no.#
ANDREA ZANFI EDITORE
gliamo dare gas e forza alla stampa di carta. Nel momento in cui il vecchio giornalista è superato dal blogger, la comunicazione è social network, il cuoco è chef, l’aperitivo è fast food… l’approfondimento narrativo di un tempo, la cultura del dettaglio, la storia di vita o la vita raccontata, oggi, colpiscono la mente e entrano nel cuore del lettore. Non è più l’imitazione della star o del vip, bensì le scelte private di un gruppo anche ristretto, l’idea collettiva, l’impronta personale di un imprenditore di successo quello che oggi fa breccia. Molti testi dicono che le “bollicine” sono femminili, ma secondo Noi sono anche buongusto, buonvivere, passione, eleganza, design, cultura, civiltà, mito, originalità, denominazioni. Su questo ci piace scommettere, perché il campo è libero. Il numero ZERO è stata la nostra prova. È piaciuto. BUBBLE’S aspira a essere il testimone dell’evoluzione dei consumi, delle magie, delle infedeltà, delle amicizie grazie alle esperienze, ai racconti, alle interviste di personaggi e luoghi, di vini e alimenti. Il filo conduttore è lo stesso in ogni Numero, ma ogni magazine è un capitolo ampio e diversificato di un grande libro che vuole raccontare il rapporto fra un buon calice effervescente di vino in compagnia della vita, della quotidianità, della speranza, del futuro. Ogni storia vive a sè stante, ma l’anima, lo spirito, la coscienza delle bolline “enoiche” , da non confondere con altre, entra in ogni storia. La Spagna nel 2016 ha invertito la rotta: più consumi di vini e bollicine sul mercato nazionale. Perché? Ne parleremo su www.bubblesitalia.com proprio per staccare carta e digitale, due contenuti. Solo abbonamenti personalizzati per il magazine, iscrizione via web per newsletter e blog. Buona lettura Giampietro Comolli direttore Bubble’s Italia
Psicologia delle Bollicine Lamberto Vallarino Gancia
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Franco Fontana Intervista di Andrea Zanfi
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Ca’ del Bosco A. Zazza
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Luca Marchini: un imprenditore in cucina Franco Battaglia Intervista a Richard Gere Angela Cesarò
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Cosa c’è dietro un bicchiere di lambrusco Giampietro Comolli
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Monastero di Santa Rita Giulio Biasion
Il terroir degli artisti Paola Francesca Comolli
Bisol - La mia Valdobbiadene Riccardo Margheri
Due parole con il presidente Zanette
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40
Roba da chiodi Mauro Gentile
Da prosecco a prosecco Andrea Zanfi
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Arunda: il metodo classico più alto del mondo Claudio Mollo
Decanterino. Il nuovo approccio sensoriale di Carlo Benati
8490
Riccardo Cotarella Andrea Zanfi
Pojer e Sandri
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Lettera di Joe Castellano Blues and Wine Soul festival
Amorim Tra sensibilità, etica, natura e ricerca
96 102 107
Eliprosciutti La signora dei prosciutti Intervista a Maria Luisa Pezzali Franco Vergnano
Italia Good Living Torino Piergiuseppe Bernardi
116122
Il potere evocativo delle sfere Mara Cappelletti
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132
La dolce vita Ni.Co.
Preziose precisioni Mara Cappelletti
Camiceria Barone Angela Cesarò
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Bullulae o Bubbles Giampietro Comolli
Acanto, una cantina di alto pregio Franco Vergnano
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editoriale
Noi ci crediamo! In una epoca lanciata a tutto …digital. Noi vo-
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la bellezza da sola basta a persuadere gli occhi degli uomini senza bisogno d’oratori William Shakespeare
corpo umano, o una calla rovesciata e che dire delle etichette... ve ne sono di tutti i colori. Ma esiste una regola del packaging? Noi produttori spesso usiamo dei codici che sono capiti più dal settore che dal consumatore. Ad esempio in genere i confezionamenti bianchi e dorati vanno più per
Dopo aver venduto vino spumante in tutto
i moscati, il blu per i gli spumanti a base
il mondo, averlo degustato, bevuto, fatto
Chardonnay, come il verde per i vini spu-
ricerche e di tutto di più essendoci pure
manti più leggeri o bio, il nero per i brut o
nato eccovi alcune pillole di esperienza che
extra brut molto maturi ed invecchiati, la
mi sono fatto!!La prima cosa è di vedere il
bottiglia champagnotta può variare nelle
bicchiere del vino spumante mezzo pieno e
forme come quella di a campana rovescia-
non mezzo vuoto e cioè la sua positività!
ta o calla rovesciata o a forma abbassata come certi prosecchi o trasparente di
Il mio segreto sulla positività, che si lega
ispirazione dei vini dei cugini d’oltralpe,
anche al concetto di fortuna è svegliarsi
o dorata come Bottega o satinata come
ogni mattino guardarsi allo specchio dritto
Freixenet ed infine anche con degli sleever
negli occhi e trovare almeno tre motivi per
che coprono tutte le bottiglie.
rallegrarsi all’inizio della giornata. Così ho
Le bollicine escono ed esplodendo portano con sè profumi ed aromi e quindi non c’è bisogno di agitare il bicchiere, anzi è bene aspettare almeno che la schiuma si abbassi prima di metterci il naso dentro ma poi le sensazioni diventano una emozione. Lo spumante nel bicchiere è gestualità da come si conserva a come si prende la bottiglia a come si apre e si versa. Ma anche come si beve e si tiene il bicchiere… mi raccomando sempre e solo dal gambo.
Per questo ho inventato il bicchiere ideale per apprezzare le bollicine, che deve avere una buona base, un gambo lungo per poterci stare tutta la mano e d una forma che inizia stretta a
Quelle bottiglie fantasia sono soprattutto
che l’atteggiamento di essere prima di
V per dare la possibilità alle bollicine di
per chi vuole distinguersi o propone bol-
tutto positivi con se stessi attira e contagia
esplodere, poi si allarga a forma di calla e
licine millesimate di annata ed in tirature
la positività negli altri. Questo vale anche
flûte allargata per poi stringersi per convo-
limitate. Colori spesso sono il rosè per il
per le bollicine nel come le si presentano, le
gliare al naso i profumi ed i sapori. L’altez-
rosato, l’arancione per i prosecchi ed il ros-
si vestono e si degustano!
za deve essere importante cosi come il tipo
so per gli spumanti dolci legati alle feste, il
di vetro sottile ma robusto. Quindi Il vino
nero per le riserve private e tanto oro per Spesso i termini che noi produttori usiamo
spumante è socialità e piacere in quanto
dare valore e preziosità. Anche i formati
sono troppo tecnici a seconda dell’audien-
si beve in coppia per festeggiare , o per di-
variano e ce ne sono di tutti i tipi ed oltre
ce a cui si parla e le etichette sono troppo
menticare, ma anche per corteggiare, per
la bottiglia standard da 75 cl ci sono quelle
complesse e difficili da capire!!! Pertanto il
amare, per sedurre e qui la fantasia corre
piccole per i 20 cl per i frigo bar o gli aerei
segreto è creare empatia e chimica con chi
e corre. Quindi che cosa è l’ effetto P? In
e per il consumo di casa, le mezze sempre
si vuol coinvolgere, attirare e convincere.
una parola Più, Per, Perché, Pace, Positività,
meno considerate, i magnum o doppia
Guardando dritto negli occhi, analizzando
Piacere, Parlare, P…
bottiglia che sono i più pregiati, e formati
gli sguardi e le espressioni si capisce subito
sempre più grossi che però hanno più la
se e quanto c’è interesse. Bisogna fare do-
funzione di esposizione che di consumo
mande, rendere partecipi, cercare un dialo-
anche per la difficoltà di riempirle e con-
go a due vie ed usare immagini e paragoni
servarle e consumarle. Ci sono le bottiglie
per fare in modo di interessare e stimolare
trasparenti per gli spumanti che vogliono
ma sullo stesso piano di livello adulto/adul-
esaltare il colore del prodotto e distinguer-
to e non genitore/bambino che in sostanza
si. Non c’è quindi una regola se non quella
vuol dire far sentire inferiore e superiore
di differenziare il prodotto dagli altri per
l’interlocutore. Le domande ed il dibattito è
darne valore ma se il contenuto non è della
tanto più di successo quando più si colgono
stessa qualità si vanifica una grande op-
gli aspetti positivi e si trasformano quelli
portunità!! Io dico sempre che anche il con-
negativi in positivo con il ragionamento
sumatore meno evoluto ed esperto in verità
cercando sempre una valida soluzione al
ha un palato e sa quello che a lui piace e no
problema.
e quindi non bisogna prenderlo per il naso.
Il gusto è soggettivo ed il vino spumante
Il naso... ma quanti di noi lo usano
8
magicamente e concretamente scoperto
soddisfa molti palati; dal dolce, al secco, al rosato, al brut al pas dosè, ai Doc e Docg al metodo Martinotti al metodo classico ecce cc. . Anche le forme delle bottiglie sono di tutti i tipi fino a ricordare la sinuosità del
nel modo giusto prima di degustare uno spumante come si dovrebbe! Infatti prima di bere consiglio sempre di annusare il vino e vedrete come migliorano le sensazioni!
Psicologia delle bollicine
Che cosa ci fa apprezzare uno spumante e che cosa ci condiziona nella scelta d’acquisto?
di Lamberto Vallarino Gancia
Franco Fontana è nato a Modena nel 1933, ha cominciato a fotografare a livello amatoriale nel 1961 e se ne occupa a
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e k a m o t s i t r a The purpose of e l b i s i v n i e h t e l b i vis
tempo pieno dal 1976.
di Andrea Zanfi “La fotografia è una delle discipline artistiche più difficili, perché è ritenuta
la porta di casa sua, raccontandomi le diver-
la più facile, inoltre non esiste un unico
se interpretazioni che si possono attribuire
modo per interpretare quest’arte, poiché
ad un’immagine che coniuga arte e realtà,
ogni fotografo ha un suo personale modo
facendomi comprendere quale sia l’identità
di rendere visibile ciò che risulta invisibile
filosofica di una fotografia per Franco Fon-
ad altri.” Basta questa breve citazione per
tana. Magistralmente i discorsi si distacca-
farmi comprendere quanto sia intrigante la
no dalla tecnica e avvolgono la vita, dando
chiacchierata che sto tenendo con Franco
il via ad un vero e proprio viaggio interiore.
Fontana, un maestro della fotografia con-
Un viaggio dell’anima che riesce a darmi
temporanea italiana, conosciuto a livello
l’idea di quale debba essere l’interpretazio-
mondiale e certamente uno fra i più celebri
ne delle raffigurazioni che mi scorrono fra
esponenti in questo campo artistico.
le mani e che diventano strumenti didattici; gli stessi che utilizza per incuriosire e
Mi sento a mio agio e meravigliosamente
sviluppare lo spirito di osservazione degli
bene al cospetto di questo ultra ottantenne
allievi che seguono i suoi corsi, cercando di
modenese (classe 1933).
far nascere una personale idea di cosa deb-
Sarà perché lo trovo estremamente vero,
ba essere, per ciascuno, la fotografia.
schietto, semplice e sincero come sa es-
Annuisco quando sostiene che la fotografia
serlo chi è serenamente pago della vita tra-
non deve essere studiata sui manuali ma
scorsa, ma anche ricco di una vitalità inu-
visitando le mostre di pittura, andando a
suale, avendo voglia di elargire la propria
teatro, al cinema e ai concerti, interfaccian-
sapienza a chi, curioso osservatore della
dosi con la quotidianità, ampliando in essa
vita come sono, si trova al suo cospetto.
i propri orizzonti, poiché tutto serve per ac-
Con grande disponibilità mi ha spalancato
culturarsi. Un viaggio alla ricerca di una creatività che si semina in campi incolti, per generare la “novità.”
Disascalia uno duo tre
Un viaggio alla ricerca della creatività..
la realtà
non esiste
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Arrivando all’apice di questo percorso è possibile scoprire che la fotografia è solo un pretesto per riuscire a fotografare se stessi con umiltà e incoscienza. Già, l’incoscienza, lo stimolo che serve per buttare il cuore oltre l’ostacolo, per accettare le sfide che sono il succo della vita, a differenza delle sicurezze che sono il rigor mortis dell’animo. Lo ascolto, senza interromperlo. Mi parla delle sue marchette d’autore, delle sue opere, dei suoi numerosi libri, delle sue fotografie collezionate dai più importanti musei del mondo alle quali la critica ha attribuito un’identità precisa, quella di Franco Fontana. Una visione intima di paesaggi, strade, città e paesi, sculture o ritratti capaci di creare uno stile diverso da quello di altri, come è giusto che sia per essere definiti artisti. Sfoglio alcuni libri, leggo i pensieri dei suoi allievi, poi scorro fra le mani alcune foto.
Sento come una scossa che mi attraversa perché in esse non vi sono delle immagini, ma il suo pensiero fotografato e la rappresentazione di ciò che Franco è; fotografare significa dunque immortalare non tanto ciò che si vede ma quello che si pensa. Questa mia improvvisa e personale scoperta è quello che il Maestro insegna ai suoi corsisti, capire come guardare la realtà per riusci-
re ad esprimerla attraverso il proprio, personale, sguardo in una fotografia. “La realtà non esiste” e mentre lo dice sorride , “è sempre soggettiva e per questo, è bene sapere che non si fotografa ciò che esiste, ma esiste quello che è fotografato. Così facendo si identifica una realtà, divenendone l’autore ”. Mi diventa tutto più chiaro e assume un valore diverso quella sua rappresentazione astratta di paesaggi rurali e industriali che a volte mi appaiono iper-reali e più veri del vero, mentre altre volte surreali e sospesi in uno spazio senza tempo. Una sensazione di vertigine tra realtà e immaginazione in una dimensione fantastica dove il colore ha tinte forti e le forme geometriche sono nette e molto marcate. “Un paesaggio, ad esempio, esiste solo quando io lo fotografo, così diventa un mondo, il mio mondo e io stesso divento il paesaggio fotografato, entrando nell’identità delle cose. Attraverso me un albero si fa autoritratto e si identifica al meglio. È un lavoro di sottrazione, di pulizia, per dare alla realtà un’ identità senza troppi pulviscoli, facendo la sintesi delle cose. Solo così l’arte rende visibile ciò che è invisibile.” Ogni sua parola mi apre un mondo. Mi ritrovo. Non sono seduto intorno ad un tavolo ma in un banco di scuola e questo mi fa sognare, mi restituisce il colore, lo stesso che ha tinto l’animo di Franco ed è impresso in quella foto; l’esatta interpretazione emozionale del suo lavoro, il mezzo di conoscenza e sublimazione dell’oggetto che di volta in volta deve essere reinventato, immaginato, trasformato da oggetto a soggetto della fotografia. Con l’aiuto del colore, la creatività diventa sinonimo di un movimento che genera vita.
PI
e’ un luogo di frenetica
serenita’, un simbolo di laboriosa pacatezza. Si dice che le grandi opere nascano da piccole opportunita’ e spesso derivano da convergenze che, all’apparenza, hanno ben poco di positivo.
del
Ca’ del Bosco
bosco
“fare” aveva il sa-
pore di una paterna punizione per le mie intemperanze giovanili. Un esilio
coatto in un podere senza acqua né luce, dove cercare risposte ai miei interrogativi, iniziando a fare vino e trovando la spinta per salire su un pullman che da “Piazza Castello” mi avrebbe portato nella campagna francese in compagnia di vignaioli che, agli
credo che un gran vino non sia nulla se attorno ha solo ruderi e macerie
occhi dei miei sedici anni, sembravano tutti estremamente vecchi. Fu il mio viaggio verso Damasco e l’illuminazione, tanto da trovare, al mio ritorno, il senso di quel mio piccolo mondo agreste in cui ero capitato. Lì, iniziai a costruire un sogno che, nella mia mente, diventava qualcosa di sempre più grande. Non m’interessava quanto fosse difficile da realizzare, poiché il manifestarsi di quella positiva e creativa follia che mi avvolse e che ancora oggi mi abbraccia saldamente, mi dette la forza di non demordere e credere che tutto fosse possibile.
Così è nata Cà del Bosco. Da un impeto giovanile, da chi ha sempre amato visceralmente le grandi sfide, cercando di pensare in grande e abbinando
alla sua innata positività, una buona dose
È questa l’idea che ho sulla vera natura del
di creatività e buongusto. Così si avviò quel
lavoro di vignaiolo, su quanto sia impor-
motore che ancora oggi muove le cose ed è
tante la “bellezza” di un vino e di come essa
in continua evoluzione, sapendo che il tra-
debba essere rappresentata per esaltare
guardo raggiunto è solo l’inizio di un nuovo
e narrare il genio che ha contribuito a
percorso, ricco di altre idee e di più ardue
realizzarlo, al pari di ciò che altri fanno con
sfide. Ho cercato di divertirmi nel fare il mio
la pittura, la scultura o l’architettura. Tutto
mestiere e non ho mai fatto nulla per sentir-
deve essere rapportato all’applicazione
mi gratificato dagli altri o per farmi credere
pratica del proprio saper fare, sforzandosi
un illuminato. Intorno ho mille testimonian-
d’innalzare l’asticella ai più alti livelli, non
ze di altri uomini e donne che possedendo
perdendo di vista ciò che circonda il tutto.
19
L
’inizio del mio
il mio stesso desiderio di sfidare la vita, hanno intrapreso con successo strade che li
Chi produce vino deve conoscere la geneti-
hanno condotti in alto. Del resto per vivere
ca, la geologia, l’ampelografia e le tecniche
la vita, che ci piaccia o no, che ne siamo
produttive; ma deve anche conoscere i limiti
consapevoli o meno, ci vuole “arte” e questa
e le potenzialità di cui dispone in termini di
necessita ancor di più a chi si prefigge
capacità imprenditoriali che non possono
obiettivi fuori dalla propria portata. È così
distaccarsi dalla tradizione, dalla cultura e
che sono nate le grandi cattedrali, da sem-
dalle conoscenze che caratterizzano ogni
plici pietre poste con armonia una sopra
luogo e contrada.
l’altra. Collocate in un progetto di grande
Un artifizio che muta di continuo, senza
senso estetico, bello e artistico, con una sua
certezze, dove non tutto è riconducibile alle
ragione d’essere e una sua filosofia, la stes-
personali doti artistiche e non tutto al fato
sa che io ho sempre ricercato nel vino.
o ai Santi. È per questo che non bastano neppure la conoscenza o l’attenta lettura
Personalmente credo che un gran vino non
delle potenzialità a nostra disposizione per
sia nulla se attorno ha solo ruderi e macerie;
far sì che le cose accadano.
produrlo è un’arte che richiede un animo signorile, capace di rispettare la natura e assecondare il tempo, diventadone interprete e rispettoso spettatore.
Chi non osa nulla, non può sperare in nulla.
o r o v a l o i il m e n o i s s pa
20
Questo è certo. Il risultato finale ? Non dipende da un elemento o dalla somma matematica di più termini, ma dall’equilibrio che riusciamo a costruire con tutto ciò di cui disponiamo, miscelandolo come farebbe un bravo cuoco che crea la portata finale con elementi carpiti dalle esperienze più svariate, perché ogni cosa, piccola o grande che sia, è la tessera di un grandioso puzzle che rappresenta un volto: il proprio. Dopo anni sono ancora qui a cercare di capire, a interrogarmi, ad elaborare nuovi progetti, avendo la pazienza di trovare gli innesti, riuscendo a imbrigliare, ogni tanto, quel demone ribelle che mi condurrebbe a fare chissà quale follia, tanto restio è ancora alla calma e alla quiete.
Vorrei lasciarmi andare, ma mi accorgo che anche gli anni passati e l’esperienza che mi hanno concesso sono parti di quel tutto che vado costruendo, certo di poter affermare che produrre vino
non è una parte della mia vita, ma la mia stessa vita; ciò che faccio non lo considero un lavoro, ma passione pura e aria per i miei polmoni. Mi lega a sè da così da tanto tempo, che quando mi fermo un secondo mi accorgo che i miei figli sono cresciuti e diventati grandi senza che io me ne accorgessi. Sono ragazzi intelligenti e voglio pensare che abbiano capito quanta abnegazione abbia profuso per Cà del Bosco e per questa terra di Franciacorta. Un territorio che mi sono impegnato a valorizzare, cercando di far comprendere agli altri produttori di questo meraviglioso areale che puntare all’eccellenza non deve essere un obiettivo finale, ma una quotidiana scelta di vita. Per riuscire meglio in quest’opera di convincimento ho accettato anche l’incarico di Presidente del Consorzio della Franciacorta, con lo scopo di richiedere, proprio a questa
base associativa, una trasformazione degli schemi mentali, un salto qualitativo intorno ad un progetto comune e di più ampio respiro, che non può essere legato solo al business che genera mostri senz’anima. Niente del bello che c’è a questo mondo esiste per un mero proposito economico e senza il contributo di chi mette in ciò che fa la passione e la sua stessa anima. A. Zazza
èuna ! a r pu
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Y D A RE Y D A STE GO!
