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editoriale
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Vinitaly 2018 è passato. Ma grande successo e soprattutto
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Ma eccoci alla quinta uscita, n. 5, number five, con i migliori vini spumanti solo Metodo Italiano che il pool dei saggiamentali di Ovse-Ceves ha selezionato, veramente i migliori, quelli ideali per l’estate 2018, immancabili alla piazzetta di Capri come al circolo di Punta Ala, nei lounge di Forte dei Marmi e nei dehors di Portofino. Un magazine che illustra un tragitto italiano dal Piemonte alla Sicilia passando per la vivibile Bologna, parla di cantine come la mitica Scolca della famiglia Soldati e l’ospitale Nanfro, antica tenuta dell’amico Concetto, poi Pico Maccario e i Produttori di Cormòns, ma parla anche di stile italiano e moda con Fendi e le cravatte Bigi, e di caratteristiche e frivole note di gusti di strada, girando e curiosando tra i gastronomi di Trani e le scoperte Rebibbiesi. Due esperti enoici, Ferrini, che firma tanti vini di alta qualità, e Zanoni, mega direttore di Cavit, dialogante nelle vesti del TrentoDoc, e due grandi consorzi di tutela di bollicine come il Lessini Durello e il Prosecco Doc. Un n. 5, come al solito, che “spoglia” diversi personaggi, dalla Cucinotta a Giletti, Andrea Lo Cicero e Licia Mattioli, e anche Carlo Guttadauro, fotografo magistrale. Anche in questo numero, come scelta originaria, si guarda all’arte e alla cultura artistica, stavolta parlando della bellezza dell’antiquariato d’arredo, e non solo, e delle statue che vivono, o che sono vive in un contesto di calorosa e fragrante bellezza. Infine le pagine dedicate alle migliori tavole in stile nazionale, stella più o stella meno come abbiamo sempre detto, ma dove si gustano quegli abbinamenti cibo-vino, da Bergamo a Parma, da Bolgheri alla Sicilia, il filo di Arianna dell’enogastronomia nazionale che attrae… attizza… avvinghia il mondo intero all’insegna dell’effervescenza della vita, non solo a tavola.
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Il fotografo Carlo Guttadauro
La nuova stagione del Durello Andrea Zanfi Al Vèdel Giordana Talamona Il mito Giorgio Soldati Alessandra Piubello Carlo Ferrini Riccardo Margheri
indice
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un’edizione “più prof” sotto tutti i punti di vista. Bubble’s n. 4, con l’esclusiva copertina nera, ha fatto il giro di tutte le case spumantistiche presenti, è stato commentato, è piaciuto, cresce in notorietà… ma anche in simpatia. Il commento di un noto mezzo busto e produttore di vino che mi ha inorgoglito è stato «…neanche gli champagnisti hanno un biglietto da visita così importante, in più ad ampio raggio, per i pezzi di stile, cultura, ambiente di precisa matrice tricolore». Grazie. A seguire anche la curiosità e il commento positivo del mega direttore della kermesse mondiale, Giovanni Mantovani, mentre commentavamo in diretta Rai Uno Mattina con Franco Di Mare e Anna Scafuri. Bubble’s Magazine presente in diversi stand e padiglioni, dal Movimento Turismo Vino, dove siamo andati a salutare il presidente che lascia, Pietrasanta, e il nuovo che avanza, D’Auria, all’enoteca dell’Emilia Romagna, che ci ospitava, dal Prosecco Doc Pavillon all’Umbria Desk. Un tourbillon di incontri, interviste, presentazioni che chi vuole trova sul portale www.bubblesitalia.com/news-vinitaly.php oppure www.bubblesitalia.com/lo-store-di-bubbles.php.
Estratto da “L’Asino, 1903” Oreste Azzeccagarbugli
Giampietro Comolli direttore Bubble’s Italia
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Prosecco DOC Andrea Zanfi Hostaria, a cena nella Domus Giordana Talamona
Apertis verbis con Enrico Zanoni Giampietro Comolli
Italian Good Living Bologna Paola Cerana
Il seme del futuro Redazione Pico Maccario Piergiuseppe Bernardi
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Ciccio Sultano Lea Gasparoli
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Tenute Nanfro Andrea Zanfi
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Cantina Produttori Cormòns Stefano Cosma
Le Recherche Davide La Mantia
Maria Grazia Cucinotta Simona Cangelosi
UNICA Piscine Simona Cangelosi
Massimo Giletti Lamberto Vallarino Gancia Il vino non è filosofia. È soltanto un piacere! Piergiuseppe Bernardi
Mai ripartire senza! Cinzia Taibbi
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La Regola Claudio Mollo
Emanuele Vallini e la sua cucina Claudio Mollo L’estate futuristica e tropicale di Fendi Debora Lupi
Ricuciamolo insieme. Vale la pena Edmondo Mingione Andrea Lo Cicero Simona Cagnelosi
Rachel Botsman Franco Vergnano Fiori e sapori nel bistrot parigino dei milanesi Mario Barnabone
Euroflora 2018 Simona Cangelosi
Investire sul vino Fabio Piccoli Trani - l’eccellenza dei sapori pugliesi Pasquale Porcelli Blues & Wine Festival 2018 Redazione Bubble’s
Scultura o pittura: fotografia Marco Ongaro
La cravatta Angela Cesaro Licia Mattioli Lamberto Vallarino Gancia
2018. Metodo Italiano Giampietro Comolli
Mario Andrea Rigoni Foto di © Carlo Guttadauro
Oltre un certo grado la bellezza, come l’eleganza, non è più una semplice sfida all’imperfezione e alla miseria del mondo, ma una provocazione, anzi un oltraggio: ciò spiega l’odio che non poca gente nutre verso di essa.
” 3 0 9 1 , o n i s ’A L “ a d o t t estra
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Tu chiamale, se vuoi… tradizioni… Sì perché oggi, parlando di Denominazioni di Origine o di Indicazioni Geografiche, il termine tradizione o tradizionale ricorre spesso, anche se, talvolta, non proprio a proposito. Vediamo perché!
proprio costituente principale, giunto in Italia solo dopo la scoperta del Nuovo Mondo; se così non fosse come potremmo guardare al settore vitivinicolo contando su delle vere e proprie icone del Made in Italy, come l’Amarone, la cui “nascita” ebbe origine “solo” nel secolo scorso, o come potremmo pensare all’evoluzione odierna del mondo delle bollicine se non ricordassimo che l’applicazione della spumantizzazione in autoclave è figlia di Martinotti e di quel grandioso e meglio definito Metodo Italiano che ci dà lustro ovunque, ma ha visto i primi vagiti solo all’inizio del Novecento o poco prima?
Secondo la Treccani: tradizióne s. f. [dal lat. traditio -onis, propr. «consegna, trasmissione», der. di tradĕre «consegnare»; nel lat. tardo anche «tradimento», dapprima con riferimento alla consegna dei libri sacri (v. traditore, in etim.), poi con uso assol.: di qui il raro sign. 3]. – 1. Nel sign. etimologico, è voce dell’uso giuridico, indicante la consegna di una cosa mobile o immobile, che ha per effetto il trasferimento del possesso della cosa, soprattutto con riferimento al diritto romano (più frequente in senso storico la forma latina traditio: v.). 2. a. Trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze; anche le memorie così conservate. b. Trasmissione nel tempo, di generazione in generazione, di consuetudini, usi e costumi, modelli e norme; anche le consuetudini, gli usi e i costumi, ecc. così trasmessi e costituitisi. […]
Diciamocelo, ci piace arrovellarci dentro questa parola, la usiamo e ne abusiamo, la mettiamo dentro qualsiasi argomentazione come se fosse il sale che dà gusto o la panacea che arricchisce la pochezza di ciò che diciamo. Ma pensate a quante parole nel mondo del vino vengono usate senza conoscerne il valore o addirittura il significato. Ci sono oratori che intorno a un solo vocabolo costruiscono la loro “storia”, altri che si sentono figli del terroir, disconoscendo la madre. Siamo tutti figli della tradizione, ma tutti diversi e tutti innovativi. Ecco che risulta evidente come la “tradizione” si abbia solo con il consolidarsi di una “innovazione”, ma è altrettanto vero che senza un germoglio di un’idea innovativa non si può avere nemmeno la tradizione.
Questa definizione inquadra bene cosa sia una tradizione, ma non ci spiega, però, “da quando” un fatto si può considerare “tradizionale”.
Perché è ora di dare valore alle parole, di conoscerle e di usarle quando devono essere usate, di non sciuparle perché rischiano di rendere gravoso il pensiero, lo incartano e lo ingessano dando pochezza e dissolvenza a ciò che diciamo. Per concludere con un grande della musica, Gustav Mahler diceva: «la tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri».
In questo senso possono essere illuminanti le parole di Jean D’Ormesson che così si è espresso: «Qualcuno ha detto che la tradizione è un progresso che ha avuto successo. Non bisogna mai dimenticare che quello che facciamo e diciamo diventerà tradizione per chi verrà dopo di noi. Non ci si deve quindi accontentare di trasmettere ciò che si è ricevuto, bisogna aggiungere del nuovo. Così, ogni generazione abbandona una parte delle tradizioni del passato e aggiunge qualcosa di suo». Victor Hugo, dal canto suo, con un’immagine vegetale, affermava che «la tradizione è fatta di radici e tronco che a ogni primavera devono generare rami, germogli, fiori e frutti sempre nuovi». Se così non fosse, il sistema agroalimentare italiano non potrebbe vantare produzioni celebri, come tutte quelle che vedono nel pomodoro il
Tutto questo perché ce lo dici, caro asino?
Oreste Azzeccagarbugli If we can define the term tradition as a delivery, a transmission, one has to wonder from when may a fact be considered traditional. Victor Hugo said that “tradition is made of roots and a trunk and every spring they must generate ever new branches, buds, flowers and fruits”. We are all children of tradition, but all different and all innovative. Here it is therefore obvious that the “tradition” exists only with the consolidation of an “innovation”, but it is equally true that without a bud of an innovative idea we cannot even have tradition.
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Parafrasando Lucio Battisti potremmo canticchiare: Capire tu non puoi
Light and movement, these are my inspiring muses. Two elements that have always described the value of beauty. In order to be modern, one must move, observe and define stimulating the artistic sense that each of us has inside, choosing to be, without being conditioned by appearing to be. I find art everywhere and doing it is the only way I can nourish myself from the incredible things that the world offers me every day. www.carloguttadauro.it www.anamcara.world
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Carlo Guttadauro Una filosofia dell’immagine
Š Carlo Guttadauro
Sono un fotografo e regista, ma preferisco definirmi un filosofo dell’immagine perché nel mio approccio filosofico al tema c’è il senso di libertà che si identifica con l’essere, il pensare e il mio agire. Tutto prende avvio a 10 anni quando mio padre mi regalò una fotocamera Nikon FE.
Un gesto audace verso un bambino, ma che stimolò la mia voglia di fotografare il mondo iniziando a giocare con le luci notturne delle città. A distanza di anni ho scoperto che a guidarmi fu il desiderio di lasciarmi stupire, di seguire la luce, senza condizionamenti e stereotipi, cercando di liberare la realtà per guardare oltre, estraendo l’eterno dal transitorio e il nuovo dall’abitudine.
La luce come il movimento sono le mie muse ispiratrici. Due elementi che, nelle arti figurative del Rinascimento fin alle avanguardie pittoriche del Novecento, hanno disegnato il valore della bellezza. Sono molti gli artisti che hanno saputo cogliere lo spirito del proprio tempo esprimendo il proprio stile unico attraverso la luce e il movimento: pensiamo alla pittura plastica di Michelangelo o alla luce del Caravaggio o alla grazia del Correggio per arrivare alle cromie di Guttuso e Picasso.
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Questo e lo spazio che chiamo “modernita”.
© Carlo Guttadauro
Le loro sono impronte forti, che hanno segnato il cammino di un pensiero che è stato sempre in continuo mutamento, pur restando fedele all’idea generale d’Arte. Una modernità in continuo movimento, che non colleziona novità, ma sa adeguarsi al tempo che viviamo diventando essa stessa novità. Per essere moderni occorre muoversi, osservare e definire stimolando il senso artistico che ognuno di noi ha dentro, scegliendo d’essere senza farsi condizionare dall’apparire. Trovo l’Arte ovunque; ed è una certezza scoprirla ogni giorno. Farlo è l’unico modo che ho di nutrirmi del mondo che mi propone quotidianamente cose incredibili. Per capire basta pensare al mondo del vino, di cui questa splendida rivista è un corollario; un mondo che è l’espressione di un’Arte che sembra facilmente scopribile nei profili degli imprenditori, nelle viti, nelle cantine, nei vini stessi e nei gesti di chi lavora la terra, elementi che però hanno bisogno d’essere guardati in modo nuovo, percepiti attraverso dei nuovi segni, delle nuove esperienze e tendenze, ana-
© Carlo Guttadauro
© Carlo Guttadauro
© Carlo Guttadauro
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© Carlo Guttadauro
lizzando i bisogni, i sensi, il mutamento che, vendemmia dopo vendemmia, trasforma la memoria.
È qui che faccio intervenire la mia idea di fotografia, per vedere in modo nuovo quello che succede in quel mondo, dando identità
allo spazio in cui quel mondo si muove. Lucido il mio specchio e instauro con quell’ambiente un gioco fatto di riflessi e riflessioni uniche e irripetibili, acquisendo una visione più ampia del reale. Ogni lavoro è figlio del mio continuo studio di ciò che ho davanti. Non importa quali siano gli attori, anche se diversi, con essi mi
confronto cercando di capire quale sia il loro ruolo nel mondo del food e del wine. Li guardo con rispetto perché so che sono a capo di imprese che portano nel mondo il valore del Made in Italy. Con loro condivido la magia del confronto che sviluppa sempre la condivisione di quella bellezza che cerco, vissuta sul palcoscenico di un teatro sul quale siamo inconsciamente tutti attori. La mia passione per l’immagine ha travalicato la macchina fotografica ed è sfociata nel cinema, facendo divenire la luce movimento e ritmo, sperando di provocare reazioni ed emozioni. Amo
il movimento, mi fa sentire vivo e mi piace creare audiovisivi, short film, video, dove l’immaginario sposa il reale.
Amo filmare quello che sogno. Come diceva Stanley Kubrick: «Se puoi pensarlo o sognarlo, puoi anche filmarlo».
LA NUOVA STAGIONE DEL of sparkling wines from the mountains located east of Verona, all this is legitimized by a large group of producers who have been making wines for years with this grape variety, both with the indication Durello DOC Metodo Italiano, as well as others with the indication Metodo Classico Monti Lessini DOC. For those who do not know this winemaking reality, it is time to deepen their understanding also because the interesting aspect is that the production of sparkling wines in the Lessini
Mountains is taking on such an important value as to act as a locomotive of the agri-food products of the area, as well as the territory including the restaurant sector as well as an increasingly rewarding receptivity. We must tell them that they were good at making a system; good at stimulating each other, at instilling reciprocal enthusiasm, valuing, in fact, both productions of DOC sparkling wines, guaranteeing a territorial soul and a common unity of thought.
di Andrea Zanfi .
DURELLO Se diamo un’identità alle metodologie produttive che caratterizzano gli spumanti italiani, ci troviamo sorprendentemente al cospetto di vini con anime e caratteristiche molto diverse fra loro, se pur accumunati da quella effervescenza che incanta e affascina i loro estimatori.
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Let us consider the two main methods of production of Italian sparkling wines: the Metodo Classico (traditional Champagne method), where the organoleptic perceptions must lead straight back to the winemaking terroir, and the Metodo Italiano (Metodo Charmat-Martinotti Method), which requires freshness, the time to taste and the pleasure to drink, where excellence is played on the grape variety being used. In the case of Durella, the autochthonous grapes that characterize the production
I.P.
