CAMPO PROGETTUALE, REALIZZATIVO E DI ARREDO DI PISCINE. DA UNA PARTE IL GRUPPO CORAZZA COSTRUZIONI EDILI, CHE LAVORA DA OLTRE SEI DECENNI NEL MONDO DELLE COSTRUZIONI DI CASE DI LUSSO. DALL’ALTRA IL SUPPORTO DI MARKETING E COMMERCIALE DI CONSULENTI CON UNA LUNGHISSIMA ESPERIENZA NEL SETTORE. MORENITO NILO CORRIDORI, NEL SUO CURRICULUM VITAE VANTA LA REALIZZAZIONE DI OLTRE 1.000 PISCINE IN ITALIA, E ANDREA MAZZUCATO, SPECIALISTA NEL CAMPO DELLE FONTANE MONUMENTALI, LAGHI DECORATIVI E RELATIVI ARREDI. UN MIX PERFETTO CAPACE DI REALIZZARE STRUTTURE UNICHE, CHE ARREDANO, APPAGANO E DURANO NEL TEMPO. LA BELLEZZA HA UN VALORE E LO HANNO ANCHE LE COSE CHE LA RICERCANO, MAI BANALI, MAI SCONTATE, MA UNICHE PER GENTE UNICA. WWW.UNICAPISCINE.COM
VE RO NA
VERONA prigioniera di un racconto affascinante
M
entre camminerete lungo le sue strade e le sue suggestive piazze, racchiuse nella sobria imponenza delle antiche mura comunali, proba-
bilmente sarete afferrati dall’impressione di essere immersi in un orizzonte nel quale il fantastico ha finito col prevalere sul reale. E ci avrete visto giusto. Ad aleggiare potentemente su Verona, facendone la città romantica per eccellenza, sarà il racconto senza tempo di Giulietta e Romeo. Un racconto rielaborato magistralmente, non senza attingere sia a fonti addirittura risalenti all’antica Grecia sia a narrazioni
di Piergiuseppe
Bernardi
messe a punto in epoche a lui immediatamente precedenti, dalla straordinaria creatività di William Shakespeare. Questa storia, che ha come protagonisti due ragazzi divisi nel loro irresistibile amore da un’atavica tensione tra le loro rispettive famiglie e destinati da questo stesso contrasto a togliersi la vita proprio a causa della loro passione impossibile, affascinerà dal Seicento in poi intere generazioni. E il fascino
di questo racconto non tarderà a coinvolgere profondamente anche il suo presunto scenario: una Verona di fine del Trecento la cui ombra immaginaria si è venuta estendendo fino alla Verona di oggi, trasformandone in qualche modo la stessa fisionomia e valorizzandone al massimo proprio il suo essere ormai per sempre la romantica città di Romeo e Giulietta.
105
di PierGiuseppe Bernardi
Foto di Andrea SartoriŠ
Sullo scenario del racconto dell’amore e della morte fotografie di Andrea Sartori
La potenza evocativa di un balcone ricostruito
106
La densità di questa ombra remota la percepirete anche se vi limiterete a guardare dal basso, in prossimità di Piazza delle Erbe, il balcone della casa di Giulietta. Quello sotto cui, secondo la narrazione di Shakespeare, Romeo avrebbe sussurrato alla fanciulla preoccupata del pericolo che stava correndo per lei: «Ho il mantello della notte per nascondermi ai loro occhi. Se tu mi ami non mi importa che essi
mi scoprano. Meglio perdere la vita per mezzo del loro odio, che sopravvivere senza poter godere del tuo amore». La suggestione di queste parole sembrerà tuttavia perdere di forza non appena scoprirete che, mentre la casa di Giulietta risale effettivamente al tardo Medioevo, non così è per il famoso balcone. Quest’ultimo, andando a sostituire agli inizi del Novecento la vecchia ringhiera precedente, altro non è che un antico sarcofago scaligero inserito nella facciata che dà sul cortile della casa. Questa scelta architettonica sembra così prefigurare l’esito tragico della
storia, il cui culmine è rappresentato anch’esso da un sarcofago medievale. Neppure quest’ultimo, posto nella cripta dell’ex convento di San Francesco al Corso, ha mai contenuto la salma di Giulietta. E tuttavia a prevalere, anche in questo caso, è il tratto accattivante della leggenda. Sia il balcone sia la tomba della fanciulla, frutto di una accorta strategia che ha saputo creare dal nulla i simboli di una narrazione che aveva come palcoscenico la città, hanno così finito col trasformarsi davvero nei più frequentati monumenti di Verona.
108 L’immaginario medievale su una facciata romanica Le tracce della storia disseminate per Vero-
fumetto ante litteram, sono i momenti
na hanno un altro loro fulcro esteticamen-
centrali dell’antico racconto religioso
te affascinante, sebbene meno appariscen-
ebraico-cristiano. La creazione del primo
te di quello dell’Arena, nella decorazione
uomo, quella degli animali e infine quella
scultorea della facciata della Basilica di
di Eva sembrano prefigurare un mondo
San Zeno. Ai due lati del suo portale, sul
avvolto dalla perfezione in cui Dio lo ha
finire del XII secolo, Maestro Niccolò scolpì
pensato, quasi destinandolo a un’eternità
degli splendidi altorilievi nei quali a essere
senza storia. Laddove tuttavia la spira-
raccontati in chiave figurativa sono alcuni
le del male simboleggiata dal serpente
avvenimenti tratti dall’Antico e dal Nuovo
avvolge quel mondo di luce senza ombra,
Testamento. L’immaginario medievale che
è quest’ultima a insinuarsi capillarmente
in essi risulta essersi sedimentato sembra
nella realtà. A prendere vita dalla cacciata
trovare la sua massima espressività nella
di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre è
parte della decorazione volta a evocare i
dunque la storia, il cui propulsore dinami-
momenti centrali del libro della Genesi. A
co è individuato da Maestro Niccolò proprio
profilarsi attraverso di essa è una vera e
in quel lavoro agricolo i cui frutti, già in
propria narrazione in forma di immagine
quella lontana epoca, costituivano per que-
nella quale a susseguirsi senza soluzione
sti territori un vanto non di rado esibito e
di continuità, come nelle vignette di un
ostentato.
La squisitezza di una cucina accompagnata dall’Amarone Proprio l’agricoltura, quella che Mastro Niccolò rappresenta come condanna dell’uomo a zappare la terra, ha saputo divenire nell’economia veronese un settore decisamente strategico. E la qualità che essa col tempo ha raggiunto la potrete scoprire, da voi stessi, nei cibi e nei vini che connotano la fisionomia enogastronomica di questa città veneta. Se vi piacciono i gusti autentici dei piatti d’antan, venite a provarli alla Trattoria al Bersagliere, in pieno centro, e lasciatevi sedurre dalla raffinatezza degli sfilacci di cavallo, dalla forza dei bigoli al torchio con l’anatra e dai profumi speziati della pastissada, resa unica dalla macerazione della carne nel vino delle colline che circondano la città. Se invece amate la cucina più raffinata, capace tuttavia di trarre ispirazione da questi stessi gusti declinandoli in forme inedite, fermatevi in Casa la Basilica di San Zeno. Sia che scegliate il risotto in bianco con ostriche e capesante o i cappelletti ripieni di porri brasati con spuma di stracchino e crostacei croccanti, sia che decidiate di puntare invece sul petto di piccione con camomilla e polvere di lamponi o sul controfiletto di cervo con crema di cappuccio rosso, mostarda di mela campanina e topinambur, non vi sbaglierete. E se accompagnerete questi piatti con un buon calice di Valpolicella o di Amarone, avrete la conferma di come a contrassegnare le produzioni di questa terra sia un carattere forte e appassionato. Forse lo stesso da cui è scaturito quell’affascinante racconto di amore e morte che da secoli ormai fa da sfondo a questa splendida città attraversata dall’Adige.
109
Perbellini, proprio nella piazza antistante
A
Scienza
ttilio
Bastano pochi dati per comprendere che la viticoltura del nostro Paese sta attraversando una fase di profondi cambiamenti, forse i più importanti dallo scandalo del metanolo degli anni ’80.
110
Vicino a fenomeni noti da tempo, quali la diminuzione dei consumi interni (per fortuna compensati dall’aumento delle esportazioni) e la contrazione delle superfici a vigneto (negli ultimi 15 anni si è perso il 20% della superficie) si evidenziano alcune tendenze che avranno un forte impatto sulle caratteristiche strutturali della viticoltura italiana dei prossimi anni. Le cause sono molteplici e vanno in gran parte ricondotte ai processi di globalizzazione e internazionalizzazione che investono i mercati mondiali del vino.
la viticoltura del nostro paese sta attraversando una fase di profondi cambiamenti
Dagli anni ottanta la concorrenza (non solo sul piano commerciale) del Nuovo Mondo ha imposto profonde modificazioni nello stile, nell’immagine e nei prezzi dei vini, aiutata in questo dalla forza degli opinion leader e dai mezzi di comunicazione d’Oltreoceano. La necessità di adeguare le caratteristiche dei vini alle continue richieste dei nuovi mercati, al di là degli standard qualitativi dei vini tradizionali (soprattutto da parte della GDO), unitamente alla flessione dei prezzi dei prodotti base, ha spinto molti Paesi come il Cile, l’Argentina, il Sud Africa e la stessa Spagna a privilegiare le esportazioni come sfuso, vino che viene imbottigliato nei luoghi di consumo. Sempre più il vino diventa
una commodity, con tutte le conseguenze sul piano della concorrenza mondiale e dei prezzi. La proposta di vini “alternativi” (biologici, biodinamici, naturali, estremi, orange, etc.) non ha modificato sostanzialmente l’offerta, ma ha contribuito alla riscoperta dei vitigni autoctoni e alla valorizzazione dei contenuti evocativi del terroir, ma solo poche varietà e poche Denominazioni sono riuscite a imporsi con successo. Un fatto nuovo, rappresentato dell’ingresso delle multinazionali dell’alcol nel mondo del vino, sta modificando profondamente lo scenario internazionale. Il processo di riorganizzazione delle multinazionali si realizza attraverso processi di concentrazione dei marchi, joint-venture tra grandi produttori e reti distributive, mentre a livello produttivo l’adozione di una filiera integrata (corta) consente di razionalizzare i costi, separando la produzione dell’uva dalla sua trasformazione (con forme di leasing delle cantine) e con una comunicazione basata sui vini di vitigno. La massimizzazione dei profitti si realizza al di là degli interessi locali o nazionali (dando poca importanza alle Denominazioni d’Origine) e valorizzando, per contro, i contenuti comunicativi dei marchi storici. Questi processi di acquisizione coinvolgono sempre più anche le aziende italiane. Questi scenari appaiono a molti lontani dalla nostra realtà quotidiana e vengono quindi valutati con un certo distacco. I loro effetti invece stanno trasformando molto rapidamente la viticoltura del nostro Paese. Sono sufficienti alcuni indicatori per comprendere la portata di queste affermazioni, disaggregando i dati nazionali per regioni, relativamente al valore delle Dop, ai fatturati delle cantine sociali, alla propensione
dove va la vinicultura italiana? all’export, all’evoluzione delle superfici vitate, alla destinazione nel mercato interno dei vini sfusi e ai vitigni maggiormente propagati dai vivaisti. La realtà ci presenta due “Italie” nettamente distinte che viaggiano con velocità molto diverse. Pochi dati ci fanno comprendere chiaramente che la nostra viticoltura si sta polarizzando su tre o quattro regioni del Centro-Nord. Infatti, mentre la Sicilia, la Calabria e il Lazio hanno rispettivamente perso dal 2000 al 2015 il 26,44 e 36% della superfice vitata, nello stesso periodo Veneto, Friuli e Trentino Alto Adige hanno incrementato il loro potenziale viticolo rispettivamente del 10, 22 e 10%. Alla base del successo di queste regioni c’è la capacità di “fare squadra”, l’appoggio delle pubbliche amministrazioni, il supporto della ricerca e il ruolo della formazione dei tecnici, ma soprattutto il grande spirito imprenditoriale dei loro operatori che hanno saputo in questi anni investire sui mercati internazionali, attraverso la valorizzazione dei loro marchi e dei vini più famosi dei loro territori (su tutti le grandi Denominazioni della Toscana, del Veneto e del Piemonte), sui vini da vitigno come il Pinot Grigio e Prosecco, molto apprezzati dai mercati più ricchi e praticamente senza concorrenti, con politi-
che di prezzo talvolta spregiudicate, ma che sono apparse, sui grandi numeri, vincenti. Questo ha favorito il rinnovo e la crescita dei vigneti, gli investimenti in innovazioni viticole e in tecniche di cantina, il potenziamento dell’offerta turistica legata al vino e il ritorno dei giovani in agricoltura. E il resto dell’Italia? Quello delle piccole Denominazioni e delle micro-aziende, soprattutto delle regioni meridionali, si atomizza e lentamente scompare. Pur facendo le debite distinzioni tra zona e zona, si evidenzia in generale un invecchiamento dei vigneti (il tasso di rinnovo annuale è sotto la soglia di sicurezza per il mantenimento del potenziale viticolo nazionale) e la difficoltà a comunicare i valori dei territori e dei vitigni autoctoni all’estero per mancanza di risorse e per la grande frammentazione delle iniziative di comunicazione, ma è soprattutto la progressiva erosione del reddito dei viticoltori, le vere vittime di questa situazione, l’aspetto su cui devono concentrarsi gli interventi per una rinascita. La conseguenza più grave di questo stato di cose è l’erosione della viticoltura delle regioni meridionali del nostro Paese, con il rischio di perdere irrimediabilmente, nei prossimi anni, la cultura e le tradizioni più profonde di interi territori viticoli. Non è facile
proporre soluzioni e rimedi, ma è necessario ripartire dalla viticoltura per renderla più competitiva, anche nei riguardi del cambiamento climatico, sul piano della razionalizzazione delle tecniche di produzione per abbassarne i costi e aumentarne la produttività a ettaro. La necessità di contrastare gli effetti del cambiamento climatico e di assecondare l’esigenza di sostenibilità del consumatore esige un nuovo approccio alla produzione dell’uva e del vino. Il futuro della viticoltura non sarà più nella separazione tra la produzione e il consumo: sarà necessaria una visione olistica del mondo dove l’espressione “sviluppo” sostenibile non deve più essere considerato un ossimoro, ma un traguardo raggiungibile attraverso i risultati della ricerca e dell’innovazione. Il ruolo della stampa sarà, in questo progetto, strategico perché consentirà al consumatore di conoscere in tempo reale i successi che si raggiungeranno con l’applicazione dei protocolli di certificazione di eco-compatibilità nella produzione del vino e consolidare così il suo rapporto fiduciario con il mondo della produzione.
Le migliori bollicine
Metodo Tradizionale
Non
2017
chiamatela “guidina”! Non è nostra intenzione
anni di marciapiede. Sboccature vecchie ancora in vendita in
guidare al consumo o all’acquisto di una etichetta. Da tanti anni
grandi enoteche o ristoranti. Forse c’è ancora bisogno di una
frequento commissioni camerali, banchi assaggio, faccio viag-
“formazione” a 360 gradi: quanta strada deve ancora fare il
gi all’estero visitando cantine, degustazioni guidate e per gui-
mondo delle bollicine Metodo Tradizionale italiano per essere
de… forse su “bollicine&spumanti” posso dire la mia dopo 40
conosciuto, considerato, tipo gli Champagne? Cultura italiana
anni di prove e di esami. Stavolta mi dedico al Metodo Tradizio-
ferma ai vini fermi! Scusate il gioco di parole non preciso tecni-
nale, no grazie Metodo Classico. Non mi va di “gridare” la sco-
camente, ma corre l’obbligo di fare qualcosa di più. Un plauso
perta delle bollicine minori, non esiste una storia di maggiore o
ai consorzi Trento e Franciacorta per la disponibilità e lo sforzo
minore, ma la scoperta di un ottimo (al di sopra di 88/100 otte-
di “girare” e far conoscere… certo incontri dispendiosi e costo-
nuti fra più degustatori) calice effervescente, piacevole, appa-
si… ma tanto utili quanto importanti per fare cultura verticale e orizzontale. Merita ram-
112
gante, emozionante. Certamente la Franciacorta dal 1992 ha “aperto” un percorso (come il Prosecco DOCG-DOC più recentemente) ma come già lo avevano fatto aziende come Ferrari e Berlucchi, con una scelta esclusiva del metodo di produzione, mentre altri territori, altre imprese avevano puntato su una etichetta particolare fra
Grazie
!
mentare l’estate 2017 ”spumeggiante” a Madonna di Campiglio: hotel 4 stelle
Grazie alle 206 case spumantistiche che hanno risposto al nostro invito. Anche tramite i consorzi Franciacorta, Trento, Alto Adige, Soave, Lambrusco, Colli Euganei-Colli Berici, grazie. I Saggiamentali hanno assaggiato, da soli o in gruppo, 701 campioni fra ricevuti e acquistati
lusso, patron impeccabile, cena personalizzata perfetta, degustazione guidata di 6 GF esclusivi del gruppo Lunelli, presenti 15 persone, ma che addetti
le altre: il Cortese di Gavi, l’Aspri-
ai lavori! Così si fa, questo
nio, il Fiano, il Verdicchio, il Gre-
fa cultura. Chapeau a una
co, il Negroamaro… Mi meraviglio delle “scoperte” dei neofiti
grande casa spumantistica che forse – fra tutte – sarebbe l’ulti-
addetti-blogger dell’online che si auto beatificano di lanci mi-
ma ad averne bisogno con i suoi 115 anni di vita. Complimenti a
racolati! La comunicazione non è l’oppio degli sprovveduti, ma
Marcello Lunelli, a Marco Masè, alle Dolomiti, all’Istituto Tren-
una scienza che va studiata, provata, riprovata e constatata per
to Doc, al Consorzio Alto Adige doc, al Consorzio Trentino Doc.
anni per poi sapere cosa dire e scrivere. Dopo anni di gavetta.
Per le degustazioni di Franciacorta ringrazio in primis Giaco-
Abbiamo degustato a occhi bendati, abbiamo voluto assag-
mo Mela e Lorenzo Colombi. Per i Trento e Alto Adige, gli storici
giare e riassaggiare il meglio del meglio, anche di annate
consigli e compagni di banco negli anni come Roberto Gatti,
e millesimi fuori commercio, e fra tutte ne abbiamo indi-
Osvaldo Murri e Francesca Negri. È doveroso ringraziare per le
viduato – a fatica – 60. Ci rammarica che alcuni importan-
prove “esterne” di Franco Ziliani; per i fondamentali approfon-
ti consorzi e associazioni nazionali non abbiano risposto
dimenti in tanti anni di amicizia e scontri Rocco Lettieri, Ne-
all’invito di poter assaggiare i campioni. Quando abbiamo
reo Pederzolli; la condivisa passione del direttore Gian Arturo
potuto, abbiamo acquistato le bottiglie, direttamente in zona
Rota, le precise indicazioni di Nichi Stefi, le importanti disqui-
di produzione o di grande consumo, confrontando date di
sizioni di Antonio Paolini e Michele Shah già compagni nel per-
sboccatura e millesimi, schede tecniche e storie racconta-
corso “spumeggiante” con le Guide Oro Veronelli Editore.
te nei siti aziendali… tutto molto istruttivo anche dopo 40
Franciacorta Vezzoli Vendemmia Zero Pas Dosé, Franciacorta DOCG
ticità di pane e Platano cotto, fiori di pesco e albicocca. Palato forte ed evoluto, asciutto e di corpo, note di gesso terroso e pera Kaiser cotta, raffinato
arancio, pesco e nespolo. Gusto elegante, avvolgente e suadente, corposa freschezza vegetale, finale fruttato elegante e crema vaniglia di grande beva.
equilibrio acido-minerale di piacevole persistenza
Villa Emozione Brut Millesimato
e tosta longevità.