- **Mauro Gentile (4pg): Winter marathon, per appassionati. Puri. (foto Alex Galli,4000 battute + foto già inviate a grafico)
R
oba da chiodi. Sì, perché po-
luogo d’incontro tra veri appassionati, che,
tresti averne bisogno sugli
come tali, possono anche divertirsi senza
pneumatici della tua auto
per forza di cosa voler essere delle Star da
vintage a patto che tu sia in
classifica. Ecco, in sintesi, come divertirsi,
possesso di speciali requisiti.
con l’unica ambizione di arrivare in fondo
Primo fra tutti essere un amante della pun-
alla gara. Sono cinque regole (semiserie)
tualità al centesimo di secondo, a seguire
che permettono di arrivare ultimi (o quasi),
avere una predisposizione per rimanere
senza ansia di prestazione, lasciando tutto
alla guida più o meno 12 ore consecutive di
lo spazio al piacere della guida di una vet-
notte, sulle strade di montagna tra neve e
tura d’epoca.
ghiaccio, infine essere così tanto fortunato da poter contare su un passeggero che
Regola Numero Uno,
sia l’esperto navigatore che ti aiuti a tro-
il giusto navigatore: va scelto con cura, pos-
vare il ritmo giusto per superare le quasi
sibilmente che non abbia esperienza dell’u-
40 prove di abilità lungo i 450 (o giù di lì)
so del cronometro, che magari non abbia
chilometri di percorso. Se i requisiti ci sono
una predisposizione al multi task e che
tutti, ecco che puoi diventare una star della
quindi non sia in grado di darti contempo-
Winter Marathon, la più affascinante cor-
raneamente la direzione e il tempo. L’im-
sa di regolarità per auto storiche che ogni
portante è che però non soffra il mal d’auto,
anno (da 26) sveglia dal torpore natalizio
sia dotato di una buona dose di pazienza,
gli appassionati del settore. E come star ri-
non abbia predisposizione alla narcolessia
uscirai certamente ad entrare nella rosa dei
e che non critichi il vostro stile di guida.
primi trenta e con gli pneumatici chiodati
Attenzione, se il navigatore è poi del tipo
affronterai l’arena del laghetto ghiacciato
“molto impegnato”, tenetene almeno altri
di Madonna di Campiglio di fronte ad un
due in lista d’attesa.
pubblico appassionato, competente, critico e “istagram” dotato per condividere in rete
Regola Numero Due, gli
magari la tua sbandata che ti ha scalzato
strumenti di bordo: sarebbe troppo facile
dal podio. Questa è la Winter Marathon, che
avere tutto in perfetta efficienza. Sì, l’auto
non ho potuto “vivere”, nella sua storia, solo
deve esserlo, la sicurezza innanzi tutto! Ma
quattro volte. L’ho vista nascere, l’ho rac-
il resto, insomma, basta che funzioni. Pren-
contata da giornalista, l’ho vissuta da con-
diamo in considerazione i cronometri. In
corrente, l’ho fatta conoscere ad altri comu-
una gara come la Winter quasi tutti i con-
nicatori coinvolgendoli nel mondo classic
correnti hanno un Trip Master dove inseri-
di stampo tedesco quando ero in Porsche.
scono tutti i dati dei vari Controlli Orari, i
Sempre e comunque l’ho interpretata e pro-
tempi in secondi delle prove concatenate
mossa come una manifestazione unica nel
(cioè un percorso di x metri o chilometri
suo genere: sia per l’oggettiva difficoltà del-
che prevede partenze e arrivi senza soste).
le numerose ore in cui si sta alla guida (do-
Il navigatore deve essere attento a dare al
dici, di cui almeno 9 in notturna), sia per le
pilota il ritmo per passare sui diversi tra-
condizioni atmosferiche spesso ostili (ma
guardi al centesimo di secondo…
attese e agognate), sia per la bellezza dei
Troppo facile con il Trip!
luoghi attraversati, ma soprattutto perché è
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words: Mauro Gentile
aggiunto. Dovete però essere sicuri che l’esperienza sia gradita a tutto l’equipaggio. Se dopo dieci minuti dalla partenza il vostro navigatore dice: “Ma non è che vola via la tabella di marcia con la capote aperta?” è un chiaro segnale di sofferenza all’idea che vi eravate fatti di un team votato alla pura avventura e al desiderio di vedere, nell’ordine di marcia, la bellezza dei passi Palade, Lavazè, Pramadiccio, Campolongo, Gardena, Sella, Costalunga e della Mendola. “Ma non funziona il riscaldamento?” è invece l’ultima frase che il navigatore vi dirà, per impietosirvi, prima di soccombere al vostro desiderio di non soffrire di claustrofobia, e di lasciarsi andare al piacere di scandire il tempo approssimativo grazie alla panacea tecnologica in dotazione e allo stupore fanciullesco di prendere sul viso la neve che magari fiocca copiosa nella fredda notte della Winter Marathon.
Regola Numero Quattro, viaggiare senza riscaldamento: puro piacere di guida, rumori, odori, profumi, viaggiare a capote abbassata è senz’altro un valore
Regola Numero Cinque, mai dire no: se vi offrono un the caldo, una cioccolata, un caffè, un vin brulé (quel vino rosso bollito con spezie e zucchero che fa riemergere un sorriso sereno) dalle due del mattino in poi, non esitate a fermarvi. Guardatevi intorno e
scoprirete che non siete gli unici ad aver interpretato la Winter Marathon come una grande festa tra matti appassionati del Classic che hanno suscitato non poca simpatia (ad onor di cronaca anche l’ilarità di qualche ignaro del mondo storico)
tra la gente che vi ha visto attraversare nella notte le strade della Val di Fiemme e dell’Isarco. www.wintermarathon.it
Munitevi di almeno 5 cronometri a cipolla, fissateli su una tavo-
letta dove il vostro compagno di avventura appoggerà la Road Map (le indicazioni per seguire il percorso) e ne gestirà, manualmente, lo stop and go. Potrà succedere che il display vada in tilt, allora sarà sempre il navigatore che conterà “milleuno, milledue, milletre”, nella notte, cercando di passare al controllo con un più o un meno tra le fotocellule.
Regola Numero Tre, omettere la “sosta tecnica”: siete a dieci minuti dalla partenza, poi ci sono le prove concatenate, le prime, quelle che servono ad affiatare il team che si è appena costituito, e, grazie al freddo, alla tensione, alla digestione in corso, avete la necessità di una “sosta tecnica” cui non avevate pensato perché a tavola in piacevole conversazione. E non c’è tempo. Dovete rimandarla almeno di un’ora e mezzo. Ecco questa è la regola meno piacevole e toglie un po’ al diverti-
l’evento
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26
Un viaggio nel tempo...
mento, ma fa aumentare l’adrenalina e focalizza l’attenzione dell’equipaggio su un obiettivo certo: trovare una toilette confortevole, disponibile, di accesso veloce entro le due ore successive allo start.
al siste o t s e i h c i r sforzo ’utilizzo l l o l a l e o t d e i e l v i o d apev finché il f a gatorio o i “Sono cons l n b g b e o p m o i r e i v ma m ente, ov g o c i t l u produttivo, s i r tivi zione” t a a n i i p m i c o n n i e r p D di questi la nostra l e d i r o t t u prod per tutti i
Due parole con il presidente Zanette Presidente Zanette, il mondo intero ormai ne parla.
zioni è divenuto tema imprescindibile per l’agricoltura a tutti
Ma cosa sta succedendo veramente?
i livelli, da quello locale a quello internazionale, dal mondo
La notizia che stavamo mettendo al bando erbicidi e
della produzione a quello dei consumatori.
altri pesticidi molto discussi, ha catturato l’attenzione del-
Si è fatta quindi impellente la necessità di adottare politiche
le più importanti testate italiane e, in pochi giorni, anche
chiare, coerenti e soprattutto praticabili non solo dal punto
prestigiose testate internazionali ne hanno dato risalto.
di vista tecnico ma anche economico e culturale.
Abbiamo comunicato ufficialmente la decisione di anda-
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Da tempo il dibatto sulla sostenibilità nelle sue diverse acce-
re, con forza, determinazione e nel più breve tempo posSulla base di questo presupposto, il presidente del Consor-
sibile, verso la sostenibilità totale. Ci è stato riconosciuto
zio Prosecco Doc Stefano Zanette ha recentemente annun-
il primato assoluto per tale iniziativa e in tal senso diven-
ciato il primo step del progetto DPS, Denominazione Per la
teremo caso scuola anche per altre produzioni interessa-
Sostenibilità, attraverso l’eliminazione delle principali mole-
te a seguire lo stesso percorso verso la sostenibilità.
cole oggetto di dibattito: Glifosate, Folpet e Mancozeb. Cosa cambia veramente rispetto a prima? Queste, ancorché ammesse dalla normativa vigente, sem-
Per rispondere a questa domanda è necessaria una pre-
brano essere diventate fonte di preoccupazione sia per le
messa. La nostra Denominazione non ha ancora compiu-
popolazioni residenti che per i consumatori.
to 7 anni e già dal 2013 il nostro Consorzio -unitamente
A raccontarci nel dettaglio cosa sta avvenendo nel mondo
al Consorzio Vini Venezia- si è dotato di un Vademecum
del Prosecco, tanto che si parla di ‘svolta storica’, è proprio
che detta le linee guide per la cura del vigneto. Durante
Stefano Zanette, da sei anni in sella al Consorzio di tutela
il prossimo Vinitaly infatti presenteremo la 5^ edizione di
del Prosecco Doc, attualmente la più dinamica ma soprat-
tale documento che contiene regole ogni anno più strin-
tutto la più ampia (per volumi e fatturati) denominazione
genti. Va detto che il Vademecum per sua natura può
esistente. Che vanta pure la più significativa PLV, vale a dire
solo suggerire dei comportamenti, lasciando al singolo
la redditività per ettaro.
produttore la facoltà di aderirvi.
Un cambiam ento epocale nelle terre d el Prosecco
e l l e n e l a c o p e o t n e Cambiam o s a c l i , o c c e s o r P l e terre d a l o u c s à r a f ma
31
dalla volontarietà del Vademecum al Disciplinare
Ciò che cambia oggi, tornando alla domanda, è lo stru-
Un impegno non da poco…
C’è dell’altro?
mento utilizzato per comunicare le direttive da seguire
Ne sono consapevole. E dirò di più. Contiamo di giungere
Sì. Come dicevo, la nostra ambizione è puntare alla certi-
Come emerge da una recente indagine commissionata ad
nella produzione; passeremo dalla volontarietà del Va-
nel più breve tempo possibile non solo a una certificazio-
ficazione di sistema e ciò comporta anche il rispetto delle
SWG, nel caso della nostra Doc tale timore interessa solo
demecum al Disciplinare dove le regole del gioco sono
ne che attesti la sostenibilità del prodotto, ma dell’intera
buone pratiche socio-economiche. L’attività dev’essere
un esiguo 3% della popolazione residente. Ciò nono-
completamente diverse: qui il produttore si trova obbliga-
denominazione Prosecco.
economicamente vantaggiosa per essere sostenibile.
stante riteniamo doveroso affrontare il disagio anche di
Altrimenti ci prenderemmo in giro.
questa parte della comunità alla quale apparteniamo, fa-
to a seguire fedelmente le indicazioni che vi trova pubblicate, pena la rinuncia al contrassegno di Stato, la fascet-
Avete in mente un modello al quale fare riferimento?
ta necessaria per potersi fregiare del termine Prosecco.
Si, lo avevamo anticipato lo scorso maggio nel corso
Accennava anche alla sostenibilità sociale, cosa si
di vivere nelle terre del Prosecco. Nella convinzione che
di una conferenza stampa convocata nella nostra sede
intende?
non saranno solo i consumatori a guadagnarci. Pensiamo
consortile. Si rifà a un sistema di gestione che interesserà
L’azienda agricola deve essere ben accettata dalla comu-
a tutto l’indotto che il Prosecco sta portando sul territorio
Certo, ci lavoriamo da molto tempo. Perché oggi non è
le buone pratiche agricole, che comprendono anche il
nità ospitante. Il modello al quale ci riferiamo è capace di
in questa sua fase storica; a partire dal turismo, in tutte le
più sufficiente garantire la bontà di un prodotto. Il consu-
biologico e la lotta integrata, e mirano a garantire so-
favorire un dialogo con le comunità locali.
sue declinazioni, per il quale è forse più facile intuire quali
matore si è evoluto ed esige rassicurazioni sull’etica e la
stenibilità di aria, acqua e suolo. Quindi impatto minimo
Nel corso dei circa quattro mesi durante i quali normal-
benefici trarrà da un territorio dove la sostenibilità viene
sostenibilità del prodotto in ogni aspetto della lavorazione.
delle coltivazioni a livello ambientale, comprese l’impron-
mente vengono effettuati i trattamenti alle viti, si possono
certificata.
ta carbonica, l’impronta idrica. Ma non solo…
creare delle tensioni sociali.
Tale decisione avrà richiesto tempi di maturazione...
cendo in modo che tutti possano essere orgogliosi e lieti
di Andrea Zanfi
da Prosecco
Si potrebbero scrivere trattati, libri e milioni di parole con le quali
È la prima Denominazione in Italia per importanza e volumi, che
aprire un lungo dibattito sul Prosecco. Ognuno direbbe la sua
si trova ad operare e gestire indirettamente 20.000 ettari vitati
attribuendo a questo vino pregi e difetti ma, di certo, nessuno
collocati su nove province e due Regioni, Friuli Venezia Giulia e
potrà negare che il Prosecco insegna a bere agli astemi, aiuta ad
Veneto, sulle quali occupa circa 25.000 viticoltori.
accostarsi alle bollicine, porta la gente a socializzare: è questo il
Un movimento importante, come asserivo in precedenza, che può
suo maggior fascino.
dettare le regole del III° millennio non solo per sè, ma per l’intero movimento spumantistico italiano. Nato solo nel 2009, il Con-
Lo trovi ovunque, nelle enoteche e nei supermercati, nei bar e nei
sorzio di tutela si è imposto all’attenzione mondiale con grande
ristoranti, in qualsiasi negozio dove c’è vendita di vino o semplice-
forza e capacità direzionale e strategica, avendo anche la fortuna
mente, dove c’è gente che ha voglia di vivere e divertirsi.
d’essere supportato da un numero importante di aziende capaci di portare il Prosecco nel mondo, come mai era stato fatto prima. A questa sfida, adesso, il sistema produttivo ne sta affiancando
di un bere “semplice”, anche se solo all’apparenza, identificandosi
altre per il futuro, cercando d’innalzare, via via, la qualità dei vini,
con quello stile tutto italiano che chiamo Italian good living. Or-
la sostenibilità della produzione e l’identificazione del vino con
mai non ha solo contagiato i più remoti mercati europei e interna-
l’areale produttivo al fine di dare una riconoscibilità territoriale
zionali, ma è diventato un movimento.
maggiore del Prosecco nei mercati.
Ha valicato i confini d’origine assumendo un significato ampio,
Sono step strategici importanti che necessitano non solo di tempo
uno slang ricercato: “un Prosecco”, “ein Prosecco”, “a prosecco”,
per essere realizzati, ma anche di molta pazienza, proprio per il
“à普罗塞克”, “プロセッ”; un brand talmente forte da identificare
fatto che vi sono due ostacoli che ne impediscono l’immediata
32
È onnipresente e appagante, riuscendo a soddisfare la domanda
l’intero mondo delle bollicine italiane e diventando quell’Italian
attuazione.
sparkling wine di cui andiamo tanto fieri. Personalmente ho sentito attribuirgli tanti aggettivi, non ultimi bello e intramontabile.
Uno di questi è il brand Prosecco che è andato oltre qualsiasi
Il Prosecco? È un vino versatile come un paio di jeans, adatto a
più rosea aspettativa, superando i modelli precedenti che abbi-
qualsiasi occasione; è una bollicina quotidiana, populista, libera,
navano un vino a un territorio e non certo a un nome; l’altro è la
internazionale, amichevole, fresca, viva, disintossicante e inno-
consapevolezza che certi traguardi si raggiungono solo grazie a
cente. È un viaggiatore per eccellenza, è il Blues che da ritmo alla
un processo culturale che, secondo il mio parere, necessita di un
giornata, è un vino “di strada”, festoso come i ragazzi, simpatico,
ulteriore passo avanti che deve coinvolgere, in primis, le aziende
sincero, geniale e volubile.
dell’intero sistema Prosecco per far coesistere business e sosteni-
Rappresenta la primavera, l’essenza della gioventù. Un vino per tutte le occasioni, dal colore scarico, dai riflessi verdognoli, dai profumi gentili ed eleganti che ricordano i fiori e la frutta esotica, con sfumature lievi di banana e ananas, dove puoi trovare anche sentori di pera e a volte di pesca bianca. Un vino di per sé magro, ricco di una buona acidità, che non ha estratti ma è gentile e delicato, con note non intense ma intere, estremamente piacevole grazie alla tecnologia e alla bravura degli “spumantisti” enologici Trevigiani della scuola di Conegliano, fra i migliori al mondo. Non ha importanza se dà di sé un’immagine commerciale che fa storcere la bocca agli pseudo intenditori, ai guru del vino e agli opinions leaders del mondo accademico vitivinicolo, poiché oggi, il Prosecco Spumante DOC, è da ritenersi una delle eccellenze vitivinicole nazionali.
bilità ambientale. L’ottenimento di simili traguardi consentirebbe un altro importante obiettivo: certificare l’intera filiera produttiva, incrementando, di fatto, il valore della bottiglia alla produzione. Un certo valore aggiunto efficace che aiuterebbe il sistema a migliorare l’efficienza, la tecnologia e la ricerca che sono gli unici presupposti per mantenere integro il successo ottenuto. Un successo che inorgoglisce, perché il Prosecco ha raggiunto nel mondo una notorietà unica, senza ricercare differenziazioni zonali o vocazionalità diverse, dettagli geografici di appartenenza o specificità presunte, ma puntando dritto al soddisfacimento di una domanda. Quindi meno elucubrazioni mentali su elementi marginali e indiretti dell’offerta, assecondando invece i parametri alla base delle scelte dei consumatori, così diversi in ogni Paese del Mondo, per dare fiducia, trasmettere dati certi, rispondere a requisiti più personalizzati, fidelizzare il consumo di Prosecco, facendo concentrazione e globalizzazione.
P a
! o c c e s ro
s a n
i u q a d o t t u t e c
Intervista allo chef
Luca Marchini Mauro Battaglia
ristorante. E a febbraio 2003 apro L’Erba del Re con 50 coperti, oggi sono 30 con gli stessi spazi per dare di più, più comfort, ma anche più attenzione a tutto. Non appagato, alla fine del 2014 apro la Trattoria Pomposa. Mi diverto ad insegnare nella mia scuola di cucina e faccio qualche consulenza, ma poche, non mi distraggo. La cucina è anche attenzione, tempi, metodo non solo sperimentazione. Vedi sono le 13 e attraverso il vetro della mia cucina, vedo crescere l’animazione: è una galvanizzazione, mi carica. Lo spettacolo già nel backstage diventa palcoscenico, diventa opera”. Con queste parole Luca Marchini mi accoglie nel suo stellato L’Erba del Re. Ci conosciamo, conosco la sua cucina, a volte sono una “grossa” cavia per qualche novità che sta nascendo dietro il vetro, nella sala di lucido acciaio che si intravede. Ma non è solo un cuoco, o peggio uno chef. Luca si dichiara orgoglioso di essere un imprenditore,
in cucina
come definizione della figura professionale che vuole cre-
37
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Un imprenditore
“Ho cercato per anni un locale. Avevo voglia di aprire un mio
scere, migliorare, produrre, inventare. La sua è una cucina
dinamica, non fusion come direbbe qualcuno, ma c’è atten-
zione all’uso della materia prima, sapienza nelle dosi, concretezza nel risultato. La laurea in economia e commercio, non ci avevo mai pensato, può servire, eccome, anche a fare l’imprenditore-ristoratore.
Presidente associazione Jeunes Restaurateurs d’Europe Le consulenze aiutano? Domando. Fanno crescere, ti rendono aperto, assorbi molte informazioni, fai qualche sperimentazione. Oggi do una mano al ristorante di Nicoletta Mantovani Pavarotti in piazza Duomo a Milano. Esatto, intervengo, mi sembra un locale molto particolare che
sa mixare sapientemente e con gusto la melodia e le passioni del maestro Pavarotti con tutti i sapori e profumi forti della cucina mediterranea.