Š Giacomo Artale
SI APRE LO SCRIGNO DI UN VIGNETO FIGLIO DELL’ACQUA E DEL FUOCO
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di Simona Cangelosi
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rendiamo i due principali metodi, quello Italiano e quello Classico, e partendo proprio da quest’ultimo si evidenzia come le percezioni organolettiche che si estrapolano da un Metodo Classico debbano condurre dritti al territorio di produzione; un distinguo preciso, un’identità che lo eleva di rango e lo pone al di sopra delle parti o del piaccia o non piaccia.
Se questa peculiarità viene colta da chi lo degusta, ecco che ci troviamo davanti a un vino magico che integra in quelle sue bollicine la conoscenza, le capacita e la scienza del “buon produttore” capace di conoscere il pro-
© Giacomo Artale
prio territorio, la storia delle sue viti, i frutti che queste regalano ogni anno, vinificando i quali acquisisce esperienza, arricchisce la tradizione, determina il valore del prodotto che non sarà mai omologabile o paragonabile ad altri. Ma se invece non percepiamo una simile emozione, vuol dire che ci troviamo al cospetto di una “anonima bollicina” e, se pur buona e se pur complessa, non ha un’anima e quel distinguo sopra indicato. In questi casi l’identità di un Metodo Classico viene un po’ meno, degustandone se ne evince certamente la bravura del “pensatore” di ricercare, in ciò che fa, se stesso.
Le scorciatoie in questi casi non portano da nessuna parte. L’altro, il Metodo Italiano, ha invece delle prerogative molto diverse.
Per raggiungere quel connubio territorio bollicine, ci vuole tempo, molto tempo, decenni e decenni di vendemmie che si sommano ad altre vendemmie.
Non c’è bisogno di miracoli o di prevedere il futuro, a quel produttore gli si richiede di assecondare ciò che madre natura regala, interpretando quel dono nel migliore dei modi e lavorandolo per esaltare il valore delle uve raccolte. Quando un produttore riesce a fare questo vuol dire che ha rispetto
A questi spumanti non si chiede complessità e fascino, ma freschezza, beva e piacevolezza; qui l’eccellenza si gioca sul frutto, sul vitigno, su quel DNA che lo rende unico in quel contesto territoriale in cui è locato. Il produttore ha solo il compito di porre in equilibrio i vari aspetti che sono intrinseci di quell’acino, valutare quando sia utile raccoglierlo, tenendo in considerazione, ma senza strafare, l’acidità da porre in simbiosi con la maturazione dello stesso.
di ciò che fa e della materia prima di cui dispone, senza mutarne il valore, sapendo, così, di proporre al consumatore, un prodotto inimitabile da chiunque al mondo, unico e del tutto italiano, come lo sono alcuni spumanti realizzati con vitigni autoctoni che si prestano a questa lavorazione. Fatto questo distinguo essenziale, per comprendere di cosa stiamo parlando quando affrontiamo il tema delle “bollicine”, si può precisare che sono poche le aree vitivinicole che possono produrre, con estrema facilità, entrambi i sopra citati metodi con le solite uve. Alcuni frutti si prestano a una metodologia, altre all’assemblaggio. Prendiamo l’esempio dello Chardonnay in Trentino e in Franciacorta o l’utilizzo del Pinot Nero nell’Oltrepò e nelle aree precedentemente citate. Ci sono tentativi poco felici effettuati con la Glera, altri con la Ribolla Gialla, molto più interessanti, altri ancora con la Falanghina, con il Pecorino, ma, a oggi, sono produzioni
© Giacomo Artale
Foto gentilmente concesse dal Consorzio Tutela Vino Lessini Durello
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estemporanee, figlie dell’idea di pochi produttori, anche se talvolta ben riuscite. Nel caso della Durella, l’uva autoctona che caratterizza la produzione degli spumanti dei monti posti a est di Verona, tutto questo è legittimato da una nutrita schiera di produttori che da anni, con quest’uva, realizzano sia dei vini con indicazione Durello DOC Metodo Italiano, sia altri con indicazione Metodo Classico Monti Lessini DOC.
Sono prodotti unici, inimitabili; sapidi, freschi, fruttati, di pronta beva, maturati in autoclave per 3 o 4 mesi, nel primo caso; minerali e con spiccata personalità, complessità e longevità nel secondo caso, tanto da trovarsi al cospetto di Metodi Classici degorgiati dopo 60, 80 e anche 100 mesi che hanno ancora una vitalità fantastica.
Per fare simili prodotti c’è bisogno di un’uva, a bacca bianca, importante, la Durella appunto di cui si hanno le prime notizie tramite Giuseppe Di Rovasenda, nel 1877 (Saggio di una Ampelografia Universale) e anche per mezzo di Giovanni Battista Perez nella monumentale monografia
statistica, economica, amministrativa e naturalistica della città e provincia di Verona, dedicata al Regio Prefetto Luigi Sormani Moretti, del 1904. Il vitigno, che deve il suo nome alla durezza delle bucce, si presenta con un grappolo grosso, tozzo e si caratterizza per una vigoria produttiva elevata e una maturazione tardiva, prediligendo terreni collinari argilloso-calcarei e sistemi di allevamento espansi. I vini hanno tratti inconfondibili. Provare per credere! Per chi non conosce questa realtà enologica è ora di approfondirne la comprensione anche perché l’aspetto interessante è che la produzione di spumanti sui Monti Lessini sta assumendo un valore tanto importante da trascinarsi dietro anche i prodotti agroalimentari della zona, nonché lo stesso territorio comprensivo di ristorazione e di una ricettività sempre più appagante. Venendo da questa parti si comprende che qualcosa sta cambiando rispetto al passato; vi è un tutt’uno tra vino, territorio e cultura. Si è creato magicamente un mix splendido anche fra i produttori che hanno condiviso un progetto co-
mune costruito prima intorno al Durello DOC e poi intorno al Metodo Classico Monte Lessini DOC. Dobbiamo dirgli d’essere stati bravi a fare sistema; bravi a stimolarsi a vicenda, a infondersi reciprocamente entusiasmo, valorizzando, di fatto, così entrambe le produzioni di spumanti DOC, garantendone un’anima territoriale e una comune unità di pensiero. Venendo su questi colli si percepisce che qui si sta costruendo qualcosa d’importante perché quella apparente pochezza, percepita tempo addietro, è scomparsa trasformandosi in una nobiltà produttiva, forte, dinamica e propositiva.
Bravi, bravi, bravi, per avere definitivamente voluto dare valore a un areale forgiato dall’acqua e dal fuoco e per questo vocato alla viticoltura. Un’attività vulcanica di tipo sottomarino che ha costituito importanti formazioni di basalti eocenici e oligocenici dislocati alle pendici meridionali dei Monti Lessini, ma anche in quelli del Monte Baldo, dell’Altopiano di Asiago, dei Colli Berici che sorgono isolati nel
vicentino. Sono terre in cui perdersi, anche cercando fossili marini, testimoni di un passato remoto che dà proprio valore alla Durella e al vino che da essa si produce.
Sono poche le “bollicine” che hanno una così netta corrispondenza con il terroir di produzione. Lasciando l’autostrada si entra in un mondo diverso, le stesse cantine sono sempre disponibili all’accoglienza e pronte a stapparvi una bottiglia di Durello, una scusa validissima per parlare di loro e del territorio. Si incrociano gli sguardi fieri di giovani e di quella nutrita schiera di produttrici che vanno a comporre quella quota rosa del Durello che ingentilisce l’ambiente e lo migliora. Ma cosa è successo di strano? Per-
ché oggi si parla così tanto dei Monti Lessini? Del resto il Durello esisteva anche 10 o 30 anni fa, ma se è vero che fino a poco tempo addietro erano in molti a non credere nelle sue potenzialità e a non avere una visione globale di territorio, oggi le cose sono diverse e bisogna prenderne atto. Vi è una coscienza maggiore da parte di tutti gli operatori del sistema produttivo, capace di mutare gli equilibri, di dare impulso e forza a chi, fino a ieri, si sentiva figlio di un Dio minore. Il modo di pensare dei produttori è cambiato, essendo guidati ora dalla certezza di un futuro migliore per tutti, grazie proprio a quelle bollicine così diverse da qualsiasi altra bollicina italiana.
© Giacomo Artale
It is in the noble trattoria Al Vèdel, in Colorno, that Enrico Bergonzi, together with his wife, his brother-in-law and his wife’s sister, has carried on the family tradition. A tradition that has been handed down from generation to generation since 1780. “Being humble, but constant over time - says Enrico is the most difficult thing in an activity like ours. We are working for those who will be coming after us, aware that sometimes we go forward, but we often take a step back in order to respect what we were and to not forget where we come from ». A noble Italian trattoria, worthy of
al Vèdel
I.P.
una nobile trattoria che tiene un legame forte con la gastronomia del territorio
being part of this elite gentry of pure nobility which knows how to ride the time, so much so as to tame it by offering evocations of an almost bygone world and pearls of an extremely inno-
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vative but solid cuisine.
Un locale dove sentirsi come in famiglia. Giordana Talamona fotografie di © Giacomo Artale
Si respira aria di casa in quest’accogliente trattoria di Colorno, posta a poca distanza dai fasti dell’omonima reggia ottocentesca. È qui che Enrico Bergonzi insieme alla moglie, al cognato e sua sorella della moglie, porta avanti la tradizione di famiglia.
Mi emoziona entrare in un di vino, le chiacchiere degli luogo che ha visto i suoi anziani che si confrontavano con le giovani generazioni, le albori nel 1780. imprecazioni dialettali sprecate davanti a un mazzo di carte in una discussione di politica.
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Si veniva qui per comprare “la spagnoletta” per cucire, il pane, il tabacco; si veniva per mangiare un piatto di pasta o una zuppa o gli arrosti la domenica, come il pollo dorato in doppia cottura, che ancora oggi viene passato in padella e poi smorzato col proprio fondo, per poi essere ripreso nuovamente con dell’altro grasso e portato a fine cottura.
Ho la certezza che, appoggiando le orecchie a queste storiche pareti, potrei sentire ancora i tintinnii dei calici
È il caso del celeberrimo “Tortél Dòls”, preparati con un ripieno di mostarde fatte in casa da frutti che raggiungono la maturazione da ottobre a febbraio. «Quando la pianta non ne
Tempi andati, ma non dimenticati. Del resto come dare torto a Enrico quando afferma che “le radici sono tutto”. L’osservo mentre parla e più lo guardo e più mi convinco che questo sia davvero il luogo che meglio di qualsiasi altro lo rappresenti integralmente. Qui tutto parla della sua storia, della sua famiglia, a partire dai quadri posti alle pareti, opera di sua madre, ai mobili che tappezzano, qua e là, il locale, alcuni vecchi di oltre 150 anni. Non è da meno la tipologia di ristorazione offerta che segue ancora la tradizione delle eccellenze offerte da questo territorio parmense che definirlo solo opulento è un eufemismo. Trovo sia una gran bella persona, come lo sono tutti i membri della famiglia e dello staff che si integra perfettamente nella filosofia del locale. Lo si percepisce subito dallo sguardo sincero e dal tono composto e pacato con cui racconta la storia semplice della sua vita.
al vèdel
produce più non c’è altro da fare che attendere». Mi assicura che c’è chi li prenota da un anno all’altro, per essere sicuro di assaggiarli di nuovo. Ormai anche gli avventori del Al Vèdel non hanno più l’esigenza di mangiare per sfamarsi, ma hanno voglia di godere ciò che di buono la cucina può offrire loro, avendo un occhio attento anche all’aspetto salutistico. Una nobile trattoria italiana, degna di rientrare in questo gotha elitario di nobiltà pura che sa cavalcare il tempo, tanto da domarlo offrendo spaccati di un mondo quasi scomparso e perle di una cucina estremamente innovativa, ma concreta. «Essere umili, ma costanti nel tempo è la cosa più difficile in un’attività come la nostra. Lavoriamo per chi verrà dopo di noi, coscienti che talvolta si va avanti, ma spesso si fa un passo indietro per rispettare ciò che eravamo e non dimenticare da dove proveniamo». Cosa aggiungere se non il fatto che ancora oggi ad Al Vèdel si “tira” la sfoglia per la pasta fresca come si faceva un tempo, a mano, e che i salumi tipici, come il Culatello di Zibello Dop o la Spalla Cruda di Palasone, sono di produzione artigianale da parte del Podere Cadassa, il salumificio storico di famiglia e cantina naturale di stagio-
natura, dove i norcini lavorano ancora oggi a mano le carni di malale. Vi sono corsi e ricorsi storici che risultano lapalissiani in questo ristorante dall’aspetto country chic, che pur cambiando negli anni, non ha perso nulla della propria identità, concretezza e sostanza acquisita nel tempo.
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Stando a queste date, Enrico è la sesta generazione di ristoratori che si alterna alla guida di questo locale, da sempre in questo borgo dal nome dialettale “Le Vedole”, da cui prende il nome. Duecento anni sono tanti, sono un’infinità di tempo durante il quale Al Vèdel, ha visto scorrere la vita di generazioni di avventori, ognuno dei quali avrà avuto storie proprie e altre, invece, da condividere con una comunità, quella “bottega” d’altri tempi dove si trovava di tutto avendo ben 22 licenze merceologiche.
la stagionalità, fedeli a se Sta proprio nella semplicità la guono e da degustare solo quando potenza del Al Vèdel, nel suo stessi essere autentico, onesto intellet- è il tempo. tualmente con la propria clientela alla quale propone piatti che se-
A lineage, that has now arrived at its fifth generation,
of milan - says giorgio soldati - called us to tell us that
which with la scolca has benefited from a series of
he had cut the labels of italian white wines, because
insights, each coming on the heels of the other. From the
customers only wanted to drink our gavi. On the other
great-grandfather gianbattista who decided to plant only
hand, from the end of the 1950s until the 1970s gavi was
one grape variety, cortese, and to produce white wine for
la scolca, we were the first to arrive ».
himself and his friends, to vittorio who was the first to Giorgio as well is farsighted. And, just by happy
entered the company in 1970. “I still remember when the
coincidence, he loves to drink bubbly wine for his
commendatore pozzi, the owner of the savini restaurant
personal taste.
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bottle a wine with his own label in 1959, up to giorgio who
Mio cugino Vittorio Soldati fa, nientemeno, il Gavi della Scolca, forse il migliore di tutti i Cortese... Sorprendente e unico, ormai, il suo vino.. sebbene diffuso nei locali di lusso, non cede al confronto coi più collaudati bianchi di Francia... , L importante è il vino e finora non se ne può dire che bene. Mario Soldati, Vino al vino, 1969.
o t i m l I
o i g r o i G i t a d l o S
Qualche dato informativo per i più professoroni (gli altri saltino pure alle righe successive) e poi ci perderemo ad ascoltare la “bubble story” e gli aneddoti di Giorgio. Nei quaranta ettari vitati di proprietà, a cui si aggiungono 15 in affitto, sono impiantate vigne con un’età compresa fra i trenta e i sessant’anni, con qualche arzilla novantenne. I terreni sono prevalentemente argillosi, con presenza di ferro e con pendenze che arrivano anche al 30%. L’altitudine è di 300 metri, l’esposizione sud e sud-ovest.
per anni gli ordini sono stati superiori alla quantità. E non vendevamo a poco prezzo. Forse l’indisponibilità dei nostri vini fu uno strumento involontario di marketing».
Il mare dista appena. una trentina di chilometri. qui spira un vento marino asciutto, ,l ambiente rifulge ancora incontaminato, protetto dalla fierezza della natura, carezzato dal sole e dalla luce dall,alba al tramonto.