2013, Franciacorta DOCG Brut, vendemmia 2013, uvaggio 85%
Dosaggio Zero, senza annata,
Chardonnay, 10% Pinot Nero, 5%
uvaggio Chardonnay in purezza
La Fiòca brut, Franciacorta DOCG
Pinot Bianco
Brut, senza annata, uvaggio 85% di Giuseppe Vezzoli, via Costa Sopra, 22 - 25030 Erbusco (BS)
Società Agricola La Fiòca srl, via Villa, 13/B località Nigoline - 25040 Corte Franca (BS)
www.vezzolivini.it
www.lafioca.com
Perle finissime, continue, regolari ed esuberanti su un abito paglierino oro brillante. Al naso è vivido di frutta, uva e fiori di pesca noce bianchi. In bocca è rigoglioso e croccante, ottimo equilibrio frutto-acido, toni di ananas, mandorla fresca e crema; finale sapido e iodato.
Villa Franciacorta, località Villa, 12 -
Chardonnay e Pinot Bianco
Azienda Agricola Vezzoli Giuseppe
Sguardo su bollicine continue e persistenti formanti una bella corona uniforme e leggera su un corpo color paglia tenue e bagliori verdolini. Profumi delicati eterei, piacevoli e in movimento di fiori di prato e di agrumi. In bocca è semplice ed elegante, fresco
25040 Monticelli Brusati (BS) www.villafranciacorta.it
Effervescenza carbonica fine e ben compressa, evolvente in una corona sottile continua tenuta viva da una catenella rigogliosa centrale. Colore paglia cristallino con mèches oro. Ventaglio aromatico di fiori gialli e di crosta di pane. In bocca è pieno, corposo e fruttato, fresco e appagante con finale elegante di frutta secca.
e pieno, giustamente acidulo-morbido con finale invitante di mela verde e pan-brioche.
Cavalleri Brut Collezione Grandi Cru Millesimato 2011, Franciacorta
Ferghettina Riserva 33 La Montina Brut, Franciacorta
DOCG Dosaggio Zero,
DOCG Brut, senza annata,
vendemmia 2010, uvaggio
uvaggio 85% Chardonnay e Pinot Nero
Chardonnay in purezza Azienda Agricola Ferghettina
Tenute La Montina, via Baiana, 17 - 25040
di Roberto Gatti, via Saline, 11 -
Monticelli Brusati (BS) www.lamontina.com
25030 Adro (BS) www.ferghettina.it
Effervescenza persistente e ricca con tavolozza pie-
Corpo color paglia e nuances d’oro per un’efferve-
na di bollicine diversificate su corpo di colore pa-
scenza evolvente in una corona dinamica, alimen-
glierino e riflessi smeraldini. Evidente quadro aro-
tata da una finissima catenella centrale. Profumi
matico di fiori di campo, melissa e frutti agrumati.
intensi e piacevoli di frutta matura e candita. Sa-
In bocca è fresco, invitante, piacevole con finale di
pore deciso, pulito nitido, elegante e pieno, con di-
cedro su toni acido-minerali e carbonico-rotondi di
dattiche note di pangrissino e avvolgente finale di
grande beva.
DOCG Brut, vendemmia 2011, uvaggio Chardonnay in purezza Azienda Agricola Gian Paolo & Giovanni Cavalleri, via Provinciale, 96 - 25030 Erbusco (BS) www.cavalleri.it
Mousse ammagliante evanescente in una corona spessa di finissime bolle alimentate da sorgenti sinuose e lente in un corpo paglierino-giallo. Ventaglio aromatico frutto-fiori elegante e raffinato. Gusto pieno e fresco, strutturato e sapido, croccante con note di cedro candito e pane, finale rotondo quasi tannico.
Monte Rossa Coupè Non Dosato,
mandorla fresca e noce secca.
Franciacorta Dosaggio Zero, senza annata, uvaggio 88%
Lo Sparviere Cuvée 7 Brut, annata, uvaggio Chardonnay in
Millesimato 2011, Franciacorta
purezza
DOCG Dosaggio Zero, vendem-
Azienda Agricola Lo Sparviere, via
mia 2011, uvaggio Chardonnay in
Costa, 2 - 25040 Monticelli Brusati (BS)
purezza Pian del Maggio Società Agricola, via Iseo, 108 -
www.losparviere.com
25030 Erbusco (BS)
Colore paglierino con riverberi di seta gialla e spu-
www.piandelmaggio.it
ma brillante, spontanea ed evidente, bollicine com-
Spumeggiante intenso ed evidente con corona sottile finale e fonte di catenelle leggere in un colore giallo paglierino intero. Buoni aromi di fiori ed erba secca e di pane cotto. Palato pieno e lievito pregnante, evoluto e fresco, toni di melone maturo e finale
Chardonnay e Pinot Nero
Franciacorta DOCG Brut, senza
Pian del Maggio Furente Nature
patte e uniformi. Bouquet femminile e delicato di fiori di biancospino, gelsomino, tiglio. Gusto nitido e diretto, buon costrutto, fresco, sapido e minerale
Società Agricola Monte Rossa srl, via Monte Rossa, 1 - 25040 Bornato di Cazzago San Martino (BS) www.monterossa.com
Effervescenza ampia regolare, corona semplice continua con diverse sorgenti lineari su un vestito giallo paglierino. Aromi delicati eterei di fiori di anisetta e di pesco. In bocca giustamente evoluto, acidità cremosa fragrante con toni sapidi di freschezza balsamica e un finale salmastro di mandorla schiacciata.
di gran beva, con tono d’agrumi, caramella di miele e burro d’arachidi.
Ca’ del Bosco Annamaria Clementi Rosè Millesimato 2007,
pastoso acido-caffeina, piacevole e caratteristico.
Franciacorta DOCG Riserva Extra
Bellavista Gran Cuvée Alma
Brut Rosé, vendemmia 2007,
Brut, Franciacorta DOCG Brut, Faccoli Riserva Millesimato 2007,
senza annata, uvaggio 77%
Franciacorta DOCG Riserva Extra Brut, vendemmia 2007, uvaggio 70% Chardonnay, 25% Pinot Bianco e Pinot Nero Azienda Agricola Faccoli Lorenzo, via Cava, 7 25030 Coccaglio (BS) www.faccolifranciacorta.it
Colore brillante paglia-dorata portante una corona di bolle piccole ed eteree. Elegante e intensa aroma-
Chardonnay, 22% Pinot Nero, 1%
Pinot Bianco
Cantina Bellavista, via Bellavista, 5 - 25030 Erbusco (BS) www.bellavistawine.it
Spuma abbondante, cremosa e uniforme, con corona sottile e circolare formata da catenelle lente e continue in un corpo paglia brillante con lampi smeraldini. Quadro olfattivo floreale diretto di
uvaggio Pinot Nero in purezza Ca’ del Bosco, via Albano Zanella, 13 - 25030 Erbusco (BS) www.cadelbosco.com
Vestaglia limpida brillante rosa con nuances petalo d’azalea pallido con corona circolare di perle fitte, finissime, salenti sinuose e continue da più sorgenti. Ventaglio aromatico intenso e ampio. Sapore complesso e fresco, strutturato e di grande beva, finale lungo pastoso, sensuale, evoluto, acido, minerale.
113
Millesimato 2010, Franciacorta
Fratelli Berlucchi Freccianera Rosa
Majolini Satèn Brut Millesimato
Millesimato 2013, Franciacorta
2013, Franciacorta DOCG,
DOCG Rosé Brut, vendemmia 2013,
vendemmia 2013, uvaggio
uvaggio 40% Chardonnay, 30% Pi-
Chardonnay in purezza
not Nero in bianco, 30% Pinot Nero in rosato Azienda Agricola Fratelli Berlucchi, via Broletto, 2 - 25040 Borgonato di Corte Franca (BS) www.fratelliberlucchi.it
Ampia vestigia di petali di rosa delicati con bollicine esuberanti dai bagliori rosati e corona circolare spessa. Al naso aromi maturi evoluti di fiori rossi di frutta di bosco e crosta di brioche. In bocca è ricco e fresco, titolato con un equilibrio forte acido-morbido e finale di ribes passito, elegante candito e tocco di vaniglia.
Maso Martis Madame Martis Millesimato 2007, Trento DOC Brut, vendemmia 2007, uvaggio 70% Pinot Nero, Chardonnay e Pinot Bianco
Majolini srl, via Alessandro Manzoni, 3 località Valle - 25050 Ome (BS)
Maso Martis, via dell’Albera, 52 - 38121 Martignano (TN)
www.majolini.it
www.masomartis.it
Elegante vestaglia spessa con ottima doratura perfettamente trasparente con nobile corona appena accennata e continue sinuose lente catenelle. Aromi di magnolia e pancarrè tostato. Palato appagato, setoso e croccante di frutta passa, fresco e pietroso con elegante finale acido carbonico, entusiasmante.
Di sguardo effervescente intenso a calare in una quasi lineare corona di perle finissime invisibili su un bel abito giallo, cristalli e bagliori dorati. Ha variabili profumi intensi e maturi invitanti e intriganti di diversi livelli. Saporoso e cremoso lievito di pasta sfoglia, fine, elegante e armonico, carbonica carburata finale con tocco di propoli secchi e vaniglia.
Massussi Mi&Mi Satèn Brut Balter Brut, Trento DOC
Millesimato 2013, Franciacorta
Franciacorta Satèn Cola Satèn Brut Millesimato 2012, Franciacorta DOCG , vendemmia 2012, uvaggio Chardonnay in purezza Azienda Agricola Cola Battista, via Indipendenza, 3 - 25030 Adro (BS)
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www.colabattista.it
Bel colore paglia con lampi zecchino, effervescenza fine e omogenea diafana in una corona leggera e vivace. Bouquet di farina macinata e fiori di limoni. Beva pronta e intensa, calore e struttura, acidità speziata gradevole, finale di pane grigliato, tabacco chiaro ed elegante crema di mandorla.
DOCG, vendemmia 2013, uvaggio
Brut, senza annata, uvaggio
85% Chardonnay, 15% Pinot
Chardonnay in purezza
Bianco Azienda Agricola Massussi Luigi, via S. Bonomelli, 60/C - 25049 Iseo (BS) www.massussifranciacorta.it
Vestaglia di un ottimo colore giallo paglierino, con lampi smeraldini sormontante un’effervescenza cremosa vaporosa in una continua corona circolare con diverse fonti di perle finissime. Profumi eleganti di fiori secchi gialli come margherita e camomilla. In bocca fresco, piacevole, grande beva con finale persistente equilibrato di brioche e minerale.
annata, uvaggio Chardonnay in purezza Azienda Agricola Vigna Dorata, via Sala, 80 - 25046 Calino di Cazzago San Martino (BS) www.vignadorata.com
Bollicine tumultuose, compatte e fini evanescenti in una lineare corona accennata su un corpo paglierino-giallo lampeggiante. Aromi ampi di frutta di agrumi diversi con trame di pietra. Al palato è fresco, delicato e fine, buona struttura con evidenti toni di lievito e assaggio finale pieno con tono di confetto.
Marzaghe Premier Satèn Brut, Franciacorta DOCG, senza annata, uvaggio Chardonnay in purezza Azienda Agricola Marzaghe, via Consolare, 19 - 25030 Erbusco (BS) www.
marzaghefranciacorta.it
Abito classico paglierino leggermente carico, effervescenza carbonica intensa e dirompente all’inizio, adagiata in comoda corona appena accennata. Spettro olfattivo di pompelmo e pera Abate. Gusto corposo e pieno, fragrante e nitido, accenni vanigliati con note di gheriglio secco e finale acidulo rotondo piacevole.
Bel colore giallo di alto profilo, con effervescenza persistente e corona di bollicine minute vaporose. Profumi intrisi di pera Williams e mela Renetta. In bocca è succoso e fresco, di gran beva, con titolo e mineralità, finale vegetale con gheriglio di noce e piacevole pasta brisé lievitata.
Fondatore Millesimato 2006, Trento Berlucchi Palazzo Lana Satèn
DOC Extra Brut, vendemmia 2006,
Riserva 2008, Franciacorta DOCG
uvaggio Chardonnay puro di
Satèn Brut Riserva millesimato,
Maso Pianizza
Chardonnay in purezza Franciacorta DOCG, senza
www.balter.it
Ferrari GF Giulio Ferrari Riserva del
vendemmia 2008, uvaggio Vigna Dorata Satèn Brut,
Azienda Agricola Balter snc, via Vallelunga II, 24 – 38068 Rovereto (TN)
Guido Berlucchi & C SpA, piazza Duranti, 4, 25040 Borgonato di Cortefranca (BS) www.berlucchi.it
Mousse spumeggiante di bollicine fini continue, adagiate in sottile corona circolare con più di una catenella sinuosa e lenta. Colore giallo dorato. Profumi di agrumi esotici e di fiori secchi. Immediato sapore fresco con sapidità acida minerale, corpo setoso, di grande beva, finale con toni eleganti di candito e lievito rotondo.
Ferrari F.lli Lunelli SpA, via Ponte di Ravina, 15 - 38121 Trento www.ferraritrento.it
Effervescenza misurata controllata giusta in dissoluzione lenta, formante una nobile corona finissima e dinamica alimentata da fontanella di perle lente, sinuose. Abito paglia intenso, appetitoso. Profumi raffinati di menta e noce a livelli diversi. Il sorso è esplosivo, cremoso e setoso, pane arrostito, grande complessità fra toni di tè, carburo stemperato da carbonica viva, pietra focaia e finale di pomodoro rosso secco.
Pojer e Sandri Cuvée Extra Brut,
Trento DOC Opera Valdicembra Opera Brut Millesimato 2012, Trento DOC Brut, vendemmia 2012, uvaggio
Vino Spumante di Qualità Extra Brut, senza annata, uvaggio 50% Chardonnay e 50% Pinot Nero Azienda Agricola Pojer e Sandri, località Molini, 4 - 38010 Faedo (TN) www.pojeresandri.it
Chardonnay in purezza Opera Vitivinicola in Valdicembra, via Tre Novembre, frazione Verla - 38030 Giovo (TN) www.operavaldicembra.it
Bella vista su effervescenza brillante, con appagante corona continua e bel colore paglia e vene cristalline. Naso intenso minerale e floreale di mela e di cedro. Bocca gustosa e piena, fresco fruttato-acido ancor di corpo, croccante di crema e di canditi fruttati e finale dinamico morbido di mandorla.
Corpo giallo molto spesso invalicabile intenso, sormontato da una brillante spuma calante in una corona continua vivida dinamica ben alimentata. Quadro aromatico di grande espressione e personalità, fra geranio e tiglio. In bocca è uno spettro di sapori fra vegetale e minerale, salato e sapido, con finale elegante di noce e meringa.
Brut, senza annata, uvaggio Chardonnay in purezza Rotari Trento DOC, via Tonale,
La Scolca Millesimato d’Antan Millesimato 2006, Vino Spumante di Qualità Brut, vendemmia 2006, uvaggio Cortese di Gavi DOCG in purezza
110 SS 43 Val di Non - 38016 Mezzacorona (TN) www.mezzacorona.it – www.rotari.it
Spuma fine lenta intensa compatta invitante su basamento di un bel giallo paglierino con riflessi smeraldini. Aromi floreali gialli di campo, secchi e passi. In bocca carbonica calda di interessante beva, ampio e ricco, sapidità fresca e morbida, equilibri rotondo-acido-minerale con un finale di pera Kaiser e nocciola.
Alto Adige
La Scolca, strada per Rovereto, 170/R - 15066 Gavi (AL) www.lascolca.net
Effervescenza delicata, fitta e minuta, persistente il giusto, su una vestaglia giallo brillante con lampi dorati. Al naso è pulito e intenso di fiori d’arancio, di frutta esotica matura. Grande struttura e corpo, fresco e forte, asciutto con prolungata acidità arrotondata da toni di crosta di pane tostata e cacao, finale di melograno, mandorla e miele.
Kettmeir Athesis Brut Millesimato
Rocche dei Manzoni Valentino Riserva Brut Zero Millesimato 2011, Vino Spumante di Qualità Brut, vendemmia 2011, uvaggio Chardonnay in purezza
2014, Alto Adige DOC Brut, vendemmia 2014, uvaggio Chardonnay, 30% Pinot Bianco e 10% Pinot Nero Kettmeir SpA, via Cantine, 4 - 39052 Caldaro (BZ) www.kettmeir.com
Spuma di bollicine piccole regolari con più fontanelle di perle continue lente sinuose su abito paglierino brillante e bagliori smeraldini dorati. Profumi delicati e fini, eterei di narciso e lievito burroso. In bocca è fresco elegante raffinato, asciutto e consistente, nota di kiwi, finale binario piacevole di platano e nocciole secche.
Fontanafredda Vigna Gatinera
Piemonte
Podere Rocche dei Manzoni, località Manzoni Soprani, 3 - 12065 Monforte d’Alba (CN) www.roccadeimanzoni.it
Bollicine cristalline impetuose e roboanti poggianti in una corona evidente finissima con fonte continua su corpo giallo paglia e lampi oro. Quadro aromatico floreale intenso di acacia e pesco. In bocca ha corpo, tensione e carattere, mix ideale acidulo-rotondo, minerale e sapido, finale caratteristico di crema pasticcera.
Brut Millesimato 2008, Alta Langa DOCG Brut, vendemmia 2008, uvaggio Pinot Nero in purezza Fontanafredda srl, via Alba, 15 - 12050 Serralunga d’Alba (CN) www.fontanafredda
Vestaglia biondo-paglierino con riflessi verdolini porta un’effervescenza dirompente svanente in un piano completo alimentato di perle minute, dinamiche. Olfatto fuso di ortica, felce e fiori di biancospino. In bocca titolo contenuto, grande struttura e note di pane tostato, trame di pesca e pera Madernassa, finale acido-fresco e morbido-speziato.
CALUSO ERBALUCE DOCG Cieck Calliope, Erbaluce di Caluso DOCG Brut millesimato, uvaggio Erbaluce in purezza Azienda Agricola Cieck ss, Cascina Castagnola, 2 - 10090 San Giorgio Canavese (TO) www.cieck.it
Spuma fine delicata evanescente con continue bollicine crescenti su un corpo giallo brillante. Profumo di fiori di campo gialli e di vaniglia matura. Gusto fresco e continuo, ottimo binomio acidità e morbidezza, finale ricco di note di lievito e pane cotto con spunti piacevoli di mela gialla.