Siamo
320
cuochi
da
16
Luca annuisce e vedo che gongola.
paesi
presidente della associazione Jeunes Restaurateurs d’Europe. “Sono entusiasta e orgoglioso”, dice. Siamo in 320 cuochi di 16 paesi, di cui 86 italiani. Noi italiani siamo i più attivi e esprimiamo sicuramente la cucina più diversificata, più antica ma
Però ci sono, domanda d’obbligo a un cuoco, dei piatti che preferisci che consigli da sempre?
Da 14 anni faccio i passatelli al ragù di pol-
no, da mangiare con il cucchiaio. “Sono un
lo, un must, esempio di una cucina quando
cuoco, il cucchiaio è la mia penna stilogra-
non era di spettacolo, televisiva, romanza-
fica, continuo ad assaggiare per ore ogni
ta, dal titolo lunghissimo. In continua evo-
tegame….per questo è difficile che mi sieda
luzione è il piccione al latte, dove la cottu-
a tavola. Le salse e i condimenti sono la mia
ra-non cottura della carne lo rende delicato
passione. La realizzazione di ogni piatto è
e croccante. Infine gli immancabili tortellini
fatta a più mani. L’errore da non fare mai
anche la più contaminata in 3000 anni di
bugiardi, ovvero il rispetto dei nomi natii,
è quella di perdere l’oggettività del giudizio
storia recente. Dalle influenze padano-flu-
con contaminazione e scambi forti dai pa-
anche per un piatto che faccio da 14 anni.
viali del Po, ai gusti fra le Alpi, fino ai
esi mediterranei, per cui crostacei e cozze,
Mai!” Ma il tuo futuro me lo racconterai per
sapori delle isole mediterranee e di tutte le
con cacao e caffè come salsa. Nessun ripie-
il prossimo numero di Bubble’s Magazine
terre che si affacciano al mare. È una bella sfida, è cucina aperta, ma con il giusto rispetto delle ricette. E diamo anche il nostro supporto: 12 cuochi dell’Associazione stanno scrivendo, insieme al professore Calabresi, un libro sulla disfagia.
Ma la famiglia che dice? Mia moglie, come tutte le mogli, è partner del mio lavoro. È un ago della bilancia, mi recupera quando fuggo in avanti, mi rimette in carreggiata… ma è anche chi spinge sull’acceleratore. Inoltre è la prima critica di quello che faccio: assaggia tutto . È la pri-
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Noi italiani siamo i più attivi ed esprimiamo sicuramente la cucina più diversificata, più antica ma anche la più contaminata
Giustamente, fa piacere. Ma sei anche
ma litigata-discussione della mattina! Ma mi sostiene, soprattutto perché chi viene da noi, è cliente-ospite, suona il campanello. Entra in casa mia e io voglio essere un super padrone di casa. Non do da mangiare, ma una esperienza, una atmosfera, un consiglio e… sempre aggiornato. Come l’arredo: è una tavola di casa dove si vive e mi piace colorata e dinamica.
gusto: melodia e passione
fonte: abcnews.go.com
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Richard Gere... il sex simbol di Hollywood... vive sull’Amalfitana. Ha fatto sognare milioni di donne nel mondo... ma lui si è innamorato dell’Italia...
di Angela Cesarò Camicia bianca come i capelli, di un cando-
tenta di raccoglierla… tento di anticiparlo…
pelle, non si nota né pancetta né manigliet-
re quasi trascendente, sorriso smagliante,
poi lascio perdere. Oggi ho ancora nella mia
te dell’amore. È buddista da oltre 20 anni, è
disponibile con tutti, quasi un evento poter-
borsetta quella penna... spero che la cartuc-
un Gere in splendida forma...
lo incontrare. Un tête à tête con il sessanta-
cia di inchiostro non finisca mai.
settenne Richard Gere non è un ordinario incontro. Invece dopo il primo approccio, tutto diventa quasi famigliare, un dovere. Mi sciolgo e lui, forse, lo capisce e allora la disponibilità è ancora più evidente. Quasi uno scambio fra amici. balbetto... tossisco… faccio finta di prendere carta e penna… tentenno… non so da che parte iniziare. Le mani sudano… la penna mi scivola via… cade… lui
Dopo il primo Hallo diventato subito un “ciaoooo”, mi riprendo, appunto riprendiamo da dove ho iniziato. Vediamo di scoprire qualcosa in più, soprattutto sul legame di Richard (!) con l’Italia. Camicia bianca di lino come i capelli total white, jeans comodi, cintura di
Ma cosa vuol dire essere buddista. “ Nessun segreto. Tengo alla forma fisica, mangio verdura, pesce e pollo. Vorrei ogni tanto uscire dal binario, ma mi ravvedo subito. Non sono vegetariano, anche se il mio spirito e la mia convinzione non mi porteranno a eliminare ogni forma animale alla mia tavola”. Ne parla con molta naturalezza, senza enfasi, senza sentirsi o voler trasmettere un
un amore per l’Italia del gusto
RICHARD
GERE
messaggio particolare. Appare una vena di
Affascinante… sotto tutti i punti di vista. Non
cultura del cibo, ma non fine a se stesso, non
riesco neanche a fare una altra domanda che
legato alla conoscenza profonda degli alimenti
subito incalza .
e alla loro origine, quanto più alla salubrità del cibo legato alla sanità personale. “Non considero
“Preferisco e conosco la cucina salentina, mi
il cibo una banalità, anzi cerco qualità, conosco
piace e mi soddisfa il binomio cereali e verdure,
marchi, mi informo su caratteristiche organo-
ortaggi e pasta fatta in casa… quella color oro…
lettiche, ma non ne sono un culturale astratto,
mi hanno detto”, entusiasmante sentire un ame-
impegnato, ortodosso.
ricano soffermarsi su alcuni dettagli e alcune
Mi piace anche sperimentare,
caratteristiche che sicuramente identificano geograficamente le nostre cucine regionali.
conoscere nuove cose, ma sempre nell’ambito del-
Posso garantire che non c’è stata nessun “im-
la sanità e del rispetto degli animali. Ho abolito
boccamento”…
dalla tavola tutte le carni rosse. È un inizio, una
Non si è preparato, non ne ha
uccidere per alimentarsi”. Ero più interessata
avuto tempo vista la casualità dell’incontro.
a scoprire, prima, altri pareri e considerazioni
Inoltre Richard Gere parla molto lentamente, ha
sulla vita di un divo di Hollywood, sulle star
un modo di porsi molto soft, come mi confida,
amiche e nemiche, su quell’ambiente “ un po’
è attratto dalla meditazione, da tutti i fenome-
così” che avvolge ma non si nasconde fra le
ni, luoghi, persone, fatti che comportano una
quinte e i backstage del cinema mondiale. Mi
riflessione e un adattamento dell’uomo all’am-
aspettavo qualche pettegolezzo, gossip… invece
biente. Ha compiuto numerosi viaggi in India,
presentandomi come inviata di Bubble’s Italia
Nepal, Zanskar, Tibet, Mongolia e Cina negli ul-
(e spiegando che è un magazine sullo stile di
timi 20 anni, e ha raccolto le foto scattate in un
vivere a tavola e non solo degli italiani, icona
libro Pilgrim (1997, Little, Brown and Company),
del made in Italy) evidentemente si è sentito in
che ha avuto la prefazione del Dalai Lama.
dovere di aprire subito le danze.
Sostenitore dei diritti umani, è fondatore di The
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scelta. Non tutti gli animali si devono per forza
E il vino, domando?
Gere Foundation, che contribuisce a numerosi progetti in questo campo e difende la consape-
“Poco ma buono, preferisco il vino italiano e quel-
volezza e la cultura tibetana.
lo spagnolo. Adoro i vini rossi e spumeggianti. Ma
Sul tema di attualità, sulle tensioni e questioni
sto molto attento. Vengo in Italia ogni volta che
politiche e sociali internazionali, non si tira in-
posso, anche cercando molta privacy. Mi piace
dietro. Appena chiuso il discorso cibo-vino, che
muovermi senza essere riconosciuto. Ho amici e
mi accorgo sempre più è stato un modo quasi
attività sulla Costa Amalfitana: qui respiro una
di deferenza verso la sottoscritta per come mi
aria mediterranea molto salubre… sul mare.
sono presentata, è molto interessato a entrare nel merito dei fatti e delle persone che coinvol-
Ho poi due ristoranti: quello francese non mi sta
gono la pace e che lanciano segnali di guerra,
dando grandi soddisfazioni, mentre quello italia-
come li definisce.
no è un buon successo. Ad ogni modo Italia e Spagna sono due grandi paesi per la cultura del vino
“Ricordo molti anni fa l'insegnamento di un mio
e del cibo, intriganti, mi appassionano, ma devo
maestro giapponese zen che non prendeva una
stare attento a non farmi prendere dalla voglia
decisione finchè non riusciva ad abbassare il
di gusto. Va bene essere innamorato, va bene il
numero di respiri a 7 in un minuto. Con questo
cuore, ma con attenzione e misura. Con mio figlio
esercizio era in grado di controllare l’emotività
abbiamo gusti simili, ma assolutamente non lo
e l’impulsività. Abbassare il numero dei respiri
obbligo a seguirmi su nessuna scelta”
significa non reagire subito, non rimanere sulla superficie, andare più giù nella coscienza fino al
Per una giornalista enogastronomica diventa
punto di acquisire una razionalità più forte per
troppo allettante seguire il discorso, neanche
capire che siamo tutt’uno con il resto dell’umani-
avessi fatto domanda in carta bollata per una
tà. Non mi fido dei politici che reagiscono subito.
intervista sul cibo-vino mi sarebbe andata così
E sono convinto che essere gentili è il punto di
alla grande. È l’intervistato che guida il collo-
partenza”.
quio. Strano, non me lo sarei mai aspettato.
fonte: www.dailymail.co.uk
matografiche, di ruoli da interpretare, di
“Ho incontrato il buddismo a vent’anni, in un
rapporti con il mondo di celluloide: “Non
periodo della mia vita in cui non ero affatto
ho mai scelto una parte che non contenesse
felice, come molti ragazzi della mia età.
una motivazione per me importante. Ma
Per sfuggire a un certo senso di vuoto ho
ho fatto anche scelte sbagliate, soprattutto
incominciato a leggere libri sul buddismo
all’inizio della carriera solo per avere più
tibetano. La prima tradizione che ho seguito
visibilità, farmi notare indipendentemente
è stata quella Zen del maestro Sasaki Roshi
dal profilo del film. Oggi il cinema è diven-
che per molti anni è un stato grande amico
tato un mezzo per trasmettere contenuti
del cantautore Leonard Cohen. Ho lavorato
positivi. Posso aver girato dei film sbagliati,
molto con lui sulla concentrazione e sulla
ma sono sempre stato guidato dal senso di
meditazione. Ogni giorno medito una qua-
responsabilità”.
rantina di minuti e questo tipo di esperienza
Ora tocca a me essere ospitale. Parliamo di cinema, di film e di scelta di trame cine-
Richard Gere soppesa con una
è un momento molto confortante per il mio spirito.” Eppoi. “Mi affascina la grande forza e intelligenza della mente umana. Oceani
Serio, ma mai serioso, l’attore di American
di volti si muovono nel mondo e ognuno di
Gigolò e Ufficiale e Gentiluomo sembra
questi uomini ha la possibilità di superare la
pienamente soddisfatto della vita che con-
negatività. Non c’è nulla più prezioso della
duce. Una serenità che gli deriva da una
possibilità di espandere la propria mente”.
cultura buddista di cui è diventato a pieno
Ma alle soglie dei settantanni, una crisi
titolo ambasciatore nel mondo. Sul recen-
sociale e umanitaria che dura da anni,
te compleanno, sul rapporto con gli altri,
una Italia e Europa con grandi difficoltà,
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certa leggerezza le parole che utilizza.
chiosa con una espressione degli occhi
gli Usa di fronte ad una grande incogni-
molto intensa e felice: “Sono sempre stato
ta, come guarda al futuro un sex symbol
convinto che il meglio della vita ti arriva solo
ancora attuale, ancora in sella:
se sei ottimista. Noi attori diamo vita a una specie di manipolazione in cui facciamo
“Cerco di non pianificarlo troppo. Preferisco
finta di essere al centro di una storia. Il no-
lasciarmi sorprendere da progetti che mi
stro lavoro deve portare la manipolazione a
vengono incontro. Sono lusingato dal piace-
essere buona al punto che questa menzogna
re della scoperta e dal fatto che, dopo tanti
funzioni. Il mondo reale ci continua a bom-
anni, mi arrivino delle sceneggiature che mi
bardare con informazioni che elaboriamo al
fanno dire “ehi, non ho mai fatto un film del
punto da credere siano vere informazioni,
genere”. Penso alla recitazione in termini di
mentre – ovviamente – non lo sono affatto.
vita personale e non certo di carriera. Vado
La realtà funziona in maniera differente,
avanti per l’energia e il divertimento che
cresce di continuo, non fa altro che riman-
questo mestiere mi dà. Se questa sensazione
darci a nuove situazioni”.
dovesse finire, sarà arrivato il momento di smettere di recitare.”
Siamo partiti dalla cultura personale del cibo e del vino e dall’innamoramento dell’Italia anche per diletto e per passione, alla fine diventa automatico domandare sensazioni personali legate al suo modo di vivere, entrando nel rapporto fra l’uomo e Budda e gli domando quali sono i motivi di un contatto con la filosofia buddista, di un rapporto fra gli esseri umani.
Preferisco il vino italiano e quello spagnolo. Adoro i vini rossi e spumeggianti.
da labrusca a lambrusco, la diversita’ tipologica sinonimo di identita’ territoriale
cosa c’è dietro un bicchiere di
Una volta era Labrusca. Era una vite selvatica, sicuramente molto forte, di origine spesso autoctona ovunque nascesse o fosse coltivata, certamente non ha una origine caucasica-orientale, come dice qualche amico. Per questo forse fu una delle poche varietà che quasi sconfisse per prima il cataclisma della fillossera che devastò i vigneti europei. Forse anche per questa sanità, robustezza della “labrusca” bisogna poi parlare di “lambrusche”, ovvero di varietà diverse, evolute, domesticate, introdotte in diverse aree vocazionali, ma in molte senza un grande futuro da vino. Più un valore ampelografico e viticolo, anche genetico, ma non enologico. Solo nella terra scura e pesante, profonda e ricca del triangolo padano emiliano-lombardo trovò un vero carattere vinoso. E che personalità, che impronta, che adattabilità vi è su questo che poi il vino Lambrusco, negli ultimi due secoli, creò un modo di bere, un modo di vivere, gli abbinamenti, la cultura, la civiltà. Bere
Lambrusco o uno dei diversi Lambruschi modenesi-reggiani, oggi, è una chiara prova di una diversa civiltà enologica e dionisiaca, antica, ma moderna, tramandata ma evoluta, rispettosa di una cultura di generazioni, ma altrettanto innovativa e legata ad una altra cultura tipica della dolce pianura ondulata emiliana… quella culinaria. È vero che l’abbinamento vincolato o didattico è una limitazione del gusto, della passione personale, della creatività e delle voglie di ogni singolo consumatore, ma i Lambruschi di ieri e ancor più quelli di oggi sono paladini e testimoni di un modo di stare a tavola, di consumare primizie e bontà “della casa” uniche al mondo. Un unico esempio assoluto per sgombrare tutti i campi e non fare paragoni errati o non rincorrere motivazioni senza senso: quale altro vino a mondo si può degustare e assaporare con uno zampone e lenticchie o con una torta salata di erbe amare e salame o con un formaggio a pasta dura o con un raviolo di brasato in brodo?
Lamb rusco
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di Giampietro Comolli
senza origine, senza tempo, senza un termine.
la potatura e l’allevamento sono diventati
Nell’antichità le viti selvatiche erano usate
strumenti di miglioramento. Il tendone
per ottenere frutti, ma anche medicinali e
classico della vigna dei “lambruschi” ne é
per colorare.
la naturale e logica evoluzione testimoniata
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Già nel 1000 a.C. i paleoliguri, stanziali fino al fiume Po a nord e fino al placenziano ad est, conoscevano la vite rupestre, sinonimo linguistico di “labrusca”. Di quel periodo, a Fontanellato (PR) sono stati ritrovati semi ancora intatti di Vitis Vinifera addomesticata, un caso molto raro se non unico per la datazione storica. È naturale che il nome generico di “labrusca” dato alla vite selvatica, diventasse nel tempo anche un nome proprio di alcuni vitigni addomesticati proprio per labile confine fra spontaneo e coltivato, soprattutto in Emilia dove gli Etruschi sfruttarono i boschi di foglie cedue e rami radi come “palo” per la vite. È noto che il vino più diffuso, rosso e rifermentato degli Etruschi si chiamava Kilkevetra, ovvero “vino del bosco”. Lo stesso fegato etrusco, un originale rinvenuto in terra emiliana-piacentina, elenca e identifica diversi aruspici del vino. La addomesticazione si è resa necessaria per dare un equilibrio stabile e
già appassionati della vite-vino come Pier de’ Crescenzi nel 1305, Andrea Bacci nel 1596 e Giovanni Cosimo Villafranchi nel 1773. Tutte le citazioni, i dialoghi, le descrizioni, i ditirambi parlano di vini derivati dalla vite lambrusca fino al 1686, quando in un elenco di beni inviati a Roma per rifornire la casa del cardinale Rinaldo d’Este, già duca di Modena e Reggio, si menzionano tre fiaschi di Vino Lambrusco delle… Sue Eccellentissime Terre per un totale di 120 litri. Da Labrusca a Lambruschi il tempo è stato un utile compagno per la qualità, ma soprattutto l’archeo-ampelografia ci aiuta a riconoscerne una primogenia assoluta rispetto ad altre tante varietà viti-vinicole venute nei secoli successivi. Compreso un primo illustre mecenate e promotore della famiglia d’Este. Ecco allora l’obbligo di evocare luoghi e uomini, paesi e colori, di imporre dei prenomi al Lambrusco che permettano di evidenziarne la vastità di intrecci ma anche le chiare diversità, le foglie diverse per forma e dimensione, come Salamino e Sorbara, Marani e Oliva, Grasparossa e Viadanese, Montericco e Benetti, Fiorano e Maestri. Questa ampia gamma è anche contestata, ma è evidente che l’ambiente e l’uomo-coltivatore
13-14 maggio 2017
Palazzo dei musei - modena
13-14 maggio 2017 Palazzo dei Musei - Modena
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qualità a vegetazioni molto spontanee, così
il vino del bosco
Un binomio naturale, un matrimonio eterno,
Kilkevetra
una tradizione millenaria
vite “labrusca” selvatica originaria. Senza
molto bene, vuole bere certificato e trac-
nessuna esaltazione, ma con giusta corret-
ciato, anche sostenibile e biodinamico,
tezza “i “ Lambrusco di oggi meritano una
il Lambrusco frizzante e spumante è un
grande attenzione per alcuni motivi:
simbolo di successo.
reggono il confronto con altri vini da secoli, racchiudono in sè una storia millenaria moderna e al passo coi tempi, è un vino italiano conosciuto in tutto il mondo, amato da molti grandi personaggi, esaltato per la sua freschezza, giovinezza, briosità sempre, adattabilità, profumo invitante.