Uomo dal carattere battagliero, pronto alle sfide, soprattutto con se stesso. Intraprende un percorso, studia in collaborazione con l’Università di Asti una selezione di lievito, si confronta con quello che definisce il suo primo maestro, uno dei responsabili tecnici della Martini. Nel 1974 inizia a produrre spumante Metodo Champenois (ebbene sì, allora si poteva ancora scrivere in etichetta). All’epoca i piccoli produttori di Metodo Classico si potevano contare sulle dita di una mano! Non contento, si diverte a prolungare la sosta sur lie per dieci anni, dando vita ai millesimati “D’Antan”. «Sorpresa fu quando arrivarono in azienda nel 1996 i responsabili di Moët & Chandon per comprare la mia azienda. Avevano bevuto un mio millesimato del 1984, rimasero folgorati: “il s’approche du légendaire Dom Pérignon” continuavano a dirmi, stupiti – ci narra ridendo sotto i baffi Giorgio Soldati –. Sembrò un film quando sfilarono, qualche tempo dopo, una serie di limousine. Arrivò Alain Perrin, allora direttore generale della maison Cartier nonché proprietario di Château Lagrezette a Cahors con il suo enologo Facorellis. Aveva sentito parlare di me da un artigiano al quale avevo affidato, su mio disegno, la costruzione di un impianto all’avanguardia. Così conobbi il mio secondo maestro, Facorellis, che divenne il mio consulente agronomo. Decisi di frequentare dei corsi di specializzazione a Bordeaux, introdussi degli accorgimenti in vigna sconosciuti ai più che mi portarono a fare un ulteriore balzo in avanti sulla strada dell’eccellenza». Ascolto Giorgio Soldati, sento nella sua voce una pacata ma ferma consapevolezza di essere stato un capofila per il suo territorio e per l’Italia.
Alessandra Piubello Fotografie di © Gio Martorana
Guardare lontano. È il significato del toponimo "Sfurca", che origina La Scolca. Una profezia scritta nella terra che i Soldati, combattenti cortesi, avverarono. Pochi mesi e son cent’anni di storia. Immagino Giorgio Soldati, quindicenne (a quell’età già si occupava delle vigne), salire sulla torre che sovrasta la tenuta a osservare l’assedio del mare verde all’intorno. Guardare oltre. Una stirpe che, giunta alla quinta generazione, inanella una serie di intuizioni. Partiamo da lontano. Da quando il bisnonno di Giorgio, Gianbattista, si innamorò di quel podere, in parte coperto da boschi, da campi di grano, da viti (ci sono testimonianze che fanno risalire la proprietà viticola al Cinquecento e altre, successive, al Settecento) e decise di impiantare solo un vitigno, il Cortese. Nel suo buen ritiro, a Rovereto di Gavi, si diver-
tiva a produrre vino bianco per sé e gli amici. In un territorio che era un cru ante litteram. Fu Vittorio Soldati, manager alla Olivetti ma con l’hobby della vigna, a spingersi più in là. Siamo alla fine degli anni cinquanta. Quando tutta la zona vendeva le uve alle grandi industrie spumantistiche della regione, lui fu l’unico che decise che era ora di imbottigliare con la propria etichetta (nel 1959). Nel 1968 deposita il marchio “Gavi dei Gavi” e inizia la storia dell’etichetta nera, così conosciuta in tutto il mondo (sessantacinque sono i Paesi che se la contendono). Un precursore e, di fatto, il fondatore del Gavi. La Denominazione si costituì nel 1974 (rispetto a quel tempo gli ettari hanno uno zero in più: dai 150, di allora, siamo a 1.500 odierni). Giorgio entra operativamente in azienda nel 1970, dopo l’Università. «Quando iniziai, il nostro vino, con il lessico odierno, era un vin de garage. Quarantamila bottiglie. Oggi siamo arrivati a seicentomila e non riusciamo a soddisfare le richieste. E va bene così, siamo un’azienda familiare e tale resteremo».
Da quella torre, punto di vedetta e avamposto del forte di Gavi, i Soldati hanno trovato la loro via alla luce della e hanno visto ,l alba luna, prima degli altri.
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«Ricordo ancora quando il commendator Pozzi del Savini di Milano – racconta Giorgio Soldati – ci telefonò per dirci che aveva dimezzato le etichette dei bianchi italiani, perché i clienti volevano bere preferibilmente il nostro Gavi. D’altronde dalla fine degli anni cinquanta fino agli anni settanta il Gavi era La Scolca, siamo stati i primi ad arrivare. Eravamo in tutte le enoteche di punta e nei migliori ristoranti e
Anche Giorgio vede lontano. E, guarda caso, per gusto personale, ama bere le bollicine.
The positive flowering of experiments and of companies that have begun to produce sparkling wine is the outcome of a vaster enological culture, of the awareness of the potential of the terroir that is available as well as of the culture underlying it. If this becomes the underlying principle of those who make sparkling wines, we can say that the future can only be a bright one.
P
er il nostrano mondo del vino, Carlo Per questo lo abbiamo incontrato. Ci riFerrini è uno dei caposaldi dell’enologia corda che agli inizi della sua attività i vini bianchi e tanto peggio le bollicine erano italiana. neglette. Gli sforzi di qualsiasi neonato Per capirne il peso basta ricordare che il studio tecnico di quegli anni ottanta erano prossimo anno festeggerà il suo quarante- volti alla produzione di vini rossi. Presensimo compleanno da enologo. Decenni in tarsi all’estero parlando di spumanti italiani cui ha sempre dimostrato una sensibilità voleva dire essere guardati come degli alienon comune, contribuendo alla creazione ni. Il consumo delle bollicine era riservadi alcune delle etichette italiane più presti- ta a una nicchia d’élite di persone. I nostri giose, celebrate dalla stampa estera e bat- spumanti si chiamavano Champagne. Il tute nelle aste internazionali di fine wines. Prosecco e il Cava non erano nemmeno Il beneficio che le sue consulenze hanno lontanamente preconizzati. Tutto è camapportato alla produzione nazionale, in biato, anzi il mondo si è capovolto; i consutermini di percezione della qualità a livello mi dei vini bianchi hanno superato quelli dei rossi e in buona parte rientrano nella globale, è difficilmente calcolabile. definizione delle “bollicine”. Il suo lavoro pluridecennale è stato condotto con coerenza stilistica, ambendo (e Bolle, bollicine, viste come il vino disimperealizzando nei vini) a una sorta di lussu- gnato da bere in ogni momento, in ogni ocreggiante eleganza mediterranea, opulenta casione e come ideale soluzione ad abbinanel frutto e nella tessitura al palato, sempre menti gastronomici sempre più complessi. sostenuta, nei rossi, da tannini importanti Il mondo della produzione ha reagito all’esplosione di questo fenomeno commerma finemente cesellati. ciale attraverso una positiva, ma lenta e Personaggio schivo, scevro dal frequentare tuttora incompleta, presa di coscienza. Fapalcoscenici, ama il verbo “fare”, preferen- ticosamente si guadagna la consapevolezza do non esporsi mediaticamente. Nonostan- dell’unicità dei vitigni e dei territori. te questo il successo, come del resto per Laboriosamente si inizia a costruire una tutti quelli che lo raggiungono, l’ha esposto tradizione, una storia, anche attraverso alle critiche di chi gli ha rimproverato una esperimenti velleitari con nuove varietà, eccessiva internazionalizzazione del suo nuovi metodi di vinificazione, che comunstile enologico, dimenticando che, con in- que contribuiscono al consolidamento telligenza, ha sempre fatto gli interessi delle dell’esperienza. aziende per le quali opera dando loro l’opportunità di soddisfare quei mercati inter- Carlo rimarca che per troppo tempo l’enonazionali che amano certi vini, come la Te- logia, impaurita dal proprio retaggio, ha nuta San Leonardo, famosa per l’olimpica abbandonato i vitigni autoctoni volgendoclasse delle proprie etichette, o la stessa Ta- si agli uvaggi internazionali, rinunciando sca d’Almerita in Sicilia, solo per citarne alcune. ai sistemi di allevamento tradizionali per Un fiorentino che ha costruito la sua fama adottare quelli meccanizzabili. sui vini rossi, completando la sua ascesa Oggi come per il bianco e per il rosso tutto con dei grandi bianchi e, cosa meno nota a è cambiato; si scopre che il nuovo è proprio molti, costruendosi anche una valida con- l’espressione tangibile della vecchia tradisiderazione nel mondo delle bollicine, cosa zione. E meno male, per questo prevede un questa che da noi di “Bubble’s” non poteva futuro luminoso di cui ne godranno i frutti i giovani enologi, che avranno a disposizionon essere considerata.
ne un patrimonio di conoscenze, un ventaglio di possibilità enormemente più grande che non in passato. Detto questo, sostiene l’enologo toscano che ciò può condurre a fare il passo più lungo della gamba: vedi l’aspirazione alla spumantizzazione Metodo Classico dei vitigni autoctoni, il parco giochi preferito di ogni consulente, i cui risultati sono ancora tutti da dimostrare, ma non per questo devono essere banalizzati. In primo luogo, il Metodo Classico richiede alla sensibilità dell’enologo e del maestro di cantina, se non altro nell’assemblaggio delle masse del vino base prima della spumantizzazione (quello che i francesi chiamano la cuvée), una perfetta conoscenza del territorio di produzione, poiché per il Metodo stesso di produzione le caratteristiche varietali e soprattutto l’inconfondibile esuberanza di frutto dei vitigni nostrani passano in secondo piano. Una conoscenza che spesso non è ancora sufficiente, mancando spesso la storicità, la tradizione, la stessa forma mentale nel produrre un certo tipo di vino.
In difetto della scelta di un territorio adatto, quelle medesime varietà autoctone, che potrebbero dare il meglio di sé spumantizzate con il Metodo Italiano, mancano di profondità, di nerbo di territorialità, di quegli elementi necessari per produrre in purezza un grande Metodo Classico. Spesso abbisognano di un “sostegno”, in termini di acidità e profondità gustativa, che deve per forza essere disdegnato da chi si avventura fra le pupitre. In conclusione: la positiva fioritura di sperimentazioni e di aziende che hanno iniziato la produzione di spumante è figlia di maggiore cultura enologica, di consapevolezza delle potenzialità del territorio che si ha a disposizione e della cultura a esso sottesi. Se questo diventa il filo conduttore di chi produce bollicine, possiamo dire che il futuro può essere solo luminoso.
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Today, everything has changed for white and red wines; it turns out that the new is precisely the tangible expression of the old tradition. And thank goodness! This is why he foresees a bright future that will benefit young enologists, who will have at their disposal, a wealth of knowledge, of a vastly greater range of possibilities than in the past.
Carlo Ferrini l’enologo . di Riccardo Margheri
Carlo Ferrini, one of the cornerstones of Italian enology, commented that enology has for far too long been frightened by its legacy. It has abandoned its native grape varieties and turned to international grapes, turning its back on traditional growing systems and instead adopting those that can be mechanized.
I.P.
© Creative Commons
In the awareness of the difficulties that protection consortia are facing in Italy, I want to highlight a positive case history, able to create an example to follow: the Consorzio di Tutela Prosecco DOC (Consortium for the Protection of Prosecco DOC). An institution that, among few, wanted to invest and wants to invest almost exclusively in the overall image of
the Denomination, as demonstrated by the trade fairs in which the Consortium is present, always in the name of promotion and enhancement of the Prosecco DOC brand and not as a “Container” of member companies of the Consortium. In addition to the numbers it has produced, it should be noted its ability to dare, to break the moulds and the classic methods
of promotion, thanks to its numerous initiatives and events in the cultural, educational, training, sports and purely promotional areas. An example to follow, an image to look up and relate to in order to understand and improve its own idea about what should be done in and for the promotion of a territory.
Prosecco DOC si vola in alto Andrea Zanfi
se si ha il coraggio di osare Non è facile il ruolo dei consorzi di tutela in Italia.
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Pur vivendoci a stretto contatto tutti i giorni, ammetto di aver compreso solo in parte la complessità nella quale sono costretti a operare.
Considerando le incredibili diversificazioni produttive all’interno delle denominazioni, le diverse culture che in esse convivono e l’impressionante complessità dei mercati in cui ogni consorzio si deve muovere, è facile comprendere come i compiti di questi enti siano spesso al limite della sostenibilità. Problemi su problemi, che si sommano ad altri problemi.
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Questa volta però voglio bypassare queste artificiose complessità per evidenziare una case history positiva, capace di creare un esempio da seguire, capace di far emergere quanto un consorzio può fare per il bene della denominazione e dei produttori che rappresenta.
Sto parlando del Consorzio di Tutela Prosecco DOC. Bella forza, potrebbe obiettarmi qualcuno. Mio compito d’osservatore del mondo delle bollicine è anche quello di dare a Cesare quel che è di Cesare, andando oltre il fatto che questo Consorzio beneficia di quella
la tipologia di vino italiano di maggior successo a livello internazionale.
che forse è oggi
A molti potrebbe apparire facile parlarne. Beh e anche se fosse? Credo si debba evidenziare, per trasparenza intellettuale, il merito di
“fare”
chi ne ha, analizzando il di chi è preposto al comando di quel Consorzio, avendo saputo cogliere il successo e diversificare la promozione, consolidando il brand di un prodotto che gode già di successi, di notorietà e di una base associativa valida che contribuisce, in modo dinamico, al successo, contando anche su un budget di spesa di tutto rilievo visti i grandi numeri che muove la DOC Prosecco. Chi ha voglia faccia pure le sue obiezioni.
Del resto so che alcune sono anche corrette, ma queste, a mio avviso, non tolgono nulla, anzi aggiungono non solo valore a ciò che è stato fatto, ma anche una ulteriore responsabilità al ruolo e ai compiti che ha il Consorzio di Tutela Prosecco DOC.
Un altro elemento importante, che evidenzia il modo di agire del Consorzio Prosecco DOC, è la sua “trasparenza”.
Credo che fra i 120 consorzi italiani di tutela vi siano alcuni che francamente non hanno ragione di esistere, altri sono stati capaci solo di redigere una lunga e dolorosa lista d’errori, omissioni e occasioni perse che non basterebbero tutte le pagine di questo magazine per elencarle, come sarebbe altrettanto disdicevole elencare le spese sostenute da alcuni consorzi per valorizzare il nulla.
Una trasparenza che trova chiara testimonianza già dal sito (www.prosecco.wine) dove vengono presentati con chiarezza e dovizia di particolari i numeri della Denominazione: 440 milioni di bottiglie, 2,1 miliardi di euro di fatturato (di cui il 25% in Italia e il 75% all’estero), una superficie complessiva di 24.450 ettari lavorati da 10.242 aziende viticole, 1.149 vinificatrici e 348 case spumantistiche.
Per questo mi è risultato interessante e provocatorio andare ad analizzare qual è l’attività svolta da questo Consorzio per mantenere elevata la visibilità e la reputazione di questa tipologia di vino. Innanzitutto mi preme evidenziare come il Consorzio della DOC Prosecco sia tra i pochi che ha investito e investe quasi esclusivamente sull’immagine complessiva della Denominazione. È stata una scelta strategica che ha contraddistinto fin da subito l’azione consortile.
È raro trovare esempi similari in altri consorzi di tutela.
Un esempio eclatante in questa direzione viene dalle fiere in cui il Consorzio è presente, da sempre all’insegna della promozione e valorizzazione del brand Prosecco DOC e non come “contenitore” di aziende socie del Consorzio. Questa scelta non è di per sé buona o negativa, ma nelle modalità in cui viene condotta ha consentito di regalare a questo brand macro territoriale una notorietà e reputazione crescente in tutto il mondo. Credo sia stata una scelta per certi aspetti obbligata dalla necessità di far percepire velocemente i valori di una Denominazione comunque giovane e di recente costituzione che ancora non ha compiuto il suo decimo anno di vita, ma, visti i risultati, mi sembra sia stata una strategia vincente.