Arunda Excellor Extra Brut Rosè, Coppo Riserva del Fondatore Piero Coppo Brut Millesimato 2006, Vino Spumante di Qualità, vendemmia 2006, uvaggio 60% Pinot Nero e Chardonnay
Alto Adige Extra Brut rosato, senza annata, uvaggio Pinot Nero in purezza Arunda Metodo Classico di Josef Reitener, 39010 Meltina (BZ) www.arundavivaldi.it
Bollicine vivissime continue intense rigogliose formanti corona spessa dai riflessi rosati su corpo color buccia di cipolla e pesca noce dorata. Profumi nitidi di mora rossa piccante e lievito di pane insieme. In bocca è fresco e rotondo, di corpo e struttura, ottimo equilibrio acido-sapido, finale di tartufo e erbe speziate
Orsolani 1968 Cuvée Tradizione, Erbaluce Caluso DOCG Brut millesimato 2010, uvaggio Erbaluce in purezza Orsolani, via Michele Chiesa, 12 -
Coppo srl, via Alba, 68 - 14053 Canelli (AT) www.coppo.it
Bella spuma rigogliosa sfumante in una coroncina spessa di perle dinamiche salenti lente e sinuose con continuità infinita. Corpo giallo e mèches d’oro. Profumi di fieno e cedro. In bocca è salatino e minerale, corposo con saggi di vaniglia e rosmarino, pancarrè tostato su un finale di nerbo acido fruttato mandorla salata.
10090 San Giorgio Canavese (TO) www.orsolani.it
Effervescenza continua e abbondante con perle lente e lineari, giallo paglierino carico. Aromi fini delicati di erbe aromatiche officinali e toni di mentuccia. In bocca è maturo e complesso con esaltanti note di nocciola e miele su una equilibrata mineralità.
Comitissa Gold Gran Riserva Millesimato 2006, Alto Adige DOC Brut, vendemmia 2006, uvaggio mix Pinot Bianco e Pinot Nero
ALTA LANGA DOCG
Lombardia
Cantina Spumante Lorenz Martini, via Giulio Cocchi Toto Corde Brut Millesimato 2011, Alta Langa DOCG Brut, vendemmia 2011, uvaggio 70% Pinot Nero e Chardonnay
Pranzoli, 2/d – 39057 Cornaiano (BZ) www.lorenz-martini.com
Catenelle continue di perle finissime salenti sinuose e lente in un corpo giallo dorato brillante. Aromi armonici di frutta secca tostata e fiori di mango secchi. Carbonica ossigenata fresca in bocca, pieno e forte, tono di crema e susina candita, persistente retrogusto elegante sapido con trama di pietra e minerale.
Giulio Cocchi Spumanti srl, via Liprandi, 21 - 14023 Cocconato (AT) www.cocchi.com
Effervescenza limpida di minute e continue bollicine stese nel calice e tranquille su un abito paglierino brillante e carico. Piatto olfattivo molto ampio dall’uva spina all’arancio candito e nespola. Palato spesso, buona bilancia acido-morbido, finale rotondo di gelatina burrosa e salgemma sapido-citrica.
Ballabio Farfalla, Oltrepò Pavese DOC Extra Brut, senza annata, uvaggio Pinot Nero in purezza Ballabio Società Agricola srl, via San Biagio, 32 - 27045 Casteggio (PV) www.ballabio.net
Bolle finissime persistenti anche rigogliose formanti sottile corona circolare continua su un abito giallo paglierino anche intenso. Profumi ampi e freschi di rosa e di frutto giallo elegante. In bocca ha sapida freschezza, una ossigenazione gradevole nervosa e profonda, con finale pieno e delicato di mandorle secche.
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Rotari Cuvée 28+, Trento DOC
Giorgi Gran Cuvée Storica 1870, Oltrepò Pavese DOCG Pinot Nero, vendemmia 2012, uvaggio Pinot Nero in purezza
Cà Rovere Brut Millesimato, Vino Spumante di Qualità Brut, vendemmia 2013, uvaggio 70% Chardonnay e Garganega
Veneto Friuli Venezia Giulia
Giorgi snc, frazione Camponoce,
Sandro De Bruno Durello Riserva
39/A - 27044 Canneto Pavese (PV)
36 Mesi, Lessini Durello DOC
www.giorgi-wines.it
Extra Brut, vendemmia 2010, uvaggio 85% Durella e 15% Pinot
Spumeggiante briosa mousse di bollicine finite in
Bianco
piccola corona circolare continua su vestaglia di un bel giallo invitante. Profumi di erbe dell’orto, menta
Azienda Agricola Sandro De
e rosmarino. Gusto secco e armonico, di corpo ben
Bruno di Ferraretto Marina, via
strutturato, toni di brioche misti a vaniglia, finale
Santa Margherita, 26 frazione Pergola – 37030
lungo fresco croccante.
Montecchia di Crosara (VR)
Cà Rovere Azienda Agricola, via Bocara - 36045 Alonte (VI) www.carovere.it
Effervescenza persistente cristallina, evolvente in una semplice corona di minute bollicine, poche, in un abito color paglia con riflessi dorati. Spettro aromatico di margherita e ginestra e di lievito di pasta. In bocca è salmastro e fragrante, equilibrata armonia, propoli e melone bianco, finale tono amarognolo di nocciolina.
www.sandrodebruno.it Ruiz de Cardenas Galanta Rosé, Vino Spumante di Qualità Brut rosato, senza annata, uvaggio 75% Pinot Nero e Chardonnay Azienda Agricola Ruiz de Cardenas, strada delle
Effervescenza vivace e dinamica persistente con mi floreali ampi di biancospino, gelsomino e arancio con nota di lievito di pane. In bocca è avvolgente, sapido e fresco, con gradevoli sentori minerali e di propoli caldi.
Mollie, 35 frazione Mairano - 27045 Casteggio (PV) www.ruizdecardenas.it Lessini Durello Riserva 60 Mesi,
Effervescenza finissima omogenea e regolare fit-
Lessini Durello DOC Extra Brut,
tezza con sorgenti sparse e piccola corona per uno
vendemmia 2008, uvaggio 85%
sguardo rosa salmone tenue brillante. Profumi
Durella e 15% Pinot Nero
eleganti e fini di piccoli frutti rossi e neri e fiore di rabarbaro. Gusto piacevole di lievito pulito e di
Giannitessari EIB, via Prandi, 10 - 37030 Roncà (VR)
sciroppo di lampone, bella morbidezza fruttata e
www.giannitessari.wine
minerale, finale succoso cremante.
Cantarutti Alfieri Epilogo di Cantalfieri Blanc de Noir Millesimato, Vino Spumante di Qualità Brut, uvaggio Pinot Nero in purezza
corona presente. Colore paglierino intenso. Profu-
Bollicine cariche vivaci voluttuose con sinuosità
Azienda Cantarutti Alfieri, via Ronchi, 9 - 33048 San Giovanni al Natisone (UD) www.cantaruttialfieri.it
Spuma ricca minuta sottile compatta gradevole sfumata in corona di perle poco dinamiche. Colore paglia con riflessi dorati. Quadro olfattivo di agrumi e biscotto con toni di gelso. In bocca personalità solida con carattere, equilibrata struttura evoluta, pera cacao e tabacco biondo, retrogusto rotondo di frutta candita
ascendente, finissime, lentamente evanescenti. Un Costaripa Grande Annata Rosè Brut,
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Vino Spumante di Qualità rosé Brut, senza annata, uvaggio 80% Chardonnay e Pinot Nero
bel colore giallo-oro squillante con nuances verdoli-
Puiatti Ribolla Gialla Extra Brut, Vino Spumante di Qualità Extra Brut, senza annata, uvaggio Ribolla Gialla in purezza
ne. Ventaglio di aromi di fiori ed erba di campo secca, cremoso e nitido, fresco e fragrante con finale di noci e nocciole su acidità e nota di pietra.
Costaripa, via della Costa, 1/A 25080 Moniga del Garda (BS)
Buvoli Cinque Pas Dosé,
www.costaripa.it
Vino Spumante di Qualità, vendemmia 2009, uvaggio Pinot
Abito oro-rosa-cotto imprunetano con effervescen-
Nero in purezza
za forte e con piega veloce su un’intera tovaglia di bollicine vivaci. Spettro aromatico pungente di fra-
Opificio del Pinot Nero sas, via
goline e mandorle appassite. Di bocca carbonica calda e freschezza acida, titolo equilibrato, lievito minerale e toni di muschio, finale con personalità, molto diretto.
Medici, 18/1 - 36100 Vicenza
www.opificiopinotnero.it
Corona delicata e mossa, creata da diverse sorgen-
Puiatti Vigneti srl, località Zuccole, 4 - 34076 Romans d’Isonzo (GO) www.puiatti.com
Bella effervescenza persistente e compatta di bollicine con bagliori gialli che diventa una semplice corona di lenta formazione. Color paglia e riflessi dorati. Quadro aromatico di fiori di acacia e gelsomino. Gusto di vellutata di nespole e ananas, boisé e diretto, di buon corpo fresco, finale amarognolo di mallo di noce e acidulo fresco di pompelmo maturo.
ti di bollicine minute e salenti sinuose. Abito giallo brillante pieno. Profumi di foglie rosse di acero e Cà Maiol Lugana Brut, Lugana DOP Brut, vendemmia 2012, uvaggio Trebbiano di Lugana in purezza
fieno di medica. In bocca è gustoso di grande beva, con struttura equilibrata, frutta rossa matura e fresca, finale di resina e spezie aromatiche.
Azienda Agricola Cà Maiol, via dei Colli Storici, 119 - 25080 Moniga del
Bellenda S.C.1931 Pas Dosé,
Garda (BS)
Conegliano Valdobbiadene DOCG
www.camaiol.it
Prosecco Superiore, vendemmia 2009, uvaggio Glera in purezza
Spumeggianti bollicine fini e continue, salenti e diafane in perline dinamiche laterali su una vestaglia giallo
Bellenda srl, via Gaetano Giordano, 90 - 31029
paglierino tenue. Ampio bouquet di fiori di maggiora-
Carpesica (TV)
na e fieno di prato. Sorso balsamico di lievito, toni di
www.bellenda.it
pera Williams, fresco e di corpo, salmastro con carbonica finale al gusto di pasta di crostata di frutta.
Bollicine espansive e catenelle continue in evanescenza misurata. Corpo brillante giallo paglierino. Caratterialmente aromatico e fragrante di crosta di pane. Gusto croccante di burro fresco, pera cremosa con finale avvolgente e delicato di minerale e piacevole carburo.
Emilia Romagna Cantina della Volta Lambrusco Brut Rosé, Modena DOC Lambrusco Brut rosè, vendemmia 2012, uvaggio Lambrusco di Sorbara in purezza Cantina della Volta, via per Modena, 82 - 41030 Bomporto (MO) www.cantinadellavolta.com
Bollicine infinite, regolari e persistenti finissime sopra un invitante colore rosa tenue, occhio di pernice. Profumi di lampone, di rosa Canina e delicati sentori di pane. In bocca fresco vinoso, sapido piacevole con titolo contenuto, piccante e asciutto e acidulo-morbido per un finale che richiama il melograno e le noccioline saline.
Bellei Extra Cuvée Brut Rosso, Vino Spumante di Qualità Brut, vendemmia 2011, uvaggio Lambrusco di Sorbara in purezza Francesco Bellei & C. srl, via Nazionale 130/132 Cristo di Sorbara - 41030 Bomporto (MO) www.francescobellei.it
Effervescenza dirompente rosa luminoso dipana velocemente in uno strato di perle finissime, minute e in una corona briosa continua su corpo rosso rubino lampi viola. Profumo invadente vinoso di mirtillo, fragola grossa, fragrante corposo pieno, fresco e giustamente tannico, finale appagante ele-
Garofoli Brut Riserva Millesimato 2009, Vino Spumante di Qualità Brut, vendemmia 2009, uvaggio Verdicchio in purezza
Sicilia, Sardegna Planeta Carricante Brut, Vino
Casa Vinicola Gioacchino Garofoli SpA, via C. Marx, 123 – 60022 Castelfidardo (AN) www.garofolivini.it
Effervescenza esuberante e spessa di bolle sottili, sfumate in una corona appena accennata su corpo giallo e lampi rameici. Spettro aromatico floreale di mentuccia e di prunus bianco. Sorso asciutto e consistente, pastoso con vena minerale, nervoso e vinoso di espressione varietale, finale sapido di pesca bianca matura.
Spumante di Qualità Brut, senza annata, uvaggio Carricante in purezza Feudo di Mezzo - Planeta, contrada Sciara Nuova 95012 Castiglione di Sicilia (CT) www.planeta.it
Spuma chiara e intensa forma corona regolare continua. Corpo giallo paglierino brillante con lampi smeraldini. Al naso sentori di fiori bianchi di mirto,
gante fresco-acido rotondo.
melissa e di erbe di campo verdi. Al palato è fresco
Vino Spumante di Qualità Brut, vendemmia 2012, uvaggio 70% Pinot Nero e Chardonnay Cantine Romagnoli, via Genova, 20
- 29020 Villò di Vigolzone (PC)
www.cantineromagnoli.it
Bollicine vivaci compatte e fini diafane in una fila di perle a corona. Abito giallo paglierino. Quadro aromatico di fiori gialli con forte biancospino e gelsomino. Palato succoso, pieno e di ottima struttura, titolo importante e acidità, veicolo di sentori di biscotto con salinità e sapidità, retrogusto scolastico
Colonnara Viticultori in Cupramontana, via Mandriole, 2 - 60034 Cupramontana (AN) www.colonnara.it
Spumeggiante e rigogliosa produzione di bollicine persistenti e dinamiche nel calice a cappello di un corpo paglierino carico brillante con lampi verde-oro. Aromi di acacia bianca e gialla e resina di abete. Sorso di grande beva, fresco e fine, attacco morbido balsamico, velata trama tufacea e finale tipico vegeto-acido di fieno e Lauroceraso.
morbido ammandorlato.
Colombarola Gran Cuvée Extra Brut, Vino Spumante di Qualità Extra Brut, senza annata, uvaggio 70% Chardonnay e Pinot Nero Tenuta Colombarola, Strada Provinciale 412 località Colombarola - 29010 Trevozzo-Nibbiano (PC) www.tenutacolombarola.com
Spuma continua, colonnine minute e diverse formano piccola corona di perle. Colore paglia brillante. Spettro aromatico floreale ampio di acacia e camomilla. Sorso fruttato di melone, mango e albicocca candita, elegante e buon equilibrio acido-cremoso, pasta brisé calda, finale carbonico di caramello e miele.
Medici Ermete Granconcerto Brut Rosso, Vino Spumante di Qualità Brut, vendemmia 2013, uvaggio Lambrusco Salamino in purezza
Campania, Basilicata, Puglia, Calabria Feudi San Gregorio Dubl Brut, Vino Spumante di Qualità Brut, senza annata, uvaggio Falanghina in purezza Feudi di San Gregorio, contrada Cerza Grossa - 83050 Sorbo Serpico (AV) www.feudi.it - www.dubl.it
Una bella effervescenza continua e sottile in evoluzione sovrasta un corpo giallo paglia brillante. Spettro aromatico dai fiori di camomilla e di melissa allo zenzero. In bocca è complesso e di spessore, fresco e fragrante, toni di pesca noce e eleganti lieviti, termina con intensa serbevole carbonica tufacea e finale di mela quasi acerba.
e persistente, acido e di struttura, particolarmente sapido e minerale con un finale misto di lievito e pietra calda.
Tasca d’Almerita Contea di Sclafani Almerita Brut, Sicilia Contea di Sclafani DOC Brut, vendemmia 2012, uvaggio Chardonnay in purezza Conte Tasca d’Almerita Società Agricola -Tenuta Regaleali, contrada Regaleali 90020 Sclafani Bagni (PA) www.tascadalmerita.it
Mousse di bollicine minute compatte non spessa evolvente in vivace corona di perle risplendenti toni di oro antico su un bel giallo brillante. Aroma tonico, pulito di note vegetali intense con tocco d’oliva. Sorso evoluto di frutta stramatura, spina dorsale dritta, leggera tannicità, buon equilibrio acido-sapido, finale pregnante carbonico raffinato fresco.
De Bartoli Terzavia Brut Nature, Sicilia DOC Grillo Brut, vendemmia 2014, uvaggio Grillo in purezza Società Agricola Marco De Bartoli, contrada Fornara Samperi, 292 - 91025 Marsala (TP) www.marcodebartoli.com
Spuma esuberante compatta minuta che evolve in tante ascendenti catenelle di perle in un abito giallo con vene dorate. Profumi delicati e vari degli orti isolani. Bocca piena e sapida, accattivante con profilo intenso, fruttato e di miele, titolo contenuto, di grande beva, finale sapido con tono agrumato acido-gessato
Medici Ermete e figli srl, via Isacco Newton, 13/a 42124 Gaida di Reggio Emilia (RE) www.medici.it
Spuma misurata compatta e continua di bollicine regolari evolventi in piccole perle dinamiche di superficie su un bel colore rosso intenso con toni viola lampeggianti. Profumo polposo di frutta rossa e fiori rossi dolci. In bocca sa di crostata di ciliegie, tocchi di polline fusi al lievito di pane, secco e polputo, finale acido morbido.
Toscana, Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo
D’Araprì Pas Dosé La Dama Forestiera, Vino Spumante di Qualità Pas Dosé, uvaggio 50% Bombino Bianco, 25% Pinot Nero e Montepulciano D’Araprì srl, via Zannotti, 30 71016 San Severo (FG) www.darapri.it
Bollicine invitanti fini trasparenti e vivaci. Profumi evidenti di lievito e di gelsomino. In bocca è secco, austero per un tono di acidità spiccato, fra minerale e metallico, corpo austero dai sapori di tè al limone e un finale interessante asciutto che richiama il gusto dell’ananas maturo.
Quartomoro “Q” Brut, Vino Spumante di Qualità Brut, senza annata, uvaggio VRM autoctono in purezza Quartomoro di Sardegna snc Società Agricola, via Dino Poli, 33 - 09092 Arborea (OR) www.quartomoro.com
Effervescenza giusta, micro dinamica sfumata in un piano di perle con piccole sorgenti in un bel corpo paglierino carico. Quadro olfattivo diretto di foglie, fiori, radici marine e in particolare camomilla. Al palato è fresco e complesso, morbida acidità speziata, frutta gialla evoluta e polpa di fico, finale di sabbia salmastra.
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Romagnoli il Pigro Brut Cuvée,
Colonnara Ubaldo Rosi Verdicchio Riserva Millesimato 2009, Castelli di Jesi DOC Verdicchio Brut, vendemmia 2009, uvaggio Verdicchio in purezza
Taccuini di viaggio di Gilberto Mora
alla ricerca del cacao perduto
di Compagnia del Cioccolato. Le prime tre
compagnia del cioccolato Compagnia del Cioccolato da molti
tappe di questo viaggio nel cacao ci hanno fatto percorrere in lungo e in largo il Venezuela che è considerato il paese del “cacao fino de aroma”.