Senza essere professori, ma dando un minimo di informazione al consumatore attento, sottolineando anche proprio quella diversità naturale dettata da clima, ambiente, storia, il lambrusco può accontentare ogni palato con grande soddisfazione. Non è un vino di seconda fascia, il lambrusco non è un vino “regionale” per pochi appassionati, è un vino internazionale, uno dei pochi che sa coniugare senza sotterfugi, senza alchimie, senza scappatoie o scorciatoie palati differenti, dai Master Wine all’Happy Hours. Infatti chi cerca un
“ Sorbara” vuole un vino dal colore poco intenso, ma trasparente e brillante, più acido e che lotta con piacere con i sapori forti e grassi ( segno di una ancora evidente selvaticità), profumi di ciliegia appena matura, di mirtillo croccante, di petali di rosa leggeri.
dai Master Wine all’Happy Hours
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Oggi poi che il mondo vuole bere bene,
50
hanno modellato le caratteristiche della
7 denominazioni di origine da proteggere
Viceversa il
“Salamino” è più >
equilibrato e meno aggressivo, un colore rosso intenso e più polputo e morbido, con profumi più vicino a fragole e lamponi ben maturi, ma con una grande espressione di terroir e di clima emiliano nel sangue. Del tutto foresto appare a prima vista invece il
“Grasparossa” e le
specie di riferimento della stessa famiglia, quelle specificatamente coltivate e isolate sui pendii più marcati modenesi, perché manifesta comportamenti e gusti evoluti più verso il classico vitigno addomesticato di uva rossa, colore forte violaceo intenso scuro e poco trasparente, dove tannini e antociani fanno una bella gara di preminenza con toni decisi di frutta secca intervallati da profumi di mora nera e amarena molto matura. A questo gruppo si possono anche affiliare il Maestri e il Montericco, a riprova che una povertà del substrato e dell’ambiente incide sui Lambruschi, quasi eludendo o mescolando alcuni caratteri determinanti che lo rendono unico al mondo. Una variabilità congenita naturale che può essere più o meno ridotta dalla incidenza dei luoghi. “Oggi l’attività istituzionale dei Consorzi di Tutela e promozione del Lambrusco di Modena e di Reggio Emilia” - afferma il direttore Ermi Bagni - “proseguono nel solco tracciato dalla storia con il riconoscimento delle sette Denominazioni di Origine, una per ogni giorno della settimana presenti nel territorio.” Nel calice di Lambrusco si può intravedere l’infinita gamma degli interventi che gli uomini hanno operato per secoli sull’ambiente, generazione dopo generazione, da qui nasce la mitizzazione della natura che non è una esaltazione romantica circoscritta ma piuttosto il ricordo non ancora perduto dell’aria libera, del sapore del pane ancora caldo, del profumo dei campi appena arati.
da monastero a luxury hotel
un sogno nato nel 1680
Da Monastero a Luxury hotel per far vivere un sogno esclusivo
Q
ui dove un tempo si stagliavano
le mura austere di un antico monastero, circondato da una natura che si offre nella sua incomparabile, prepotente bellezza, oggi, come una favola a lieto fine, quel luogo mistico, ricco di cultura e di storie, è risorto dall’abbandono. A Conca dei Marini, tra Amalfi e Positano, sulle suggestive terrazze naturali della costiera amalfitana che scendono a picco sul mare, sorgeva il Monastero di Santa Rosa, abbarbicato sulle pendici del promontorio prospiciente il borgo. E percorrendo i sentieri si scoprono dall’alto i mutevoli colori del mare, si fondono sensazioni difficili da trovare altrove… la vegetazione del sottobosco, i profumi intensi come quelli dell’origano, il cui significato letterale è ‘splendore di montagna’, e del carrubo, albero sempreverde tipico del Mediterra-
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neo. Con alcune curiosità: i semi di carruba sono piuttosto pesanti e assai duri. Per questo, nel corso del tempo, vennero soprannominati carati; infatti in passato all’epoca angioina venivano utilizzati come misura dell’oro. Oggi lassù si trova il Monastero Santa Rosa
Tutto accadde in maniera casuale: pare che un giorno la suora del convento che gestiva
Hotel&Spa, trasformato in un luxury hotel
la cucina vide che era avanzata della pasta di semola cotta nel latte e provò a riutilizzar-
dotato dei migliori comfort. Originaria-
la con un po’ di creatività. Il dolce fu gradito tantissimo dalle consorelle della cuoca e in
bellezza struggente e solitaria di questo edificio
mente chiamata ‘Conservatorio’ di Santa
onore del conservatorio, la sfogliatella fu denominata “Santarosa”.
affacciato sul mare. Per l’imprenditrice
Rosa da Lima, la costruzione monumentale e panoramica fu costruita verso il 1680 dal nobile Francesco Pandolfo. Sua figlia si consacrò monaca domenicana e il Monastero divenne importante punto di riferimento per la cittadina di Conca.
E qui si realizzò un’invenzione che fu la base della storia della pasticceria campana: fu ideata e preparata l’incomparabile “sfogliatella”.
La ricetta restò segreta per molti anni, finché un oste napoletano ne scoprì la formula e la ripropose con eccezionale successo nella capitale del regno, nel XIX secolo.
americana è amore a prima vista: corre l’anno 2.000 e decide di acquistare l’edificio a circa 24 miliardi di vecchie lire per trasformarlo in un luxury hotel di altissimo livello. Con un team di architetti e artigiani, inizia un meticoloso ma anche discusso restauro, fortemente contestato da Italia Nostra, e
Dopo anni di incuria e abbandono il monastero fu acquistato da un albergatore romano
ostacolato dalla burocrazia italiana che
che lo trasformò nel 1934 in albergo esclusivo, l’Hotel Santa Rosa, celebre per la vista
rende la vita impossibile a chiunque voglia
come per l’eccellente ospitalità. Sin dagli anni ’50 venne frequentato da personaggi famo-
investire. Bianca ha cercato di ristruttu-
si, basti ricordare Jacqueline Kennedy, che vi si rifugiava durante le sue vacanze in co-
rarlo in maniera filologica, conservando
stiera ed il grande Eduardo De Filippo che qui veniva a ideare le sue commedie. Ma dopo
l’atmosfera storica e dotandolo di tutti i
alterne vicissitudini, nonostante i fasti raggiunti, l’albergo fu abbandonato e dimenticato.
comfort più avanzati, con solo una ventina
Durante una crociera nella Baia di Salerno, l’americana Bianca Sharma, collezionista
fra camere e suites e la piscina panorami-
d’arte e vedova del fondatore di Texas Instruments, venne letteralmente “rapita” dalla
ca, una terrazza d’acqua sul mare.
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Durante una crociera nella Baia di Salerno, l’americana Bianca Sharma, venne “rapita” dalla bellezza struggente e solitaria di questo edificio affacciato sul mare.
Il sogno di Bianca Sharma di restituire
Ducasse e quale sous-chef di Heinz Beck,
all’albergo un’atmosfera autentica, come
portando in dote una grande competenza
fosse una residenza privata sulla Costiera
di alta cucina. I piatti di Bob evidenziano
Amalfitana, nel 2012 è finalmente diven-
una creatività estrosa, variegata, talvolta
tato realtà. Il Monastero Santa Rosa Hotel
sorprendente, ma ben sorretta da fon-
& Spa ha aperto le porte ai suoi ospiti e lo
damentali tecnici di valore. L’amore per
hanno eletto a proprio rifugio molti VIP del
il Mediterraneo e i suoi sapori emerge in
jet-set internazionale, in quanto l’inacces-
ogni piatto, diventando una cifra stilistica
sibilità del luogo è garanzia di esclusività
distintiva che lega i sapori locali a questo
e privacy. Tra questi si sanno i nomi di
luogo carico di storia.
Beyoncé, la notissima cantante, ballerina e attrice statunitense che viene qui col marito Shawn Corey Carter, più noto col nome d’arte di Jay-Z, un rapper, imprenditore e produttore discografico. Certo non sono gli unici ma lo staff dell’hotel non fa trapelare notizie… Grazie al figlio di Bianca, Nathan, laureato a New York con una tesi in gestione della ristorazione, il ristorante interno,“Il Refettorio”, è affidato all’executive chef Christoph Bob, figura di rilievo internazionale. Originario della Bassa Sassonia, Bob ha maturato significative esperienze in ristoranti stellati, alla scuola di Alain
Giulio Biasion
SEMPRE PIÙ IN
Arunda
1200mt
Arunda
Claudio Mollo
N
on so voi, ma io quando penso alle regioni italiane cosiddette di confine, mi perdo. Da questo si evince che non amo i confini. Non sono mai riuscito a imprimermi nella mente gli esatti contorni fisici delle regioni o degli stati, mentre i tratti somatici, caratteristici degli abitanti di quelle terre che siano di mare o di montagna, così come i loro usi e i costumi li ho ben in evidenza, tanto da rimanerne affascinato. Non so come spiegare questo distinguo, ma spesso mi ritrovo a raccontare su un foglio di carta le impressioni, le suggestioni che un viaggio in quelle terre, poste agli apici, mi provoca. La mia iniziale difficoltà credo sia colpa, o merito, degli abitanti, di quelle genti che volutamente ti accolgono facendoti sentire importante. Un’idea del tutto personale dovuta, forse, al mio perenne nomadismo, che vivo come un costante bisogno di respirare aria nuova, consumando l’idea stessa del mio andare, ricercando il cambiamento e l’eccedenza
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Il Metodo Classico più alto d’Europa dell’altro. Per questo devo viaggiare per essere spiazzato, per sorprendermi, per vivere una fiaba che insceni il coraggio della rottura e del cambiamento quotidiano con me stesso, trovando l’eccezione dell’ordine di ciò che incontro solo dopo averlo assaporato, com’ è successo tutte le vote che incontro Josef . Ho sempre voluto che il mio girovagare fosse il rito stesso della mia vita, se non addirittura la somma di tante parti della stessa, create al di là delle epoche, delle culture e degli uomini, dei riti ricercati sulla soglia di una casa o di una cantina. Riti ricercati in calici di Bollicine tirate fuori da angoli nascosti, ancora sui lieviti, pure come fanciulle illibate che si aprono a chi apprezza il loro donarsi. Emozioni da condividere con gli amici, in un brindisi augurale di un quotidiano semplice, in un presente mai nuovo, in un nuovo che odora d’antico. Viaggiare non è altro che il racconto stesso di questi gesti che si riempiono di sacralità nella loro semplicità, tanto da manifestarsi nel pensiero solo dopo aver gettato ponti verso un altrove o un mondo latente posto ai confini di una regione o stato. Arrivare a Meltina, mentre
inizia a nevicare ha un fascino unico. Venire fin quassù e sedersi davanti a un mondo di bollicine, vuol dire non solo assaporare i processi evolutivi, le novità e l’idea stessa che Josef ha dei vini che produce, ma anche ereditare gli aspetti fisiognomici e il morboso attaccamento che lui nutre per
il suo lavoro e per il suo luogo di nascita, due elementi imprescindibili per rifornire di linfa vitale la propria esistenza. L’osservo, mentre stappa una bottiglia dopo l’altra; sembra divertirsi a sorprendermi, e gioco fra i numerosi bicchieri che riempiono la tavola, disquisendo la tecnica, il tempo, l’idea e il modo per cui quell’effervescenza si manifesta.
È fiero della ricerca del “bello” che ha voluto rinchiudere in quelle bottiglie.
Ora comprendo meglio quale sia il valore dei tornanti della strada che mi ha condotto fin qui, avendo difficoltà a tracciare anche la linea di confine che dovrebbe esistere tra la terra e il cielo, poiché oggi è tutto bianco. Nevica a 1.200 metri s.l.m.; qui dove Josef Reiterer ha deciso di fare la sua cantina di spumantizzazione, dando origine, di fatto, al Metodo Classico più alto d’Europa. La sua disponibilità mi ha messo a mio agio e riseco a godere della sua splendida ospitalità, così come dell’espressione perfetta che egli rappresenta di quel mondo agricolo che qui, su queste montagne, è vivo, anche se queste terre non devono essere mai state magnanime con chi le lavora. Quella che Reiterer ha saputo costruire, è una piccola azienda che, pur non avendo vigneti, trasforma le uve selezionate e acquistate da vignaioli di fiducia, in diverse zone dell’Alto Adige. Quello che mi piace è il suo desiderio di voler affrontare sempre nuove sfide in una continua evoluzione produttiva alla ricerca di un’ulteriore salto di qualità.
Sembra che dopo tanti anni di produzione di bollicine abbia ancora molte domande senza risposta. “I dubbi mi seguono costantemente e forse è anche un po’ merito loro se, in me, è sempre vivo il desiderio di sperimentare, indagare, scoprire cosa vi sia dietro l’ultima, esile certezza appena raggiunta”. Lo ascolto con attenzione mentre continua a raccontarsi. “È proprio su queste montagne, dove si gode un clima incontaminato che favorisce una maturazione ottimale, che ho avviato la produzione dei vini nel 1979...” Parliamo mentre sul tavolo conto ormai oltre dieci bottiglie e altrettanti calici. Lo saluto solo dopo ore, quando ormai sono pago di quanto questo incontro mi ha dato.
Riccardo Dalisi
Cavaliere, 2003
—
Courtesy of Studio Dalisi foto di Fulvio Cutolo
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Nato a Potenza nel 1931, Riccardo Dalisi è un architetto, designer e artista della generazione di Sottsass, Mendini e Branzi, internazionalmente noto grazie alla presenza di suoi lavori in numerose collezioni private e nei più prestigiosi musei europei e d’oltreoceano (Musèe des Art Decoratifs, Parigi; Denver Art Museum, Denver, Colorado; Museo d’Arte, Montreal, Canada; Museo della Triennale di Milano), e alla sua versione della caffettiera napoletana, commissionatagli dall’azienda Alessi nel 1979, che lo portò a vincere il Premio Compasso d’Oro nel 1981. Ultimo riconoscimento, nel 2014, il Premio Compasso d’Oro alla Carriera per la sua vita professionale dedicata alla cultura del progetto.
Cavaliere, 1994 — Courtesy of Studio Dalisi foto di Fulvio Cutolo
di Francesca Paola Comolli
Da l l’a rt e a n tica a q u e l la m e dio eva l e , da q u e l la m o d e r n a a q u e l la co n t e m po ra n ea , u n o d e i ru o l i d e l l’a rtista è stato q u e l lo di ca la rsi n e l l e s u e ra dic i e i n t e r p r eta r e , att rav e rso i m m agi n i e sc u lt u r e p ri m a , i n sta l la z io n i e foto g ra f i e o g gi , avv e n i m e n ti , e m oz io n i , i d e e – passati o p r es e n ti c h e sia n o – c h e i n q ua lc h e m o d o l’ h a n n o i n f lu e n zato e d et e r m i n ato umanamente e a rtistica m e n t e , p ro p rio co m e i l s u o lo, i l c l i m a e l e p ratic h e ag rico l e d et e r m i n a n o l e ca ratt e ristic h e di u n vi n o o di u n p ro d otto a l i m e n ta r e .
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Riccardo Dalisi,
IL TERROIR DEGLI artisti entrambi dallo studio della tradizione
il termine terroir tradotto testualmente
sannita, differiscono enormemente nella
dal francese significa
forma e nel significato.
suolo e
in ambito enologico viene utilizzato
Attraverso continui riferimenti al mito,
tradizionalmente per indicare l’influenza
enfatizzati dall’uso di simboli greco-
che il territorio – nella fattispecie la sua
romani, etruschi e paleo-cristiani, – ma
geologia e i suoi aspetti climatici, ma
anche visionari – Paladino sviluppa
anche i fattori antropici e quelli storici
immagini archetipiche, dal sapore arcaico,
di un luogo – esercitano sull’uva che vi
mediterraneo e onirico, riprendendo
cresce, determinandone le caratteristiche
le tecniche antiche come l’encausto e il
specifiche.
mosaico.
Il concetto è storicamente applicabile
È il tema della memoria e del frammento,
anche all’arte, che si è dimostrata nei secoli
infatti, il perno del lavoro di Paladino, che,
il linguaggio universale per comunicare la
per plasmare i cavalli dell’installazione
tipicità del luogo in cui viene prodotta, la
permanente Hortus Conclusus nel
sua storia e la tradizione culturale che lo
complesso universitario di San Domenico
contraddistingue.
a Benevento e quelli annegati nella Montagna di sale in Piazza del Plebiscito
Gli artisti e le espressioni artistiche,
a Napoli, ha rivolto l’attenzione alla
infatti, affondano le proprie radici nella
composizione geometrica delle figure
tradizione e nella cultura del suolo a cui
tipiche di Arturo Martini e, guardando
appartengono, traducendone di volta in
ancor più indietro ai Kouroi della statuaria
volta gli umori anche biologici sotto una
greca del VII secolo a.C.
nuova chiave di lettura: celebrativa, ironica o critica.
Oggi, il terroir degli artisti contemporanei oscilla tra la terra e la storia di un territorio,
Figurativamente molto distanti, i cavalieri a cavallo di Riccardo Dalisi rievocano i costumi dadaisti degli spettacoli teatrali messi in scena al Cabaret Voltaire di Zurigo nel primo e secondo decennio del Novecento, pur dimostrando anch’essi
rimaneggiati e interpretati di volta in volta
una ricerca espressiva che spazia nel
attraverso stili differenti.
mitico e nell’arcaico, tradotta attraverso un
Per citare solo due esempi I cavalieri e i
processo di analisi culturale e sociologica
cavalli di Mimmo Paladino, beneventano, e
della città campana.
quelli di Riccardo Dalisi, nato a Potenza ma napoletano di adozione, pur scaturendo
Riccardo Dalisi
Lampione Quartieri spagnoli, Napoli
—
fonte Google
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Come ben sanno gli appassionati di vino,
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Mimmo Paladino Montagna di sale fonte Google Mimmo Paladino Montagna di sale (dettaglio) fonte Google Mimmo Paladino Hortus Conclusus (dettaglio), 1992 fonte www.italianways.com
Create con l’utilizzo di materiali poveri e
nell’anima di una città.
di riciclo, spesso raccolti dall’artista stesso
Protagonisti assoluti nell’opera dell’artista
nei vicoli di Napoli, come latta, carta, rame
diventano quindi gli altri, l’incontro
e ferro, le sue sculture contengono una
umano e sociale, che egli arricchisce
“sfida”: il riciclo contro il consumo e lo
introducendo e valorizzando il folklore, la
spreco e come spinta verso una continua
fantasia e l’ironia, ma anche la spiritualità,
innovazione.
della quale i quartieri napoletani sono impregnati.
Grazie alla sua ricerca espressiva - oltre che della cooperazione degli artigiani locali, della partecipazione degli anziani della Casa del Popolo di Ponticelli e dei bambini e dei giovani di quartieri in difficoltà - si è potuto entrare nella storia di un popolo,
In entrambi gli artisti campani le materie usate hanno un loro inconscio, una loro storia.
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LA MIA VALDOBBIADENE words: Riccardo Margheri
nasce a Valdobbiadene, fra i filari di viti che disegnano i profili delle colline, può solo considerarsi fortunato. Cresce bene direi, consapevole d’appartenere ad una terra unica il cui clima, la morfologia del territorio e la cultura della gente, sono elementi inimitabili e non replicabili, gli stessi che hanno contribuito ad allevarmi e farmi diventare grande.
Un cordone composto da una doppia linea di rilievi che non superano i 700 metri s.l.m. e che dalle terrazze alluvionali del fiume Piave corre fino a Vittorio Veneto. Sono terre magiche che vi invito a visitare.
Non so se troverò le parole esatte per spiegarvi cosa siano per me queste colline, di certo le porto dentro, come se fossero un elemento del mio organismo, di cui non posso fare a meno.
Sono quelle che hanno ispirato i principi del mio vivere, che non è mai stato articolato o complesso ma
semplicemente visionario come semplice e lineare è il valore che ho sempre attribuito alla famiglia, al “bene” che lega le parentele e le amicizie, al rispetto e alla stima che nutro per il lavoro in cui credo fortemente come elemento di crescita e di auto stima. Non poteva essere diversamente per chi, come me, si sente trevigiano ed ha alle spalle una grande storia familiare che impone un pragmatismo ragionato nel presente e un concreto idealismo per il futuro. Su questa strada ho viaggiato, spontaneamente, spinto dalla forza invisibile
Su queste terre faccio il viticoltore, come le mie precedenti generazioni che si sono succedute negli ultimi cinque secoli. È qui che nasce il Prosecco, proprio su queste colline che tanti amano vedere ma che nessuno vuole lavorare, poiché le viti richiedono fatica per essere allevate. La mia famiglia, come tante altre, condivide da sempre questo impegno, con la tenacia e la dedizione di chi sente sue queste terre, riuscendo a modellarle fino al punto di regalare un ambiente naturale e unico alla vite che qui trova un luogo d’elezione. Sono declivi sinuosi quelli che da Conegliano corrono fino a Valdobbiadene. Colorati di verde, in una continua contrapposizione paesaggistica fra vite e boschi dove più rude, impervio e selvaggio è il territorio di Valdobbiadene, in cui si trova l’azienda Bisol, mentre più morbido, arioso e aperto è quello di Conegliano. Sono colline incastonate fra la dorsale prealpina dell’Alto Trevigiano e
della tradizione; un passo dopo l’altro, senza grandi certezze, provando ad andare oltre, pensando a un futuro non solo sperato, ma realizzato, concreto e non soltanto sognato. Per farlo ho provato a vedere le cose da un punto di vista diverso, trasformandomi in un uomo eclettico, difficilmente adattabile a logiche stantie o conservatrici. La lungimiranza, invece, mi è servita per non vivere soltanto le urgenze che il mondo detta, ma per guardare oltre, un po’ più in là, arrivando a fare scelte coraggiose e originali.
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Chi
la Laguna di Venezia, la cui origine si deve all’orogenesi alpina che ha creato un sistema detto a “cordonata”, l’unico esempio in Europa per estensione e per specificità geologica.
queste colline me le porto dentro come se fossero parte del mio organismo
Solo così nascono progetti, idee
Le mode o spariscono o diventano un classico. Il Prosecco Superiore di Valdobbiadene e Conegliano oggi è divenuto un classico e i Bisol, affermo con orgoglio, hanno contribuito a renderlo tale puntando tutto su una viticoltura di eccellenza fin dall’inizio, essendo fra i pionieri che, nel 1969, diedero vita alla Denominazione che oggi è presente in oltre 100 paesi del mondo.