Ma vado oltre, poiché l’altro aspetto che caratterizza al meglio la sua azione è la capacità di osare, rompendo gli schemi e le modalità classiche della promozione delle nostre denominazioni, ancorate a tre o quattro elementi. In questa direzione si inseriscono numerose iniziative ed eventi in ambito culturale, didattico, formativo, sportivo e prettamente promozionale. Ne ho selezionati alcuni, anche se l’elenco, credetemi, sarebbe molto lungo.
Partiamo da quello che riteniamo l’iniziativa più eloquente e cioè la costituzione nel MONDO della “Casa Prosecco”.
In questi ultimi due anni il Consorzio ha dato vita a quattro centri, in Cina (Xi’An), in Germania (Amburgo), nel Regno Unito (Londra) e negli Usa (New York). Si tratta di luoghi fondamentali, strategici per la promozione del Prosecco DOC, posti in quattro mercati altrettanto strategici per questa tipologia di vino, nei quali si parla del Metodo Italiano, si parla di uno stile Italia, si fa didattica, corsi e degustazioni, ma soprattutto si comunica un sistema imprenditoriale non fatto da centinaia di brand, ma da uno solo, quello del Prosecco. Una scelta che risponde concretamente a quello che è oggi uno dei principali problemi della promozione del vino italiano nel mondo: il presidio costante dei mercati.
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Lo Stato ha affidato loro compiti complessi che farebbero tremare i polsi a chiunque, obbligandoli da un lato a tutelare il marchio territoriale, patrimonio di tutti i produttori, e, dall’altro, a svolgere funzioni tecniche di promozione del proprio brand su scala internazionale.
Avere, pertanto, delle sedi e delle risorse umane dedicate quotidianamente alla promozione di questa Denominazione nei mercati più importanti significa avere una costante attività di valorizzazione durante tutto l’anno; significa, inoltre, avere sedi adeguate per fare anche quella preziosa attività di informazione al trade, opinion leader e wine lovers.
Ma l’originalità della promozione del Consorzio Prosecco DOC si evidenzia, ad esempio, anche nella collaborazione con la Triennale di Milano, quella che oggi viene considerata il tempio del design italiano.
Senza dimenticare un’altra collaborazione prestigiosa per il nostro Made in Italy, il Consorzio seguirà le popolari “Frecce Tricolori” con una lounge brandizzata Prosecco DOC che, in alcuni dei più importanti air show europei, presenterà un ampio spaccato delle eccellenze del nostro patrimonio agroalimentare italiano.
Cosa dire inoltre della scelta di progettare una bottiglia ufficiale di Prosecco DOC per i prossimi mondiali di sci che si disputeranno a Cortina nel 2021? Questa cosa come la chiamereste voi?
Io lungimiranza!!!
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Non si tratta di una semplice sponsorizzazione, e grazie a questa collaborazione lo scorso anno è nata la “Collezione di etichette speciali Prosecco DOC”. Partnership e collaborazione con istituzioni culturali, come China Museum Ltd, per sviluppare attività promozio-
nale con alcuni tra i più importanti musei in Cina. Come si percepisce è un tam tam, affascinante per chi come me si occupa di comunicazione, ma che, ahimè, risuona in un silenzio altrui disarmante.
Foto gentilmente concesse da Marco Polo srl
Ma voglio anche evidenziare interessanti esperienze di collaborazione tra eccellenze dell’agroalimentare italiano e, in questa direzione, si inserisce la recente collaborazione del Consorzio con Le Strade della Mozzarella e 50 Top Pizza a Paestum.
Una “contaminazione” con il Food che è divenuto uno degli elementi caratterizzanti dell’azione promozionale del Consorzio, che si è inserito anche nella Foodex Japan 2018, una delle maggiori manifestazioni dedicate al Food & Beverage in Asia.
Durante la manifestazione, dello scorso marzo, si è realizzata una degustazione di Prosecco DOC attraverso un cooking show realizzato in collaborazione con il popolare Chef giapponese Kenta Nakatsuji. Le stesse iniziative più tradizionali, come i classici tasting o masterclass in giro per il mondo, sono sempre progettate e organizzate all’insegna di un corretto spirito di divulgazione, per facilitare l’acquisizione dei giusti messaggi. È il caso, ad esempio, della serie di seminari organizzati nel Regno Unito dall’eloquente titolo “What’s all the fizz about?”, “Tutto quello che vorreste sapere riguardo a questo fizz (bollicina)”. Seminari guidati da uno dei più noti wine ambassador del Regno Unito, Neil Phillips. Non posso passare in secondo piano neanche l’evento svoltosi nell’am-
bito del Vinexpo di Hong Kong, di questo fine maggio, nel quale si è realizzata un’importante degustazione guidata da una delle più note e autorevoli master of wine al mondo, Debra Meiburg, dal titolo: Perché il Prosecco DOC dovrebbe essere presente in ogni Carta dei vini?. Una domanda che già da sola conferma ancora una volta l’originalità e il pragmatismo nelle attività di promozione del Consorzio di Tutela Prosecco DOC. A chi mi legge dico perdonatemi se vi sono sembrato prolisso, ma ho solo voluto scattare una foto in cui il fare diventa strategia e un esempio da seguire. Un’immagine da guardare e riguardare per capire e migliorare la propria idea su cosa debba o non debba essere fatto nella e per la promozione di un territorio.
Hostaria a cena nella Domus 38
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Fotografie Š Giacomo Artale
Giordana Talamona
Una cena in un prezioso scrigno archeologico in compagnia dei piatti dello Chef Antonio Cuomo che compie il miracolo di creare piatti vegani e vegetariani unici.
Inside the Relais San Lorenzo, among the alleyways and open spaces of Bergamo Alta, is the Hostaria restaurant, led by Antonio Cuomo, the Chef who has become famous in recent years for his innovative cuisine with a pleasantly vegetarian and vegan imprint. His studies and travelling were aimed at growing, and learning a job that he loves more than anything else, arriving at experimenting intelligently and finding the balance of taste in what he proposes. Antonio Cuomo uses the rule of 3: three products, no more, assembled and harmonized with each other in an extraordinary way.
C’è un gioiello incastonato nelle antiche mura di Bergamo Alta, tra passaggi di vicoli e spazi aperti, dove si respira ancora la sacralità dell’impronta romanico-medievale. Tanta bellezza quasi stordisce quando, da piazza Mascheroni, varcata la soglia del Relais San Lorenzo, ci si trova in un luogo non luogo, sospeso tra presente, passato e futuro. Una scoperta, questo Hotel Cinque Stelle aperto nel 2013, che stupisce anche me, che conosco bene il dedalo di viuzze di Bergamo Alta, solcate ogni giorno da centinaia di turisti provenienti da tutto il mondo.
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Il Relais San Lorenzo è un’ostrica che nasconde infatti un tesoro inestimabile, riportato alla luce dopo l’ampliamento della struttura avvenuta su antiche rovine risalenti al VI secolo a.C. sulle quali, nel tempo, sono stati eretti edifici di età romano-imperiale, medievale e rinascimentale. Mi accoglie con un bel sorriso Gianluigi Galeota, direttore del Relais dal giugno 2014, che mi mostra la Spa e un paio delle 30 stanze disponibili, tra cui la prestigiosa San Lorenzo Suite, dal gusto raffinato. Niente da eccepire, tutto perfetto.
La sorpresa comunque arriva quando mi conduce nel ristorante Hostaria, completamente immerso nei fasti decadenti di quella che era un’abitazione romanico-medievale; mi ammutolisco e resto senza fiato. Ad attendermi c’è lui, Antonio Cuomo, lo Chef di cui ho sentito parlare negli ultimi anni per la sua cucina innovativa con un’impronta piacevolmente vegetariana e vegana. Classe 1980, Antonio ha lo sguardo fiero di chi sa di avercela fatta da solo, sgomitando fra i mille rivoli di una proposta gastronomica dalle mille sfaccettature, avendo la certezza di non essersi mai perso e di aver mantenuto la propria umanità. «Un ristorante per avere successo non può avere solo un grande Chef, ma una brigata coesa e dei professionisti di sala che sappiano trasmettere con passione ciò che nasce dalla cucina», spiega con un accento che tradisce le sue origini partenopee, segnato da alcune inflessioni bergamasche. Mi piace questo suo umanistico approccio alla professione, e ancor più quando scopro che la vita non gli ha regalato niente. Un passato che lo ha forgiato tanto da ottenere risultati guadagnandoseli sul campo, facendo anche scelte coraggiose, interpretando la professione di cuoco, osteggiata dal padre, a modo suo, acquisendo nel tempo la competenza sul veganesimo, insegnatagli da alcuni grandi Maestri; scelte che oggi gli tributano premi e riconoscimenti ovunque.
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SEMPRE PIÙ IN ALTO Vengo da una famiglia di cuochi
« , papà lo era, negli anni settanta e ottanta, sulle navi da crociera, ed è chiaro che desiderasse per me un percorso di vita diverso dal suo, con meno sacrifici rispetto a quelli che aveva vissuto lui. Io, al contrario, ero determinato nel fare questo lavoro, ma da bravo figlio ubbidiente, all’epoca mi piegai al volere paterno scegliendo un’altra scuola. Fu mia madre a salvarmi da quella che sarebbe stata una professione insoddisfacente, e contro tutti mi fece passare, dopo pochi mesi, alla Scuola Alberghiera». Studi e viaggi per crescere, per imparare un mestiere che ama più di ogni altra cosa, lavorando sempre e solo nei più prestigiosi Grand Hotel italiani a Quattro e Cinque Stelle, che lui definisce delle vere e proprie aule didattiche in cui si impara la disciplina del fare, perché «in questo contesto la cucina è più completa e c’è spazio per la sperimentazione». Sono passati anni e quei contrasti con il padre hanno lasciato spazio alla soddisfazione che il genitore nutre per il figlio e i risultati da lui ottenuti. «Poche settimane fa avendo vinto il The Vegetarian Chance, una competizione tra le più prestigiose del settore (fonte http://www.gourmarte. it/archivio-news/item/1766-antonio-cuomo-vince-the-vegetarian-chance), mio padre si è messo a piangere al telefono. Cosa da non credere».
Ma come si arriva a simili risultati? Sperimentando con intelligenza, trovando l’equilibrio del gusto in ciò che propone, utilizzando la regola del 3. Sì, avete capito bene, la regola del 3, tre prodotti, non di più, assemblati e armonizzati fra di loro in modo straordinario. Infatti il piatto che gli ha consentito di ottenere quel prestigioso premio è stata la Pasta con fagioli, albicocche e basilico; piatto non solo completo per l’apporto nutritivo, ma decisamente gustoso. Una creazione che descrive splendidamente la cifra stilistica di Cuomo che ama stupire, attingendo sempre dalla tradizione nella quale sperimentare, ampliando la sua proposta gastronomica per soddisfare qualunque richiesta della clientela che in un hotel Cinque stelle è molto variegata. Tutto comunque ha un filo conduttore poiché non vi è «Niente di peggio che andare a cena per mangiare qualcosa che non faccia nascere un’emozione», dice risoluto mentre ci spostiamo verso il suo Sancta Sanctorum dove nascono tutte le sue creazioni. Cuomo è uno che azzarda, che ama la sfida suprema come quella che potrebbe ricordare la pittura di Gioacchino Murat. Per Antonio «La sfida è quella che accetto tutti i giorni quando varco le porte dell’Hostaria provando a fare una cucina che piaccia a tutti».
1200mt
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info@arundavivaldi.it www.arundavivaldi.it
T
he TrentoDoc Institute is not a classical
to reasoning about on all topics. «A strategy - he
consortium, but an exclusively Trento anomaly.
explains - must be chosen, which is to be unique,
«The Institute is a peculiarity that is dedicated
fast but shared. This is also a clear response to
to the Metodo Classico (traditional Champagne
duplications, slowness, and bureaucracy that
method) sparkling wine, a unique entity with a
hinder access to the markets. Always ensuring
Board of Directors, made up solely of wineries
the broadest free competition and free productive
specialized in sparkling wines, which oversees
management, a consortium, or an institute, must
and promotes the image and the enhancement
today be farsighted, able to lead everyone, it must
of the product as well as the inseparable brand»
have a complete picture of the productive entity.
immediately clarified Zanoni, the President of the
It has to be a thermometer and an observatory of
Institute. Zanoni is a practical and forthright man,
commercial needs, knowing how to interpret a
who is outgoing and ready to talk to others, open
new way of drinking».
, o c i n o n a c o i z r o s n o C Non un . o n i t C n O e D r O T T N a E m R T o t u t Isti
i n o n a Z o c i r n E n o c s i b r e v s i t r e Ap di Giampietro Comolli Fotografie AA.VV.,
archivio Istituto TrentoDoc
«Ricercare e individuare una formula aggregante e strategica nuova per gli enti del vino», ecco il futuro. È molto facile, anzi facilissimo parlare con Enrico Zanoni, cremonese di nascita quindi molto padano come me, direttore generale della Cavit – appena entrata in minoranza in La Versa in Oltrepò Pavese – nella veste di presidente dell’Istituto TrentoDoc.
Il TrentoDoc ha sicuramente nel retroterra dolomitico un plus, un patrimonio mondiale riconosciuto dall’Unesco. Si parte dalle uve, in uvaggio, ma anche no, di Chardonnay, Pinot Nero, Pinot Bian-
co. Il Trentino è sicuramente la patria dello Chardonnay. Un’elaborazione lunga in bottiglia, una selezione accurata di lieviti e vini, un dosaggio finale tendente sempre più al Brut, massimo livello per i vini bianchi ottenuti solo da uve bianche, grazie al mix naturale di fiori bianchi e gialli espressi all’olfatto. Inoltre il TrentoDoc negli ultimi anni è notevolmente migliorato anche nella qualità diffusa, non solo per le grandi etichette: con tutto il TrentoDoc si beve bene. «Felice di sentirlo dire. Merito anche di una politica dell’Istituto molto attenta, sia nel valore qualitativo, ma soprattutto nella valorizzazione del marchio collettivo. È sicuramente più facile gestire un’associazione di realtà diverse, di imprese con obiettivi differenti, quando l’identità tipologica e la denominazione è unica, forte, ben individuata». Ricordo quando (erano gli anni della mia presenza a Trento, 1999-2003, n.d.a.) in Camera di Commercio si discuteva lungamente sul termine Talento, e io ero fortemente contrario perché non risaltavano i territori con le loro peculiarità. «È vero, per anni vi è stato un dibattito sull’utilizzo o meno del termine Talento, in aggiunta a TrentoDoc, e su quale denominazione investire. La scelta, netta, di puntare esclusivamente sul TrentoDoc, operata da alcune importanti aziende del comparto (Cantine Ferrari e Cantine Mezzacorona, n.d.a.) è stata fondamentale per iniziare e sviluppare il
percorso di affermazione del marchio di questi ultimi anni». Nel 1984 nasce l’Istituto, nel 1993 viene riconosciuta la prima DOC autonoma in Italia per il Metodo Tradizionale, nel 2007 nasce il marchio TRENTODOC, un tutt’uno scritto intero. «Un percorso semplice che ha trovato nella Camera di Commercio un valido supporto, un aiuto istituzionale e soprattutto finanziario, che ha quindi stimolato tutte le imprese a mettere la propria quota. Ecco una quota che ha smussato gli spigoli, che accorcia le distanze, che riduce i gradini fra il piccolo e il grande contributo, di conseguenza fra il brand più noto e quello meno noto. Per questo il progetto promozionale innovativo degli ultimi 6 anni ha puntato tutto sul marchio collettivo strettamente connesso e legato alla tipologia, al suo essere nella mente del consumatore, al luogo dove è prodotto. Il progetto, nel tempo, si è anche affinato per fare conoscere al pubblico l’intera entità collettiva, non individuale, puntando sulla reputazione e la notorietà, cercando alcuni supporters e partners come i MW e i sommelier, in modo che valorizzassero il marchio-brand in canali strategici, in percorsi di conoscenza non contro qualcuno o come alternativa, bensì come caratteristica autonoma e specifica che incontra un certo gusto e stile del consumatore».