120
anni assaggia e valuta la quasi totalità dei cioccolati italiani artigianali e gour-
Il Venezuela dei grandi cacao
met. Specificatamente per quanto ri-
Il fascino del cacao e del cioccolato diventa,
guarda i cioccolati fondenti e d’origine
per analogia, il fascino di una terra magica
le ormai raffinate tecniche di degusta-
come il Venezuela. Scientificamente è pro-
zione ci dicono che la materia prima ec-
vato che le prime piante di cacao nascono
cellente assicura almeno un 50% di ap-
in due zone del territorio venezuelano: la
porto qualitativo al prodotto finale. Ma,
specie “criollo” nella zona a sud del Lago
salvo alcuni produttori che potevano go-
di Maracaibo, conosciuta per la qualità e
vernare l’intera filiera del cacao, tutti gli
la bianchezza delle sue fave, il suo sapore
altri non avevano accesso ai cacao ori-
fruttato e la sensualità dei suoi aromi, ca-
ginali e dovevano accettare di utilizzare
pace di dare un cioccolato ineguagliabile,
semilavorati delle grandi industrie. Con
delicato e dal sapore persistente; la specie
un’evidente appiattimento e uniformità
“forestero” nella conca del Delta dell’Orino-
delle proposte. Compagnia sta cercando
co e nella zona Amazzonica al confine col
di porvi rimedio mettendo a disposizio-
Brasile, apprezzata per la sua forza, resi-
ne cacao pregiati ai cioccolatieri italiani
stenza e produttività.
che lo richiedono. Una tipologia di cacao in esclusiva per ogni cioccolatiere e
Il cacao divenne così importante nel Vene-
non un’esportazione commerciale.
zuela che nel ‘700 i proprietari di aziende di cacao venivano nominati secondo la
Tutte le tappe di questo tour hanno avu-
quantità di alberi di cacao che possedeva-
to come obiettivo la mappatura e la se-
no: “Don” se arrivavano a 10.000 e “Gran
lezione di alcuni cacao provenienti da
Cacao” con addirittura 50.000 alberi come
zone ben specifiche che andranno a far
segno di ricchezza, prosperità e importan-
parte dei cacao selezionati per il proget-
za per gli abitanti, i commercianti e la stes-
to “I luoghi del cacao” che Compagnia
sa Corona.
del Cioccolato sta portando avanti da quattro anni. Lo staff dei viaggiatori è
Al principio del XVII secolo era il principa-
composto da me, Gilberto Mora, presi-
le produttore di cacao, mentre ora produce
dente di Compagnia nonché ideatore
solo lo 0,5 della produzione mondiale, ma
del progetto, i nostri collaboratori di
è indiscutibile che il Venezuela sia sinoni-
Cacao Caracas e Chococao che coordi-
mo di cacao e fornisca i grani della migliore
nano i campesinos produttori di cacao,
qualità al mondo.
i nostri referenti venezuelani di Cacao Mar e di Macite Turismo e alcuni soci
121
D Nella casa del Porcelana a “Sur del Lago”
ciones Agricolas). Siamo accolti da Iraima
fermenta in tre giorni. Come tutti i grandi
Questo viaggio parte nelle terre del cacao
Chacon, l’ingegnera agronoma responsabi-
criollo deve fermentare in fretta perché la
venezuelano con una ricerca dei criollo me-
le di Corpozulia e una della massime esper-
qualità genetica è già altissima. I carrelli
rideñi nella zona del Sur del Lago (il lago è
te del cacao aromatico. Nella prima piccola
dove il seme fermentato è posto a seccare
quello di Maracaibo), in questo caso negli
piantagione troviamo Criollo andino Meri-
sono molto moderni e si spostano su rotaie.
stati venezuelani andini di Merida, Tachira
da e Criollo Guasare innestato su piante di
Le fave, non ancora pronte, già presentano
e Zulia, al confine con la Colombia.
ibrido Merida. Ma è nella seconda parcella
un bel colore rossiccio.
Sbarchiamo di prima mattina all’aeroporto
che troviamo la vera casa del Criollo Porce-
di El Vigìa dopo essere partiti da Caracas
lana: sono presente le principali tipologie
Ce ne andiamo con due piantine di Porcela-
che era ancora buio. In circa un’ora di viag-
di cabosse che evidenziano il Porcelana
na pronte per essere piantate nel giardino
gio arriviamo in una bellissima zona, molto
nei vari gradi di maturazione: colore chia-
di un amico a Puerto La Cruz. Mi spiace non
curata e piena di attività “cacaotere”. Edifici
ro con una piccola spennellata rosa, verdi
poterne portare almeno una in Italia. Mi ac-
bassi, piantagioni con un sottobosco molto
chiare, gialline e bianche con piccoli punti-
contento di tre piccole cabosse di Porcelana
pulito, “limpio” come dicono loro, serre per
ni, rosso non troppo intenso con una patina
con tre varianti di colore e il grande abbrac-
piantine nuove, spazi di fermentazione e
porcellanata. Cabosse non grandissime, ro-
cio, a me e agli amanti italiani del cacao,
seccatura. Sono il centro di beneficio del ca-
tonde con una punta marcata. Al taglio del
degli amici di Corpozulia.
cao di Corpozulia, gestito dalla Corporation
seme fresco l’interno è bianchissimo con
socialista del cacao venezuelano, e il Vive-
la tendenza a ossidarsi molto velocemen-
ro de Frutales della Stazione locale Chama
te. Nel centro di fermentazione guardia-
dell’INIA (Istituto Nacional de Investiga-
mo le tabelle e scopriamo che il Porcelana
122
i n n a 0 20
UN GIOVANOTTO DI 200 ANNI Piace alle donne e si abbina a meraviglia con le bollicine... di Franco Vergnano
Come molti prodotti di successo, il “mitico” Toscano è “nato per caso”. Sì, proprio così. Cosa che non tutti sanno e, forse, la parte più curiosa della sua storia. Nell’estate del 1815 nella Manifattura tabacchi di Firenze, una partita di foglie venne lasciata a essiccare al sole estivo e fu bagnata da un violento temporale. Si decise allora di produrre dei sigari economici da vendere al “popolino”. Il prodotto, che era frutto di un fortuito riciclaggio, ebbe subito grande successo. Infatti l’acqua aveva fatto fermentare il tabacco donandogli un gusto del tutto nuovo.
124
Nell’immaginario collettivo la produzione di sigari viene associata ad abili mani di donne che manipolano il tabacco, indipendentemente dalla superficie – più o meno morbida e procace – sulla quale arrotolano le foglie. Non per niente le sigaraie sono considerate tra le pioniere del lavoro femminile. Ma non basta. Va sfatato almeno un altro paio di stereotipi: che il Toscano sia solo maschile e che non possa essere degustato con bevande leggere. Tra le donne il Toscano piace alle star della lirica come Katia Ricciarelli o alle icone della musica pop del calibro di Nada. Negli ultimi tempi c’è stato un boom del sigarello N8, più piccolo e delicato, amato da Stefania Sandrelli e dal deputato Pd di Firenze, Elisa Simoni. Anche perché del Toscano ci sono parecchie varianti. Il Toscano Garibaldi è un sigaro a stagionatura media. Poco aggressivo alla bocca, può essere degustato anche la mattina con un tè o un caffè. Fanno parte della stessa categoria il sigaro Toscano Soldati e Modigliani. Tutti e tre (insieme a quelli aromatizzati) adatti a un pubblico femminile per i sentori di frutta secca e legni aciduli, nonché per il gusto leggermente dolce. Ma si “accompagnano perfettamente con le bollicine del Made in Italy di tutti i tipi”, è pronta a scommettere Eleonora Uccellini, sommelier, per la quale anche l’abbinamento con la birra artigianale è assolutamente da provare. Nei suoi 200 anni di storia il Toscano ha sempre avuto un forte legame con le arti. Indimenticabili le immagini che hanno ritratto lo Stortignaccolo tra le dita di Pietro Mascagni, Giacomo Puccini, Mario Soldati, Marcello Mastroianni, Totò, Burt Lancaster, Gianni Brera. Ma il vertice di visibilità arriva con gli spaghetti-western di Sergio Leone, dove il “gringo” Clint Eastwood aveva due sole espressioni in camera: “Con e senza Toscano in bocca”.
125
Q 126
UANDO MARILYN FU SEDOTTA DAL TARTUFO
L Piergiuseppe Bernardi
a città di Alba
E non riuscì nemmeno a nascondersi che
uno sconosciuto albergatore italiano, un
era lontana, maledettamente lontana
anche in questa fuga, nonostante si fosse
certo Giacomo Morra, inviandogliene un
dall’aeroporto dove era atterrata. Certo, per
fatta accompagnare da qualche fidato ami-
esemplare davvero gigantesco. Il regalo le
lei viaggiare non era un problema e il suo
co, si sentisse comunque terribilmente sola.
aveva fatto piacere, più in sé che non per il
mestiere l’aveva abituata a essere continuamente in movimento. Una cosa però erano
128
le strade ampie e dritte degli States, ben altra questo percorso denso di curve che la costringeva a sorreggersi con la mano
prodotto stesso, perché le avevano spiega-
Il suo sguardo, attraverso il finestrino impregnato di nebbia umida, si perse sulle colline che la circondavano.
destra alla maniglia pieghevole dell’automobile su cui si trovava.
to che qualche anno prima questo stesso omaggio era stato riservato a Rita Hayworth. Ma si era trattato solo di un attimo: la sua carriera, pur tra alti e bassi, veniva prima di tutto. Figuriamoci di un tartufo.
Proprio lì, probabilmente sotto le basse piante di nocciolo che di tanto in tanto l’auto
La forza del tartufo bianco d’Alba, insupera-
Si chiese perché avesse deciso di venire in questo luogo remoto del Nord Italia, acconsentendo a un invito
in corsa fiancheggiava, nasceva quel mi-
bilmente percepibile nell’aroma che riesce
sterioso tubero che aveva rappresentato il
a imprimere alla morbidezza dei tajarin o
pretesto per il suo viaggio di quei giorni. Di
alla croccantezza dell’eûv al palet, è legata ai
non diverso dai molti che riceveva quotidia-
queste terre, per decenni, non sarebbe stata
tempi lunghi. Il suo essere un fungo ipo-
namente. Provò a convincersi che la ragione
in grado di dire, neppure approssimativa-
geo lo abitua a crescere al buio, a prendere
del suo viaggio fosse il tartufo che le era
mente, dove si trovassero. Il tartufo invece
coscienza della sua identità senza mani-
stato proposto di venire a ritirare proprio
lo conosceva da tempo: aveva avuto occa-
festarla, a trattenere in sé ciò che lascerà
laddove nasceva. Subito però, ben consa-
sione di assaggiarlo, peraltro senza troppo
esplodere in un istante. Forse è per questa
pevole del fatto che ancora una volta stava
entusiasmo, in alcune delle decine di cene
ragione che la sua forma confonde, il suo
mentendo a sé stessa, sorrise amaramente.
di gala cui la sua carriera di attrice ai vertici
profumo stordisce e il suo sapore sconcerta.
Lo sapeva bene.
del jet-set l’aveva costretta a partecipare. I
Qui sta la sua capacità di seduzione, mai
suoi commensali non avevano mancato di
frutto di immediatezza, ma sempre esito
A indurla a venire fin qui, raggiungendo
esaltargliene le qualità, valorizzate soprat-
di percorsi misteriosi e inafferrabili. Così,
una terra in quell’anno resa ancora ancor
tutto da qualche grande piatto della cucina
probabilmente attraverso queste vie imper-
più ostile dalla fredda bruma autunnale,
francese. Solo più tardi, sette anni prima
scrutabili, il tartufo fatto pervenire
era stato un desiderio di fuga: dal
che l’automobile su cui viaggiava attraver-
suo mondo, dal suo personaggio, forse da se stessa.
sasse gli impervi pendii che le riempivano
a Marilyn nel 1954 da Giacomo Morra era riuscito a far breccia nel suo cuore.
gli occhi, aveva scoperto il tartufo bianco d’Alba. Gliene aveva fatto omaggio
ALBA
Proprio di lei
,
che all’inizio l’aveva guardato con sufficienza e lo aveva considerato non un amalgama ogni volta differente di profumi e sapori in cui la terra esprime se stessa, ma piuttosto un ben più effimero riconoscimento di prestigio sociale. Lei lo aveva fatto senza avvedersene, ma aveva sottovalutato la sua reazione. Lui, forte della sapienza acquisita dalla lentezza del suo formarsi nelle oscure profondità ipogee, sapeva che a Canossa ci sarebbe venuta Marilyn. Ed aveva vinto. Lei, star di prima grandezza che i registi si contendevano e a cui il pubblico guardava come a un mito, lo stava capendo solo ora:
tar A venirle incontro con un sorriso fu invece
Barot gli si avvicinò e, con una carezza, lo
soltanto il signor Morra, accompagnato
allontanò, ripulendo poi accuratamente
dalla moglie Teresa. Si salutarono affa-
con un coltellino a serramanico il buco che
bilmente, ma Marylin chiese immedia-
il suo fido cane aveva cominciato a scavare.
tamente di potersi ritirare nella camera
che avevano approntato per lei. Si sentiva
Fu allora che il trifulau si scostò e cedette il
molto stanca e sapeva che ad attenderla
posto a Marilyn. Non sapeva bene quel che
sarebbe stata una levataccia nel cuore
doveva fare, ma le venne spontaneo come
della notte. Almeno qualche ora di sonno,
un gesto dettato da un amore complice.
pur trascorsa col desiderio che la luce del
mattino la liberasse dalle ombre inquietan-
Si inginocchiò e, guidata dagli occhi silen-
ti che in esse l’avrebbero tormentata, non
ziosi del signor Morra, infilò le sue mani
poteva che farle bene.
curate lungo il varco aperto da Barot nella
Fu proprio nel cuore della notte che accad-
terra umida. La pelle delicata delle sue
de ciò che attendeva dall’inizio del viaggio.
dita incontrò una superficie ruvida, che le
trasmise un senso di estrema vitalità. Una
Vivere in prima persona la ricerca del tartufo e potersi riempire del suo profumo le narici:
130
il suo viaggio non era affatto estraneo al
sensazione, ad un tempo immediata e potente, che credeva ormai di non poter più provare. Il suo sguardo, come quello di una bambina smarrita, cercò ancora nel buio
bisogno di venire a respirare il profumo di
non però in un momento qualsiasi, ma in
gli occhi del signor Morra. Aveva bisogno
quello strano tubero nella terra stessa di
quello in cui questo magico fungo viene
di un suo gesto di assenso per procedere
cui esso era il frutto.
sottratto alla terra che l’ha cresciuto e
oltre. Lo ebbe, lieve come la nebbia che li
conservato. A questo appuntamento volle
avvolgeva e deciso come la resistenza che
Marilyn sperò che la novità di quel che
andarci da sola, senza amici. Aveva insisti-
i tigli opponevano al vento. Con una cura
l’attendeva nelle poche ore che avrebbe
to perché ad accompagnarla fosse soltanto
meticolosa, quasi stesse compiendo un
trascorso in quelle terre riuscisse a sottrar-
il signor Morra, ma le era stato spiegato
la ai pensieri cupi che l’avevano accom-
che non si sarebbe potuto fare a meno di
pagnata anche durante il viaggio. Sapeva
Barot, un trifulau tra i più esperti, e del suo
antico rituale, sottrasse il tartufo al mondo sotterraneo che finora l’aveva protetto.
che il rischio di essere riassorbita da questi
abilissimo cane. L’automobile che da Alba li
ultimi era elevatissimo.
portò verso Roddi, li lasciò lungo la strada.
L’aria fu attraversata da un profumo
Ormai da anni essi, come fantasmi in-
Salirono lentamente il fianco di una collina
ammaliante, dando a Marilyn la certezza
domabili, turbavano i suoi giorni e le sue
lungo un sentiero che si inerpicava attra-
di essere lì per questo. Solo per questo. E,
notti senza darle tregua. E per sottrarvisi,
verso alcune macchie di noccioleti.
inatteso come un fulmine fuori stagione,
aveva provato di tutto: l’amore, il sesso, le
un sorriso di cui si credeva ormai incapace
Tutto inutile: i suoi incubi non solo non si erano dissolti, ma venivano riaffacciandosi ogni volta alla sua mente in forme il cui
Poi il sentiero, almeno ai suoi occhi disabituati a muoversi nella notte, sembrò perdersi, mentre il paesaggio divenne ricolmo di alte piante agitate dal vento. Le dissero che erano tigli e che tra
unico tratto inedito era la loro sempre
le loro radici il tartufo assumeva un colore
maggiore capacità devastante. L’arrestarsi
e un sapore tra i più apprezzati. Tutt’a un
improvviso dell’automobile scura su cui
tratto il piccolo cane nero, che fino a quel
viaggiava la strappò all’angoscia che la
momento aveva continuato ad aggirarsi ir-
stava assalendo. Entrò nella hall dell’al-
requieto annusando odori incapaci di sol-
bergo temendo il peggio, visto che le sue
lecitarne il fiuto, rizzò la coda e si arrestò.
visite si trasformavano spesso in bagni di
Poi puntò dritto verso la base di un tiglio e
folla ormai divenuti per lei insopportabili.
cominciò a scavare con le zampe anteriori.
feste, l’alcol, i farmaci, gli strizzacervelli.
le illuminò il viso.
rtufo
132
Riqualificazione urbana e spazio pubblico
Francesca Paola Comolli
N
ell’ultimo decennio, grazie alla crescente atten-
zione dei cittadini e delle istituzioni verso gli aspetti ambientali, il dibattito e i processi messi in atto, soprattutto in Europa, per indurre una rigenerazione urbana hanno fatto notevoli passi avanti. Non si tratta più solo, infatti, di dare alle città un aspetto nuovo e competitivo, rilanciandone l’immagine territoriale a livello estetico, ma di dar loro nuovo respiro dal punto di vista culturale, economico e sociale. Sono ormai tantissimi i programmi di riqualificazione ur-
bana e di sviluppo sostenibile del territorio promossi dal terventi orientati all’ampliamento, al recupero e alla rigenerazione dell’ambiente e dei tessuti urbani e sociali presenti sul territorio nazionale. Questi sforzi sono ovviamente in linea con atteggiamenti analoghi già da tempo assunti dal resto dell’Europa, soprattutto in Olanda, Germania e Inghilterra, che oggi rappresentano solo alcune delle eccellenze di questo trend.
Grazie ad azioni rigeneratrici multi-disciplinari viene restituita la vita ad aree ormai asfittiche delle città, strade, piazze e “vuoti urbani” da riempire – e non più solo ex fabbriche, macelli e stazioni come negli anni ’70-’90 – restituendole ai cittadini. Lo spazio pubblico diventa in questo modo uno dei principali motori di trasformazione ambientale e sociale. La ricostruzione di occasioni e spazi di relazione tra le persone e, soprattutto, il coinvolgimento diretto degli abitanti
1
133
Ministero dei Lavori Pubblici con l’obiettivo di realizzare in-
2
3
134
riappropriazione dello spazio pubblico
e di soggetti pubblici e privati rivestono un ruolo sempre più in-
ra dell’Atelier Kempe Thill, la piazza di fronte alla cattedrale Lauren-
dispensabile e preponderante per il raggiungimento di una reale
skerk è stata rivitalizzata restituendole il suo ruolo sociale, perso in
rivitalizzazione delle aree in oggetto, affinché le iniziative non si
seguito ai bombardamenti bellici del Secondo Conflitto Mondiale.
esauriscano nel tempo di un gesto.