La capacità di vedere oltre non so
Passano gli anni, si matura, si osservano le cose in modo diverso e lo spirito bollente che animava gli anni della giovinezza si è placato, ma non demordo sui miei sogni che mi conducono sempre là, dove finisce l’ultima vigna e inizia un altro viaggio verso una nuova idea.
nuove che pur attingendo al passato, sanno dare un’immagine diversa al futuro. La grande considerazione che abbiamo noi Bisol del nostro lavoro ci spinge a pensare d’aver operato sempre per il meglio in viticoltura, tanto da proporre verticali del nostro Prosecco di anni, sfatando l’idea comune che questo vino sia un prodotto da consumarsi giovane.
se sia un dono o una maledizione, o solo la curiosità di vedere le cose da un’altra prospettiva dai mutevoli colori, volti e confini con cui si delinea continuamente il mondo del vino. Quale certezza, quindi ? La qualità che deriva dalle capacità, dalla sapienza abbinata all’originalità di un territorio . Ricordo che quando entrai in azienda mi dissero che il Prosecco sarebbe stato una moda passeggera, ma non è stato così e oggi, per ogni bottiglia di Champagne se ne stappano quasi due di prosecco. Questo, di certo, non significa che sia un vino di poco valore, tutt’altro: è l’insieme di tanti “saperi” e di un areale fra i più belli al mondo che spero l’UNESCO proclami presto patrimonio dell’umanità.
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PER OGNI BOTTIGLIA DI CHAMPAGNE SE NE STAPPANO DUE DI PROSECCO
Decanterino il nuovo approccio sensoriale di Carlo Benati
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La progettazione è parte intrinseca di ogni essere umano. Ogni istante della giornata progettiamo qualcosa, che si tratti di un appuntamento, della crescita dei figli o di una vacanza. Ma nulla di diverso dal quotidiano può nascere senza la fantasia o l’immaginazione. Arrivare all’idea, attraverso la creatività, nutrendosi di arte, tecnologia e scienza. Un progetto che deve evolversi senza i lacci della bellezza fine a se stessa, seguendo la nostra innata tendenza a ricercare l’innovazione e mirando all’utilità che chiunque potrà averne: solo così, qualcosa che prima non c’era, diventerà importante e forse, anche indispensabile.
FOCUS “Fiore di vetro” custode di un sistema, riconosciuto e brevettato a livello internazionale, che svela un approccio sensoriale e funzionale totalmente nuovo alla fase successiva di apertura della bottiglia di vino; una clessidra che richiama ai concetti di natura e di tempo. Il vino, versato all’interno della calla, penetrando attraverso una moltitudine di microsfere, da vita ad una distillazione a freddo che permette di accelerare di molto
l’ossigenazione, di ridurre notevolmente i momenti di attesa alla degustazione e di trattenere l’eventuale residuo fisso, laddove presente. Il progetto è interamente italiano, dall’idea alla sua realizzazione, dal pensiero di Carlo Benati, Architetto di Verona, ai pregiatissimi vetri soffiati e realizzati a mano a Murano - Venezia, all’innovativa confezione, realizzata “su misura” a Milano.
L’esperienza sensoriale è rivoluzionaria perchè Decanterino coinvolge tutti e cinque i nostri sensi. Il vino colora le microsfere, il suo profumo pervade l’ambiente mentre la melodia del suo gocciolio ci accompagna. Decanterino, creato con un materiale talmente leggero e puro da apparire quasi etereo ci restituisce un vino pronto per essere degustato attraverso un percorso ricco di emozioni.
La creatività è per me sinonimo di ricerca per la soluzione di un problema.
“La creativita e’ sinonimo di ricerca per la soluzione di un problema”
Tutto parte dall’analisi del mondo che mi circonda, dall’interpretazione delle esigenze, dall’intuizione che diventa idea da sviluppare o solo da migliorare. abbiamo assistito ad un’evoluzione tale di quest’oggetto che oggi nessuno può più farne a meno. C’è la nostra vita dentro. Chiudete gli occhi e provate ad immaginare di vivere senza. Da progettista e da architetto ho sempre creduto che il bello da vedere debba essere accompagnato dall’utile, non basta avere un ritorno emozionale dalla bellezza di una casa o di una cosa, deve servire, nel senso piu’ elevato del termine, quindi risolvere temi e rispondere ai bisogni.
design
Ciò che progetto deve avere un valore
o dove preferite, il rumore della gemma co-
anche per la sua artigianalità, perché vi è
lorata che gira come in una roulette mentre
riversato tutto il sapere, mio e dei maestri
siete circondati da persone allegre.
che realizzano i miei progetti, lo studio, la
Sfere di vetro che creano atmosfere la-
mia e la loro passione: questo è il valore
sciandosi colorare dal vino nel loro sforzo
aggiunto che ogni mia “creazione” vor-
di rallentarne la discesa e per un attimo
rei avesse. Deve durare nel tempo, in un
godono di questa osmotica magia prima di
mondo in cui consumiamo troppo in fretta
lasciarlo andare di nuovo, goccia a goccia,
oggetti e relazioni.
nel fondo del Decanterino.
Il leitmotiv del mio progetto, alle volte, si
Un abbraccio, un momento d’amore in cui
scontra volutamente con una velocità che
vino e sfere diventano un tutt’uno per poi
faccia perdere di vista il valore intrinseco
separarsi, migliorandosi reciprocamente.
del tempo e delle cose.
Uno spettacolo per gli occhi e un’emozio-
“un’emozione da assaporare lentamente”
“la velocita’ ci fa perdere il valore del tempo e delle cose”
ne per l’anima in un gesto che prima era Un’emozione da assaporare lentamente,
solo normale e che adesso diventa piacere,
uno stupore improvviso, bellezza ed utilità
utilità, lusso.
in un gesto,per un momento di convivialità come la degustazione di un vino.
Credo che l’obiettivo finale del designer sia dare bellezza a ciò che puo’ essere utile, e
Ho concepito questa attesa come un mo-
viceversa.
mento importante, che emozioni. Wine design è questo, un laboratorio di Immaginate la bellezza di vedere questa
idee per rendere la vita delle persone, o sol-
Calla di vetro soffiato a bocca da maestri di
tanto un momento di questa, più bello, per
Murano, dove ogni pezzo è diverso dall’al-
regalare un’emozione tutta italiana.“
tro, quindi unico sfere che riproducono lo scroscio della pioggia mentre siete a casa,
Cio’ che progetto deve avere un valore anche per la sua artigianalita’
Calla di vetro soffiato a bocca da maestri di Murano
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Pensate ai cellulari; negli ultimi venti anni
R
c’è cultura e professionalità, una buona dose di fantasia e passione, il tutto racchiuso in un sogno iccardo
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dello spumante da quei frutti è necessario interrompere la loro maturazione nel momento in cui gli zuccheri sono entro un certo limite, l’acidità risulta espressione vire realizzato; è necessario dare un “titolo”
goroso di quello gustativo e strutturale.
a quel prodotto, costruirgli intorno un per-
Non è pensabile che sia un percorso studia-
corso per arrivare al risultato, sapendo che
to a tavolino, servono anni di esperimenti,
in quel viaggio potrebbero insorgere degli
dedicati magari al Nerello Mascalese, al Ne-
imprevisti che possono modificare il fina-
groamaro, al Gaglioppo, all’Aglianico, al Ro-
le. Fattori che mutano, delimitano e limi-
scietto e alla Falanghina che si esprime da
tano qualsiasi vino, così come le bollicine,
giovane con una ricchezza olfattiva forse
comunque figlie di un prodotto più tecnico
scienza mette a disposizione.
addirittura eccessiva per un Metodo Classi-
rispetto al vino tranquillo, essendo influen-
D’altronde nessuno ha mai trovato scritto
co, perché copre l’apporto dei lieviti e diven-
zato da scelte produttive che interessano
da nessuna parte che uno spumante Meto-
ta uno spumante varietale.
tutta la filiera, fino ad arrivare alla prima
do Classico venga bene solo nell’area dello
Fare spumante richiede metodologie diver-
vinificazione, all’uso o il non uso del legno
Ci conosciamo da anni e con lui parlare
Champagne o che in Italia vi siano solo delle
se da quelle utilizzate per un vino tranquillo
e di che tipo, al far svolgere la malolattica,
di bollicine è un piacere; non ho nean-
aree che, per merito della provvidenza divi-
poiché è necessario operare non solo nell’e-
fino ad arrivare a determinare la qualità dei
che bisogno di porgergli domande spe-
na, sono elitarie per la produzione di simili
poca della raccolta dei frutti, ma anche
lieviti, la dose degli stessi e la loro aggiunta
cifiche o di condurlo su un sentiero da
vini e che questi debbano essere realizza-
nella gestione della vigna e poi in cantina
al vino per avviare la presa di spuma, chia-
precisare. Man mano che il colloquio si
ti solo con vitigni quali il Pinot Nero e/o lo
e nella bottiglia. Un mix di ricerca che è
mata liqueur de tirage. Così come utile è
svolge, la sua riflessione si dipana flui-
Chardonnay.
poi alla base stessa dell’evoluzione qualita-
definire il tempo di maturazione in cantina
tiva di tutto il vino italiano; ricerca che ha
del vino sui lieviti che, variando, modifica il
da, consequenziale, densa di contenuti
Gli spumanti nascono due volte: una caratteristica unica, avendo due fermentazioni e, quindi, due vite
livello di maturazione; per la produzione
brante dell’uva e l’aspetto olfattivo è più vi-
Cotarella
di An drea Zanfi
blimano col raggiungimento del massimo
e, soprattutto, vivificata da una passio-
Grazie a Dio vi sono delle zone dove produt-
consentito di avere grandi prodotti in ogni
gusto così come lo modifica l’aggiunta del
ne che rappresenta la cifra distintiva del
tori benemeriti hanno sperimentato, al di
areale viticolo, e questo grazie soprattutto
liqueur d’expédition immesso nello spu-
suo multiforme impegno nel mondo del
fuori di ogni tradizione, la cultura delle bol-
a qualche pioniere, a colui che ha acceso il
mante al termine del processo produttivo,
vino come enologo e accademico, come
licine dove non esisteva. Come negare che
riflettore, che ha mostrato curiosità e voglia
dopo il dégorgement (fase conosciuta come
figura istituzionale, ricercatore e amba-
la stessa Franciacorta non fosse mai stata
di sperimentare e pensare a un bel prodot-
sboccatura) divenendo, di fatto, il timbro di
sciatore di vitigni e di territori negletti
una zona storica per la produzione delle
to, prevedendone il futuro dopo anni e chie-
fabbrica di un’azienda spumantistica.
che ha riscoperto e valorizzato.
“bolle”? Ma alcuni produttori l’hanno fat-
dendosi come avrebbe voluto che fosse quel
Un Metodo Classico è un prodotto subordi-
ta grande e, se è stato così lì, perché non è
suo spumante.
nato al lavoro dell’uomo per un 60% e, pro-
L’effervescenza dell’argomento stuzzi-
pensabile fare degli spumanti altrove? Per-
ca, alimenta le nostre menti e si rinnova
ché non farli utilizzando altri vitigni con cui
In tutto questo ci sono cultura e professio-
grande interesse in chiunque. Cosa diversa,
sempre seguendo gli spumanti italiani,
di solito si fanno dei grandi bianchi o rossi
nalità, una buona dose di fantasia e passio-
ma non per questo meno coinvolgente, sono
essendo quest’ultimi vini che nasco-
da invecchiamento?
ne racchiusa in un sogno, che è forse l’a-
gli spumanti Metodo italiano o Charmat
no due volte: una caratteristica unica,
Ecco che lo sperimentare diventa ricer-
spetto più importante. Quando si affronta
per i quali la produzione è molto soggetta
avendo due fermentazioni e, quindi, due
ca, metodo e applicazione, stimolata dalla
un progetto che deve portare dalla vigna
al mercato e alle aspettative del consuma-
vite. Un bipolarismo passionale, profes-
curiosità di andare oltre certi parametri
fino al consumo del vino sulla tavola, è ne-
tore. Sono prodotti immediati, che danno
sionale e di attenzione rispetto a qualsi-
prestabiliti e osare, vincendo la sfida pur
cessario avere ben chiaro ciò che deve esse-
allegria e che chiedono solo d’essere goduti
asi altro vino.
sapendo di poterla perdere, per crescere e
per la loro freschezza e semplicità; vini che
Vini figli della cultura scientifica che,
acquisire sapienza.
non ti fanno interrompere la conversazione
nella loro produzione, non possono essere ancorati a concetti superati, ma
Rivedendo pensieri e certezze, come ad
necessitano di sperimentazione appli-
esempio il fatto che per fare un grande Ne-
cabile anche a vitigni nuovi, allevati in
rello Mascalese o un grande Gaglioppo ci sia
territori viticoli che mai li avevano ospi-
bisogno di spingere la maturazione fino al
tati o posti in areali che ignorantemente
limite della sanità delle uve, così da poter
erano ritenuti non adatti alla vite. Una
estrapolarne certi componenti che si su-
sfida avviata per ottenere risultati impensabili, essendo convinto, come lo è Riccardo, che la performance della vite sia funzionale ai concetti tradizionali, rivisti in conformità a quello che la
prio per questo, è capace di scatenare un
Le bollicine stimolano la sfida, la ricerca, le passioni e i sogni: ecco il loro grande segreto
e hanno avuto il merito di sapersi imporre, facendo bere bollicine a qualsiasi ora del giorno e quasi a tutto pasto. Le bollicine stimolano la sfida, la ricerca, le passioni e i sogni: ecco il loro grande segreto.
e
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POJER SANDRI N
on so se ho mai voluto sfuggire al passato e dalla storia che ha segnato la mia famiglia. Per anni ho sentito dentro una voce che mi esortava ad allontanarmi dalla terra, dalle viti e dal vino. Non gli ho dato retta e sono divenuto enologo, fregandomene del passato. Era così che doveva andare, ed è così che è andata. Lo dimostra il fatto che, ancora adolescente, preferivo starmene ad ascoltare i vecchi vignaioli e a ragionar con loro di vino, di vendemmie e della vite, invece che andare a divertirmi. Gli amici mi consideravano un tipo strano, non capivano e, a me, restava difficile spiegare loro che l’amicizia di quei viticoltori mi apriva la porta della loro antica sapienza. Tutto era già stato scritto e il mio percorso di vita era stato tracciato proprio nella memoria di quelle serate;
memoria senza la quale non avrei potuto costruire quel futuro che sentivo di dover vivere. In quegli anni non sapevo come sarebbe stato il mio domani : bello, brutto, ricco o disarmante. L’unica certezza che avevo era quella di volermi sentire vivo. È stata la passione per il vino a dipanare il mio filo di Arianna. Un sentimento forte che ha marcato la mia anima come fosse un gene, trasformandosi in istinto puro che non si è mai modificato nel tempo. Decisi di diventare vignaiolo seguendo le orme di mio padre, di mio nonno e del bisnonno, tutti morti in fatali incidenti di lavoro, in cantina o in vigna. Restai sordo alle infinite prediche con cui mia nonna mi esortava a fare altro, mentre non mi tirai indietro appena nacque l’occasione d’iniziare a fare vino con il mio amico Sandri.
Cosa ci mancava? Di sogni ne avevamo davvero tanti e col tempo abbiamo provato a realizzarli, partendo con quel poco che avevamo a disposizione: qualche macchina vecchia, una pigiatrice in legno, un torchio rovinato e una imbottigliatrice a mano, tutte cose più adatte a un’officina meccanica che a una cantina.
Il motivo di quel successo? Non saprei dirlo con certezza. Una causa potrebbe essere ricercata nel fatto che eravamo forse più svegli e attenti di tanti altri produttori inseriti in quel mondo del vino rimasto immutato da troppo tempo.
Ma questo disarmante inizio ci stuzzicò l’ingegno. Iniziammo a studiare il modo per innovare i macchinari che avevamo a disposizione modificandoli e adattandoli ai nostri bisogni, riprogettandoli e costruendone di nuo-
Un altro elemento del successo potrebbe essere attribuito alla nostra curiosità, sempre pronta a confrontarsi e conoscere altre realtà vinicole del mondo, arrivando a misurarci con filosofie produttive vitivinicole francesi, tedesche e austriache, e tutte quelle con una grande capacità di fare ricerca.
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Un processo affrontato con umiltà, non sentendoci mai paghi di cosa avevamo appena appreso, sapendo che chiunque avrebbe potuto darci nuovi stimoli, insegnandoci qualcosa che fino a poco prima ci era sconosciuto. Oggi quei due ettari di terreno sono cresciuti e sono diventati trenta, posti tra Faedo e la Val di Cembra, come è cresciuto il nostro brand ormai affermatosi in gran parte del mondo. È stato un viaggio intrapreso guardando al passato, dialogando con la natura, affrontando nuove sfide, tutte orientate verso una sempre maggiore salubrità dei vini e alla ricerca ampelografica di vitigni resistenti che ci consentissero di evitare trattamenti in vigna.
Era il 1974
Il nostro è un lavoro antico e allo stesso tempo sempre nuovo, che ci ha portato a non stravolgere la naturalezza dei frutti, ad avere rispetto del territorio ricercando per esso una eco sostenibilità del nostro sistema vitivinicolo, interpretando l’innovazione e la tecnologia come aiuto e non come alterazione di ciò che produciamo. Con questa filosofia abbiamo pensato al progetto “Zero infinito”, un vino naturale al 100%, ottenuto con zero trattamenti in vigna, zero solfiti e zero lieviti commerciali; “puro” da ogni contaminazione. Un’idea divenuta vino, come lo saranno le altre in via di sperimentazione, ancora più gratificanti e capaci di soddisfare la passione che nutriamo dentro. Sono sfide che ci piace vincere; sono passioni ed emozioni che vibrano dentro e ci danno gioia nel constatare che ciò che stiamo facendo piace.
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Era il 1974. Forti di due ettari di terreno, ereditati dal padre del mio amico, e con in tasca un milione e duecentomila lire, prestati dalla mia amata nonna, iniziammo a far funzionare la Pojer e Sandri.
vi, arrivando al punto di brevettarne alcuni, che oggi, sono utilizzati da centinaia di cantine di tutto il mondo. Siamo partiti dall’ABC. Ricordo ancora la pompa dei vigili del fuoco con la quale travasavamo il vino e la situazione tragicomica nella quale operavamo che non limitò la nostra crescita aziendale, tanto che le prime bottiglie, che arrivarono sul mercato nel 1975, ebbero un’esplosione di consensi. Nel 1980, cinque anni dopo l’inizio, le nostre bottiglie di vino erano presenti a New York, Monaco di Baviera, Roma e Londra.
JOE
Il
Blues
libera la mente
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CASTELLANO
PAURE E INIBIZIONI INCATENANO
Bubble’s e il Blues & Wine Soul Festival Cari amici di Blubble’s Italia non ci conosciamo, ma sappiate che questo è un problema che risolveremo presto. E lo risolveremo attraverso la musica e un bicchier di vino. Faccio Blues che è sempre stata l’essenza della mia anima.
Vi potrà sembrare una frase scontata con la quale ogni artista racconta la propria passione? Può darsi,anche se parlandone vi trovereste anche voi in difficoltà nel non citare la parola anima, che è la massima espressione di una infinità di sensazioni che dal dolore arrivano alla gioia e alla preghiera, sancendo i ritmi di un periodo storico e le usanze di un popolo. Diceva Ludwig Van Beethoven che “ La
musica è la rivelazione più profonda di ogni saggezza e filosofia” e lo stesso Schopenhauer affermava che “[...], ammesso che si potesse dare una spiegazione della musica, completamente esatta, compiuta e particolareggiata, riprodurre cioè esattamente, in concetti, ciò che essa esprime, questa sarebbe senz’altro una sufficiente riproduzione e spiegazione del mondo in concetti, oppure qualcosa del tutto simile, e sarebbe così la vera filosofia [...]” ( dal - Il mondo come volontà e rappresentazione) Per me è tensione emotiva allo stato puro.
Non la identifico con il pensiero che può ispirare il poeta,né con la visione che affascina il pittore: è un tumulto che dal centro del petto passa alla mente in ordine sparso e da questa alle mani e al corpo, senza un rigido controllo della ragione. È un modo di sentire le cose e leggere la vita liberamente, forse l’unico caso in cui i nostri gesti sono privi di pregiudizi, dogmi, paure e inibizioni che incatenano la mente. Per me, e badate bene che ripeto, per me il Blues è questo.