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Una diversità organizzativa, un’anomalia tutta trentina, autonomista, quella dell’Istituto, che non è un tradizionale Consorzio tuttofare, tutela e promozione, anche se poi in parte svolge la stessa funzione. «No, c’è il Consorzio tutela vini Trentino che svolge i compiti più burocratici, amministrativi, i controlli, le degustazioni ufficiali e le certificazioni. L’Istituto è una peculiarità dedicata alla spumantistica Metodo Classico, un’entità a sé stante con un C.d.A. composto dalle sole aziende delle bollicine, che cura e promuove l’immagine e la valorizzazione del prodotto e del marchio inscindibile», chiarisce subito Zanoni. Fanno parte dell’Istituto, in forte crescita, 49 case spumantistiche, con 120 etichette, che nell’ultimo anno hanno tirato circa 9 milioni di bottiglie, poco meno di 8 milioni stappate nell’anno, di cui 7,2 destinate al consumo nazionale e circa 800mila all’estero. Negli ultimi anni il TrentoDoc ha fatto segnare un’importante crescita in sintonia con l’andamento generale delle bollicine italiane: bene sul mercato interno, con un incremento del 10-15% annuo sui mercati esteri, soprattutto Usa e Giappone.
stia insieme, neanche in operazioni e/o azioni all’estero. Ancora il Talento insegna. Mentre il Prosecco all’estero ha fatto conoscere le bollicine tricolori, ha aperto strade commerciali, ma ha anche espresso un lato enoico italiano ancora sconosciuto, ancora legato a un mondo produttivo industriale che elabora. Oggi il mondo sa che l’Italia è anche un grande produttore di bollicine e questo aiuta il TrentoDoc». Quindi il mondo delle bollicine italiane vive su un continuo sistema di separazioni e di convenienza, di scelte autonome e in-
dipendenti di ogni denominazione. «Non possiamo e non posso dire che oggi i consorzi, o l’Istituto, siano in una posizione avvantaggiata. Certamente, oramai circa 20 anni fa, era partita una nuova storia legata alla tutela, all’erga omnes, alla volontà di ricercare una modalità basata sulla rappresentatività, sull’uguaglianza di teste, ma anche sul diverso peso dell’impresa vitivinicola. Anche questa una dicotomia-convivente che non ha completato un percorso, che non ha accontentato tutti, che ha determinato passi avanti e indietro. È difficile trovare un saggio e giusto equilibrio.
Almeno tre sono state le strade che ci siamo trovati di fronte e che ancora oggi in molti si trovano da affrontare: un abbandono quasi obbligato, trasformarsi in un altro ente, credere in una nuova strada. Credo che la terza via, ancora oggi, sia quella che riesce a focalizzare i bisogni di tutti, piccoli e grandi, certamente con tanta buona volontà a fare sempre tutti qualche passo indietro per il bene del brand collettivo. Certo che gli enti pubblici devono aiutare e incidere, anche grazie a strumenti nazionali ed europei, come l’Ocm e come certe azioni a sostegno del consumo intelligente nazionale. Una DOC si può dire che funziona, ma anche una DOCG se utile e se voluta, quando diventa strumento collettivo territoriale, e tutti vi partecipano. Non è un sogno nel cassetto, ma una necessità urgente, quella di snellire, semplificare tutto il sistema associativo-organizzativo del settore vino, di cui la spumantistica oggi è un fiore all’occhiello, e può essere un valido esempio per alcune realtà che hanno saputo essere non palle al piede e carrozzoni, ma società di imprese e di imprenditori. Certo occorre un sano equilibrio e condivisione da ricerca-
re nell’ambito del C.d.A. Non esiste più il tecnico tutto fare, la guida unica al comando. La strategia deve essere scelta, unica, veloce ma condivisa. Anche questa è una risposta chiara a doppioni, a lentezza, a burocrazia che frenano un percorso di accesso ai mercati. Sempre nella massima garanzia della libera concorrenza e della libera gestione produttiva, oggi un consorzio, o un istituto, deve anticipare i tempi, saper guidare tutti, deve avere un quadro completo dell’entità produttiva, essere un termometro e un osservatorio dei bisogni commerciali, saper interpretare un nuovo modo di bere. La tutela è uno strumento fondamentale, sia DOC che DOCG, e può dare un forte impulso soprattutto se ogni attività, ogni azione promozionale è l’espressione di un impegno reale». Occorre apertura, concretezza, semplificazione, aggregazione per velocizzare questioni burocratiche: questo il commento e la sintesi del nostro prolungato colloquio che riprenderemo a breve davanti a un calice di Altemasi Millesimato Brut in piazza Duomo a Trento. Soluzioni schizofreniche, scelte limitate nel tempo, voglia di risultati subito non devono essere i pun-
ti cardine del lavoro “consortile” e di un presidente di Istituto, come il TrentoDoc, il quale altro non è (…così è se vi pare… diceva Pirandello) che un interprete, un sintetizzatore, un aggregatore di imprenditori, di imprese, di formule, di progetti diversi sempre rivolti solo al marchio collettivo, la cui forza sta nella qualità e nella unicità.
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Ottimo come teoria, ottima come strategia verbale, ma il Prosecco DOC ha fatto un altro percorso, un percorso inverso, guidato da un Consorzio di tutela molto forte che ha unito soprattutto aziende o case spumantistiche aventi obiettivi, scelte, identità molto simili, diversi da quelle che producono il Prosecco Valdobbiadene DOCG Superiore. «Verissimo. Ma numeri, storia, condizioni, territorio hanno guidato il nostro itinerario per un Metodo Classico che solo recentemente ha capito l’importanza delle sinergie-separate. Difficile che tutto il Metodo Classico italiano
Bologna Bologna is female. You need only to stroll beneath its arcades to notice the embrace that hugs you, that makes people feel like the protagonists of a reassuring microcosm. She is as female as her cooking. A cuisine that “deserves reverence” as Pellegrino Artusi said. This is why, more than a very attractive woman, Bologna resembles a busty mother and makes herself loved. And if Bologna is considered Italy’s navel, FICO sets Italy at
the center of the world.This is a young, smart city on its way towards horizons that are ever more evolved and connected to the rest of Europe and the world. This is a city that welcomed the Phoenicians, who baptized it “Zyz” or “flower”, and attracted the Greeks, Romans, Arabs, Normans, and Spaniards, all bestowing Palermo with their own knowledge and tastes. All were very different from one another and contributed to Palermo’s definition as a cultural melting pot.
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© Pasquale Spinelli
Nell’abbraccio di Bologna, un piacevole viaggio tra sacro e profano
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di Paola Cerana
foto di © Pasquale Spinelli
ono poche le città che raccolgono l’ammirazione unanime sia dei visitatori, sia dei suoi abitanti. Bologna è senza dubbio tra queste. Non solo. Pensando a molte delle nostre belle capitali, spesso, l’indiscusso fascino va sottobraccio con qualche clamorosa crepa che ne mina la perfezione.
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ologna, al contrario, pare salvarsi da questo rischio perché da qualsiasi lato la si osservi – che riguardi il suo passato o il suo presente, sotto l’aspetto culturale o economico, artistico o ricreativo, intellettuale o godereccio – si pensa subito ai suoi pregi e non ai suoi difetti. Così si fa amare al primo incontro. Più che un colpo di fulmine è l’avvio di un innamoramento. Prende consistenza via via che si approfondisce la conoscenza e sbocca in un sentimento che irrimediabilmente assorbe e cattura. Bologna è femmina. Basta passeggiare sotto i suoi accoglienti portici per accorgersi dell’impalpabile abbraccio che avvolge, facendo sentire le persone protagoniste di un microcosmo armonioso e rassicurante. È femmina come la sua cucina, così odorosa, brodosa, generosa, completa. Una cucina che «merita una riverenza» come amava dire Pellegrino Artusi. Per questo, più che a una giovane donna avvenente, Bologna somiglia a una procace madre. Madre che alimenta con le sue tradizioni culinarie, che protegge sotto i suoi antri porticati, che diverte con la sua vena musicale, che educa con la sua storica Università e, infine, che impone rispetto per i suoi solenni palazzi.
una cità generosa Molte delle felsinee seduzioni sono nascoste tra le sue pieghe, un po’ come un tortellino fatto a regola d’arte che avviluppa nel suo cuore ripieno l’apice del sapore. È bene, dunque, regalarsi il tempo per esplorarla tutta con la dovuta lentezza. Magari partendo da Piazza Maggiore, respirando l’atmosfera medievale e rinascimentale dei suoi palazzi, solenne cornice del costante via vai di turisti che si mescolano ai tanti studenti e ai bolognesi stessi. Se non fosse per l’animata presenza di moltissimi giovani, qui il tempo parrebbe essersi fermato all’epoca di fanti, dame e cavalieri. D’obbligo una passeggiata da Piazza del Nettuno a Piazza di Porta Ravegnana per alzare il naso all’insù e arrampicarsi con lo sguardo fino ai quasi 100 metri di altezza della Torre degli Asinelli. L’impatto visivo che la Torre offre dall’alto è ancora più ipnotico e vale davvero la pena percorrere i suoi 498 gradini per gustarlo. Da lassù, l’aura accogliente di Bologna si spiega nel reticolo rosseggiante delle strade e delle viuzze medievali che rivelano un ordine geometrico dove pare impossibile perdersi.
Anche se, sotto lo sguardo della Torre Garisenda con la sua stravagante inclinazione,
perdersi in questa città potrebbe regalare il piacere di qualcosa d’inatteso.
Dietro un angolo, sotto un portico, in un ristorante o in una bottega, serendipiticamente. Perché, anche se palazzi, ville, chiese, teatri, musei e tutte le altre gemme storiche di Bologna la incoronano regina culturale e architettonica, è forse tra la gente che si coglie fino in fondo la sua vera anima. Così può capitare di sedersi al tavolino di una trattoria del centro, fare amicizia con l’oste e sentirsi raccontare con trasporto i segreti sconosciuti ai più sulle meraviglie dell’Archiginnasio o del Collegio di Spagna. Ascoltare la leggenda del Portico di Casa Isolani, i trascorsi della Bologna sotterranea o il mistero della drammaticità della Pietà di Niccolò dell’Arca attraverso la piacevolezza della cadenza bolognese – magari davanti a un piatto di tagliatelle e un bicchiere di Pignoletto – aggiunge un sapore in più a un menù già ricco. E se si avesse anche il tempo di uscire dal cuore storico della città, si verrebbe catturati anche delle sinuose curve che profilano i dolci colli bolognesi, altrettanto generosi di bellezze da esplorare. Tra abbazie, vigne e tartufi, ogni sosta nel verde che ossigena Bologna corona un’esperienza piena, schietta, totale. Il perfetto epilogo di un piacevolissimo viaggio tra sacro e profano che sazia corpo, mente e spirito, di cui non si può che rimanere eternamente innamorati.
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È facile sentirsi a casa qui. Anche il calore che trasuda dal riverbero rosseggiante delle mura, dei tetti e delle torri pare voler dare il benvenuto. Così, idealmente partoriti da questo bel ventre, è difficile non lasciarsi andare e assaporare tutto di questa generosa città.
FICO, la grande sfida Se Bologna può essere considerata l’ombelico d’Italia, FICO mette l’Italia al centro del mondo. Questa la mission che campeggia sulla homepage del più grande parco agroalimentare del mondo, inaugurato lo scorso 15 novembre. FICO Eataly World – Fabbrica Italiana Contadina – nasce per raccogliere e mostrare la ricchezza della biodiversità italiana in un unico immenso spazio dove avventurarsi con tutti i sensi. Non poteva che essere a Bologna!
In pratica FICO si propone come una gigantesca vetrina permanente del buono e del bello del nostro Paese, raccontandone valori, tradizioni e innovazioni che legano mestieri, persone e territori. Mezz’ora di navetta dalla stazione di Bologna e si entra gratuitamente tutti i giorni in quella che è stata ribattezzata la Disneyland del cibo. Certo, si deve ammettere anche che dietro l’immagine contadina che il parco sfoggia si innerva un calcolato business mosso da affilate scelte strategiche. Il rischio è che ciò che si mostra a FICO sia “solo” una selezione elitaria di una realtà più complessa e contradditoria che resta esclusa dal grande spettacolo. Perché la realtà agroalimentare non è fatta solo di “buono e bello”, ma anche di sudore e fatica, di raccolti persi a causa delle intemperie o di pandemie che colpiscono pascoli e piantagioni. Tuttavia, è anche per fronteggiare meglio questi rischi che ha senso la sfida lanciata da FICO, per far confluire attenzione, risorse e rinnovata passione sull’agroalimentare italiano, trovando in Bologna la sua vetrina ideale.
A tavola la riverenza è d’obbligo La cucina bolognese mette tutti d’accordo. Che si tratti di un boccone di Parmigiano Reggiano acceso da aceto balsamico o di un profumato affettato di mortadella o, ancora, di un piatto di cappelletti o tortellini freschi in brodo di cappone, è impossibile restare insoddisfatti. La riverenza è d’obbligo. I sapori pieni e sinceri della tradizione resuscitano anche nelle più audaci rivisitazioni quando la materia prima rispetta i valori della terra e della lavorazione. FICO offre l’eccellenza della ristorazione con un ventaglio di soste del gusto che accontentano tutti i palati: un elogio alla dieta mediterranea, alla salute e al benessere. Ristoranti stellati e trattorie, bistrot e chioschi, pizzerie e caffè promettono il meglio del cibo nel rispetto dell’ambiente e degli sprechi. La filosofia è quella di utilizzare in cucina solo ciò che viene prodotto e lavorato all’interno di FICO: un circuito chiuso, un anello perfetto. “Fico”! E una volta usciti da lì, com’è bello rituffarsi per le strade rosseggianti di Bologna e sedersi, così a caso, al tavolino di qualche sconosciuta osteria, richiamati semplicemente da quel buon odore di cucina che sa di casa.
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I numeri di FICO sono impressionanti: 10 ettari percorribili a piedi o in bicicletta; 2 ettari dedicati a campi, orti e stalle con oltre 2.000 cultivar e 200 animali; 700 posti di lavoro più l’indotto; 40 fabbriche per la produzione di carni, formaggi, pasta, tutto insomma; almeno 45 punti di ristoro, tra bistrot, ristoranti stellati e chioschi street food; 6 “giostre” educative dedicate a temi legati all’ambiente; decine di educational e di eventi al giorno; un centro congressi capace di ospitare fino a 1.000 persone.