Oltre a dotare la piazza di un nuovo fulcro vitale per eventi pubblici, il padiglione si pone come un’entità ambivalente, grazie alla tra-
Esistono differenti pratiche messe in atto fino a oggi. Alcune hanno
sparenza della sua struttura e alla trasformabilità che gli consente
visto coinvolti interi quartieri della città, cambiandone per sempre
il tendaggio scorrevole.
l’aspetto e la funzione, come nel caso di Cheonggyecheon a Seoul, un parco urbano lungo più di 10 km sorto in seguito all’asporta-
Open-Air-Library, costruita in un lotto abbandonato nel cuore della
zione di un’autostrada sopraelevata che tagliava in due il centro
cittadina tedesca di Magdeburg, dal team KARO* assieme ad Archi-
cittadino, e in quello di Tempelhof a Berlino, che ha visto una spon-
tektur+Netzwerk, è una vera e propria “oasi della cultura” basata
tanea conversione funzionale dell’ex aeroporto in disuso in area di
sulla filosofia dello sharing. La biblioteca è il risultato di un pro-
svago. Altre, su scala minore, hanno “riportato la vita” in aree sem-
cesso partecipativo che ha visto attivamente coinvolti i cittadini,
plicemente non vissute, grazie allo sviluppo di azioni partecipate,
dall’inizio alla fine, ed è stata interamente realizzata recuperan-
attraverso ad esempio la creazione di Giardini Condivisi, utilizzati
do materiali di scarto da un edificio demolito. Per aver suscitato
per il giardinaggio collettivo, ornamentale o orticolo, o la Piantu-
un sentimento civico di rispetto e protezione di questo piccolo pa-
mazione Preventiva, per convertire temporaneamente cantieri de-
trimonio spaziale, Open-Air-LIbrary è stato insignito con il primo
stinati a funzione residenziale in aree fruibili per la cittadinanza,
premio allo European Prize for Urban Public Space, come miglior
diffondendo esperienze di verde urbano, allo scopo di allontanare il
progetto del 2010.
rischio di degrado ambientale e paesaggistico dall’area interessata. Casa do Quarteirão è un progetto di arredo urbano permanente reSono anche molto frequenti gli esempi di riappropriazione tem-
alizzato dal Collettivo Orizzontale di Roma all’interno dell’edizione
poranea dello spazio pubblico, attraverso l’azione artistica o altre
2016 del Festival Walk&Talk (Azzorre), nato dalla volontà della comu-
forme di creatività atte a promuovere l’azione partecipata e colla-
nità che vive e lavora nel quartiere omonimo di riscattare uno spa-
borativa come metodologia di lavoro. Una tendenza in crescita in
zio a uso conviviale e collettivo. Orizzontale ha lavorato su elementi
questa direzione è quella di reinventare luoghi minori, spazi se-
distinti: ingressi per racchiudere lo spazio e invitare i visitatori, un
condari, già abbandonati o dismessi, attraverso la realizzazione di
padiglione per permettere alle persone di incontrarsi e organizza-
dispositivi urbani – per lo più architettonici e di arredo – mirati a
re eventi, una fioriera con sedute. Queste strutture hanno dato for-
infondere rapidamente energia all’ambiente.
ma a una nuova piazza.
A Rotterdam, grazie all’inserimento di un padiglione-teatro ad ope-
135
4
L’Associazione Rivularia e il Collettivo Praxis, due giovani realtà piacentine formate da architetti, ingegneri e studiose d’arte tra i 25 e i 32 anni, unendosi hanno dato vita ad A°Nodo, 4 micro-architetture urbane polifunzionali e auto-costruite, della grandezza di uno stallo da parcheggio ciascuna, dedicate rispettivamente una allo sport, una al gioco, una allo spettacolo e una al verde, che migrando per la città hanno riportato i cittadini a vivere spazi pubblici di Piacenza precedentemente senza una funzione specifica e inutilizzati. Questa installazione è il risultato finale del progetto Building Commun(c)ities, volto alla sensibilizzazione e al coinvolgimento attivo della cittadinanza nella riqualificazione del proprio territorio.
1 Open Air Library, KARO Architekten, Magdeburg (Germiania), 2009 2 Tira la corda (modulo dedicato allo sport - A°Nodo), Associazione Rivularia e Collettivo Praxis, Piacenza, 2017 3 Teatro da passeggio (modulo dedicato allo spettacolo - A°Nodo), Associazione Rivularia e Collettivo Praxis, Piacenza, 2017 4 Casa do Quarteirão, Collettivo orizzontale, Quarteirão, Ponta Delgada, São Miguel (Portogallo), 2016 5 Grotekerkplein theater pavilion, Atelier Kempe Thill, Rotterdam, 2010 6 Verde bottiglia (modulo dedicato al verde - A°Nodo), Associazione Rivularia e Collettivo Praxis, Piacenza, 2017
5
6
Il nostro vino nasce dall’amore verso la nostra terra.
L’Insolito mondo del vino di Tenute Barzan, via Meneghini 3 Sacile -PN- tel 0434786850 info@linsolitomondodelvino.it
di Lamberto Vallarino Gancia
Conosco Cristina da tanto tempo e ho sempre apprezzato il suo stile e il suo spirito libero, innovativo, distintivo e umano, alla ricerca sempre di novità, stimoli e voglia di perfezione. Lei ha creato le nuove divise delle maschere e hostess del Teatro Stabile di Torino Teatro Nazionale, un progetto sorto da un’intuizione che nasce grazie alla sua grande capacità di designer della moda, per la prima volta a servizio di un teatro, e che ha ottenuto un grande successo. Entrare nella sua azienda e nel suo negozio di Torino, e vedere il lavoro che fa il team da lei guidato, fa subito capire che si tratta di un posto vissuto e operativo dove si taglia, si cuce e si realizzano vestiti originali che, una volta esposti, incontrano il favore del pubblico. Cristina, nel raccontarmi la sua storia, mi dice che la passione per il suo lavoro nasce fin da quando era giovane, il giorno in cui suo padre la chiamò in azienda facendole scoprire il suo grande amore per questo lavoro, una passione che l’ha portata a coltivare il suo talento di designer. Il suo ricordo più bello, e di cui va più fiera, è quando l’hanno chiamata per un colloquio da Chanel. Mi racconta che le «tremavano le gambe, ma è stata una grande emozione e l’inizio di un’importante collaborazione che continua ancora oggi». Da tre anni il suo progetto più importante è quello da imprenditrice, un impegno che la emoziona per quanto la metta a dura prova, ma che la soddisfa almeno quanto creare le sue collezioni. Questo duplice ruolo alla fine se lo sente calzare bene ed è molto fiera dei risultati ottenuti fino a oggi. Per averne una conferma basta partecipare a una sua sfilata, vedere i vestiti presentati o andare nel suo negozio a Torino. Sicuramente rappresenta una eccellenza per Torino e per il Made in Italy e spesso, come affermata designer, fa squadra e partecipa a molti incontri con altri brand che sono, nei loro settori, eccellenze italiane. Mi svela che sta lavorando alla seconda stagione di occhiali da sole firmati Kristina Ti, in collaborazione con VANNI Eyewear, un’azienda torinese con cui condivide molti valori. Difficile dire quale sia il prodotto/collezione cui è più affezionata e ammette simpaticamente che «è come chiedere quale figlio ami di più. Mi innamoro di ogni collezione per il tempo che la penso, la immagino, la disegno e infine quando la vedo nei miei negozi». Le cose fatte bene, nei minimi dettagli, anche quelli meno evidenti, sono il segreto del suo successo nel design e nella moda. Degli errori mi dice: «ho capito che in questo mestiere le sensazioni a pelle non sempre sono da perseguire. A volte è meglio pensare, farsi un’opinione e poi essere pronti a cambiare idea, e questo riguarda un abito, un ricamo, un progetto o le persone. Ogni scelta/idea ha bisogno di decantare, come il vino». Per rendere vincente il Made in Italy sostiene che dovremmo essere più supportati e che le eccellenze italiane, là dove ancora se ne trovano, andrebbero aiutate.
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? a e d i e r a i b m ti a ca
n o r p e siet
Cristina ha molte passioni e in particolare lo sci d’acqua e l’arte. Per quanto riguarda lo sci d’acqua, lo pratica presso la Cava, a pochi chilometri dall’ufficio di Torino; un’oasi di calma e adrenalina dove è emozionante vederla sciare tra le boe. Riguardo all’arte, da parecchio tempo acquista un’opera all’anno, mettendo insieme una collezione che consegnerà a sua figlia quando avrà 18 anni. Ha un bel rapporto con i vini e le bollicine e pensa ai primi brindisi durante le occasioni speciali, che sono tante nel mondo della moda. Oggi preferisce le bollicine al vino bianco e le associa a un momento di spensieratezza in compagnia. Adora il vino rosso, un bicchiere, quasi mai due, anche in contro tendenza d’estate con il pesce.
Le piace mangiare bene e molto sano. Le capita ancora di scoprire cibi che per anni non aveva preso in considerazione. Il vino per lei è cultura e convivialità. La affascinano la storia, le etichette, i profumi e, per lei, è un mondo meraviglioso. Le piace sperimentare sempre, altrimenti ritiene che non vi sia eccellenza. Ha valori umani importanti che dimostra quando mi racconta che il vestito a cui è più affezionata è «il cardigan di mio padre, l’unica cosa che ho voluto tenere». Il suo segreto per realizzare una collezione da sogno e di grande successo «è il lavoro, e poi ancora lavoro, solo quello porta risultati». È molto attenta anche all’educazione al bere responsabile: «è fondamentale bere bene e mi sto già preparando al discorso per mia figlia, anche se per lei è ancora un po’ presto».
il lavoro, e poi ancora lavoro, solo quello porta risultati
140
, e r a Salt , e r a l l e d a p s e r e v o u m e e l o t n pe i d i m a g te a i g g o f i n og di Andrea Zanfi
Saltare, spadellare, veder muovere pentole e tegami di ogni foggia
mi ha riportato alla mente le mie frustrazioni davanti ai conteni-
e dimensioni sui fornelli mi ha sempre incuriosito. Osservo i gesti
tori che la sua azienda produce da oltre centodieci anni. Difficoltà
sicuri, rapidi, veloci e funzionali degli Chef con ammirazione, me-
inconfessabili, a differenza della passione che nutro per quei
ravigliandomi di come rendano tutto facile, cercando di imitarli
contenitori di acciaio, pietra, rame rivestito, ceramica, terracotta
nell’intimità dei miei fornelli, provando e riprovando a saltare e
e alluminio; passione che sfocia quasi in una forma di collezioni-
spadellare le mie pietanze, senza mai riuscire a ottenere gran-
smo, provando il piacere di averne in casa una quantità enorme
di risultati. Questione di polso, mi dicono; la mano deve essere
da fare invidia a qualsiasi ristorante.
abituata a prendere il manico e farlo ondulare nel modo giusto facendo divenire il gesto, di per sé banale, un punto di forza di un
Ognuna delle decine e decine di pentole che posseggo ha un suo
grande e bel mestiere: il cucinare.
perché e un suo scopo.
Incontrare Angelo, l’attuale Ceo di Baldassare Agnelli SpA nonché l’ultimo di una dinastia di grandi costruttori di pentole,
Alcune sono vecchie e marcate con l’agnello delle Pentole Agnelli. Le ho ereditate da mia nonna e parte da mia madre, buona donna, che non cucinava molto, ma quando si metteva intorno ai fornelli faceva cose egregie. Quelle stupende maestre di vita mi ripetevano che per ogni cottura c’era bisogno di pentole e contenitori di
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Agnelli Pentole
Foto di Sebastiano RossiŠ
forme e materiali diversi che sapessero esaltare i sapori, man-
bisogni attraverso la tecnica, la ricerca e la sperimentazione.
tenendo inalterate le proprietà della materie utilizzate, le quali
Quando nel 1907 Baldassare Agnelli, Cavaliere del Regno, fondò la
necessitano di cotture e una diffusione del calore specifica. Cuci-
fabbrica di via Fantoni 8, a Bergamo, l’industria stava divenendo
nare, a casa mia, non è mai stato solo un momento di convivialità,
il motore trainante dell’economia mondiale e nazionale, ma non
ma il modo migliore d’interpretare il quotidiano, un momento di
erano in molti quelli che lavoravano l’allumino, settore nel quale il
benessere giornaliero da condividere.
Cavaliere Agnelli decise d’investire.
Odori che scolpiscono la memoria, tracciano i solchi indelebili di una tradizione; sono i primi e inconsci cromosomi specchio che si assimilano. Così scopro che c’è chi come me ha passato l’infanzia giocando in cucina con la nonna e chi, invece, come Angelo, l’ha trascorsa tra le macchine della fabbrica di famiglia, inseguito dagli operai che cercavano di mitigare i danni dovuti al suo giovanile impeto. Odore di oli, di ghisa, di smerigliature di quelle centinaia di pentole e oggetti di allumino che, lavorati, l’hanno segnato, tanto da non domandarsi mai cosa avrebbe fatto da grande, poiché ciò che viveva stava segnando il suo destino; lui avrebbe fatto pentole come il padre, il nonno e il bisnonno, con l’obiettivo di soddisfare i
Ben presto dalle pentole delle italiche massaie passò agli elmetti da parata dei soldati, alle borracce, ai tegamini porta vivande da campo per l’esercito, a piatti e posate di alluminio; tutti oggetti di un quotidiano dell’Italia che si ricostruiva, cresceva e diveniva nazione.
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a m e e m for e h c i l a i r e t i o n i t l esa i r o sap
L’implementazione e l’ampliamento della base produttiva è stata
e la salubrità dello stesso. La continua ricerca di nuovi materiali
sempre la forza degli Agnelli, famiglia capace di travalicare i
e la sperimentazione degli impieghi sono il marchio di fabbrica
decenni, cavalcando i cambiamenti dei costumi, soddisfacendo
di questa azienda, lavoro svolto al fianco degli Chef italiani con
le necessità della gente. Un modo intelligente di saper leggere il
l’intento di seguirne i consigli, testando insieme a loro i prodotti
presente e costruire un futuro che andasse oltre e sapesse viag-
e assecondandone le esigenze e non solo di quei personaggi, ma
giare oltre un secolo, portando questa azienda a modellarsi al
anche della nutrita schiera di appassionati gastronomi che si
nuovo soddisfacendo le esigenze di mercati emergenti nazionali
cimentano, come me, nell’arte antica del cucinare.
e internazionali. Del resto se non fosse stato così non avrebbero
Osservando i risultati constato con grande soddisfazione che la
realizzato una Holding che non nasce per un caso fortuito, ma per
qualità paga, soprattutto se è realizzata da un brand Made in Italy,
capacità e lungimiranza imprenditoriale.
dove è facile fare imprese, ma dove vi è crogiuolo di idee e una fucina di genialità che rendono unico il nostro Paese.
L’esigenza di confrontarsi in un settore che dimostra di non essere mai saturo e in continua evoluzione, ha portato Angelo a effet-
Con piacere annovero Angelo Agnelli e le sue aziende in questo
tuare delle radicali trasformazioni in azienda, robotizzando molti
gotha tutto italiano che sa legare il passato al futuro. Tradizione e
settori della produzione, innalzando così ulteriormente la qualità
innovazione, ricerca, design e stile, sono le basi di questa azienda,
delle lavorazioni e il lavoro stesso dei dipendenti, divenuti, ormai,
condannata, ahimè, a fare solo “eccellenza”.
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dei tecnici specializzati, cosa che gli garantisce il posto di lavoro
La nuova bandiera dell’ “ITALIAN HEALTHY FOOD”
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Latte a Qualità Verificata Prodotti creati in regime di qualità superiore, secondo regole più ferree della Legge: per il benessere animale, la sicurezza alimentare e la tutela ambientale. Le vacche, poi, vengono alimentate anche con semi di lino, fonte di Omega 3.
Con il nuovo Disciplinare Qualità Verificata anche i formaggi potranno riportare il logo QV
dove i piatti sanno di mare
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Al Faro Verde
Q
uesto luogo per me è la mia bella e amata donna;
quella con la quale condividi una vita, con la quale condividi gli affanni rendendola ancora più affascinante. Così Stefano, maggiore e memoria storica dei quattro fratelli Balistreri, descrive il Faro Verde, il suo ristorante. Un luogo che ha un senso logico, definito, preciso come lo sono i patron che lo dirigono dividendosi oneri e incombenze, onori e incazzature. Siamo a Porticello, luogo di pescatori e mare. Dalla terrazza si percepisce lo sbattere dei flutti sugli scogli posti a pochi metri di distanza, cosi come il tintinnio dei cavi e dei verricelli dei pescherecci poco distanti. Il mare è ovunque ed è percepibile con ogni senso. Un luogo che sazia l’anima. Posto nella parte finale dell’antico piano Stenditore, che dal porto costeggia il mare, delineando un angolo che sporge sul mare affiancato da altre costruzioni che invece si tuffano proprio nell’acqua. Luogo benedetto dalla natura e da Dio che volle fare arrivare proprio qui il quadro di sua Madre, la Madonna del Lume, cullato dalle onde.
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Questo miracoloso ritrovamento, fu celebrato a largo San Nicolicchio, dove oggi nasce il ristorante, con la costruzione di una chiesa dedicata appunto a San Nicola, per dare definitivo riparo a quella Madonna venuta da chissà dove e che, ancora oggi, è venerata dai pescatori di Porticello che una volta all’anno, la prima domenica di ottobre, ne rievocano l’uscita dal mare, tra musiche e fuochi d’artificio. Nella costruzione sono ancora visibili gli archi in pietra grezza, resti dei precedenti edifici; solidi testimoni di quel tempo in cui il sacro e il profano, così come il vero e il verosimile, si fondevano nei cunta siciliani. Anche le vicende del Faro Verde partono dal mare e arrivano a largo San Nicolicchio, emulando il viaggio di quel quadro. Fu infatti Benito Balistreri, il padre degli attuali conduttori, a decidere di aprire il ristorante molti decenni orsono, dopo essere miracolosamente scampato a un incidente in mare e aver scelto di mettersi a vendere il pesce piuttosto che pescarlo. Una scelta epocale per quella famiglia che contava già generazioni di pescatori. E mentre il padre vendeva il frutto della sua alleanza con il mare, andando a piedi pa strata, abbanniando u pisci friscu che trasportava dentro le coffe (cesta di vimini) nella vicina Bagheria fino a Palermo, ogni volta che passava davanti a quella struttura posta in fondo al paese pensava che lì un giorno avrebbe aperto il suo ristorante. Laddove la Madonna aveva trovato rifugio nacque il Faro Verde. Colori chiari, dove il bianco sposa il celeste del mare, dipingono questo
luogo dove Stefano, Marcello, Francesco e Maurizio Balistreri, i figli
soggettare il fare e l’elaborare a un gusto nostrano e genuino, offer-
di Benito, accolgono i propri clienti.
to solo agli appassionati; un luogo che deve essere cercato, dove si
Una delle nobili trattorie italiane scelte per i nostri lettori, i quali
arriva se si è curiosi, dove ci si siede dimenticandosi e accorgendosi
potranno trovare degli osti più che ristoratori, degli ottimi padroni
dopo ore che si è fatto tardi.
di casa piuttosto che degli imprenditori, i custodi di una sicilianità garbata e lavoratrice, educata al cibo e all’ospitalità come da tradizione.
Un modo diverso di concepire il cibo, la ristorazione e la vita. Un mondo lontano da tendenze e bizzarrie.