Uno stato dell’anima che sa generare mille emozioni, creando empatia tra la gente. Una verità assoluta riscontrabile a qualsiasi latitudine e longitudine della terra, dove l’uomo abbia socializzato. La si trova nei canti degli eschimesi e degli indiani d’America, nelle voci dei popoli africani e nell’evoluzione che le stesse hanno subito nel Gospel che è divenuta la forma di preghiera più conosciuta; quella dei grandi predicatori, delle chiese di legno di New Orleans.
Ecco un altro aspetto importante della musica: la preghiera e con essa il crescente ritmo che l’accompagna che dalla terra porta l’uomo in una dimensione sconosciuta. Ho cercato nella mia idea di musica di unire la spiritualità del Gospel con la sensualità della musica latina, entrambe espressone di popoli che hanno conosciuto la sofferenza. Grida di libertà, di raccomandazioni a Dio, d’amore che nella musica trovano conforto, felicità e coesione.
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Per questo ritengo che solo il Blues sia capace di cantare tutto quello che ci manca e,allo stesso tempo, di esaltare quello che abbiamo, poco o tanto che sia.
Niente nasce per caso, così come non è improvvisata una simile idea soprattutto se si è vissuto, come ho fatto io, nella campagna di C.da Noce a Racalmuto, nella mia bella Sicilia, respirando
Così ho avviato il mio per- l’odore del vino e le parole sonale viaggio nella passione; di Leonardo Sciascia amico il sentimento che giustifica gli sforzi con i quali, da quindici anni, metto al fianco della linguaggio delle note musicali la cultura del turismo del Vino italiano.
Un momento di profondo avvicinamento tra due mondi che avviene attraverso la musica, ascoltata assaporandone l’essenza mentre gli altri sensi, godono delle fragranze del vino e dei sapori dei territori italiani. Alla fine, se ci pensate bene, il blues e il vino sono due mondi che nascono dalla capacità dell’uomo di saper dialogare con la terra.
dello zio Carmelino Rizzo. Parole quindi come musica, vino come arte. Ricordo ancora l’incontro a Racalmuto col caro Luigi Veronelli, che fu entusiasta del progetto del Blues & wine Festival , tenendolo a battesimo e sancendo di fatto l’abbraccio che idealmente faccio all’Italia attraverso il buon vino e la grande musica. Uno dei versi più belli del nostro inno recita:
“...noi fummo per secoli calpesti e derisi perché non siam popolo, perché siam divisi..” Joe Castellano
fra sostenibilità, etica, natura e ricerca
Una filiera lunga che dal sughero, sapien-
Conoscendone il valore, l’impegno di Amo-
la sua secolare esperienza divenuta sa-
rim è stato da sempre quello di rispettare la tradizione e l’origine naturale di questo binomio senza dimenticarne l’ evoluzione
filiera nella quale la Amorim Cork applica pienza, non tralasciando sperimentazione e ricerca innovativa.
Uno sguardo verso il futuro e una visione
Cork ha affiancato “Etico”, un progetto che
di cosa sia la qualità, per fornire garanzia e sicurezza ai mercati; doti che l’hanno condotta all’apice mondiale nella produzione dei tappi da sughero. L’obiettivo principale è spingere sempre più in là il nastro del proprio traguardo verso un punto d’arrivo che in realtà non
della Amorim Cork Italia. Un processo che vede l’azienda impegnata in ogni fase della filiera produttiva per portare, in tutte le tavole del mondo, una
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Mediterraneo, crea i migliori tappi; una
Una filiera sensibile, basata sull’idea del
do Carlos Santos, amministratore delegato
A
lo, la Spagna e gli altri paesi produttori del
e la storia.
esiste: è questo che si percepisce ascoltan-
il presidente Amorim Cork Italia Spa Carlos Santos
temente raccolto e protetto tra il Portogal-
bottiglia “tendente al perfetto” che proteg-
non-spreco e del ri-uso alla quale Amorim ad oggi ha recuperato oltre 350 milioni di tappi usati devolvendo i proventi del loro riutilizzo alle onlus impegnate nella raccolta stessa che, ad oggi, hanno ricevuto circa 150.000 euro di contributi.
I vecchi tappi ricevono una nuova vita e sono destinati alla realizzazione di materiali per la bioedilizia. ...L’obiettivo è avviare una raccolta differenziata in ogni città, facendo compren-
ge, preserva e migliora il suo vino.
dere alla gente e alle istituzioni, che il
Ma non si possono raggiungere questi
dell’ambiente essendo, le foreste da su-
risultati senza una filosofia produttiva che sposi la natura e la integri dentro i processi industriali fino a farla propria, utilizzando, in prevalenza, energia da fonti rinnovabili, carta e cartone riciclati, riducendo del 80% l’uso della plastica e di materiali affini. Dalla coltivazione al rispetto dei tempi di riposo delle piante, dalla raccolta del sughero fino alla realizzazione dei tappi che ambiscono sempre alla perfezione. “È diventato un fattore determinante, per il successo di una azienda, dare valore alle parole cercando una sostenibilità credibile fra ciò che si produce e l’ambiente. Rappresentare un esempio per il mondo, dimostrando che la produzione e diffusione dei tappi di Amorim Cork è compatibile con l’ambiente. Un contratto non scritto, ma voluto fortemente, che è diventato un elemento prioritario per garantire il futuro imprenditoriale della nostra azienda”.
sughero ha un ruolo strategico nella tutela ghero, un habitat naturale per moltissime specie di animali protetti. Inoltre un tappo usato è la spia fedele del nostro lavoro. Le analisi di laboratorio sono state un supporto essenziale nel definire tecnicamente i processi esistenti nel rapporto tra Amorim Cork e i produttori di vino. Sottoponendo i tappi a un’analisi in gascromatografia, possiamo affermare che un vino può “sapere di tappo” senza che il tappo sia difettoso o che ne sia colpevole in qualche modo. Ma, nonostante tutto, abbiamo affinato metodologie uniche come la cromatografia individuale che consente di eliminare dalla catena produttiva il TCA attraverso il sistema NDtech in grado di garantire una soglia di percezione simili a una goccia d’acqua in 800 piscine olimpioniche.
morim
AMORIM CORK
La quercia da sughero e la vite: un binomio di lunga data.
Un visone poliedrica del sistema che tiene
Per i vini con le bollicine “non c’è alterna-
conto anche dei cambiamenti storici, a
tiva, in ogni caso”, perché il tappo deve
cominciare dal fatto che prima degli anni
essere necessariamente di sughero e di
’60 il “sapore di tappo”non era conosciuto,
alta qualità perché, prove scientifiche alla
Il Gruppo Amorim è la prima azienda al mondo nella produzione
poiché non erano ancora utilizzati i pesti-
mano, è proprio questo che fornisce com-
cidi in vigna.
plessità al prodotto finale.
di tappi in sughero, soddisfa richieste per il 25% del mercato Mon-
che possono emergere per le condizioni stesse del vino, il Tca (un anisolo molto vicino al profumo di anice attaccato dalla molecola di cloro presente nei pesticidi) diventa un inibitore delle capacità olfattive umane per cui altera il profumo che finisce per assumere una connotazione diversa dall’originale. Questo fenomeno si riscontra anche nelle verdure, negli ortaggi, nel caffè e nella birra. Lo scopo di Amorim Cork è sconfiggere anche questi effetti indiretti in un veicolo innocente come può essere il tappo, l’ultimo coadiuvante del vino, a cui si attribuiscono colpe da ricercare, piuttosto, nell’uso sempre più diffuso dei chips (cioè truccioli o polveri di legno nel vino che aggiungono il gusto boisè, come lo definiscono i francesi, così richiesto dal mercato americano).
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Precursori, molto spesso, della formazione della cattiva molecola di Tca.
Oggi il tappo di sughero è più sicuro di qualsiasi altra chiusura, è sinonimo di qualità e non può essere sostituito da altre chiusure perché è il miglior sigillo per il vino. Il tappo sintetico sta di fatto perdendo appeal e quote di mercato; il tappo a vite, forse il vero antagonista del sughero, è presente solo nei mercati emergenti del vino, in quei paesi nei quali svitare un tappo per bere è un gesto abituale e risulta molto più semplice che usare un cavatappi. Ma più cresce l’attenzione verso il vino è più aumenta la richiesta di sigilli con tappi di sughero.
C
Amorim
diale. È presente in cinque continenti. In Italia Amorim Cork ha sede a Conegliano (Treviso) e fornisce un tappo di sughero ogni 4 bottiglie confezionate pari a 500 milioni, per un fatturato di circa 50 mio/euro anno. La leadership è basata sulla presenza capillare, il contatto con il cliente, l’assistenza diretta e indiretta, la forza della Ricerca & Sviluppo che crea sicurezza, fiducia, affidabilità alla quale si associa una spiccata sensibilità per la tutela dell’ambiente e in particolare per la salvaguardia delle foreste da sughero. Lo sguardo al futuro vede una sempre più solida alleanza tra Tecnologia e Natura. Amorim Cork Italia ha infatti portato a compimento il primo circolo virtuoso di tutta la filiera
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k r o
Nel vino, infatti, ci sono alcuni cattivi odori
I numeri del sughero
18.8 mil
di bottiglie di vino (da 0,75 dl) stappate all’anno
11.8 mil
bottigiglie stappate con tappo di sughero
5.0 mil
bottigiglie stappate con tappo a vite
1.8 mil
bottigiglie con tappo sintetico
4$
valore che il sughero fornisce alla bottiglia (13,88$ contro 9,59 $ in USA sullo scaffale)
La
Signora
Pro sciut ti
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dei
Elena Dallabona
Non so come mi vuoi raccontare, ti dico solo che, oggi, ho voglia di leggerezza.
Ogni sera osservo il manifesto della mia vita sul
Vorrei vestirla come un abito estivo, fine, come due
so quale sia il vero motivo per cui le trovo sempre lì,
ali di farfalla con le quali volare via, ma senza trova-
dove le ho lasciate. Quelle gracilità mi fanno com-
re ancora il coraggio di muovermi da questo ufficio,
pagnia; è come se volessi tenerle strette dentro l’a-
dove resto ad osservare, serenamente, ciò’ che mi
nima, forse perché sono la memoria stessa dei miei
circonda. Spero un giorno di riuscire ad indossarle
passi, dei sorrisi che si sono spenti, delle parole che
queste ali, anche se non mi è mai stato facile alleg-
non ho detto e delle carezze che non ho dato a chi
gerire l’animo dalle responsabilità che il lavoro mi
mi è stato accanto.
quale, quotidianamente, dipingo l’effige dell’impegno profuso nell’azienda, nella quale mi prodigo con ogni mezzo, quasi fosse il vessillo di un mio ipotetico riscatto di donna. Osservo quest’esplicito disegno e mi riprometto di restare fedele alle ombre e a quei tratti lievi e delicati delle mie splendide fragilità femminili, di cui non mi sono liberata. Non
procura. Le vivo tutte in prima persona, in modo diretto, qualunque fardello esse si portino appresso.
Ruvide o delicate, arroganti, amorevoli o bizzarre ma pur sempre carezze non date.
Non nego che mi piacerebbe andare oltre a tutto questo, dicendo basta a quel “ si, ma…” che mi ri-
Sono parte della mia vita e confesso che più volte,
peto spesso.
ho provato a dichiarargli guerra, senza mai riuscire
la memoria stessa dei miei passi, dei sorrisi che si sono spenti, delle parole che non ho detto e delle carezze che non ho dato
a vincere una sola battaglia. Addii traumatici, dolorosi, voluti o inaspettati, sogni infranti; poi un tumore e la morte improvvisa dei miei genitori che mi hanno messa a dura prova, come gradini con i quali il tempo ha voluto decorare la mia strada.
No, posso assicurare che non ho avuto una vita facile e tirando le somme credo di aver pagato a caro prezzo tutto cio che mi e stato dato. Certamente questo non ha giovato a rimuovere quelle fragilità che custodisco come reliquie, ma che hanno contribuito a saldare certi conti e a forgiarmi, dandomi il coraggio e l’orgoglio di andare avanti.
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Cosi sono diventata “prosciuttaia”come amo definirmi o la signora del prosciutto, come amano chiamarmi. Imprenditrice e industriale, sono partita da quel poco che mio padre mi aveva insegnato, iniziando il mio viaggio in un mondo che non conoscevo. Ho provato, ho lottato senza mai sentirmi diversa o migliore da chi avevo accanto, con l’intento di conquistare autorevolezza e credibilità in un mondo prettamente maschile, nel quale per una donna, non è facile accreditarsi. Ho dovuto impegnarmi oltre ogni misura, rischiando di snaturarmi man mano che
o d n o m n u n i à t i l i b i d e r c o t a c r e c ho a t u n e t t o o h ’ l e e l i h c s a m e t n e totalm
singola fase della filiera produttiva per arrivare, ai primi anni del duemila, a gestire la produzione nel prosciuttificio. Mi illudevo che la volontà fosse sufficiente a superare qualsiasi ostacolo ma con il tempo ho scoperto che questo mondo è in continua evoluzione, non c’è abitudine o routine perché ci confrontiamo con una materia prima viva, con gli animali dove ognuno è diverso dall’altro. Questo mi ha spinta a investire in ricerca e in tecnologie, oltre che sulle risorse umane che avevo ed ho a disposizione, non potendo contare sulla storia pregressa che caratterizza il mondo dei prosciutti. Ma questo non mi ha scoraggiata avendo compreso che anch’io sto scrivendo una storia, la mia e se pur complessa, l’amo perché è l’unica che ho.
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Saputo questo, raccontami come vuoi, poi lasciami volare; anche se solo con il pensiero.
mi avvicinavo a quell’emisfero maschile che ritengo troppo turbolento, imperioso, litigioso e scarsamente sensibile. Una metamorfosi che mi sono rifiutata di fare restando fedele al mio ruolo di femmina, donna e madre, pur non disdegnando né il confronto, né la sfida, imparando tante cose e diventandone tante altre. Anche il nome che ho dato all’azienda doveva evocare la femminilità di chi la conduceva.
Non e difficile comprendere come questo disegno astratto,
posto sul manifesto che dipingo tutti i giorni con il mio impegno, abbia le fattezze di una donna che mette passione e dà valore a cio che fa.
dovi a parlare con la squadra di uomini e
Se questo non fosse sufficiente per cono-
plasmarmi, abituandomi al confronto, alla
scermi, bisogna allora che entriate nel mio
contrattazione delle materie prime, alle
stabilimento, osservando da vicino il mi-
verifica delle consegne e alla vendita dei
crocosmo che lo compone, magari ferman-
prodotti, acquisendo esperienza in ogni
donne che mi circondano, sentendo da loro quanto ci costi raggiungere l’eccellenza che contraddistingue i nostri prodotti. Con umiltà ho imparato a fare cose che non sapevo fare e ci sono riuscita tenendo conto delle esperienze passate, vissute nel caseificio di famiglia, dove lavoravo e, allo stesso tempo, preparavo gli esami universitari. Tutto è servito e ogni cosa ha contribuito a
Parola di Maria Luisa Pezzali, autrice e conduttrice, Essere e Avere, Radio 24 È un’autorevole professionista che, con Giancarlo Santalmassi
“imputata”, anche se spesso si tendono a confondere i due
e Giampaolo Fabris, sì è “inventata” una trasmissione radio-
termini. Ebbene sì, dobbiamo dirlo, Maria Luisa Pezzali perde
fonica di successo dove la nostra società postmoderna viene
subito la testa quando parla di “bubbles”.
raccontata attraverso i consumi, le nuove tendenze, il cambiamento degli stili di vita e i trend internazionali emergenti. Eppure… eppure… C’è un però grande come una casa nella “vita vissuta” e nel “personale profondo” di Maria Luisa Pezzali, conduttrice di Radio 24, gruppo Sole 24 Ore. Dove, come attenuante generica, c’è il fatto di essere rei confessi, anche se in conflitto di interesse… Tutti a domandarsi: “Ma che cosa ha fatto la Pezzali? Qual è il suo peccato mortale? Ha pagato la sua “colpa”? Si è emendata?”. La risposta alle ultime due domande - per fortuna o per sfortuna – è un secco “no”. Cominciamo con lo sgombrare il “vigneto” da un potenziale equivoco: pur chiamandosi Pezzali, non ha ucciso l’uomo
“le bollicine italiane sono superiori, anche degli ottimi spumanti francesi”
ragno… A proposito, ti piace la musica? “Canto, non pubbli-
E non per etilismo. “Non ho mai avuto dubbi. Da sempre, in
camente, nella vita privata, nelle situazioni comuni a molti
qualsiasi occasione personale o professionale, preferisco di
altri. Io canto soprattutto in auto, da sola, durante i viaggi, poi
gran lunga un buon spumante made in Italy a qualsiasi
arrivo in ufficio e uso degli “stacchi” in relazione al tema della
Champagne, anche tra i più celebrati… perché le bollicine
puntata, anche evocativi di un periodo.” Ma i Pm cosa dicono
tricolori sono anche superiori. Se proprio devo scegliere, io
della, presunta, sua colpa? Per adesso è “indagata”, non ancora
personalmente preferisco un Franciacorta Saten”.
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RACCONTO LA SOCIETà ATTRAVERSO I CONSUMI
words: Franco Ve rgnano
E anche questa confessione, sinceramente non estorta, smonta tutta l’accusa: Maria Luisa Pezzali, pur non avendo
Nacque così – e proprio quest’anno compie un decennio – “Es-
accenti, è nata, cresciuta ed “educata” (Magistero alla Cattoli-
dono più. Sono molto attenta alla sostenibilità ambientale e
ca) a Brescia, dove “ho fatto tutta la mia gavetta. Inizialmente
sociale delle aziende, elementi che guidano le mie scelte d’ac-
a Primarete Lombardia, poi corrispondente dell’Agi”. Infine,
quisto e mi fanno preferire un prodotto a un altro. Per la casa?
un’occasione professionale colta al balzo dove ha saputo
Adoro i pezzi iconici del design italiano, mi piace mescolare
far emergere le sue qualità professionali: “Ho vissuto come
gli stili. Un piatto preferito? Risotto alla zucca. L’ultimo libro
cronista di giudiziaria la “coda” di Mani Pulite, con i processi
letto? “La quarta rivoluzione industriale” di Klaus Schwab,
che, per competenza, venivano fatti a Brescia”. Infatti quando,
fondatore e presidente del World Economic Forum. Ora c’è
nel 1999, nasce Radio 24, il Direttore Elia Zamboni la Porta a
il nuovo “contenitore” della trasmissione “Sabato del villag-
Milano.
gio” condotto da Marta Cagnola, vero? Lo chiamiamo “Spazio
sere e Avere”. Parlando di consumi: i tuoi acquisti? “Sono una consumatrice eclettica. Mi piace sperimentare, però quando trovo un prodotto o un brand che mi soddisfa non lo abban-
consumi”, per comodità. Il programma è nato dall’esigenza di una conduzione “di flusso”. Ci sono anche Alessandra Tedesco per i libri, Enrico Pagliarini per la tecnologia, Davide Paolini e me per i consumi. L’obiettivo è di avere nel week-end un unico
oggi i consumi sono personalizzati, diretti, di soddisfazione
contenitore che riassuma le passioni di molti, con interviste, spunti di riflessione, suggerimenti.” Un tutt’uno si può dire fra consumi, essere e avere, una lettura “in controluce” della società. La Pezzali si dice convinta che: ”Web, retail, moda, design, pubblicità e marketing custodiscano molte storie da raccontare e segnali di futuro da intercettare”. Una voce attiva e dinamica al punto da essere moderatrice anche di incontri. Gli ultimi? “La presentazione del libro scritto da Oscar di Montigny “Il Tempo dei Nuovi Eroi” a Montecitorio, nell’ambito di “Generazione 2.0 e social media”. E poi sarò ancora al Vinitaly 2017 e parleremo ancora delle grandi bollicine italiane. Tutte!”
sono una consumatrice eclettica, mi piace sperimentare
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, a d o m , l i a g t e n i r t , e b k e r a ”W m e à t i c i l b b u p a d e i r o design, t s e t l o m o n o c o s r i u d t o t u s f u i c d i l a n g e s e e r a t raccon ” e r a t t e c da inter
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Torino
Una città alla riscoperta di se stessa. di PierGiuseppe Bernardi
A
rendere affascinante la contenuta magia delle atmosfere di quella che fu la prima capitale d’Italia è il ritmo lento del fiume che, attraversando Torino, la caratterizza profondamente. Proprio nell’inesorabile scorrere del Po, capace di accogliere e metabolizzare tutto ciò che nei secoli è avvenuto lungo le sue sponde, deve essere, infatti, cercato il segreto nascosto della sobria e austera bellezza di questa città. Il suo respiro profondo, rimasto forse troppo a lungo nascosto, la città lo ha tuttavia ricuperato solo nell’ultimo decennio, tornando improvvisamente a risplendere grazie a un rilancio
avviatosi con le Olimpiadi invernali del 2006. È stato questo evento, gestito con lungimiranza sabauda, a consentire a Torino di superare quel suo limitante costituirsi come capitale dell’automobile. Si è aperta in questo modo per Torino una nuova stagione, caratterizzata da un ripensamento della propria identità in una chiave maggiormente legata alla cultura e all’arte: se così per un verso a trovare nuova vitalità è stato il Salone Internazionale del Libro, per l’altro un crescente successo è stato registrato da Artissima, mentre un forte contributo a far conoscere la città come capitale di un territorio enogastronomico di prim’ordine è stato il Salone del Gusto, da quest’anno trasformatosi in vero e proprio evento diffuso e legato alle diverse parti della città.