La rivoluzione del sapere cui l’accelerazione tecnologica ci ha sottoposto negli ultimi decenni, potrebbe trasformarsi in una sorta di maremoto dal quale la mente umana potrebbe essere sommersa. Rischiamo d’essere sopraffatti dal prevalere di strumentazioni artificiali e dei risultati strabilianti che esse sono capaci di produrre. Tutto ciò ci rende fragili; ci infonde insicurezze e paure. Sono sensazioni che appartengono a chi ha subito questa evoluzione, ma per chi vi è nato dentro può trasformarsi in opportunità di crescita e – perché no? – anche di investimenti destinati a diventare intellettualmente produttivi ed economicamente redditizi. Nascono nuove arti, nuovi mestieri,
una nuova visione del mondo del lavoro, globale e globalizzante. Per molti investire in questa direzione potrebbe sembrare una follia, per altri, quelli nati nel nuovo millennio, lo è molto meno di quanto potrebbe apparire a prima vista. I grandi cambiamenti culturali e sociali, laddove sono stati gestiti con intelligenza e lungimiranza, hanno sempre rappresentato un’opportunità. Ecco perché la mutazione epocale che ci sta di fronte, nella quale siamo irrimediabilmente coinvolti, è una chance che questi giovani non devono farsi sfuggire. Su questi presupposti nasce l’innovativo progetto
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The innovative “FutureSeed” social project, the seed of the future and for the future is a Campus, that has been conceived as a real innovative Garden of Ideas and Thoughts. Here knowledge is being implemented thanks to sharing and innovation becoming functional to a hands-on training growth and a creative development of the men and women of the future, gained by stimulating and supporting their minds. The aim is to foster growth that can be combined with the most advanced technological and IT systems currently in circulation. The engine driving of all this is Bernardo Cigliano, an innovation Designer with an international experience, who has promised to help young talented people to project themselves into the future, stimulating them to learn the mechanisms of innovation in a philosophical perspective that is capable of modifying and improving people and the quality of their life.
photo by Francesco Rossi fr-ph.com
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Il Seme del Futuro
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questo progetto è la Maremma grossetana, immaginata da Bernardo Cigliano come la Valle del Pensiero Innovativo dove dei giovani potenzialmente capaci di contribuire a dare una nuova prospettiva al proprio futuro si confrontano con altri giovani che hanno già avviato questo percorso come Daniele Benedettelli, uno dei più importanti Mister LEGO® del mondo. Con quei versatili mattoncini che un tempo erano solo un gioco, Daniele realizza da sculture a modelli Technic per la didattica. Pur essendo giovanissimo ha già costruito complesse riproduzioni in scala di impianti industriali e moltissimi altri progetti, tra cui il robot che risolve il cubo di Rubik, il ritrattista Legonardo e il metodo didattico brevettato Brick-a-Braille. Esperienze che sono messe nel contenitore FutureSeed, in quell’incubatore di idee, dove le nuove generazioni sono chiamate a imparare a lavorare in gruppo e a creare gli spazi nei quali vivere e operare. Questo è il seme del futuro, che nella sua crescita ha già posto le basi per dar vita a un team di eccellenze nei settori del pensiero innovativo, dell’intelligenza artificiale, della sicurezza delle nostre condivisioni sociali. E i primi frutti del lavoro di questo team, pur rivolti al futuro, sono destinati a vedersi a breve e a cominciare a contribuire fattivamente alla positività del mondo nuovo che ci attende.
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Su questi presupposti nasce l’innovativo progetto sociale “FutureSeed”, il seme del futuro e per il futuro. Di che cosa si tratta? Di un Campus, pensato come un vero e proprio Giardino delle Idee e del Pensiero innovativo. In esso le conoscenze sono implementate grazie alla condivisione e l’innovazione diventa funzionale a una crescita formativa hands-on e a uno sviluppo creativo degli uomini del futuro, ottenuto stimolando e supportando la mente. L’obiettivo è promuovere una crescita capace di coniugarsi con i massimi sistemi tecnologici e informatici attualmente in circolazione. Il motore di tutto questo è Bernardo Cigliano, un Innovation Designer di esperienza internazionale, il quale si è ripromesso di aiutare giovani virtuosi a proiettarsi nel domani, stimolandoli ad apprendere a fondo i meccanismi dell’innovazione, in una prospettiva filosofica capace di modificare e migliorare le persone e la qualità della vita che conducono. L’obiettivo di Cigliano è di favorire il cambiamento del pensiero dei giovani Innovation Designers, formandoli e facendoli crescere liberi di sperimentare e confrontarsi, mettendoli in condizione di costruirsi una professione destinata a diventare, a un livello globale, ricercatissima. Il magnifico scenario di
I.P.
PICO MACCARIO I COLORI DELLA BARBERA NEL PROFUMO DI UNA ROSA
Piergiuseppe Bernardi fotografie di © Giacomo Artale
Not a strategic or market decision, but simply because Barbera is the vine which we have always grown. If those who had gone before us decided to grow it and not to substitute it with other varieties, then surely, they did it for a reason. This was enough to convince us, we knew with all the positive feedback, continuing this course would surely bring success
Il rosso vivace delle rose, poste all’inizio dei filari di questo incessante succedersi di vigneti nel cuore del Monferrato e diventate grazie a Sergio Bianco il marchio esclusivo della Cantina Pico Maccario, dice della passione quasi assoluta per il vino su cui qui si è deciso di investire: «I nostri settanta ettari di vigneto – racconta Vitaliano Maccario, che di quest’azienda è l’anima propulsiva e dinamica – sono quasi completamente coltivati a Barbera. È questo il vitigno su cui, nella linea di una tradizione antica e consolidata, mio fratello e io abbiamo deciso di scommettere. Non per strategia o per ragioni di mercato, ma semplicemente perché il Barbera è il vitigno che qui si coltiva da sempre. Se chi ci ha preceduto aveva deciso di coltivarlo e di non sostituirlo con altre varietà, certamente non lo aveva fatto senza ragioni. E questo è stato sufficiente a convincerci, avendone poi un riscontro positivo, che continuare su questa strada si sarebbe rivelato vincente». Dopo essere stato accolto con cordialità, non senza un apprezzato caffè sorseggiato a un rotondo tavolo di legno, ascolto Vitaliano raccontarmi di sé e della sua azienda. Mi colpisce la sintonia tra il tavolo e le sue parole, rispettivamente segnati da uno stile e da un tono nei quali tradizione e innovazione sembrano sposarsi perfettamente. Mi sfiora una curiosità, che non tardo a esprimere: «è quanto meno curioso che un’azienda con a disposizione settanta ettari, anziché puntare sulla diversificazione, punti tutto su un unico vitigno». Vitaliano intuisce il senso della mia osservazione e non esita: «La fortuna mia e di mio fratello Pico è stata quella di ereditare un’azienda agricola solida, avendo la possibilità di rilanciarla in chiave vitivinicola senza zavorre legate al passato. Per questo non ci è stato difficile puntare tutto su un’innovazione tecnologica d’avanguardia, scommettendo però sul vino che qui si fa da sempre. E delle cui potenzialità siamo sempre più convinti».
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Our seventy hectares of grape vines – Vitaliano Maccario tells us, are the dynamic driving soul of the Pico Maccario winery in the heart of Monferrato – they are almost completely Barbera farmed. It is on this vine which, in line with age-old and consolidated tradition – brought together with innovative cutting-edge technology – that my brother and I decided to bet.
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Questo sguardo sul lungo periodo andrebbe indagato meglio, ma prendo tempo e chiedo di sapere come, concretamente, l’innovazione ha trovato posto in questi filari. «Vieni con me», mi invita con decisione Vitaliano. Sotto lo sguardo silenzioso di due enormi lumache di plastica colorata, fiancheggiamo un lungo giardino reso peculiare da una moderna installazione artistica, per entrare nella struttura in cui sono parcheggiate le macchine agricole utilizzate per lavorare i vigneti. Il mio interlocutore punta dritto verso la più appariscente di esse e, con evidente orgoglio, mi spiega: «Questa è la risposta alla tua domanda: una macchina raccoglitrice che, gestendo due filari per volta, ci consente di raccogliere tutta l’uva dei nostri settanta ettari di vigneto in pochi giorni. Con una manodopera ridottissima e con un vantaggio unico: riuscire, nel giro di dieci minuti al massimo, a far arrivare gli acini in cantina e far partire in modo controllato il processo di fermentazione». L’innovazione tecnologica, nell’azienda Pico Maccario, non riguarda però soltanto i lavori nel vigneto. Me ne accorgo non appena entro nelle cantine vere e proprie. La gestione automatizzata del processo di fermentazione, pur seguita con estrema cura dall’enologo, trova il suo culmine nella linea di imbottigliamento: «Si è trattato – sottolinea Vitaliano – di un investimento importante, tanto ricercato da prevedere un adattamento specifico alle nostre modalità e ai nostri tempi di lavoro. Anche questo tuttavia si ripaga in qualità, consentendo ai nostri vini, quando arrivano sul tavolo di un ristorante prestigioso o in quello di una casa in cui si vuole far festa, di risultare apprezzati e di farsi ricordare. E, se fin dall’inizio eravamo consapevoli della difficoltà di imporre a livello nazionale e internazionale un prodotto come il Barbera, troppo a lungo considerato un vino di secondo piano, ora siamo certi che creare prodotti di autentica eccellenza sia stato il segreto del nostro successo». Forse è venuto il momento e, mentre scendiamo gli scalini che portano alla barricaia in cui i vini invecchiano in silenzio, insisto nuovamente: «Perché puntare tutto su un vino tradizionale scegliendo di gestirlo in modo tecnologicamente innovativo?». Vitaliano, da pilota che guarda sempre la curva successiva, non esita un attimo: «Noi siamo un’azienda giovane che, fin dall’inizio, ha deciso di scommettere su un vino non facile da proporre. Si trattava, evidentemente, di rilanciare il Barbera. Ma non c’era che una strada per farlo: offrire un prodotto portato al massimo delle sue possibilità e declinato in tutte le sue sfaccettature. Un obiettivo raggiungibile esclusivamente facendo leva su un’innovazione tecnologica d’avanguardia messa a servizio della tradizione, al fine di consentirle di esprimersi al top. E che questo connubio sia diventato vincente ormai non lo diciamo noi, ma i risultati. Fortunatamente sempre più apprezzati, e non solo sulle tavole italiane ma su quelle di tutto il mondo».
Nella luce soffusa della barricaia sotterranea ad attirare il mio sguardo è una botte in cui trovano posto alcune gigantesche matite di diverso colore. Le stesse che, nel vigneto collocato davanti alle cantine Pico Maccario, fungono da pali di testata di ogni filare. «Trasformare questi pali in matite – spiega Vitaliano – sì è rivelato un efficace modo per comunicare la nostra filosofia: produrre dall’unico vitigno Barbera vini rossi e bianchi, rosé e bollicine. Questi curiosi “matitoni”, realizzati da Aldo Divano e in grado col loro ricavato di consentire di organizzare per gli studenti delle scuole medie di Mombaruzzo dei corsi integrativi di inglese, nell’esprimere la diversità dei nostri vini sono divenuti parte di una storia destinata a continuare. Sono stati loro a ispirarci le forme e i colori dei nuovi e originali contenitori delle nostre bottiglie, che saranno appunto a forma di matite colorate. Così come colorate sono già le cassette di legno nelle quali presentiamo i vini che produciamo». Mentre con Vitaliano ci beviamo una bollicina, nel cui delicato perlage risuona tutta la potenza caratterizzante del vitigno Barbera, azzardo un’ultima domanda: «Parliamoci chiaro. Tu conosci bene il mercato e le sue leggi. Quanto ha influito il mercato sulla creazione dei vostri prodotti?». Vitaliano sorride: «Conosco il mercato e le sue regole a sufficienza da aver capito che andargli dietro può rivelarsi un errore irreparabile. E i nostri vini sono la riprova che giocare in controtendenza può condurre al successo. Ovviamente non mi monto la testa: i nostri risultati nascono anche dalla scarsa intraprendenza che ci circonda. La nostra scelta però di puntare sul vitigno Barbera, declinandolo in forme che in molti all’inizio hanno pensato fossero improduttive stravaganze di una famiglia di estrosi, ci ha fatti crescere in modo esponenziale. Dandoci al contempo una certezza che diventa ogni giorno più solida: quella di aver imboccato, con l’aiuto di chi ci ha preceduto, la strada giusta».
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a mia curiosità continua a crescere e chiedo apertamente: «Da dove nasce quest’attenzione per l’innovazione, a fronte di scelte che rivelano la centralità che la tradizione, anche sul piano della strategia aziendale, continua ad avere?». Gli occhi di Vitaliano si fanno più brillanti, come quando ad attraversarci la mente è un ricordo piacevolmente indelebile: «Io nasco in una famiglia di contadini, ma la vita mi ha portato in un mondo molto diverso dal mio: quello delle corse automobilistiche, dove sono stato a lungo pilota nella squadra della Porsche. È qui che ho scoperto quella tecnologia che sarebbe diventata uno dei tratti portanti della nostra produzione vitivinicola. Da pilota poi sono stato addestrato a pensare sempre alla curva successiva e dunque a guardare costantemente lontano, anziché concentrarmi sul presente. Ed è guardando lontano, radicandosi nella tradizione e investendo sull’innovazione, che questa azienda negli anni ha saputo consolidarsi».
fotografie © Benedetto Tarantino
The love story between Ciccio Sultano, the Chef and manager of the 2 Michelin Star restaurant, Dome of Ragusa Ibla and of I Banchi (with Giuseppe Canistrà) and Gabriella Cicero, his life partner, as well as general manager of the Sultano Group is one filled with passion and complicity. Theirs is a very ambitious project which involves the two-starred chef, a precise choice of existential and professional field that tells the extraordinary, starting from the ordinary, through a single direction that proposes a staging that is able to involve all the senses. The dynamic, versatile, enterprising Ciccio Sultano has dedicated his life to a great undertaking of research, focusing on the continuity of history and traditions in order to rediscover a modern cuisine, that is focused on new techniques and raw materials of excellence, on nature and on men, on products selected with a maniacal attention, but also on agricultural and food businesses, discoveries, that are supported and incentivized in order to create a network of trust.
di Lea Gasparoli
cucina di Ciccio ha risvegliato la mia identità di siciliana»
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fotografie © Benedetto Tarantino Nell’immagine lo Chef 2 stelle Michelin Ciccio Sultano è con Gabriella Cicero, general manager del gruppo Sultano e sua compagna di vita.
È nata a Scicli, si è laureata in Lingue, ha fatto un percorso professionale nella ristorazione dedicandosi alla sala e perfezionando la sua conoscenza nel mondo dei vini. È una donna forte, preparata, strutturata. È Gabriella Cicero, il direttore generale del “Ciccio Sultano-Duomo” a Ragusa Ibla, il suo alter ego. È colei che organizza, che ha un occhio fulmineo su tutto e che sa un attimo prima cosa sta per succedere. «Io cucino e faccio impresa insieme a mia moglie – racconta lo Chef e patron del “Duomo” – è con lei, e grazie a lei, che il ristorante è fino in fondo la mia vita». Una storia d’amore, di passione, di complicità, cominciata 10 anni fa quasi per gioco, con un accordo pianificato a tavolino «quando mi ha proposto di vivere insieme – racconta lei sorridendo – mi ha subito chiarito che sarei stata in prova per un anno». Non solo la prova è stata superata a pieni voti, ma Ciccio si è subito reso conto che Gabriella sarebbe diventata la “Signora del Duomo”. «Avere accanto una donna a cui puoi affidare il tuo mondo, di cui ti puoi fidare, una donna che ti dà sicurezza e ti permette di svegliarti sereno, è una cosa straordinaria. Ho capito che con lei avrei potuto condividere e realiz-
Prende vita il “Cantiere Sultano”, che lui stesso definisce così per indicare la continua evoluzione di un restyling che, senza snaturare l’identità e la filosofia del ristorante, puntando su un lusso discreto, parte da dentro, quindi dal personale alla sala, dal menu ai piatti fino alla cantina, e ha l’obiettivo di internazionalizzare il brand. È l’inizio di un’epoca che vedrà la sua centralità nel 2020. Una data importante per festeggiare traguardi importanti: i 20 anni del Duomo e i 50 anni dello Chef. Dinamico, versatile, intraprendente, Ciccio Sultano ha dedicato la sua vita a un grande lavoro di ricerca, puntando sulla continuità della storia e delle tradizioni e sulla conquista del presente e delle innovazioni, per riscoprire una cucina moderna, sempre in movimento, tra la terra e il mare, tra le suggestioni del vissuto e l’esperienza dei viaggi, tra l’alta cultura e la gente di un tempo, incentrata su nuove tecniche e materie prime d’eccellenza, sulla natura e sugli uomini, su prodotti selezionati con un’attenzione maniacale, ma anche su imprese agricole e alimentari, scoperte, sostenute e incentivate in modo da creare una rete di fiducia.
zare il mio progetto».