Una cucina di pesce che si impreziosisce di geniali tocchi che non snaturano la materia prima, ma la plasmano al nuovo, all’equili-
Le mode vanno e vengono mentre il Faro Verde è qui. Un punto di
brato, con un tocco estetico.
riferimento, una garanzia costante di non trovarsi mai davanti a
Un luogo che esula dalle solite e ridondanti guide, che snobba l’arte
cattive sorprese; onestamente aspetta che le capricciose onde del
del cucinare solo per un semplice riconoscimento, preferendo as-
mare portino ancora la loro benedizione.
UMBERTO GALIBERTI al Festival della Bellezza di Verona 2017 © Sergio Visciano
Conversazione con Umberto Galimberti
l’insostenibile bellezza della grecità
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Marco Ongaro
P
assato da Verona a giugno per il Festival della
Bellezza, dove è ospite fisso da tutto esaurito e dove quest’anno ha parlato di grecità, il filosofo e sociologo Umberto Galimberti si lascia cortesemente catturare da qualche domanda residua mentre si rinfranca sull’isola di Patmos, nel Dodecanneso, luogo perfetto per il tono talora oracolare delle risposte. Può parlarci del rapporto dei Greci con la bellezza e quello attuale di noi Europei che dai greci discendiamo? I Greci avevano una concezione della bellezza che loro definivano Armonia; armonia è una parola greca che sta a indicare la giusta proporzione di elementi, loro della bellezza avevano una concezione geometrica. Nel Discobolo c’è un preciso rapporto geometrico tra raggio, diametro e circonferenza, perché per i Greci la geometria era la misura della Terra, come dice il termine, e l’uomo doveva avere le stesse proporzioni, in quanto appartenente alla Terra. La giusta proporzione tra gli elementi era la loro idea di bellezza. Credo che oggi la bellezza sia l’ultima delle nostre preoccupazioni, non costruiamo più niente nella forma della bellezza, ma unicamente nella forma dell’eccentricità. La grecità è finita.
Anche se ci riempiamo la bocca di bellezza.
La passione attuale per l’aperitivo. Il calice di vino tra le dita di giovani edonisti fuori dai nostri bar
Parole, solo parole. Chi ha girato il film La grande
in orario preserale può essere considerato un rito
bellezza a proposito di Roma poteva fare La grande
moderno occidentale?
schifezza e sarebbe stata la stessa cosa. Sono solitudini di massa che si trovano intorno a Il vino, la Grecia è la terra che con Dioniso ha dato
un bicchiere di vino nel tentativo di sciogliersi nella
origine al vino, in che posizione sta l’ebbrezza ri-
rigidità, tutto sommato, dei loro comportamenti. Vi-
spetto alla bellezza? La visione nietzschiana che
viamo in una società molto organizzata che prevede
contrappone l’apollineo al dionisiaco come si può
sostanzialmente la rigorosa esecuzione di azioni de-
modulare ponendo in relazione bellezza e vino?
scritte e prescritte. E noi non riusciamo a uscire da questi scenari. Gli happy hour sono happy nel modo
Quando Nietzsche aveva visto la contrapposizio-
di dire, quanto all’ora è quella pre-cena che sostitu-
ne tra Apollo, dio della bellezza, e Dioniso, dio della
isce la cena per poi andare in discoteca, quindi una
follia e quindi del “fuori misura”, aveva capito tutto.
sorta di antipasto della felicità che si esprime solita-
Tra Dioniso e Apollo, tra vino e bellezza c’è antitesi
mente nella sessualità e negli stupefacenti. Quindi
e non sovrapposizione. C’è anche da dire che Plato-
niente di interessante.
ne inserisce l’ebbrezza nel Simposio là dove dice che “nel vino c’è la verità”. Non è un nostro proverbio:
Meglio il vino a tavola?
viene fuori ciò che qualcuno effettivamente è. E la
Di sicuro. Soprattutto in una condizione di con-
nostra specificità non è mai data dalla ragione, che
vivio, dove c’è una comunicazione, perché oggi la
è una convenzione per potersi intendere, ma è data
comunicazione non l’abbiamo più. Sui social non ci
dalla specificità della nostra follia, dalla modalità
sono altro che solitudini di massa, laddove io parlo
con cui decliniamo noi stessi a partire dalla condi-
con una macchina e non con un’altra persona, non
zione folle che per i Greci era una condizione divi-
ho più il vis-à-vis, non ho più la corporeità, non a
na. Tanto che i folli e i poeti erano entusiasti, parola
caso anche in ambito sessuale finiamo per esse-
greca che significa che dentro di te sta parlando un
re erotici nella forma del virtuale più di quanto lo
dio. Dalla tensione antitetica tra vino e bellezza sca-
siamo nel reale perché nel reale l’altro ti impegna
turisce l’opera d’arte, perché senza partecipazione
mentre nell’immagine virtuale sei disimpegnato dal
divina non riesci a esprimere alcunché, e al tempo
confronto con l’altro.
stesso questa dimensione folle dev’essere regolata perché altrimenti vai fuori misura. E uno dei pre-
Chiudiamo allora con un brindisi con i calici che si
cetti della grecità è “non oltrepassare la misura.”
toccano, fisicamente. Alla salute.
E per Platone verità e bellezza coincidevano. Erano esattamente la stessa cosa. Non solo verità e bellezza coincidevano ma anche la stessa bontà. Per i Greci c’era identità negli aggettivi καλὸς
κ’ἀγαθός, bello e buono. Non puoi essere buono se non sei bello e non puoi essere bello se non sei buono. La bontà è costitutiva della bellezza. Questo ha la sua conferma nell’espressione negativa per cui si dice che il contrario di bellezza è bruttezza, ma c’è anche questa valenza etica per cui il contrario di bontà è bruttura. Bruttura e bruttezza sono la sintesi in negativo della bellezza e della bontà.
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è di Platone. Con il vino il mondo razionale cede e
Di Mara Cappelletti
I GIOIELLI DI
ROBERTO COIN
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La tradizione animalier, che risale a tempi antichissimi nella gioielleria, è da sempre un riferimento per Roberto Coin che negli anni ottanta, prima di lanciare il suo brand nel 1996, produceva collezioni di gioielli per i più noti nomi dell’industria internazionale. «Ideare gioielli a forma di animali, e definirne caratteristiche sempre nuove, era una mia grande passione. Con il tempo questa passione è diventata una delle linee più amate dai nostri clienti e dalla stampa ed è, ancora oggi, quella che più mi coinvolge nella fase creativa», spiega il designer. Alcuni gioielli della collezione sono nati per celebrare le ricorrenze del calendario cinese, altri rappresentano animali più “domestici”. Ma le fonti di ispirazione sono molteplici, ci spiega Coin «l’ispirazione nasce dappertutto, è un attitude alla vita, osservare e immaginare, una curiosità insaziabile e instancabile. Il mondo della natura poi, che rispetto e amo profondamente, è la sorgente per eccellenza di moltissime delle mie collezioni». I gioielli non sono solo accuratamente dettagliati nello studio delle forme, ma per ogni animale è anche stato studiato il significato simbolico. «Ogni gioiello che creo porta con sé una storia e i gioielli della linea Animalier hanno storie bellissime da raccontare. Ogni pezzo è accompagnato da una allure leggendaria, che viene da lontano, dai racconti popolari a quelli di palazzo, il Leone per me rappresenta Venezia, mentre il Falco il mondo arabo… dove la natura ha creato la perfezione anatomica, che studio per produrre fedelmente queste preziose miniature, l’uomo ha aggiunto un tocco magico con la simbologia».
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Anima Animale
Sono piccoli amuleti, carichi di simbologia e di forza sciamanica, le affascinanti sculture dalle forme animali di Roberto Coin. Ovviamente sono anche dei bellissimi gioielli realizzati con tecniche artigianali e pietre accuratamente selezionate. Una costellazione preziosa e magica composta di oggetti che emozionano.
Da questa ricerca nascono quindi pezzi realizzati a mano, perché seppur il designer sia attento alla ricerca di «nuovi equilibri che uniscono la tradizione all’innovazione tecnologica», questa collezione rimane un prodotto esclusivamente modellato a mano: «un team di artigiani che sono maestri nelle tecniche della tradizione orafa italiana si occupano di dare forma alla mia idea». Tecniche tradizionali quindi che si uniscono a una ricerca approfondita sul colore e il taglio delle pietre che sono fondamentali per l’armonia cromatica di questi piccoli capolavori.
«Due gemmologi lavorano a tempo pieno per lo scouting e il controllo di tutte le pietre che vengono utilizzate nelle nostre creazioni. Io amo supervisionare ogni fase creativa e produttiva, per cui sono parte attiva di questo lavoro. Per la linea Animalier in particolare, mischiamo pietre estremamente diverse, dalle più preziose a quelle più inusuali, i colori della natura ci permettono di sperimentare sempre nuovi abbinamenti».
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Molte delle creazioni animalier vengono prodotte in edizione limitata e c’è un buon numero di appassionati che li acquista per collezionarli, come opere d’arte. Ogni pezzo della collezione porta la firma di Coin che incastona sempre un piccolo rubino consentendone il diretto contatto con la pelle di chi lo indossa. Questa magica firma, circondata da un antico alone di leggenda, rappresenta il messaggio di buon augurio che Roberto Coin dedica alle persone che scelgono di indossare una sua creazione. Che si vedano, in questi gioielli immagini, apparizioni, intenzioni, volontà, numi, spiriti, geni, demoni, dei o semplicemente dei divertissement, si tratta sempre di oggetti magnifici ed esclusivi.
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1 Anello Cheeky Monkey in oro rosa e brunito 18kt con diamanti brown e zaffiri neri. Per celebrare l’anno 2016 e il suo segno dell’oroscopo cinese, la scimmia entra ufficialmente nella fattoria esotica di Roberto Coin. Agile, eccentrica e magnetica, la scimmia si contraddistingue in natura per la sua curiosità e giocosità. 2 Anello Lizard in oro nero 18kt con zaffiri blu, zaffiri arancioni, granato e diamanti brown. 3 Anello Hedgehog in oro rosa e nero 18kt con zaffiri neri e diamanti brown. 4 Anello Aries in oro bianco e brunito 18kt con diamanti brown e colourless, zaffiri neri, zaffiri arancioni e rubini.
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5 Anello Rabbit in oro bianco 18kt con diamanti brown e colourless, zaffiri arancioni e blu, granato verde naturale. 6 Anello Parrot in oro rosa e brunito 18kt con zaffiri neri, blu, arancioni e gialli, rubini, prasiolite e diamanti. 7 Bracciale Spider in oro rosa 18kt e acciaio con rubini e diamanti neri e colourless. 8 Anello Gallo in oro bianco 18kt con zaffiri neri, arancioni e gialli e diamanti. Roberto Coin rende onore al Sol Levante con un gioiello creato per celebrare l’inizio dell’anno del Gallo. 9 Bracciale Scorpion in oro rosa con diamanti neri e colourless.
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La locanda da Lino
INTERVISTA A RENATO Davide La Mantia
Mio padre mi ripeteva: «Se credi di accontentare tutti quanti, hai sbagliato d grosso.
Segui la tua idea, segui la tua strada e poi ci sarà chi ti amerà, chi ti dimenticherà in fretta e chi ti odierà. Ma questo non sarà mai un problema tuo. Tu guarda la tua stella polare, non l’abbandonare mai, in lei c’è l’etica, il rispetto, la qualità delle cose di cui ti vorrai circondare, la genuinità del fare e del pensare. Seguila, lei ti indicherà la direzione e ti porterà dove tu vorrai andare». Non mi sono preoccupato e l’ho seguita quella stella ritrovandomi a essere ciò che sono e a fare ciò che volevo fare: il lavoro di mio padre, il ristoratore.
Un mestiere che affronto ancora, cinquantasettenne, con la stessa passione con la quale iniziai a seguire le orme di quel nobile genitore che aprì, a Pieve di Soligo, la Locanda da Lino perché è così che lui si chiamava. Sono nato in cucina e in questo ambiente ho giocato a fare il cuoco, riuscendoci da curioso autodidatta e non certo andando a scuola. Avevo meno di vent’anni quando ho cominciato a lavorare con mio padre da cui ho assimilato un’infinità di cose a partire dalla scelta delle materie prime, dal saper costruire dei rapporti veri con i collaboratori e con la clientela, implementando il suo modo di fare cucina con la fusione di altre esperienze avute andando in giro, osservando, curiosando e rubando con lo sguardo il saper fare dell’altrui pensiero. Mi sono fatto spugna, mi sono documentato, esercitato e
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158 incuriosito davanti a ogni cosa potesse migliorare ciò che ero, senza mai tralasciare o dimenticarmi le origini. Anche il menù che propongo, in alcune parti, è lo stesso che mio padre proponeva cinquant’anni orsono. Piatti antichi, come l’immancabile zuppa di fagioli, la faraona con la peverada – una salsina fatta con la soppressa e i fegatelli del volatile, bagnata nel limone e pepe – lo spiedo, la pasta fatta in casa e quelle ripiene, che vengono realizzate due/tre volte alla settimana.
In Italia ci sono mille e mille ristoranti, trattorie, osterie e in ognuno è possibile trovare un lampo, un guizzo, un’idea origi-
nale di ristorazione che, ringraziando Dio, non è proprietà culturale solo dei soliti noti e dei personaggi televisivi, ma anche di un sottobosco imprenditoriale composito e composto da grandi artigiani che tengono fede alla tradizione italica, quella definita “Nobile”, che lavorano da decenni sul proprio territorio, ne fanno parte e sono un punto di riferimento, avendo alle loro spalle una tradizione familiare di generazioni. Sono osti, locandieri, cuochi e chef che hanno visto cambiare l’Italia e gli italiani e, nonostante ogni giorno debbano lottare contro un milione di problemi, sono ancora lì a difendere il proprio lavoro.
Dalla mia ho una storia che condivido con mia sorella e quattro cuochi; forse è meglio definirle quattro care persone che sono con me fin da quando erano giovanissimi, divenendo, al pari mio, mariti e padri. Dopo decenni mi diverto e provo gioia ancora a misurarmi con i fornelli, una bella sensazione
che mi aiuta a non rischiare di banalizzare ciò che faccio. Non ho segreti particolari, l’unico forse è quello di saper scegliere materie prime d’eccellenza, la cui originaria produzione merita rispetto, così come la loro trasformazione.
È questa la mia idea di cucina, mentre la locanda, con mia sorella, l’abbiamo allestita come se fosse casa nostra, tappezzando le pareti spoglie con le foto di famiglia, le lettere della nonna e i ritratti di zie e parenti, mentre oggetti d’arte e suppellettili che richiamano ricordi antichi tappezzano angoli nascosti e riservati. Un modo semplice e genuino per creare atmosfera, per dare valore all’antica arte dell’ospitalità.
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Con orgoglio posso dire che La Locanda da Lino è uno di questi luoghi. Ci sono clienti che vengono a festeggiare qui le nozze d’oro del loro matrimonio perché è qui che fecero il pranzo nunziale. Ci sono clienti di vecchia data, altri che vanno e vengono in questo porto di mare dove ogni pietra ha un suo perché, così come ce l’hanno le oltre 2.000 pentole, tegami, padelle e pentoloni di rame appese al soffitto e alle pareti che rendono magico questo luogo.
Siamo partiti dalle domande, più che dalle risposte. Cosa volevamo? Ci interessava produrre prodotti unici ed eccellenti, raggiungendo possibilmente questi obiettivi con serenità e coscienza. Non avevamo delle certezze assolute, ma contavamo molto sul nostro saper fare al quale abbiamo pensato di aggiungere serietà, etica e un impegno quotidiano. Una ricetta che ci sembrava già buona da applicare, ma che sarebbe stata poca proficua se non avessimo compreso, prima di tutto, chi eravamo. Inoltre provenivamo da culture diverse, da esperienze diverse e, per divenire un nucleo propulsore originale, dovevamo sposare un’unica fede, così abbiamo fatta nostra la frase di Stevenson, incisa ora all’ingresso dell’azienda, divenuta la sostanza e il motto del nostro operare: “Non giudicare il raccolto da quello che hai, ma dai semi che hai piantato”.
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Ognuno di noi aveva dei semi in tasca e li abbiamo piantati qui, dove oggi sorge questo capannone, alle porte di Milano. È una frase che racconta il mondo di Carl Laich, fatto di quei contenuti e di quella sostanza che offriamo, seriamente e correttamente, al mercato, ai nostri partner e a chiunque collabori con noi. Una filosofia produttiva, ma anche di vita; un approccio umano al quotidiano che mette sullo stesso piano “l’altro” e i numeri. Si lavora meglio quando vi è rispetto reciproco e vi è la volontà comune d’impegnarci nell’ottenimento del risultato auspicato. Questo lo sanno anche i nostri 130 collaboratori che non sono mai stati considerati solo dei numeri. Oggi ci rendiamo conto che siamo sulla buona strada per rispondere a quel “cosa volevamo” con cui ci interrogavamo un tempo; le commesse, la credibilità e il mercato ci stanno premiando, ed è bello e ci fa comprendere ancor meglio come quello che faremo domani sarà figlio solo di cosa semineremo oggi.
CARL LAICH
L’unione delle maestrie artigianali e la tradizione abbinata alle nuove tecnologie robotiche ci ha consentito di cucire la manualità delle origini al futuro dando vita, da oltre trent’anni, a una impresa di pelletteria italiana, all’interno della quale si progetta e si realizza l’intera filiera produttiva, con maestranze artigianali capaci di gestire tutti i processi produttivi con precisione. Dove non arriva la tecnologia arriva la mano dell’uomo, la sensibilità e l’attenzione nei particolari dell’operatore, capace di saper leggere i dati di una macchina così come gli spessori della pelle, di verificare e dominare i processi realizzativi di ogni singola fase. Un piccolo mondo, l’immagine di uno stile italiano unico e inimitabile che fonde la genialità al saper fare. Questo è il nostro modo di coniugare passato e futuro, genialità e design, elaborando tendenze, ricerca e qualità per soddisfare il gusto dell’eleganza dei nostri clienti, siano essi uomini o donne. Idee sempre nuove che generano altri semi che ci servono per il futuro per poter raccogliere domani il frutto dell’odierno lavoro. Buoni semi e buon raccolto sono le due facce della stessa medaglia coniata da Carl Laich.
TAVOLO CR Che cos’è il lusso?
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Uno stato d’animo o qualcosa di più concreto? Un’agenda vuota di impegni, dormire senza pensieri, svegliarsi al ritmo della marea caraibica, viaggiare senza valigie? Ferruccio Lamborghini, a chi gli faceva notare che la mitica Miura non aveva bagagliaio, rispondeva che quando si viaggiava con la sua macchina non c’era bisogno di portare valigie, bastava una carta di credito. Semplice e conciso. Fantastica quella sua macchina, esposta, per il suo design unico e come mito di un’epoca, al Museo d’Arte di Moderna di New York. Ancora oggi, a guardarla, si ha la sensazione che possederla e guidarla deve essere stata un’esperienza unica, come lo è l’immagine di vivere con l’idea che qualcuno abbia pensato per te, e prima di te, a soddisfare il tuo piacere. È il tempo del lusso, quello di vivere nell’eleganza senza tempo; è l’esperienza che nasce per non essere dimenticata, quel tipo di storia che sceglie i dettagli. Proviamo allora a immaginare di trovarci in uno dei più prestigiosi hotel milanesi, il Principe di Savoia ad esempio; proviamo poi a fantasticare su un ristorante, l’Acanto.