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testimonia della creatività quasi visionaria celata nel rigore di chi abita queste terre; dall’altra l’affascinante Museo Egizio, il cui recente ripensamento ne ha fatto una delle strutture espositive permanenti più visitate d’Italia. E, se siete appassionati di architettura, varrà la pena anche fare un salto in via Alfieri 6: potrete vedere un edificio seicentesco finemente ristrutturato, dichiarato da un concorso della prestigiosa rivista internazionale “Archdaily” come «la casa più bella del mondo».
Piergiuseppe La Bernardi
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Piergiuseppe Bernardi
Lo splendore delle regge di una piccola Parigi Il battito misurato che muove la Torino restituita ai suoi antichi splendori lo sentirete pulsare innanzitutto nelle residenze reali che costellano sia il centro della città, sia il suo circondario. Da Palazzo Reale alla Reggia di Venaria, dal Castello del Valentino alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, da Palazzo Carignano al Castello di Rivoli, tutto qui sembra evocare un grande passato del quale ad essere protagonista era il casato dei Savoia. Quest’ultimo, naturalmente legato alla corte francese, appare costantemente impegnato in uno sforzo di abbellimento della città volto a renderla sempre più prestigiosa attraverso una progettazione urbanistica che ha come evidente modello Parigi, alle cui architetture e atmosfere non di rado alcuni scorci del capoluogo subalpino sembreranno rimandare. A identificare Torino, il
cui tratto “francese” appare ovviamente
della proverbiale riservatezza piemontese,
irriconducibile alla grandeur parigina, è il
probabilmente a Torino ancora più mar-
senso di calma operosa e riservata che si
cata che altrove. Non appena sorgerà una
respira nelle sue strade e nelle sue piazze,
qualche empatia, vi sorprenderà il vedere
pur alle prese da qualche anno con un
questo apparente distacco dissolversi, per
flusso turistico visibilmente crescente.
far posto invece a una sensazione di auten-
Torino dunque – e questo è certamente
tica e calorosa accoglienza. Per scorgere
un pregio tutt’altro che irrilevante – ap-
tutta la tensione che nell’animo torinese si
pare del tutto estranea alla frenesia delle
determina tra sobria oculatezza e speri-
grandi metropoli, a tutto vantaggio di una
mentale avvedutezza non lasciate sempli-
vivibilità che la rende una città a misura
cemente che il vostro sguardo si perda nel
d’uomo, immersa in un articolato sistema
gioco di architetture creato dall’intersecar-
di aree verdi e attraversata da piste cicla-
si dei palazzi nobiliari. Soffermatevi sulle
bili che consentono di viverla in un’inedita
loro linee e abbandonatevi ad esse. Soprat-
prospettiva.
tutto nelle costruzioni dell’Antonelli, dalle
La creatività visionaria del rigore sabaudo Forse l’atteggiamento delle persone che incontrerete, soprattutto se paragonato a quello registrabile in altre città italiane, potrà sembrarvi connotato da una sfumatura di freddezza. Non temete. Si tratta solo
suggestive case “a fetta di polenta” alla slanciata Mole, scoprirete una Torino in cui antico e moderno convivono perfettamente. Di questa Torino scorgerete una potente traccia anche in due musei che si sono ultimamente trasformati in potenti motivi di attrazione turistica: da una parte l’avveniristico Museo del Cinema, il cui allestimento all’interno del simbolo stesso della città
Docente universitario e giornalista pubblicista, si occupa di estetica filosofica e arti figurative, temi sui quali ha scritto diversi saggi. Con la scusa di conoscere meglio i diversi luoghi in cui il suo lavoro lo porta, ha trasformato la sua passione per la buona tavola e per i vini di qualità in un’occasione per raccontare, su diverse riviste, i gusti e i sapori che di volta in volta si trova a scoprire.
Anche una cena allo storico ristorante del
Non crediate però di aver carpito il sapore
Cambio, uno dei posti preferiti da Cavour,
autentico di Torino senza averne degustato
o al neonato Piano 35, godendovi dalla
la versione dolce. Iniziate il vostro percorso
terrazza del grattacielo del San Paolo le luci
di scoperta dal caffè. Potrete percepirne gli
della città, saranno un modo per vivere
aromi tradizionali, da una tazza qui ritual-
Torino e carpirne il mistero. Per assapora-
mente accompagnata da un bicchierino
re però i gusti autentici della sua cucina,
d’acqua, in caffè storici come Mulassano e
sedetevi in un giorno di sole nel dehors del
Platti, veri e propri scrigni in cui boiserie
ristorante Scannabue, proprio nel cuore
e specchi si rincorrono, valorizzandosi
di San Salvario: in un’atmosfera tutta
reciprocamente. Potrete però assaggiarne
“parigina” l’avvolgenza del vitello tonnato
anche versioni raffinatissime in laboratori
e la forza della finanziera vi pervaderan-
sperimentali come Orso, nei cui locali un
no, riuscendo a stupirvi per coraggio e
po’ retrò prossimi a Piazza Madama Cristi-
originalità. Se invece decideste di tenervi
na l’esplorazione dei caffè mono origine e
più leggeri, senza dimenticare che questo
la ricerca della giusta alchimia delle misce-
rito preserale già dalla fine del Settecento
le sono perseguite con un impegno tenace
rappresentava per i torinesi un’abitudine
e puntiglioso. E non dimenticatevi del
piuttosto diffusa, concedetevi un aperitivo.
cioccolato, la cui storia d’amore con Torino
Sedetevi a uno dei tavolini esterni del Bar
dura fin dal Cinquecento. Per assaggiare
Elena e, guardando la Gran Madre e il Monte
le ultime evoluzioni di questa delizia fate
dei Cappuccini che ad altezze diverse fanno
una sosta nella cioccolateria artigianale di
da sfondo a Piazza Vittorio, tenendo ben
Guido Gobino in via Lagrange: lasciatevi ac-
presente che siete in uno dei locali preferiti
carezzare dalla suadenza accattivante dei
da Cesare Pavese, sorseggiatevi lentamente
suoi gianduiotti e cremini prodotti ancora
un “Vermut” liscio. Sarà un momento tutto
in modo tradizionale o dall’essenzialità
vostro e scoprirete il sapore intenso di un
delle cialdine declinate in versioni che
vino, liquoroso e tutto improntato all’as-
esplorano il cioccolato dal dolce più dolce
senzio, nato proprio a Torino e successiva-
all’amaro più amaro. E non dimenticatevi
mente divenuto un’etichetta di gran moda
di andare ad assaggiare lo straordinario
in tutta Italia dagli inizi dell’Ottocento alla
“bicerin” nell’omonima caffetteria di fronte
metà del Novecento. E se invece vorrete
al santuario della Consolata. Sarà un modo
sperimentare l’indubbia creatività dei bar-
per portare con voi un ricordo indelebile di
man locali, raggiungete in Piazza Savoia il
questa magica città ai piedi delle Alpi.
Lobelix Cafè: non ci sarà servizio al tavolo, ma in compenso drink e stuzzichini vi lasceranno la voglia di tornare.
PGB
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suadente forza di I tratti “dolci” di una una cucina d’eccezione città austera.
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PI
La terra e i corpi celesti sono sferici e la sfera è l’unico solido geometrico che è uguale ovunque lo si guardi.
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Una forma perfetta, insomma, di regolarità assoluta e piena di mistero che ha affascinato pensatori, filosofi e artisti. Per Albert Einstein l’universo ha la forma di una sfera, ma in alcuni scritti il grande fisico esprime la possibilità che all’interno di una sfera possono crearsi dei “portali” di comunicazione tra due universi differenti.
Anche l’artista M.C. Escher gioca con la possibilità di intuire e rappresentare un mondo infinito in uno spazio finito. L’illustrazione “Mano con sfera” riflettente, rappresenta non solo l’artista e la sua mano ma il mondo che lo circonda in maniera più ampia rispetto a quello che sarebbe possibile nella realtà e suggerisce la possibilità di evocazione di mondi simultanei. Rappresentare le sfere per romperle e dissolvere la loro perfezione formale è un gioco che condividono scultori come Lucio Fontana e Arnaldo Pomodoro che attraverso le spaccature delle superfici sferiche mettono in comunicazione lo spazio interno con quello esterno. In tempi più recenti, Anish Kapoor con la scultura Tall Tree and the Eye composta da 76 sfere a specchio, crea una ‘sorta di occhio che riflette le immagini senza fine’.
IL
Mara Cappelletti
POTERE
Per gli antichi era simbolo della perfezione in quanto sempre uguale a se stessa chiusa e finita. La terra e i corpi celesti sono sferici e la sfera è l’unico solido geometrico che è uguale ovunque lo si guardi. Una forma perfetta, insomma, di regolarità assoluta e piena di mistero che ha affascinato pensatori, filosofi e artisti.
EVOCATIVO
SFERE
DELLE
Per gli antichi era simbolo della perfezione in quanto sempre uguale a se stessa chiusa e finita.
La sfera, oggetto enigmatico e segreto, è anche delicata e leggera quando diventa una bolla e addirittura stimolante e divertente quando si esprime nel perlage di un vino e si trasforma in un piacere stuzzicante quando solletica il palato trasformandosi in una cascata di bollicine.
Cosa c’è dentro una sfera? Un mondo, forse magico, forse bellissimo e incorruttibile.
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I Gioielli di Spherae Ispirandosi a questi elementi, la mostra SPHERAE, riunisce creazioni e suggestioni di alcuni rappresentanti dell’eccellenza orafa contemporanea e presenta circa quaranta gioielli d’autore che, insieme, creano un percorso variegato e affascinante. Ecco quindi la sfera ingabbiata tra i piani dell’oro e dei diamanti, le sfere libere di muoversi e di creare riflessi e suoni, le sfere che giocano tra le pieghe dell’oro, le sfere allegre che si coprono di colori vivaci, quelle romantiche dai colori tenui, quelle scure dai riflessi notturni. Sfere che rappresentano dei piccoli mondi in difficoltà ma con la capacità di rinascere oppure ispirate al
mondo della natura dove la forma rotonda si moltiplica all’infinito. Bolle iridescenti, delicate, trasparenti, traslucide, con un animo prezioso oppure ecologico. Piccole sfere rappresentano le bollicine che salgono in un moto apparentemente perpetuo nel calice di un vino pregiato, ma che diventano un ‘fermo immagine’ impresso per sempre nel metallo. Un mondo di oggetti bellissimi, eleganti, armoniosi nella loro perfezione e capacità di rappresentare una forma nella maniera compiuta o incompiuta. Simboliche, preziose, seducenti. Le sfere di Spherae.
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SPHERAE on tour
Dopo le anteprime al Brianza Golf Club e all’attico Oikos sulla Torre Velasca dell’ottobre 2016, la mostra è stata ospitata presso la Galleria Biffi Arte di Piacenza dal 25 febbraio a 26 marzo 2017.
1. Alessandro Averla La sfera in una gabbia preziosa – Anello ‘Moduli’, Italia 2016. Oro bianco 750, perla Tahiti mm 15 e 65 brillanti.
6. Eleonora Ghilardi La eco - sfera – Collier ‘Gotham’, Italia 2016. Biocemento, resina, pigmenti, rame.
2. Corrado De Meo Sfere notturne – Spilla ‘The Colors of the night’, Italia 2016. Polistirene, resine e colori acrilici.
7. Maddalena Monaldi (Mad-Dame) La sfera del mondo – Ciondolo ‘Il prossimo pianeta’, Italia 2016. Filo di rame martellato con fusione d’argento, pepite di rame e amazonite.
3. Giuseppina Fermi La sfera gourmand – Anello Mela, Italia 2015. Argento, argento dorato, pavé di zirconi bianchi e verdi 4. Antonella Ferrara La sfera della vita e dell’origine – Collier ‘Eidos’, Italia 2016. Oro con pendentive in argento, cristallo di rocca, girevole, e melograno realizzato, a cera persa, come scrigno apribile smaltato. 5. Nicoletta Frigerio Le sfere – Bracciale ‘Esplosione’, Italia 2016. Bronzo dorato, oro750 lavorato con Fusione ‘ a cera persa’
8. New Art Milano Una volta sfere – Bracciale ‘Bollicine’, Italia 2016. Argento 925 lavorato a sbalzo con punti di fusione e trattamento galvanico di due colori. 9. Rosi Venetucci La sfera pazzerella – Parure Onda d’urto, Italia 2016. Argento 925 rodiato.
fashion jewellery
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Ni.Co.
AMARCORD DELLA DOLCE VITA... EPOCA ESCLUSIVA
DAL FILM 8 1/2 CLAUDIA CARDINALE
La storia è a cicli, ma alcuni periodi sono più fortunati e si concentrano più fatti, non sempre positivi, ma che segnano la vita, una epoca, persone, oggetti. Un periodo di ricordi straordinari sono i cosidetti anni ’60-’70. È l’Italia del boom economico, del frigorifero e della prima televisione in casa, della prima Fiat Topolino, dei primi grandi film italiani. Anni di cerniera li ha definiti qualcuno, certamente un periodo di crescita, di passioni, di felicità, di prospettiva, di sogni diffusi...orizzontali direbbero gli economisti di oggi... sociocivili direbbero i politici di oggi.
Ma la “Dolce Vita” cosa è stato? Cosa ha lasciato? Quanto ci manca? In quegli anni l’Italia sta crescendo; giovani rampolli, all’università o appena laureati, pensano al divertimento sabatico, come si dice. È anche il periodo in cui la comunicazione e i media prendono la nuova strada dell’etere, delle radio e tv, in cui ogni notizia è accompagnata da immagini, esaltata e portata nelle case degli italiani. Il giornalismo diventa sempre più un resoconto di fatti, eventi, scoop. Erano gli anni in cui Cinecittà era la Hollywood sul Tevere. Ecco la Dolce Vita. Il centro di gravità è via Veneto a Roma, fra il vecchio Grand Hotel e i cafè Doney e de Paris, il ristorante Valle e, poco distante, il Piper la prima grande discoteca-night. Dolce Vita evoca uno stile di vita, spensierato, al di sopra dei problemi ordinari, divertimento e sogno, immaginazione e realtà si mescolano. Racconta e ricorda la vitalità e il fascino, la febbrile creatività e l'indiscutibile glamour di quegli anni. Le immagini diventano storia, sono testimoni e prove di un mito realmente vissuto. Un mix di nobiltà, politica, cinema, scrittori, artisti e giovani ricchi o squattri-
nati concentrati a Roma. Tutte le star del cinema americano in quegli anni passano a Trastevere o in via Veneto. La Taylor viene fotografata mentre passeggia per via Veneto vestita da Cleopatra. Audrey Hepburn con le “ballerine” nere (siamo nel 1960) va a comperare il pane. Cary Grant e Rock Hudson colti all’alba a Cinecittà. Jane Mansfield che si fa imboccare da Mike Hargitay davanti a un piatto di spaghetti. È nota l’immagine di Anita Ekberg che lancia le scarpe addosso ai fotografi mentre passeggia per Roma, Jean-Paul Belmondo viene beccato con Ursula Andress. È un ballo sensuale che fa scattare la nascita della Dolce Vita romana. È il 5 novembre 1958, Olghina di Robilant festeggia il 25° compleanno al Rugantino a Trastevere insieme a una parte della nobiltà italiana e a personaggi e artisti come Linda Christian, Elsa Martinelli, Luca Ronconi. Atmosfera molto brillante, gioia di vivere, felicità diffusa fra tutti, tutti ballavano, si faceva a gara a chi faceva più casino. La corte alle ragazze, educata, si concedeva a tutte. Quando una bella giovane turco-libanese inizia una danza del ventre, sensuale e audace, inizia lo spogliarello.
Il salotto di Isabella Colonna, rigorosamente nell’antico palazzo di famiglia, racconta i primi incontri della dolce vita. Tanti ricordi del passato, una ritualità rinascimentale, una regolarità maniacale. Agli inizi degli anni ’60 riunisce la grande nobiltà romana e non, da re Farouk (innamorato della cucina italiana) a Gianni Agnelli, da Carlo Durazzo a Andrea Hercolani, da Pier Francesco Borghese a Luigi Caracciolo, da Porfirio Rubirosa a Gualtiero dell’Orto, da Paolo di Robillant a diversi sovrani in esilio. Senza dimenticare le dame, irraggiungibili donne capaci di ribaltare la vita di un uomo, di creare una vita, di lasciare il segno come erano Marina Cicogna e Gloria Ferri. I viveur erano affabulatori, piacevoli, ammagliatori, compagni di viaggio, galanti e non sdolcinati, una educazione nel comportamento naturale non costruita, seducenti in ogni manifestazione, capaci di rapportarsi con tutti. Erano Gigi Rizzi, forse l’emblema simbolo del playboy italiano di fine anni sessanta, compagno di una abbagliante Brigitte Bardot, Beppe Piroddi, Franco Rapetti, Niki Rizzini che animavano le feste riservate e si godevano la vita. Ragazzi “perbene” come erano definiti, giocatori a carte, nottambuli che si muovevano dal Toulà di Cortina d’Ampezzo al Pirata di Antibes, dalla Bussola e focaccine di Pietro a Forte dei Marmi al Carrillon di Paraggi per una cena o al Piper di Viareggio dove cantava Patty Bravo. Era il tempo di un viaggio Milano-Portofino , andata ritorno in nottata, solo per mangiare un famoso gelato Paciugo a Portofino o a Santa Margherita. La terminologia dolce vita fu coniata per evocare uno stile di vita, spensierato, dedito al divertimento che termina con le manifestazioni pubbliche e di strada, la contestazione studentesca.
Oggi manca ogni parametro, ogni riferimento, tutto è dandy, eccessivamente superficiale, tutto ruota attorno ad una app o un post, un selfie. Non esistono più luoghi e momenti che fanno la differenza. Oggi non esiste neanche più il sogno di una riedizione di dolce vita. Certi uomini e donne non ci sono più, certi luoghi, i tempi, i modi, le maniere, gli insegnamenti, l’aria, i profumi che si respiravano in certe case. Solo una grande metropoli potrebbe far resuscitare la dolce vita, mentre oggi quei pochi benestanti, galanti, latin lover, ragazzi che giocano sono tutti impegnati all’estero, fuggiti dalle città italiane dopo aver preso due lauree e due master, pronti a scommettere una vita professionale di successo a Stoccolma o a Bruxelles o a Londra, piuttosto che a Roma.
Vita meritevole e impegnata certamente, ma quanto vale aver perso un pezzo di gioventù sfrenata, di giusto e misurato cazzeggio, di serate ridanciane fra amici, di corteggiamenti reali e veri?
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È Aichè Nanà. C’era pazzia, stravaganza, voglia di divertirsi , speranza, un gioco. La storia della danza sensuale fece il giro del mondo. Fellini gli dedicò una breve sequenza ne La dolce vita, rese omaggio a quella notte folle, euforica frenesia collettiva, fu detto, ma carica di forza umana, che segnò per anni il costume degli italiani. Fece da spartiacque di una epoca, ha impresso un ritmo di vita diverso. Anche gli intellettuali romani si concedettero alla vita mondana: vocianti discussioni fino alle 6 del mattino in piazza del Popolo vedevano protagonisti Moravia, Arbasino, Parise, Pasolini, Flaiano, la neoavanguardia di Balestrini, Eco, Schifano.
Preziose precisioni
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words: Mara C app elle tti
N
el 1932, qualche giorno prima
Omegascope, utilizzato per la prima volta
vari record. Si giunge alla pistola radar
dell’inizio dei giochi olimpici, un
nel 1964, che permette la sovrimpressione
introdotta nelle gare di beach volley ai
orologiaio della manifattura Omega
di numeri luminosi sulle immagini tele-
Giochi Olimpici di Atene 2004 e ai transpon-
partì da Bienne trasportando trenta crono-
visive, del cronometraggio automatico ed
der fissati alle caviglie dei pattinatori che
grafi rattrappanti di alta precisione, tutti
elettronico, presentato ai giochi del 1968,
nel 2006, in occasione dei Giochi Olimpici
certificati cronometri dall’Osservatorio di
che offriva un’analisi statistica dei risultati.