«Credo molto nella squadra – dice lo Chef – è estremamente importante che ci sia sinergia con lo staff, ma anche con i produttori che ho voluto conoscere personalmente e di alcuni di loro sono diventato socio. Sono convinto, infatti, che crescere insieme con le persone che collaborano con me sia l’unico modo per diventare grandi». Il richiamo dell’isola e della sua storia, fatta di contrasti, mutazioni, dominazioni e contaminazioni, emerge prepotentemente nelle creazioni di Sultano. Un viaggio attraverso la Sicilia e la storia dei suoi popoli. Un’esperienza straordinaria fatta di ricerca, di sapere, di studio, di libri di ricette antiche, che si esprime in piatti che affondano le radici nella tradizione per tradirne l’essenza a favore di sapori moderni. «Non esiste qualcosa
Un progetto molto ambizioso, quello di Sultano, una precisa scelta di campo esistenziale e professionale che
racconta lo straordinario partendo dall’ordinario, attraverso una regia unica che propone una messa in scena in grado di coinvolgere tutti i sensi. Un’esperienza che, dagli ingredienti all’arredo, dalle ricette al servizio, avvalora l’idea di cucina totale. Tutto comincia alla fine del 2016, quando lo Chef, attraversato da una sorta di “crisi di crescita”, decide di acquisire le mura del locale e tutti i “bassi” di Palazzo La Rocca, per rimodulare gli spazi, vestendo il Duomo di una nuova pelle.
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Dominazioni siciliane, dal De Coquinaria di Apicio. Triglia maggiore di scoglio.
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Dominazioni siciliane, omaggio alle suore del Monastero del Santo Spirito di Agrigento. Couscous al pistacchio con crema di latte, sorbetto alla lavanda e acqua di fiori.
che rimane immutata per sempre. Qui ci sono passati tutti – dice – la cucina siciliana è una cucina stratificata, nata dalla mescolanza infinita di razze e culture, la più complessa del Mediterraneo». È proprio da questo attento studio della storia dell’isola che nasce una delle novità centrali del 2018: il “Menu Dominazioni” che va a delineare l’evoluzione di un tracciato che lo Chef ha iniziato a disegnare circa 10 anni fa, quando ha definito l’isola un’arancina, a evidenziare come un piatto racchiuda la storia di un luogo. «Dominazioni, oggi, significa arricchimento del patrimonio culturale, non sottomissione. È un viaggio nella vertigine del tempo che traccerà, a futura memoria, una carta dei sapori della Sicilia, un compendio di cucina in cui il Mediterraneo è la culla e all’orizzonte ci sono Medio Oriente, Europa e Africa, tutte affacciate sul mare».
Estro creativo, ambizione e grande preparazione dietro un impor-
tante progetto, quello dello Chef bistellato, che prevede, non solo la crescita del “Duomo”, già al vertice della ristorazio-
ne italiana, e de “I Banchi”, – l’altro progetto targato Sultano che con il suo aspetto informale e conviviale rappresenta un’evoluzione elegante dell’idea di forno e caffè siciliano, ove trascorrere la giornata tra una colazione con pani appena sfornati, schiticchi e piatti di ispirazione regionale rivisti in chiave moderna e leggera – ma anche il consolidamento di importanti partecipazioni come quella, già in essere, in realtà come Aia Gaia – un progetto nato dal desiderio di pensare all’allevamento a terra di galline in chiave bio sostenibile – e con la Famiglia Testa – naturali “eredi” de I Malavoglia e pescatori dal 1800 a Ognina (CT) – per la creazione di una linea di prodotti di qualità altissima a base di tonno rosso e pesce azzurro. Una vera e propria crescita imprenditoriale quella di Ciccio che non esita a evidenziare quanto sia stato importante, per i suoi successi, l’ingresso di Gabriella nella sua vita. Si sa, dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna! Ma lui dice di no. «La grande donna – precisa – non sta dietro di me. Il ruolo di Gabriella è fondamentale. Lei non sta dietro le quinte. La grande donna sta accanto al grande uomo».
the simplicity we know how to offer you for the sheer
Behold its beauty, overlook instead its having perhaps
pleasure of doing it. This is our formula and our strength:
too long forgotten its own centuries-old and solid cultu-
transforming a stay into a visit to a friend’s house. It does
re. Only then will you grasp why I insisted so much for
not matter what time you will arrive. What is certain is
you to come to see me. In fact, you will discover that you
that you will always be well welcomed. And even if you
are far from the classic itineraries suggested to tourists
come and knock on our door you will find us sitting at
and, alas!, that have far too often been designed specifi-
the table, you will not have to fear. There will always be
cally for them. Here you will be at home, surrounded by
a place for you, right at our table.
fotografie © Andrea Trimachi
Tenute Nanfro
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Breathe in deeply and smell the scents of this island.
di Andrea Zanfi
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I.P.
Per arrivare da me devi passare da Caltagirone. Un paese arroccato su tre colli, che per oltre due millenni è stato un punto strategico di controllo delle piane di Catania e di Gela da parte di Bizantini, Arabi, Genovesi e Normanni. Proprio questo paese, a partire dai tempi della Magna Grecia, ha saputo diventare il più importante centro siciliano di produzione della ceramica.
Cogli l’occasione per fermarti qui qualche ora, per giostrare il tuo tempo fra le botteghe dei maestri ceramisti di questa antica cittadina. Intorno avrai un paesaggio unico e una terra magnifica che sta vivendo un mutamento decisamente positivo. Non so spiegarti che cosa stia accadendo, ma non ti sarà difficile percepire, come me, la sensazione che l’isola stia vivendo una sorta di rinascimento culturale, un momento magico, forse il più importante da quando calpesto questi areali. Ciò che respirerai è un humus diverso, come se in questi ultimi tempi noi siciliani avessimo preso coscienza del fatto che ci è dato di vivere in una terra davvero magica. Non si tratta di qualcosa che è già accaduto, ma che sta silenziosamente accadendo. E i segnali di questa novità, vitali e vivaci, si possono registrare non solo nell’ambito del vino, ma anche del turismo e delle mille attività e iniziative che fioriscono ovunque, spesso scevre da sussidi e interferenze politiche, come accadeva invece un tempo.
Questa è la nostra formula e la nostra forza: trasformare un soggiorno in una visita a casa di amici. Non importa a che ora arriverai. Quel che è certo e che sarai sempre ben accolto. E, anche se giungendo e bussando alla nostra porta ci troverai seduti a tavola, non dovrai temere. Un posto per te, proprio alla nostra tavola, ci sarà sempre. E sarà qui che, seduto con me e con la famiglia con cui condivido ogni cosa, comincerai a capire la forza complessa e piacevole del territorio in cui vivo e del vino che di esso è espressione. E non credere che il nostro sia il solito relais di campagna in cui uno vive da snob. Qui tutti devono essere liberi di usufruire degli spazi che mettiamo a loro disposizione, sentendosi accettati senza se e senza ma. È la nostra filosofia, il nostro modo di sentire il mondo. Non una filosofia imparata sui libri, ma respirata dalla terra e dalle viti in cui da sempre lavoro. Sono solo un vignaiolo, ma ho capito che è il costante confronto con gli altri a farmi crescere. Per questo entrare in sintonia con i nostri ospiti mi apre a mondi sempre nuovi e che conosco poco. Certo questa percezione ha qualcosa di fanciullesco, ma la trovo fantastica. A pervadermi è infatti un’euphoria contagiosa, capace di darmi sensazioni tanto intense da coinvolgere anche chi mi sta vicino. È questa la ragione per cui non mi stupisco più dei complimenti che, da quelli che ormai mi sembrano dei nuovi amici, mi arrivano al momento della partenza, o magari più tardi attraverso i social. Una stretta di mano, un sorriso, un grazie anche solo sussurrato, sono ormai sufficienti a farmi capire che sono stati bene e che di Nanfro non si dimenticheranno più. E il merito non è certo solo mio, e neppure di mio figlio, delle due Giusi e di Maria, che pure contribuiscono in modo decisivo a rendere ogni soggiorno qui accogliente e piacevole. Il segreto di Nafro è l’aria stessa che vi si respira: un aria capace di trasformare il silenzio in cui questo luogo è immerso da secoli in una magica melodia che si può cogliere solo avendo un animo libero dall’angoscia quotidiana e dalla frenesia del frastuono cittadino.
Solo avendo occhi e orecchie nuove si può vivere Nanfro.
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Respira a pieni polmoni e annusa i profumi di quest’isola. Contemplane la bellezza, trascurandone invece il suo aver forse troppo a lungo dimenticato la propria cultura, secolare e solida. Solo allora capirai il perché ho tanto insistito perché venissi a trovarmi. Scoprirai infatti di essere lontano dai classici percorsi suggeriti ai turisti e, ahimè!, troppo spesso pensati apposta per loro. Qui sarai a casa tua, avvolto dalla semplicità che sappiamo offrirti per il puro piacere di farlo.
I.P.
Buon Compleanno alla Cantina Produttori Cormòns
Quest’anno la Cantina Produttori Cormòns festeggia mezzo secolo di vita, poiché nel dicembre 1968 fu sottoscritto l’atto notarile con cui è nata la cooperativa.
© AKAstudio-collective
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Un anno, il “sessantotto”, passato alla storia per le contestazioni, le barricate, lo sciopero dei braccianti siciliani, ma che nella cittadina collinare aveva visto, a maggio, l’approvazione del disciplinare della Denominazione Collio: questa sì una vera “rivoluzione”! Dai primi otto fondatori, piccoli viticoltori che si mettevano assieme, negli anni novanta si sono raggiunti più di duecento soci, con 400 ettari totali. Dal primo imbottigliamento, avvenuto nel 1973, la Cantina rappresenta una sicurezza – sia economica che agronomica – per tante famiglie di vignaioli di collina e di pianura e, passando per la nascita di nuovi consorzi con i rispettivi disciplinari, si è
Stefano Cosma
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Fifty years from its creation, the Cantina Produttori Cormòns, the cooperative winery represents a security - that is both economic as well as agronomic - for all of the hill and plain winemakers and it has also arrived at the production of sparkling wines. Making bubbles is not only a fashion, but also a style, it takes elegance and art, so much so that the Cantina still today produces the Cormorano Bianco and the Cormorano Rosé. “Today, the winery is a leader in the production of Ribolla Gialla Brut, with 500 thousand bottles a year - says the general manager Andrea Russo -. We pay great attention to market demands and therefore we have come out with five types of Prosecco, from Sparkling to Brut, both DOC and DOCG, ending with Extra Dry ».
Perché fare bollicine arrivati anche alla produzione di spumanti. Le autoclavi hanno permesso a Cormòns di uscire con il Cormorano frizzante, Metodo Martinotti. Correva l’anno 1981. «Poi è stato il turno del Cormorano Rosé, quindi nel corso degli anni si sono utilizzate altre varietà e oggi la Cantina è leader nella produzione di Ribolla Gialla Brut, con ben 500mila bottiglie annue», dichiara il direttore generale Andrea Russo.
conserva il sapore più o meno dolce». Dopo la Grande guerra, che impose una radicale trasformazione dell’agricoltura, le bollicine furono abbandonate, per rispuntare timidamente negli anni settanta.
Spumantizzare i vini non è cosa nuova nel territorio goriziano, come erroneamente si potrebbe pensare. Nel periodico “Il Coltivatore” del 1853 si legge:
Perché fare bollicine non è solo una moda, ma è anche uno stile, ci vuole eleganza e arte come sulle etichette del Vino della Pace.
L’interesse per il mercato dei vini spumanti crebbe se l’Imperatore stesso, con sovrana risoluzione del 25 luglio 1857, stabilì l’esenzione dal dazio per il consumo di vino spumante imbottigliato in partite di almeno cinquanta bottiglie. Queste produzioni non rimasero a livello di mere sperimentazioni, poiché alcuni anni dopo, nel 1866, si legge «oltre i soliti vini, si fabbrica da qualcuno una specie di vino spumante, principalmente di ribolla, ed in ciò si lascia fermentare il mosto colle zarpe, indi schiarificato si ripone in bottiglie; quindi subisce la seconda fermentazione nella bottiglia, e spuma e
Un rinascimento petillant che la Cantina Produttori non s’è lasciata sfuggire, fedele al Metodo Italiano di Federico Martinotti.
Tant’è che la Cantina produce ancora oggi il Cormorano Bianco e il Cormorano Rosé, nome fortunato preso in prestito dall’elegante uccello migratore, dal collo lungo e raffinato. «Siamo attenti alle richieste del mercato – spiega Andrea Russo – e perciò usciamo con cinque tipi di Prosecco, dal Frizzante al Brut, sia DOC che DOCG, per finire con l’Extra Dry».
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«L’agro goriziano va famoso per l’eccellenza de’ suoi vini (…) vini dolci ed asciutti, e perfino il vino spumante a somiglianza di quello della Champagne».
non è solo una moda
Inoltre, a conferma che queste bollicine sono charmant oltre che Charmat, la Ribolla Gialla Extra Dry ha vinto l’etichetta d’argento al Concorso Internazionale Packaging a Verona, il Verduzzo gran dessert, già salito a Merano sul podio “Sparkling Star” della guida Vinibuoni d’Italia, ha ricevuto un riconoscimento internazionale con 97 punti su 100 da “50 Great Sparkling Wines”, laddove il Pinot Chardonnay (36 mesi di affinamento sui lieviti), ne ha ottenuti 91. Eleganti con brio e nel contempo custodi dell’armonia.
© AKAstudio-collective
© Carlo Scaluzero
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fra passato e futuro nella ricerca della bellezza
Foto di Laura Francesconi
I.P.
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Creiamo sogniamo produciamo ricerchiamo e selezioniamo con una guida la bellezza
«W
e create, dream, produce, search and select with one guiding light, that of beauty». Simple but effective words that characterize Le Recherche. What they offer is a genuine pampering for the soul, a great deal of attention that is twinned with tradition and furnishings designed for the noble Sardinian residences from the Eighteenth Century onwards. Furniture with carvings and rosettes carved by expert hands that fit in perfectly with the work of wrought iron by master blacksmiths. They create magical atmospheres in which to relax, those of a yesteryear where the furniture stands out for finishes, for the use of white or for a style which established a direct relationship with the soul.
A
di Davide La Mantia
bbiamo scritto così sul nostro sito larecherchedesign.it. Non mi stupirei se quelle parole vi restassero impresse. Le ho scritte perché ciò accada. Le trovo semplici e conseguenziali; hanno la forza di sapersi armonizzare fra loro e d’essere capaci di travalicare il valore stesso dello slogan che interpretano. Un lessico ritmico che odora di letteratura, che racconta Flaubert, Dostoevskij, Cechov, entrando sferzante nel merito dell’idea e della filosofia del racconto di un design vivibile e appagante, quel gusto del bello che ognuno di noi si porta dentro. Anche il termine “Le Recherche” non è casuale; rappresenta il filo tessuto lungo una vita, che arriva a Proust e a quel legame che il grande scrittore sapeva creare tra passato e futuro. Se lo segui scopri che sa disegnare una “Dimora” senza tempo, sempre uguale a uno stile arcaico e innovativo allo stesso tempo, caratterizzante e caratterizzato da una minuziosa ricerca dei particolari, delle sottigliezze di particolari che rendono l’insieme nuovo agli occhi di chiunque lo guardi anche dopo anni. Una classicità fatta da mille idee che creano un vero e proprio concept rivolto al domani, trovando la sua ragione d’essere nelle cose semplici, quelle che, alla fine, sono sempre le più belle. Nobile semplicità e quieta bellezza, suggeriva alla fine del Settecento Winckelmann.