La nostra fantasia cosa immagina? Di vedere al suo interno un privé, uno spazio dedicato, circondato da un velo di cristalli Swarovski. Una suggestione che ha un nome: Tavolo Cristallo. Un’emozione ci scuote. Parola spesso abusata, che qui trova la sua dimensione ideale. Senza sfarzo i pannelli di cristallo Swarovski, nati dalla collaborazione della grande azienda austriaca con il designer d’interni Celeste Dell’Anna, si materializzano in modo impalpabile intorno a questo spazio. Il prestigioso tavolo può ospitare da due a sei persone che cenano, accudite dallo Chef Alessandro Buffolino, padrone di casa della cucina di Acanto; momenti sensoriali unici sentendosi protagonisti di una serata magica, avendo a disposizione una mise en place firmata Stefano Ricci Home e tutt’intorno gli arredi della collezione Heritage e Bentley per Luxury Living che creano un set straordinario; una scena da favola che diventa la realtà di una sera.
L’esclusività al ristorante Acanto del Gran Hotel Principe di Savoia Milano Edmondo Mingione
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RISTALLO
Ma c’è dell’altro, molto altro. La fantasia corre e scopre che l’esperienza di Tavolo Cristallo non si può esaurire in un semplice atto d’amore verso l’unicità del bello o in una esperienza gastronomica, se pur sublime, poiché tutto questo è solo l’atto finale di un percorso, se possibile, ancora più prestigioso. Dal momento della prenotazione al giorno dell’evento, ogni gesto, ogni azione è dedicata a rendere questa esperienza unica. Un Ambassador si occupa di ogni dettaglio perché l’evento sia costruito interamente attorno all’ospite, in base alle sue richieste ed aspettative. Lo Chef ragiona con l’ospite per creare un menu perfetto per la serata che deve unire raffinatezza, stupore ed emozione realizzando i “lussuosi” desideri degli ospiti.
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Un sogno? No una realtà bellissima messa a disposizione dei clienti dell’hotel. Non è un dettaglio irrilevante vedere come alcuni dei brand più importanti di via Montenapoleone e del quadrilatero della moda siano partner del Principe di Savoia. Ecco dunque che il sogno può ancora una volta diventare realtà. Grazie a una card riservata ai clienti top dell’hotel, è possibile fare un tour guidato per lo shopping e avere, dalle boutique che fanno parte di questo network, un’accoglienza dedicata, un welcome drink, l’accesso esclusivo a una parte della collezione riservata a pochi, oltre molti altri privilegi e servizi personalizzati. Tutto è talmente perfetto che viene da domandarci quale sia la ratio di tutto ciò; che cosa lega fra loro il lusso e l’emozione? Che cosa determina la scelta di voler vivere la fiaba o il sogno che vogliamo? Dov’è il confine tra realtà e l’accadimento metafisico di quell’impalpabile sensazione che ci fa pensare che certi fatti siano, in effetti, irripetibili? Quando riusciamo a darci queste risposte, in quel preciso momento, ci rendiamo conto che sono proprio le emozioni che incidono nei ricordi per rendere uniche le nostre vite.
Alla fine, e qui immagino che saremo tutti d’accordo, il bello è scoprire che il vero lusso è riuscire a essere felici.
Hotel Principe di Savoia . Milano
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PRECUR SOSTEN 168
Alessandra Piubello
Il concetto di sostenibilità è presente nella storia dell’umanità sin dalle sue origini. Molte civiltà, filosofie, religioni, fedi e culture del mondo, antiche e più recenti (Sumeri, Maya, Indiani Nord Americani, Buddismo, Sufismo, Gandhismo, Induismo, Taoismo, etc.) hanno cercato e cercano di gestire il rapporto tra umanità e natura in termini di “saggezza”. Sostenibilità può essere intesa contemporaneamente come uno stile di vita, un ideale, un modo civile e lungimirante di relazionarsi con il sistema circostante. Per alcuni è poco più che una vacua parola in voga, talmente di moda da essere oramai abusata, per altri è un valore di vita.
Cos’è dunque la sostenibilità? Sostenibilità deriva dal verbo latino “sustineo-ere” che letteralmente significa “sostenere” qualcosa, mantenerla e conservarla così com’è nel presente, ma significa anche proteggerla e tutelarla per il futuro senza produrre degrado, senza mutarne l’animo, l’essenza e il senso. Sulla base di questo assunto, il termine si configura perfettamente all’ecosistema e all’ambiente, con la capacità di sapersi armonizzare l’utilizzo delle risorse naturali ad un ritmo consono al loro rigenerarsi naturalmente. Comprendendone il valoro, abbiamo fatto sì che il concetto si estendesse, in senso più globale, anche all’ambito economico, sociale e soprattutto culturale, essendo tutti questi elementi strettamente correlati e interdipendenti. È ormai chiaro che lo sviluppo economico non può essere raggiunto a scapito dell’ambiente, anche se deve generare reddito e lavoro per il sostentamento della popolazione, così come per l’aspetto sociale la sostenibilità deve basarsi sul concetto di equità come principio etico, procedendo di pari passo con gli altri elementi.
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RSORI DI NIBILITA
Ma più di ogni altra cosa la sostenibilità è legata alla cultura che è forse il suo valore maggiore essendone stata il motore propulsore del sistema sostenibile, l’elemento catalizzante, l’amplificatore delle coscienze, l’humus di chiunque si approcci o decida di operare nell’idea di una sostenibilità globale creando economia e coesione sociale, ma anche offrire un senso di grande rispetto a ciò che ci circonda. La cultura stimola riflessioni, confronti, dibattiti, soluzioni, valorizza le risorse umana e le unisce per la costruzione di nuove “identità civili” e “civiltà sociali” basate sulla partecipazione e sulla cooperazione.
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Non nascendo “imparati” e “sapendo di non sapere” è necessario stimolare e costruire percorsi cognitivi, didattici e formativi che consapevolizzino le persone. Dobbiamo pensare che abbiamo un terroir culturale proprio, da coltivare e curare come una vite. Un libro, un incontro, un convegno diventano tavole apparecchiate su cui vi sono idee e progetti che ci nutrono lo spirito e ci consentano di cogliere nuove opportunità, ampliare i nostri orizzonti definire i problemi siano essi quelli che riguardino l’ambiente o i cambiamenti climatici. La cultura è il seme che genera nuove piante e coinvolge, nella risoluzione delle problematiche, le generazioni future. La cultura deve essere incoraggiata, sostenuta al pari della ricerca, per dare sostanza ai temi che interessano lo sviluppo sostenibile, in modo da avviare e realizzare politiche globali. La cultura crea strumenti di comunicazione originali, strategie di marketing innovative, realizza il miracolo di costruire un approccio globale per non rischiare di valutare la sostenibilità a pezzi, rischiando di fare a pezzi la sostenibilità. «Noi crediamo in un approccio scientifico e pragmatico alla sostenibilità del vino – afferma il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella –. Gli enologi sono gli unici, per competenza e conoscenza, acquisita negli studi e nella sperimentazione sul campo a poter dare risposte e applicare la sostenibilità al vino. Conoscono il ciclo della vite, e sanno come intervenire con nozione di causa, nel rispetto della sua natura». Anche il documento redatto dall’OIV di Parigi sulla viticoltura sostenibile, si capisce quante siano le sfide alle quali le imprese viticole sono chiamate a rispondere perché debbono possedere nel loro organico operativo competenze enologiche, botaniche, legislative, di marketing, oltre a quelle amministrative linguistiche, manageriali, ma soprattutto culturali che danno valore all’idea che siano proprio loro i “custodi della terra”. Devono divenire degli esempi virtuosi da replicare nella nostra società, essendo attori protagonisti di tutti i concetti sopra esposti.
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High hiîˆ Concerts
we are like orchestra conductors seeking out the perfect harmony between the land and the wine. through skill and tenacity heroic viticulture is able to bear the fatigue of "working by hand". each hectare of valdobbiadene prosecco superiore d.o.c.g. requires up to 1500 hours of work. bol.it
Oscar Giannino
Di Franco Vergnano
Perché va controcorrente
(e quasi sempre ha ragione)
Quando a Milano, nel “Palazzo lanterna” abbozzato sui post-it da Renzo Piano in volo per Parigi, incrocio Oscar Giannino al bar de Il Sole 24 Ore di via Monte Rosa, in genere lui ha appena finito una delle sue ruvide trasmissioni (del tipo “I conti della belva”) e prende il caffè, mentre io mi tonifico con una spremuta di pompelmo prima della riunione di redazione per il quotidiano. Oscar paga con la “chiavetta verde”. E, anche se è sempre superindaffarato, c’è tempo per qualche “chiacchiera da bar”. Magari dopo che, a Radio 24, lui ha urlato il suo famoso «BASTA! BASTA! BASTA!», lo slogan che vanta più tentativi di imitazione della Settimana Enigmistica. Oppure, sempre lui, Oscar, ha appena mazzolato qualche «editorialista per aver scritto un fondo su un autorevole quotidiano dicendo che la Grecia non ha ristrutturato il suo debito». Un falso storico, grande come una casa, a «dimostrazione che troppo spesso ci scordiamo degli eventi che noi stessi abbiamo vissuto e commentato». Oscar ti travolge con una valanga di numeri, cifre e dotte citazioni. Per poi aggiungere, tra il serio e il faceto, con un sorrisetto furbo, sornione e un ghigno alla Lee Van Cleef inquadrato da Sergio Leone: «Ma tanto lo sanno tutti che sono mezzo matto».
pubblicato su Youtube . Account “In Egitto”
Invece non è affatto un “Maverick”, un cavallo degli indiani d’america pazzo e pezzato (anche se Oscar ama agghindarsi in un modo colorato e originale). Tenendo conto della sua poliedrica attività professionale di grande caratura (giornalista, economista, consulente, ecc.) ti viene in mente, mutuando Erasmo da Rotterdam: “C’è del genio in quella follia”. Ed è un peccato che al bar de Il Sole non si possa più, almeno qualche volta, brindare per una “soddisfazione intellettuale” (a volte anche dell’antipatica serie “Ma io l’avevo detto!”), magari con un flute di Franciacorta: «Sono le mie bollicine preferite» dice Oscar che da buon piemontese sa bere con gusto (è nato a Torino nel 1961 e diventato professionista nel 1992). Con Oscar è bene essere precisi, specie quando si fa un suo “ritratto a tutto tondo” di liberale garantista, con qualche notazione alla “questionario di Proust”, non autorizzato. Giannino è divisivo: o piace o non piace. Genera sentimenti agli antipodi. Quasi sempre è in minoranza, anche se spesso il tempo, da galantuomo, gli dà ragione. Come sull’euro. Oscar lo ha difeso a spada tratta e adesso tutti fanno marcia indietro, anche l’ultimo Salvini “di lotta e di governo”. Una cosa è certa: Oscar non fa sconti a nessuno. Nemmeno a Marco Fortis, per decenni editorialista principe de Il Sole 24 Ore, cantore dei distretti e adesso nel CdA Rai: «Continua a dire che l’Italia non cresce per colpa della Germania, ma non è così». (In effetti anche Mr Spending Review Carlo Cottarelli ha avuto un deciso botta e risposta con Fortis sulla crescita del Pil). Comunque vada, «la Merkel, già prima di queste elezioni, ma adesso ancor di più, non pagherà mai i nostri debiti». Anche perché la regulation tedesca lo vieta. Pochi studiano i dossier come lui. E Oscar fa la stessa faccia di quando ai microfoni inveisce: «Non credete a chi vi racconta che i robot vi porteranno via i posti di lavoro. Come ve lo devo spiegare?». Insomma, un Oscar controcorrente sempre, anche se non per partito preso. Controverso, questo sì, banale mai. E, potete scommetterci, di certo non fa il “bastian contrario” (come si dice a Torino) per convenienza, caso mai per conoscenza. E convinzione.
la dolce v 174
La bellezza e il fascino del Bel Paese attira importanti brand internazionali
vita Di Edmondo Mingione
Prendiamo come esempio Roma, la Città Eterna, nella quale si fondano mille rappresentazioni della bellezza, tutte nel crogiolo della storia che ha visto un continuo fiorire di grandi opere architettoniche e artistiche le quali, a loro volta, hanno dato vita a un vero e proprio museo, certe volte a cielo aperto, capace di arredare ogni suo angolo o nascondendo, ai più, altri tesori più o meno noti. Una sublimazione artistica del sapere, ispirazione di una miriade di curiosi, intenditori, studiosi o pellegrini che arrivano da tutto il mondo per visitare questa città che, placidamente e un po’ sorniona, li accoglie con generosità. Una bellezza e un fascino ai quali non si sottraggono anche molti brand internazionali, che spesso la scelgono come porta d’ingresso sul mercato italiano, come ha fatto Harry Winston, o molti marchi italiani che continuano a investire nelle loro sedi romane. Sono sempre più numerosi quelli che contribuiscono a rendere Roma sempre più bella, finanziando il restauro di monumenti importanti che sono patrimonio dell’umanità, come ha fatto Fendi per la Fontana di Trevi, o Bulgari per Piazza di Spagna, o Tod’s per il Colosseo. Sono molti quelli che credono che Roma sia davvero la capitale del mondo e ci credono avviando forti investimenti, soprattutto nel turismo, tra progetti, aperture di hotel e restauri.
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Aleph Rome Hotel
Nell’immaginario collettivo internazionale, l’Italia rappresenta una vera icona di storia, arte e cultura. Nessun luogo al mondo ha avuto una continuità così ampia nella produzione della BELLEZZA alla cui fonte, come musa ispiratrice, si è abbeverato il mondo nel corso dei secoli.
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Luxury in Rome
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e Come è il caso dell’Aleph Rome Hotel, splendida proprietà
nel cuore di Roma; una gemma incastonata tra via Veneto, Piazza Barberini e la Fontana di Trevi.
Acquisito da Al Rayyan Tourism Investment Company, ARTIC, a inizio 2015, ha riaperto recentemente dopo un importante restauro, affacciandosi nel panorama dell’hotellerie internazionale sotto l’egida di un gruppo di eccellenza, l’Hilton, che lo ha inserito nel suo brand Curio Collection by Hilton. La scelta di questi due grandi gruppi non è casuale. L’edificio che ospita l’Aleph Rome Hotel, infatti, ha una storia che si intreccia con il tessuto cittadino degli ultimi cento anni. Inaugurato negli anni trenta, fu sede delle Casse di Risparmio e il palazzo, in molti dettagli, parla ancora della sua originaria destinazione d’uso. Come ogni sede di banca, l’edificio è stato concepito per avere un aspetto imponente, rassicurante, ricco ma non sfarzoso. La facciata presenta i caratteri distintivi dell’architettura neoclassica, che conferisce importanza all’edificio, mentre la partizione verticale delle colonne doriche dà slancio e maestosità. Il portale è abbellito da un gruppo scultoreo raffigurante la dea dell’abbondanza, mentre l’ingresso è importante, con una scala in marmo bianco, decorata da due sculture marmoree raffiguranti leoni, che introducono nei saloni principali.
Ovunque marmo, che è il filo conduttore del progetto architettonico del piano terra; marmi originali, recuperati e restaurati, dialogano oggi con i nuovi inserimenti. I pregiati arredi, realizzati da artigiani italiani, valorizzano gli accessori di design presenti ovunque. Le camere hanno lo stesso format e caratteristiche di comfort, ariosità e contemporaneità degli altri ambienti. Il sunto dell’idea progettuale del restauro è il roof, dove modernità, funzionalità e tecnologia si ritrovano nella piscina riscaldata e nelle piacevoli terrazze protese sui tetti di Roma. Ma la sorpresa più grande è nei sotterranei dell’edificio: la meravigliosa porta originale del caveau della banca, imponente e massiccia, ancora integra e funzionante, rende unica ed affascinante quella che adesso è la spa dell’hotel. Restauri conservativi, moderne tecnologie e raffinata semplicità sono le caratteristiche della nuova veste dell’Aleph Rome Hotel, un luogo dove tradizione e modernità trovano l’equilibrio perfetto. Sappiamo bene che il fascino di una città ha inizio nel posto in cui si sceglie di soggiornare, e questo, a quanto pare, è l’idea guida che ha spinto grandi aziende internazionali a investire nell’ospitalità in Italia.
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del
L'Arte
Telaio di Francesca Paola Comolli
Certi
incontri restano, hanno un loro perché e un sapore. Non scompaiono, rimangono indelebili nella memoria. Quando li vuoi li ritrovi dentro, nei ricordi; sono lì, stai certo non se ne vanno, sono in un angolo del cuore, e lì restano inspiegabilmente molto più di tante quotidiane frequentazioni. Non conta il luogo o la causa che hanno determinato il piacere dell’incontro, ciò che resta è solo l’energia venutasi a creare dall’alchimia del pensiero di chi si è incontrato. Tutto si è svolto in un attimo e ha travolto il tempo, conducendo quell’attimo nell’infinito. Riscopri il senso delle cose, vedi persino i colori delle parole, annusi lo stato d’animo, il raro, il bello, il vissuto, solo stringendo una mano. Non sono trascorse ore, ma minuti e già mi rammarico di non averla vissuta prima questa magnifica esperienza, magari in una delle altre vite che hanno segnato la sua e la mia esistenza. Il viso luminoso e gli occhi vivi fanno apparire sciocco il contorno e il fatto di trovarsi al cospetto di una ultra ottantenne, giovanile più di una trentenne. Un’artista della tessitura, una donna avvolta da uno charme di altri tempi, come lo è la sua arte di saper comporre e mettere insieme fili per costruire tessuti unici e magici. Ha una voce affascinante e un modo elegante di scandire le parole. Starei ore ad ascoltarla perché nulla di ciò che dice è scontato, banale o fuori luogo. Parla e lo fa con grazia, accompagnandomi nel tempo, nelle sue esperienze passate, nei suoi sogni futuri, riconducendomi subito dopo ai filamenti, al filo doppio, alla tessitura semplice e a quella più complessa
o a suo figlio, mostrandomi opere di grandiosa bellezza, arabeschi che ricordano spezie e notti magiche. I sensi si aprono e mi trovo avvolto dal suo narrare e alla fine il suo telaio diventa arte. Mi siedo davanti a lei che mi strega proponendo alla mia mente un argomento nuovo a ogni sorso di caffè; ragionamenti che messi insieme diventano la biografia di una donna tremendamente attuale. I suoi 82 anni e 82 giorni spariscono, come spariscono le sue rughe e le sue difficoltà motorie, e tutto succede mentre le si illumina l’anima. Il carattere deciso e forte ha reso onore alle sue idee, intraprese lungo una vita nella quale ha percorso strade sempre diverse incontrando in questo suo andare migliaia e migliaia di persone. Un telaio come un pianoforte, usato per costruire armonie e composizioni irripetibili. La quiescenza del filo che sa costruire il tessuto, in lei si fa essenza. Ne comprende l’evoluzione, sa quale sarà il risultato finale, al pari di uno scultore che, davanti a un cubo di marmo da lavorare, sa già il fine della sua opera. Un filo è tutto in quel filo, in quell’elemento vivo, mai sterile o freddo, sensibile al tempo e alle mani di chi lo usa, capace di non condurre mai a fredde geometrie, ma solo a un pensiero creativo. Tessere, al pari della musica, della pittura e di altre antiche forme d’arte, è l’espressione di una grande tecnica applicata al proprio essere e al proprio sentire. Paola Besana rappresenta la tecnica e l’anima, la ragione e il sentimento; è come un personaggio di Jane Austen divisa tra infiniti modi di vedere le stesse cose.