Invernali di Torino, consentirono ai crono-
Neuchâtel, per portarli a Los Angeles. Fino
Nel 1980 la società di Bienne introduce
metristi di registrare le performance lungo
ad allora il cronometraggio degli atleti era
il Game-O-Matic, in grado di calcolare e
tutto il percorso di gara.
stato piuttosto impreciso e effettuato con
visualizzare la posizione in classifica di un
strumenti non uniformi e i risultati finali
atleta nel momento in cui taglia il traguar-
Specialista nel cronometraggio, la manifat-
erano spesso oggetto di dispute e trattative,
do, giungono poi i rivelatori Omega delle
tura realizza per ogni edizione degli orologi
ma proprio quell’anno Omega fu nominata
false partenze. Il cronometraggio compu-
in edizioni limitate che appassionano i
Cronometrista Ufficiale dei Giochi Olimpici.
terizzato in grado di memorizzare risultati
collezionisti. In omaggio ai Giochi Olimpici
e analisi in un database è stato introdotto
Di Rio Del 2016, Omega ha realizzato tre
Da allora a Rio 2016 la tecnologia cronome-
nel 1988. Grazie ai sistemi forniti da Omega,
segnatempo: Il Seamaster Diver 300m “Rio
trica si è evoluta enormemente e oggi Ome-
nel 1996 ad Atlanta i timekeeper furono in
2016”, Il Seamaster Bullhead "Rio 2016" e lo
ga mette in campo centinaia di cronome-
grado di fornire per ogni sport e disciplina
Speedmaster Mark II "RIO 2016", collezione
tristi e gestori dati e oltre 450 tonnellate di
il cronometraggio, la gestione dei dati e la
composta di soli 2.016 esemplari.
attrezzature. In questi anni, oltre a rivestire
distribuzione dei risultati. Per giungere alle
Nel 2018 Omega svolgerà il ruolo di Official
l’importante funzione di cronometrista,
innovazioni più recenti come l’Omega Live
Timekeeper dei Giochi Olimpici invernali
Omega è stata anche responsabile dello
Timing del 2000 che, nel giro di quindici
di Pyeongchang, in Corea del Sud per la
sviluppo delle più importanti tecnologie
secondi dall’attivazione del pannello di con-
ventottesima volta nella storia. Per celebra-
nel settore del cronometraggio sportivo. A
tatto da parte di un nuotatore, consentiva al
re questa edizione, la maison ha introdotto
Omega si deve l’introduzione della prima
pubblico di consultare e scaricare tramite
il Seamaster Planet Ocean 600 M “Pyeon-
cellula fotoelettrica introdotta nel 1948, del
internet una serie completa di risultati
gchang 2018” realizzato in 2.018 esemplari.
Photofinish che giunge nel 1952, del sistema
parziali, una classifica e informazioni sui
Sportivo ed elegante, il Seamaster Diver 300m “Rio 2016”, presenta una cassa in acciaio inossidabile,
Da quasi un secolo Omega è protagonista del cronometraggio olimpico
una lunetta in ceramica nera lucida e un quadrante con motivo “Côtes de Genève” ispirato ai mosaici simbolo del lungomare di Copacabana. L’anello della lunetta in ceramica nera lucida e i numeri spazzolati in blu, giallo, verde e rosso riproducono i cinque colori degli anelli olimpici. Il fondello a vite reca incisi il logo dei Giochi Olimpici di Rio 2016 e il numero dell’edizione limitata. Quest’orologio celebrativo è limitato a 3.016 esemplari.
1 Pubblicità storica che sottolinea la precisione degli orologi
4 2
Un giudice di gara degli anni Sessanta. Nel
Cronometraggio in piscina a Londra 2012
6
tempo Omega ha sviluppato sistemi di cronometraggio che potessero eliminare le false partenze
Omega e il ruolo della casa come
129
128
5
L’orologio Bullhead “Rio 2016”,
cronometrista ufficiale dei Gio-
si distingue per il cinturino
chi Olimpici dal 1932
in pelle blu con impunture multicolori gialle, verdi, rosse e nere. Questa serie di colori, che rappresenta i celebri anelli olimpici, si estende anche alla lunetta interna girevole.
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Il Seamaster Planet Ocean 600 M da 43,5 mm sfoggia i colori della bandiera della Corea del Sud e presenta un quadrante e una lunetta unidirezionale in ceramica blu lucida, abbinata al caucciù rosso nei
3
Una starter impugna una pistola per dare il via alle Olimpiadi di Londra 2012
primi 15 minuti. Questo motivo è ripreso anche sul cinturino in caucciù blu e rosso. Questo modello reca il logo “Olympic Winter Games Pyeong Chang 2018” oltre all’incisione in blu delle parole Planet Ocean e Limited Edition sul fondello in vetro zaffiro. MC
PI
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Barone
Camicieria
i colli diversificati con o senza stecche, il taglio a punta o il taglio retto, le iniziali o sigle o stemmi di famiglia...
suo sogno diplomandosi modellista, e apre
come i vecchi bottoni in madreperla fatti a
fra nobiltà e sportivi, fra presidenti vari
nel 1985 la sua boutique, piccola, esclusiva-
mano, più spessi degli altri, anche irrego-
e Cav, tutti passano per il civico 19. È
mente e solo alta camiceria di qualità.
lari, ma leggermente lucidi, dal basico al
naturale pensare alla personalizzazione
top gamma; i colli diversificati con o senza
della camicia e al “su misura”. Chicco, con
Camicia oggi, camicia domani, cliente
stecche, il taglio a punta o il taglio retto,
un sorriso malizioso, s’illumina e sciorina
dopo cliente, il successo arrivò per la cami-
le iniziali o sigle o stemmi di famiglia,
una procedura, molto simile ad un rogito
ceria Barone. Bocca cucita, non un nome,
polsi con bottoni o con gemelli e ancora
notarile. Fa pensare che di ogni cliente ab-
quando cerco di conoscere gusti e nomi dei
qualcuno vuole i ricambi sia del collo che
bia un faldone spesso, dalla misura di collo
suoi clienti, maschili e femminili “in giusta
dei polsi. Che tratteniamo in negozio e
30 al 44, una vita per ogni cliente: “Prima
rinnoviamo noi”.
si sceglie il tessuto, da stagione a stagione,
parità” sottolinea per non scucire nessun riferimento. Per distrarmi, Chicco è loquace: “Tutti veri intenditori di tessuti, prodotti solo da aziende italiane in Italia, dal vicentino al comasco; tutti chiedono particolari e personalizzazioni che
uori onda, girando per
leggero, liscio o pettinato… non sa quante
l’atelier, qualche bigliettino
variabili. Non è come la catena di mon-
e nome ci scappa. Rispetto
taggio. Poi preparo la scheda personale
le volontà, ma tutti i nomi
sulle misure, molto precise, abbondando il
della milanesità di una volta, che conta,
tessuto nei posti dove capisco che ci vuole!
135
oggi l’industria non riesce a fare, dettagli
F
per ufficio o per divertimento, pesante o
Dopo di che taglio. Ci sono quattro o cinque prove. Quindi si confeziona… e la camicia è
M
fatta… Il giorno dopo, domando? “Di norma la camicia viene consegnata in una ventina di giorni. Un servizio fatto su misura, i trovavo un giorno,
come inviata Bubble’s... “Piacere Piernarciso
Anche l’aria sa “ di origine vera”, quel pro-
soddisfacente e soprattutto che cerca una
casualmente in cam-
Michielin detto Chicco, camiciaio” e subito
fumo di legno e tessuto, di lavaggio a mano,
vestibilità individuale e anche caratteriale.”
mino verso la via Castel
aggiunse alta camiceria…su misura …da
una vera bottega artigiana dove tra tessuti,
Vien voglia di scherzare e commentare con
Morrone a Milano, notai una vetrina al
uomo e da donna. Eccomi in una camiceria
camice confezionate in attesa di essere riti-
le… sudate sette camice. Mi commiato felice
numero civico 19, tre gradini rialzati, mi
d’altri tempi... Lui, il Chicco, interessatissi-
rate dai clienti, camice appese in attesa per
di aver trovato un luogo dove la passione e
fermai e vidi appoggiati rotoli di tessuti alla
mo, curioso. Perché da me? Quasi un invito
essere provate, convivono pregiati pezzi
l’orgoglio di un sogno da ragazzo è realizza-
vetrina, mi incuriosii, entrai. In un’atelier...
alla conversazione. Bella persona, jeans,
d’antiquariato, e uno splendido lampadario
to con gusto e stile per amore di eccellenza...
vidi due persone alle prese con macchine da
camicia “fatta in casa” sottolinea, foulard
a gocce di cristallo luccicante, e in mezzo
cucire, pareva stessero finendo la bordura
di seta al collo stile altri tempi, ha raccolto
all’atelier un bellissimo tappeto persiano,
di un collo di camicia, pensai tra me ...che
tutta la tradizione milanese delle grandi ca-
che ricorda gli anni del luogo. Ma arriviamo
non mi sarei mai vista nei panni di una ca-
micerie. Con lui, la figlia Carola, bellissima,
all’ oggi percorriamo le tappe salienti. Chic-
miciaia…….Buon giorno, dissi, mi presentai
giovane, bionda, alle prese con le confezioni.
co, ha il pallino della sartoria e concretizza il
Tutti chiedono particolari e personalizzazioni che oggi l’industria non riesce a fare.
Angela Cesarò
di Giampietro Comolli
Il metodo di presa della spuma nasce in Enotria Tellus oltre 2500 anni fa. La vera storia, cronica e non legenda, della produzione e consumo di vini spumanti in Italia
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La storia del vino o mosto vino fermentato e rifermentato in recipienti, prende forma come metodo produttivo nel bacino del mare Nostrum. Sicuramente già prima alcune bevande ottenute da vegetali erano presenti lungo il Danubio e attorno al mar Caspio, ma il vino spumeggiante, rifermentato in bottiglia, come lo consideriamo noi oggi, trova le sue più remote radici nei vini spontaneamente frizzanti o spumosi degli antichi i quali conoscevano come si formasse l’anidride carbonica in recipienti chiusi o aperti.
L’ermeticità dell’otre o dell’anfora o della botte di terra cotta o ceramica o legno fu un elemento determinante nella capacità di gestione della spuma nei vini, così come il mixage dei vari prodotti che venivano usati ora per stimolare quell’effetto o per aromatizzarne il gusto. Per secoli i vini fermentati, prodotti con l’utilizzo di vini vecchi e mosto giovane, furono la bevanda dell’aristocrazia che li utilizzava per, solennizzare cerimonie esclusive. Fra le più ancestrale citazione che ne fanno menzione troviamo quella che si trova nella Sacra Bibbia, nel libro dei Salmi, nr 75, vs 8-9 “… alza una coppa ove spumeggia un vino…” coppa sostenuta dalle mani dell’Altissimo. I vini che diventano ancora primattori nel I° secolo a.C. essendo presenti nell’Eneide di Virgilio, quando cita il brindisi effettuato dalla regina Didone con i nobili del
regno e il condottiero Bezia, l’instancabile consumatore di vini spumeggianti, “…et ille impiger hausit, spumantem pateram et pleno se produit auro, post alii proceres”…ovvero “...ed egli si presentò con una coppa d’oro stracolmo di vino spumeggiante e senza indugiare un istante vuotò il calice; poi bevvero gli altri…” Ma la prima citazione dell’uso del termine spumante della storia si ha nel 47-15 a.C “ Spumant plenis vindemia labris” a testimonianza di come intorno a questi vini vi fosse una fiorente attività degli allora agronomi e medici romani che conoscevano molto bene questi vini grazie anche dall’esperienza di altri popoli come gli Etruschi. Arrivarono a descriverne i metodi di produzione in base non solo alla quantità di zucchero o miele o altri frutti che potevano essere aggiunti, ma anche in funzione della temperatura utilizzata nella vinificazione, definendo, inoltre, anche la tipologia dei contenitori in cui mantenere i vini, se grandi o piccoli. In una villa nobiliare di Pompei venne ritrovata una cella vinaria con anfore di argilla allineate in un cunicolo di terra nel quale scorreva continuamente dell’acqua fredda che abbassava la temperatura dell’ambiante. Una scoperta che è, sicuramente, la migliore testimonianza di come l’origine dei vini spumanti sia da attribuirsi alla cultura latino-romana.
139 Calice di 4000 anni fa, zona Egitto-Assiria
Mosti cotti aggiunti al vino in fermentazione dell’anno successivo, al fine di ottenere uno con la spuma. Metodi produttivi con i quali i romani producevano anche i aigleucos, il temine con il quale indicavano i vini spumanti prodotti partendo dal mosto, la cui fermentazione era creatrice delle bollicine, che veniva ritardata immergendo le grandi anfore di terracotta in acque fredde, al fine di avere una spuma che durasse il più a lungo possibile; vini a cui veniva aggiunto anche uno sciroppo di miele e propoli che contribuiva a dare loro maggiore vitalità, prolungando la fermentazione alcolica e producendo anidride carbonica che restava imprigionata nel mosto-vino, dando a quella bevanda un senso di freschezza che piaceva tantissimo.
Certamente questi vini erano gli antenati del “metodo tradizionale” con cui identifichiamo gli spumanti chiamati dai romani con altri termini come “bullulae”, “spumans”, “spumescens”, “saliens”, “titillans” oppure Acinatico, quel vino spumoso, effervescente, ottenuto partendo da un mosto poco pressato di uve lasciate passire dopo la vendemmia, mescolato ad esso del vino molto vecchio con l’intento di “ringiovanire” quest’ultimo con una nuova ebollizione, controllata sempre attraverso la temperatura, tenuta bassa ponendo il vino in ambienti appositamente predisposti Un anticipo di ciò che sarà il più recente metodo italiano. (Martinotti)… Continua
Giampietro Comolli
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“bullulae” “spumans” “spumescens” “saliens” “titillans”
“spumat plenis vindemia labris”. Properzio (47-15 a.c.) Continuando a frugare nella storia si riscontra infinite menzioni di questo argomento come: “largius effuso madead tibi mensa falerno, spumet et aurato mollius in calice” (el. ii, 33, 39-40). - la tua mensa sia bagnata più abbondantemente e spumeggi più dolcemente col falerno versato in un calice d’oro.”
vino sublime, ricercato e voluto dalle famiglie nobili romane, tanto da essere servito all’incontro che si tenne fra Cesare e Cleopatra come testimonia Plinio (n.h., 77 d.C.): “qui c’è un vino che è veramente eccellente, l’aigleucos, naturalmente dolce con effervescenza persistente...”
Man mano che si amplia la conoscenza ecco che, come in questa dicitura, si arriva a menzionare il vino migliore con cui produrre effervescenza: il “falerno” che più di qualsiasi altro si identifica con la prima denominazione di origine della storia. In Lucania si ricorda nel 39-65 d.C. che “indomitum meroe cogens spumare falernum” (phars. x, 63). che significa come l’indomito falerno si spumantizzasse mescolandolo con la meroe etiopica. Un
Una produzione importante per l’epoca, ottenuta come detto mantenendo le anfore in acqua fredda dei torrenti; tanto importante da studiare e delimitarne la zona di produzione, come testimonia anche Columella che nel I° sec. d.C.) descrivendo dove fosse la produzione migliore di questo vino al quale venivano aggiunte, o il “defrutum” e la “sapa”, dei mosti concentrati ottenuti con l’ebollizione ed evaporazione dell’acqua dal vino.
FOCUS
A
Hotel Principe di Savoia Piazza della Repubblica, 17 20124 Milan, Italy
Lewis Carrol ad Alice nel Paese delle meraviglie. Avete presente i serial televisivi dove, per ragioni di sceneggiatura e di “storytelling”, appena arrivano a casa i nostri eroi corrono al frigorifero e si aprono subito una birra? Ebbene, oggi, anche
words: Franco Vergnano
negli Stati Uniti il vino italiano e francese stanno conqui-
CANTO
una cantina di alto pregio “brunette” con la faccia da birichina, mi porta una magnifica carta dei vini, elegantemente rilegata in pelle. Dopo una lunga e attenta consultazione, ammetto senza
stando ogni classe sociale, ma in genere è un calice solo a testa. Ecco che Greg Lambrecht, osservatore dei consumi, si è “inventato” un meccanismo che permette di versare un bicchiere di vino da qualsiasi bottiglia, in ogni momento, senza aprirla, grazie a un ago a doppia mandata che inietta gas nella bottiglia, mentre si spilla il contenuto. Insomma, un sistema che salvaguarda l’ossidazione del vino il quale può conservare intatte qualità organolettiche, olfattive e gusto.
spillare un grande vino, senza togliere il tappo di sughero Vedendomi incuriosito, tutto lo staff di Acanto si avvicina. Attorno a me Mara, Alessandra e anche Maria Chiara, altra giovane sommelier. Le mie domande diventano un fiume in piena. E così ho scoperto che la wine list dei calici sono una
arrossire, di essermi “perso via”, come si dice a Milano... E così quell’angelo-psicologo di sommelier - che solo dopo scopro essere Mara Vicelli - esordisce: “Guardi che non è il
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solo a essere in imbarazzo davanti a questa
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carta dei vini. L’ho creata cercando il meglio del meglio. Ci sono 600 etichette. Forse è proprio per questo che il Wine Spectator ci mette nella classifica mondiale”.
tutto al femminile dettaglio su dettaglio La simpatia dell’approccio verso un “cliente qualunque”, decisamente non abituale, e un po’ in incognito, mi rassicura: “Ho pensato
trentina. È possibile fare delle “orizzontali” megagalattiche. Ma
anche alle persone come lei. Se vuole può
quanto impegno, per tutto questo. Vale la pena? Ovviamente, è la
ordinare un calice”. Ero già pronto al solito
risposta delle tre moschettiere dei grandi vini, con regole e paletti
Trecentosettantasei euro. Sì, avete capito
bene), sa che una volta aperta una botti-
“vino a bicchiere”, o al massimo a un calice
ben programmati, ma puntando sempre al miglior servizio, a sod-
bene: 376 euro per 125 ml di nettare rosso.
glia va consumata in tempi brevi, prima
di ottime bollicine tricolori, quando la som-
disfare una clientela che è molto particolare. la gamma di etichette
che il prezioso contenuto si rovini perchè
melier arriva con un cartoncino bilingue
è ampia, ricca, variegata per tutti i gusti. Nessuna risposta sul va-
il contatto con l’aria tende ad “acidificare”
dove si spiega tutto su un grande Barolo
lore della mega-cantina, però… facendo un po’ di “conti della serva”
(se così si può dire) il vino, rendendolo
Monfortino, annata ancora del vecchio
e applicando i “multipli” del settore, concordano su un valore della
imbevibile o facendolo spesso diventare
millennio, una etichetta che appare in lista
“stiva” così particolare in circa 400mila euro. Di tutto rispetto, per
addirittura aceto. L’esperienza, capitata
a 1750 euro la bottiglia. Una rarità. Quasi
una proposta così innovativa.
per puro caso mentre stavo cercando una
da cassaforte. Crepi l’avarizia. Ordino la
novità di cui scrivere, l’ho vissuta – devo
spillatura di 125 ml! Il termine non è usato a
Alessandra, Mara, Maria Chiara sono molto contente del loro impe-
dire con grande emozione – al ristorante
caso! Infatti non si tratta di versare, perchè
gno. Raccontano: “Crescere all’interno di un grande gruppo dell’o-
Acanto di Milano. Sì, proprio quello che,
la bottiglia non viene neanche aperta. È una
spitalità, in più nella Milano che conta, è motivo di orgoglio, diventa
una decina di anni fa, il Principe di Sa-
idea americana ora importata anche da noi,
una sfida quotidiana. Poniamo il cliente al centro delle nostre at-
voia decise di “aprire” all’esterno, anche
e Mara ne è un rappresentante convinto.
tenzioni e la scelta della spillatura dei grandi Cru italiani e stranieri
È il calice di vino più costoso che mi sia mai concesso. Il bello è che si tratta di un “vino a bicchiere”... e non di una bottiglia stappata e condivisa in sei attovagliati (copyright Dagospia). Tutti sanno come questa tipologia di vendita, ritornata di gran moda oggi, in genere non si applica per vini top-cru. Il motivo è semplice. Tutti gli addetti ai lavori, o anche solo chi ama bere poco (ma
fisicamente, con una porta ad accesso
apre nuove possibilità. Peccato che non si possa fare per le grandi
diretto da piazza della Repubblica. Ebbene,
Ma forse è bene cominciare dall’inizio ed
Bollicine italiane”. Si può dire che all’Acanto c’è un tris di regine per
venuto il momento di scegliere il vino, una
andare fino alla fine come dicono
un king restaurant.
Anno I numero 1 Periodico quadrimestrale
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