Un telaio come I suoi 82 anni e 82 giorni si sono colorati di 21 traslochi. Dalla Val Camonica al Veneto, poi Lombardia, Stati Uniti, Lapponia, Svezia, Finlandia, Campania e Oriente. Un interminabile viaggio svolto non da turista, ma da osservatrice, permettendole di aprirsi al mondo e di costruirsi esperienze uniche. Una genialità, diversa da quella scientifica dei propri fratelli, che, pur non avendo la parola facile, bloccata da una giovanile timidezza che le ha impedito di esprimere le proprie idee, è emersa in modo prepotente nel freddo Nord Europa dove trovò consacrazione, scoprendosi libera di scegliere e seguire la propria strada, accompagnata dalla conoscenza. È in Lapponia che scoprì le tecniche di tessitura di antichi popoli.
Ogni persona, ogni luogo ne ha influenzato la creatività, che va oltre l’aspetto figurativo e visivo del tessuto, puntando all’architettura, al design vero e proprio, restando influenzata dalle opere di Nervi, Buckminster Fuller e di tanti altri artisti, trovando il piacere di sperimentare e studiare. La incontro nella sua casa. Ma non so se lo sia davvero. Forse è il suo laboratorio-museo, o forse la sua casa, laboratorio, museo, o forse, più semplicemente, il luogo dove ha deciso di vivere la parte finale della sua esistenza. Non mi importa, lei secondo me è una cittadina del mondo, un’anarchica relazionante con il sistema sociale che si è scelta e con il quale si relaziona in modo magistrale.
un pianoforte Avrebbe potuto vivere a Londra come a New York, ma non ha importanza perché è a Milano che ha deciso di stare e non conta ciò che circonda questa casa, ma l’energia che vi si respira, che custodisce dentro dove, in ogni dove, vedi i suoi affetti e le sue passioni, i suoi ricordi e i suoi pensieri. La concretezza del pensiero consente la costruzione delle idee, l’artigianalità la realizzazione di tessuti unici, l’intreccio di due o quattro fili, di materiali naturali diversi, genera infinite possibilità creative.
Ciò che si acquisisce con la tessitura è l’apertura mentale, una relazione intima con se stessi in un incontro lento con il fare, isolati da un mondo in cui tutto è veloce e fatuo. Ogni tessuto alla fine rappresenta la nostra vita, magari, come mi spiega Paola, andiamo avanti con un colore per poi capire che vogliamo essere altro, così si cambia, come cambiano le nostre storie personali, che devono divenire le nostre più belle opere d’arte non per gli osservatori esterni, ma per chi li ha costruiti.
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TORINO ROMA MILANO FORTE DEI MARMI PORTO CERVO
Controriforma spumeggiante dal 1632 al 1728: i gesuiti italiani, padri delle bollicine… Il vino di Reims approda sulle sponde del Tamigi. Quasi un secolo di Champagne inglese.
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La Francia diventa capitale dello stile in cucina e a tavola All’inizio del XVII secolo rifioriscono le vigne in tutta Italia, fuori dai broli, in aperta campagna. Sono gli anni delle prime migrazioni di varietà viticole anche fuori dai confini nazionali e regionali. In questi primi decenni viene coniato e diventa diffuso il termine “ispumanti” per identificare i vini che fanno la spuma… mordenti, picanti, racenti, come si apostrofavano nel secolo precedente. Anche il gusto cambia, si diffonde velocemente la passione per i vini dolci, anche con l’aggiunta di zucchero in grosse quantità, per i vini rosati e bianchi. Gli scrittori Matteo Franzesi e Girolamo Barbagli parlano di questi nuovi consumi e, per primi, abbinano il nome di vitigno con il luogo di origine. Sono le Doc ante litteram: il Sucano di Orvieto in Umbria, la Coda di Cavallo di Nola in Campania, il Bagnaia nell’alto Lazio, il Vin di Candia del Garda, il Soave Moscato di Casorzo, il Chiaretto di Nebbiolo in Piemonte, la Tosca o Sangiovese in Romagna, la Vernaccia di Serrapetrona, il Monterrano, la Malvasia di Castelnuovo, la Lambrusca di Carpi, la Malvasia di Candia aromatica di Piacenza; tutti vini “ispumanti” ottenuti con l’aggiunta di uguale quantità di acqua calda fortemente zuccherata al mosto fresco, oppure con il metodo di far decantare il vino sulle vinacce separate dal mosto. I testi, o Annali Storici di Casa Savoia, citano che ai pranzi quotidiani era in voga un vino leggero, prodotto nelle terre piemontesi, “ispumante” fatto con un mix di vini Moscato e Nebbiolo. Nel 1661, Filippo Jacopo Sachs, pubblica a Lipsia un libro di enografia citando che nell’Insubria, vicino al fiume Ticino, si distingue un grande vino “picante”, bevuto nel “crocco” di ceramica, detto “subulliens bullis” di color rosa, ottenuto da uve Pignole, già citato dal Bacci. Nella seconda parte del ‘600 si registra un fortissimo calo di consumo del vino in Italia. Il vino diventa una moneta: valore bassissimo, impianto di vigne ovunque, qualità scarsa, vini senza iden-
Spumanti, Bullulae, Bollicine, Bubbles…… fra genius loci e ingenia di Giampietro Comolli
Spumant plenis vindemia labris 47.15 a.C.
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tità, difficoltà economiche in diversi Stati. I braccianti agricoli sono pagati in vino, la nobiltà e la borghesia cambiano abitudini, nessuno scrive di vino. È ancora più evidente che produrre un vino frizzante, vendibile con contenitori idonei e con tappatura ermetica, è impossibile se non c’è remunerazione. È nota l’arringa di Walter Charleton alla Royal Society di Londra denominata “il mistero dei vinai…” contro il dilagare delle sofisticazioni o dei miscugli nei vini. In Francia, causa la crisi dei consumi, inizia la vendita di vini sfusi a bassi costi e i commercianti-industriali inglesi (e olandesi), divenuti i principali acquirenti di vini di Bordeaux e di Reims, sono bravi produttori e confezionatori, con esclusività di commercio in più Paesi. Grazie alla fabbrica di Henry Holden e John Colenet alle porte di Londra, nel 1662 si inizia a produrre in serie le bottiglie di vetro pesante, “brevetto Digby”, fondamentali per reggere le 6/7 atmosfere sprigionate dalla tumultuosa rifermentazione dello zucchero aggiunto. Un’altra precedente scoperta, sempre in terra di Albione e decantata da Shakespeare già nel 1599, è stata quella dei tappi di sughero elastici, ancorati al vetro, provenienti dalla Spagna e fino ad allora usati per la birra! Fu il conte di Bedford, nel 1665, a ordinare per primo ai monaci spagnoli i tappi di sughero, di foggia larga e spumosa, utili per chiudere le bottiglie di vini frizzanti disegnate appositamente con il collo corto e robusto per trattenere il tappo. Queste prime bottiglie uscirono dall’Abbazia di Woburn nell’Essex alle porte di Londra. Altre bottiglie di vetro bianche pesanti, lasciate fermentare e travasate nei magazzini lungo il Tamigi, zona Woolwich e Greenwich-Isle of Dogs, si diffondono nell’isola e ritornano in Francia come “vino della Champagne fatto a Londra”. Le bottiglie presentano un fondo, il risultato della fermentazione, dal contenuto torbido se agitate. È lo storico francese, Andrè Simon che per primo racconta, in dettaglio, il doppio percorso del vino della Champagne, prima verso Londra come vino tranquillo in fusti di legno, poi in direzione Parigi imbottigliato. Cita alcuni ingredienti particolari usati dagli enologi inglesi per produrre la spumantizzazione, oltre allo zucchero, per addolcire il sapore acre-acido: cannella, chiodi di garofano e spezie mielose. La fermentazione dei mosti si effettua nelle barriques di legno e non in vasche di cemen-
to, le stesse usate per il trasporto, in modo che il freddo invernale rallenti, prolunghi e arresti il processo, mantenendo un residuo zuccherino. L’imbottigliamento precoce primaverile permette la maggiore produzione di spuma. Da qui la produzione di vini dolci o demisec, come vennero chiamati. Lo spumante era all’epoca decisamente dolce e fu tale, per richiesta e tipologia, fino all’inizio della seconda metà del XIX secolo. Sulle tavole di Westminster appare il primo calice di vetro a forma di coppa larga e aperta, con il gambo corto e il piatto largo realizzato con vetro trasparente, talvolta lavorato con figure e prodotti della vite. L’aristocrazia inglese, a cavallo dei due secoli, impazzisce per il vino spumantizzato che diventa veramente una moda che coinvolge tutti. Intanto la crisi produttiva e dei consumi degli ultimi anni del secolo stimola sperimentazioni: selezioni varietali precoci, più uve bianche, nuove varietà più zuccherine, impianti bassi, prove di uvaggi diversi (le cuvée) sono le prove di coltivazioni nei conventi e nei broli (campi chiusi da un muretto di sassi) delle abbazie. Dopo 3 secoli di padronanza della cucina e dell’arte culinaria, della letteratura e stampa di libri (nel Medioevo e nel Rinascimento Venezia è la capitale dei libri dell’agroalimentare), l’Italia abdica in favore della “nouvelle cuisine” francese. Da Caterina de’ Medici in poi (seconda metà del XVI secolo), diversi sono i cuochi e gli scalchi che seguono principesse e duchesse italiane nei matrimoni regali in terra di Francia portando in dote ricette. La cucina francese trasforma il gusto agrodolce, l’abbondanza di spezie, le carni stracotte, agrumi e aceti in ricette burrose, salse sostanziose, ortaggi, verdure ed erbe officinali. Intorno al 1676, Sir George Etheredge, gentiluomo di campagna, libertino, ricco e stravagante, decanta in ogni occasione pubblica i pregi del vino, soprattutto il fascino e il coinvolgimento di quello effervescente. Ma sono ancora studiosi e testi italiani a parlare di vini effervescenti: Francesco Redi, medico e letterato, pubblica nel 1685 un ditirambo dedicato alla produzione dello
ispumante Moscadello di Montalcino in cui spiega che per eliminare il troppo dolce e per illimpidire al massimo il vino si usava la tecnica del prolungare il più
possibile la fermentazione, aggiungendo anche tre volte mosto caldo molto scuro, cui seguivano travasi da recipiente grande a recipiente più piccolo… ma questo accentuava il colore del vino, ne accorciava la vita e i profumi erano acetici. Anche Don Rodolfo Acquaviva (1658-1729), aristocratico napoletano discendente della potente famiglia Como, un gesuita rettore del collegio di Montepulciano, nel poemetto Rubri apud Politianos Vini confectio stylo Virgiliano decripta
(l’originale è conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana a Roma, scoperto dal prof. Mario Fregoni), descrive in modo dettagliato vendemmia e vinificazione dei vini spumeggianti, svelando il segreto dell’aggiunta dello sciroppo-mosto cotto di Lambrusca selvatica in fermentazione per illimpidire il vino con precipitazioni naturali. Nel 1710, la vendita totale di vino originario della Champagne, quasi tutto su ordinazione, non superava le 10.000 bottiglie, di un solo formato.
In Francia, il primo a interrogarsi su come eliminare i residui della produzione di spuma nella bottiglia fu, nel 1718, un altro frate, il canonico Jean Godinot, che lascia un vero documento scritto con tutte le prove tecniche fatte a Reims. Cita anche l’uso dello sterco di colombo! Nei primi decenni del ‘700 si nota una crescita della domanda, anche a fronte di prezzi delle uve e dei vini in commercio in ascesa. La cucina francese sta modificando gusti e costumi. Re Luigi XV di Borbone decide
di porre fine alla storia dei vini francesi imbottigliati in Inghilterra. Emana il decreto reale del 25 maggio 1728 che punta a tutelare e valorizzare le bollicine della Champagne, definita la “vigne de Paris e du Roi” e segna l’inizio del blocco del trasporto di vini a Londra, poiché impone il commercio solo in casse di vimini da 50 e 100 bottiglie e non oltre. Lo Champagne torna in Champagne. Nel 1729 viene fondata da Nicolas Ruinart la più antica Casa Spumantistica in Champagne.
o d d e r f o n i il v a n a i l a t i e t r a
In italia
È tutta italiana, e unica, l’arte e la moda di bere il vino freddo, contro tutte le tradizioni continentali e inglesi di bere bevande calde: “alla maniera italiana” sottolinea nel 1692 Nicolas Audiger nel testo Maison Régléé. È di quest’epoca l’uso del “sorbetto”, presagio al gelato, anch’esso tutto italiano! Anche la tazzina di caffè a fine pasto è un vezzo solo in Italia.
IN francia
In Francia, da Dom Perignon (1695) al Can Godinot (1718). Coincidenza: Perignon nasce nel 1638 e muore nel 1715, esattamente come il Re Sole, Luigi XVI! Testi scritti di Don Rodolfo Acquaviva e del medico Francesco Redi contengono richiami danteschi, citazione a Galilei su influssi lunari e annotazioni per ammostare l’uva senza pigiarla, aggiungendo mosto caldo di uva selvatica acerba di Labrusca o Averusto, già in atto nella cantina del possidente etrusco Porsenna (V secolo a.C.). Il vitigno base utilizzato era il Prugnolo Gentile. Solo con le scoperte di Lavoisier (1776) e di Pasteur (1859) si chiarisce il processo chimico fermentativo.
Una storia tutta italiana
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VER MOU di Marianna Natale
La sua storia tiene insieme due universi affascinanti, quello del vino e quello delle spezie.
La zona di produzione comprende l’intero territorio del Piemonte. Un decreto importante che ha consentito la costituzione dell’Istituto del Vermouth di Torino, che annovera tra le sue fila i marchi dei principali produttori presenti oggi sul mercato: Berto, Bordiga, Del Professore, Carlo Alberto, Carpano, Chazalettes, Cinzano, Giulio Cocchi, Drapò, Gancia, La Canellese, Martini & Rossi, Giovanni Sperone, Vergnano e Tosti. Il presidente è Roberto Bava e il vice
Le sue origini legano il passato al futuro, la tradizione della corte
presidente è Giorgio Castagnotti.
Savoia allo spirito borghese di fine Ottocento fino all’imprenditorialità più dinamica dei nostri giorni.
Un Istituto che si è prefissato l’obiettivo di valorizzare, promuovere,
In un sorso di Vermouth di Torino si assapora l’allure della prima
e diffondere sui mercati il Vermouth di Torino attraverso il lavoro
capitale del Regno d’Italia insieme a quello della città contempo-
sinergico di tutti i produttori. Un’attività importante, culturale che
ranea, culla dell’industria cinematografica e automobilistica, un
abbraccerà iniziative di presentazioni in Italia e all’estero dei pro-
tributo al savoir-faire di più alto lignaggio sabaudo che si fa ordi-
dotti, attraverso anche incontri tematici e di approfondimento, se-
nando un Negroni, un Martini o un Manhattan al bancone di un
minari sulla storia del Vermouth di Torino e corsi di degustazioni.
qualsiasi bar o locale del mondo. Il Vermouth (vermut, vermutte o vèrmot) è un vino, bianco o rosso, liquoroso e aromatizzato, riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale italiano, definizione che risulta riduttiva in questi termini rispetto al suo grande appeal cosmopolita, essendo di fatto un ingrediente primario di numerosi cocktail preparati dai barman degni di tale titolo, che non disdegnano di proporlo anche
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in purezza e non miscelato.
Il Vermouth di Torino è conosciuto per la tradizione e la storicità della produzione e la sua fama è indissolubilmente legata al Piemonte e a Torino, dove nel XVIII secolo si sviluppò una vera e propria aristocrazia di “vermuttieri” capaci di diffondere, in misura e modi diversi, i loro prodotti con risultati inimmaginabili, acquisendo riconoscibilità per i loro brand, tanto da spingerli a evolvere, negli anni, nuove tecniche di lavorazione che hanno affiancato, via via, le più antiche continuando a preservare e a valorizzare la produzione del Vermouth. Inserito tra le denominazioni geografiche comunitarie sin dal 1991, senza che ne siano state indicate le caratteristiche o i processi produttivi per distinguerlo dalla più ampia categoria “Vermouth” a cui appartiene, il Vermouth di Torino da oltre vent’anni attende che sia definito un disciplinare di produzione in grado di regolamentare ed elevare maggiormente la sua immagine. Oggi si è giunti finalmente al traguardo auspicato di veder accettata la richiesta presentata dalla regione Piemonte al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali che ha accettato, con decreto n. 1826 del 22 marzo 2017, di proteggere e riconoscere a questo prodotto l’indicazione geografica di Vermouth di Torino / Vermut di Torino. «Il Vermouth di Torino – si legge nel decreto – è il vino aromatizzato ottenuto in Piemonte a partire da uno o più prodotti vitivinicoli italiani, aggiunto di alcol, aromatizzato prioritariamente da Artemisia unitamente ad altre erbe, spezie».
Le caratteristiche sensoriali Il Vermouth di Torino deve avere colore che va dal bianco al giallo paglierino fino a giallo ambrato e rosso: le singole caratteristiche sono legate agli apporti cromatici determinati dai vini, dalle sostanze aromatizzanti e dall’eventuale impiego di caramello. Di solito ha un odore intenso e complesso, aromatico, balsamico, armonico, talvolta floreale o speziato. Il sapore è morbido, equilibrato tra varie componenti che possono essere amare – indotte dalla caratteristica aromatica dell’Artemisia – o dolci a seconda delle diverse tipologie zuccherine. Titolo alcolometrico compreso tra 16% vol. e 22% vol.
I principi aromatici
Possono essere estratti mediante le tecnologie disponibili utilizzando come supporto vino, alcol, acqua o soluzioni idroalcoliche. Tra le materie prime principali del Vermouth di Torino ritroviamo le piante del genere Artemisia, essendo obbligatoria la presenza delle specie absinthium e/o pontica coltivate o raccolte in Piemonte. Per la dolcificazione si può usare zucchero, mosto d’uve, zucchero caramellato e miele. Per la colorazione si può usare soltanto il caramello.
La denominazione può essere integrata con le diciture
EXTRA SECCO o EXTRA DRY per prodotti il cui tenore di zuccheri è inferiore ai 30 grammi per litro. SECCO o DRY per Vermouth con meno di 50 grammi per litro. DOLCE per prodotti il cui tenore è pari o supera i 130 grammi per litro. Nella lista degli ingredienti è possibile indicare il riferimento ai vini base impiegati con le specifiche denominazioni d’origine o indicazioni geografiche qualora rappresentino almeno il 20% in volume del prodotto finito. Il disciplinare prevede la tipologia Vermouth Superiore per il prodotto con un titolo alcolometrico non inferiore a 17% vol., composto di vini prodotti in Piemonte pari ad almeno 50% e aromatizzato anche se non esclusivamente, con erbe – diverse dall’assenzio – coltivate o raccolte in Piemonte. Fonte: Decreto 1826 del 22 marzo 2017 del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali
Anno I · numero 3 Periodico quadrimestrale
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