Q
uelle che proponiamo sono vere e proprie coccole per l’animo, un insieme di attenzioni gemellatesi alla tradizione e agli oggetti pensati per le nobili dimore sarde dal Settecento in poi. Mobili con intagli e rosoni realizzati da mani esperte che si sposano alle lavorazioni del ferro battuto da maestri fabbri. Sono atmosfere magiche nelle quali rilassarsi, quelle di un tempo dove i mobili spiccano per finiture, per l’uso del bianco o per un decapato che istaurava un rapporto diretto con l’anima. Tutto ha preso sostanza con Giacomina, mia madre; è lei che ha teso quel filo legando “il buon vivere” alla sua visione del bello, sperimentando le sue idee prima nella sua casa e poi nella sua visione del design d’arredo, dove ogni prodotto trattato deve essere fatto a mano, come un tempo.
Questo non si identifica con una staticità creativa, ma con la continua ricerca di quel “classico” che innova lo stile, per soddisfare il gusto e le nuove tendenze. Anche la lavorazione dei tessuti passa attraverso la valorizzazione di arti antiche che contribuiamo a salvaguardare mantenendo vivo il fare di un tempo. Cose semplici ma belle, che si valorizzano nel colore crudo naturale dei legni e dei tessuti naturali che al massimo sono tinti di bianco.
S
ono tutti oggetti che si compongono di due elementi: la materia e l’anima dell’uomo che l’ha lavorata, conferendo alla stessa un valore unico. Oggetti emozionali quindi, bellissimi nelle loro imperfezioni che, volutamente, la mano creatrice non ha voglia di
correggere, indicandole come la propria firma. Per questo lasciamo le tende grezze e pitturiamo i mobili con vernici all’acqua esaltandone la trama e i nodi; per questo il ferro battuto lo proponiamo solamente nella finitura ossidata, con i segni visibili della battitura sulla forgia a caldo. Sono particolari che fanno la differenza e identificano, più di ogni altra cosa, il valore di ciò che proponiamo. Del resto basta entrare nei nostri showroom per avere la percezione di oltrepassare la soglia di una casa, in cui il Made in Italy, il buon gusto e la bellezza vivono in armonia.
di Simona Cangelosi fotografie di © Giacomo Artale
Sono 11 anni che faccio sempre questa domanda. A ogni mio primo contatto con ogni nuovo cliente interessato a realizzare una piscina faccio questa domanda, ogni volta con il massimo entusiasmo ma, come spesso accade, la risposta è sempre la medesima: «Quanto costa?». Dietro a questa risposta, che ci può stare quando si compra un qualsiasi oggetto, diventa banale se sto acquistando un bene d’investimento, ma lo è ancor di più se il prodotto risponde alle caratteristiche di un bene durevole e di lusso. Una piscina è una piscina! Non si può paragonare questo prodotto a un oggetto qualsiasi che posso cambiare o posso sostituire in qualsiasi momento. Una piscina non si può cambiare.
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Non posso! Solo questo dovrebbe far riflettere il potenziale cliente su quanta attenzione dovrebbe riporre in questo acquisto. Ma la colpa è nostra, degli operatori del settore. Oggi tutte, o quasi tutte, le aziende basano il loro marketing sul prezzo finale, a svantaggio della qualità e spesso anche della fruibilità della piscina e diventa ancora più assurdo se pensiamo che la piscina difficilmente arriva a costare il 10% dell’intero valore immobiliare.
? i o u v a n i c s i p e h C
successo inaspettato. Incontro sempre nuovi clienti soddisfatti ed entusiasti e, ogni volta che sottoscrivo un contratto con l’innovativa tecnologia di UNICA Piscine, per me è una grande la soddisfazione. Si dice che la perfezione assoluta non esista, ma con questa tecnologia e il continuo upgrade, posso sicuramente affermare che UNICA Piscine rappresenta un nuovo modo di vivere l’ambiente piscina, uno status symbol che offre diversi comfort di benessere anche per i clienti più esigenti. Nella mia carriera ho realizzato oltre mille piscine, di ogni forma e tecnologia, dalle più semplici ed economiche per arrivare alle più esclusive e costose. Grazie a questo, penso che la realizzazione di un sogno passi attraverso un percorso di progettazione ben preciso, che solo i veri professionisti del settore possono realizzare. Considero i miei clienti tutti “clienti eccellenti” e, se scelgo di realizzare un progetto, lo faccio condividendo la loro idea seguendola integralmente e responsabilmente in tutte le sue fasi del lavoro.
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Era l’anno 2006 e stavo costruendo la mia casa. Lavoravo in banca e le giornate erano sempre molto intense e stressanti, avevo poco tempo per dedicarmi alla casa e decisi di trovare un compromesso con la mia ex moglie: lei avrebbe pensato all’arredo interno e io all’esterno. Iniziai con il giardino, il prendisole e l’area barbecue e infine cercai un’azienda che mi realizzasse la piscina. Il costruttore della casa mi disse che aveva pensato a un bellissimo progetto, una piscina lunga 12 metri per 6! Essendo un amante del bello, volevo una certa cura nei dettagli e la soluzione proposta dal costruttore assomigliava di più ad una “scatola di scarpe” o a un “acquario” invece che a una bella e comoda piscina dove potersi rilassare e viverci confortevolmente all’interno. Trovare un’azienda che realizzasse la piscina dei miei sogni fu impossibile per cui mi licenziai dalla banca e ho fatto di questa mia passione la mia professione. Inizialmente non fu facile, cominciai così, per gioco, aiutando una famosa azienda francese a entrare nel mercato. Nel 2011 continuai il mio percorso in una società che realizzava piscine naturali. Il mio “segreto” sul sistema di lavoro era quello di trovare la soluzione alle domande in modo consulenziale e, soprattutto, affrontare il problema dal punto di vista del consumatore. Nel 2016 mi sono licenziato per dar vita a una mia azienda e mi sono prefissato l’idea, molto ambiziosa, di dare luce a un mio prodotto, che è in fase di brevetto: UNICA Piscine. UNICA Piscine è diventato fin dalla sua presentazione un
Giornalmente sono affiancato da importanti architetti. Mi confronto con loro per la condivisione del progetto finale concretizzando i sogni e le emozioni che i nostri clienti hanno. Questo è possibile grazie alla grande flessibilità e alla personalizzazione di UNICA Piscine.
Unica Piscine è stata concepita con l’obiettivo di realizzare un ambiente acquatico naturale, risolvendone tutte le problematiche che questa tipologia di piscine ha
In Costa Smeralda, Sardegna, grazie alla fantasia e alla mano esperta dell’architetto di stima internazionale Hans Peter Sommer, stiamo realizzando progetti fantastici. Ma UNICA Piscine non è solo Costa Smeralda e ville prestigiose… è anche villette a schiera e piccoli giardini, dove il cliente può regalarsi “il suo piccolo angolo di paradiso”, dove la realizzazione di UNICA Piscine trova una dimensione per essere bella, funzionale, accattivante e molto ambita da tutti gli ospiti che frequentano il giardino, come testimonia “Andrea da Bologna” o “Giacomo da Ferrara”. Ma ho avuto anche molti clienti nel mondo dello spettacolo, come ad esempio l’attrice e produttrice di fama internazionale, Maria Grazia Cucinotta, nostra testimonial e madrina di UNICA Piscine che vedrà realizzato il suo progetto. Il tema del lavoro in Italia è molto delicato. Pensa che la vostra azienda possa offrire opportunità ai giovani? La nostra azienda è una società giovane, nata dalla volontà mia, di Andrea e di Marcello, che può contare sulla nostra grande esperienza maturata sul campo. Io ed Andrea abbiamo progettato e realizzato, in più di 11 anni di carriera, oltre 1.500 piscine, di diverse forme e tipologie, mentre Marcello, da circa mezzo secolo, respira l’aria dei cantieri edili, vizio di famiglia da tre generazioni.
Abbiamo iniziato con una collaboratrice per la grafica e web marketing, abbiamo assunto un geometra che segue i cantieri e una PR customer account. A settembre arriveranno altri due rinforzi, operai specializzati che andranno a completare la prima fase di progetto. Il programma che ci siamo prefissati è chiaro e innovativo: abbiamo come obiettivo quello di impostare la nostra azienda rivolgendoci alla clientela più esigente, sviluppando un marketing educativo per informare il cliente su questa nuova tecnologia, su quanto viene pensato, progettato e prodotto direttamente all’interno della nostra azienda. Dal mese di settembre inizieremo la ricerca e la selezione per formare sia una rete di agenti professionisti sia una rete di installatori a livello nazionale. Gli agenti saranno giovani professionisti, motivati e orientati alla vendita consulenziale. Non sarà facile, ma la cosa certa e che non vogliamo sfruttare i giovani, mandandoli in vendita senza formazione e senza un preciso piano di marketing, così come anche la rete degli installatori sarà altamente specializzata, formata direttamente presso il nostro centro di formazione. Il nostro obiettivo è quello di fare una formazione esclusiva perché UNICA Piscine è un prodotto privilegiato, tecnologicamente molto versatile, ma non è per tutte le famiglie e chi riuscirà ad averne una in giardino ne sarà certamente fiero e orgoglioso.
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Come ha iniziato quest’attività?
I.P.
L’uomo, parte della natura, altro non può che cercare di congiungersi ad essa ed esserne parte attiva: ecco perché quando crea delle forme, lo fa cercando le sue proprie origini.
Quando risuonano con la parte più intima di noi, con l’anima, ne comprendiamo appieno l’essenza. È la realtà dell’insieme, la corrispondenza dell’ambiente con chi lo abiterà, la prima visione alla base di ogni mio progetto: insieme e dettaglio parlano al cuore, pur percepibili con tutti i cinque sensi, e così i colori e le sfumature, gli spazi e i materiali. È una sensibilità che mi permette di condurre un filo rosso attraverso tutto il processo creativo, dalla prima visone alla realizzazione delle strutture volute dai miei clienti, legato alle loro preferenze durante lo svolgersi del lavoro. Ho incontrato, quest’anno, UNICA Piscine in Costa Smeralda. Fin da subito è nato un feeling eccezionale e si è rivelata il giusto partner con un fattore decisivo nel dare forma alle idee, rendendo visibile l’invisibile. Abbiamo subito unito le forze, perché ho scoperto una tecnica di costruzione innovativa con uno spirito forte, che ti permette di creare qualsiasi progetto.
Del connubio tra arte e design out door, m’interessa il livello più alto, l’espressione di un’atmosfera, di una filosofia di maggiore qualità e intensità. Solo così si può misurare l’ampiezza della nostra capacità interpretativa. Cerco, con infaticabile lavoro di rifinitura, attraverso “l’arte del togliere”, di dare vita a luoghi che trasmettano pace interiore e amore universale sprigionando al contempo tensione erotica ed energia vitale. Anche l’architettura del paesaggio è una parte importante del mio lavoro. Più dello spazio interno, il giardino è ambito raccolto in cui sentirsi protetti e in comunione con la Natura. Ecco perché i miei giardini vogliono essere vere finestre dell’anima ed in questa mia ricerca UNICA Piscine mi è davvero di grande aiuto, essenziale. Spero di essere riuscito a trasmettere a voi, che leggete queste righe e vedete questa piccola collezione d’immagini e oggetti, come l’invisibile possa diventare tangibile, come si debba lasciare campo libero, in tutta coscienza, ai propri sogni.
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r e t e P s Han r e m m o S
L’architettura altro non è che questa ricerca, la creazione di spazi armonici con l’universo, luoghi dell’intimità e insieme dell’energia, del cambiamento e della trasformazione.
capace di muoversi brillantemente su terreni complessi e non di rado sdrucciolevoli, non era affatto un ragazzino alle prime armi. E non soltanto perché supportato da una solida formazione culturale, culminata dopo aver frequentato il Liceo Classico in una laurea a pieni voti in Giurisprudenza, ma anche in quanto il suo vissuto l’aveva reso attento alla concretezza della realtà, come avrebbe in seguito dimostrato il suo stesso modo di fare televisione.
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L’inizio dev’essere stato impegnativo, ma al contempo entusiasmante. Né potrebbe essere diversamente, visto che l’avventura professionale e giornalistica di Massimo Giletti comincia nel 1988 a “Mixer Cultura”, innovativo programma televisivo creato da Giovanni Minoli.
cultural background and his constant attention to the concrete issues of life, he has soon become one of the best known and beloved faces on television. The fondness that he stirred in people was probably due to the ability of the conductor of “Non è l’Arena”
Sarà questa attenzione a guidare i suoi passi. Non solo all’inizio della sua fulgida carriera, ma anche quando il successo lo avrà reso uno dei volti più conosciuti e amati del piccolo schermo:
Da dove nasce questa capacità di affascinare il pubblico, cogliendone gli umori senza assecondarne i tratti più negativi e orientandoli invece verso prospettive costruttive? Forse dalla capacità di Giletti di sottrarsi alle seduzioni del consenso, radicandosi in quei valori che la famiglia ha saputo trasmettergli:
Non stupisce più di tanto, se si lascia risuonare tutta la profondità di queste parole, il successo riscosso da Giletti come conduttore e come giornalista. Nel suo legame continuo e autentico con la vita, capace di non smarrirne mai la concre-
sempre più di primo piano in importanti format televisivi; a consentirgli di diventare un conduttore televisivo tanto prestigioso da essere chiamato nel ’95, a Loreto, a presentare la Giornata della Gioventù voluta da Papa Wojtyla e, successivamente, le straordinarie maratone di Telethon;
a raggiungere ascolti sempre crescenti, dal 2004 al 2016, con il dinamico programma “L’Arena”, in onda la domenica su RAI1; a reinventarsi in breve, dopo essere stato inopinatamente liquidato dal primo canale pubblico, la trasmissione “Non è l’Arena”, format capace di diventare rapidamente un punto di riferimento nel pur professionalmente affollato palinsesto de LA7. Passata l’incertezza del cambio di rete, a Giletti non resta che festeggiare. Cosa che certamente farebbe – e ne parlo da amico che lo conosce da lungo tempo – bevendo una buona bollicina italiana in spiaggia davanti a un falò, come per la prima volta fece da giovane in Liguria guardando la luna al suono della chitarra.
O magari preferendole un Vermouth, sorseggiato con un «Spesso, noi conduttori siamo tentati di «Il successo può dipo’ di ghiaccio in un considerarci degli dei solo perché appaventare pericoloso e riamo. Cedere a questa tentazione signiparticolare bicchiere fica, oltre che essere degli ingenui, non l’antidoto al rischio di cristallo. aver capito nulla. In questa prospettiva la televisione, che è la proiezione di un’im- di divenirne prigiomagine, rischia di essere molto lontana nieri è rappresentato Proprio come gli aveva insegnato – e non è un caso che anche questo lo abbia apdalla realtà. dal tessuto familiare preso in famiglia – la nonna. E non una nonna qualunque, visto che era amica personale dell’infanta di Spagna, Maria La realtà è fatta di in cui sei cresciuto. volte, specie nei momenti in cui Cristina di Borbone, e di Ernest Heminpersone concrete, di hoQuante rischiato di lasciarmi dominare dal gway. Che, tra l’altro, quando andava a vissuti quotidiani, di successo, sono riuscito a ridimensionar- trovarla, non mancava mai di farsi servire il fascino ripensando alle parole che, un Vermouth, per il quale evidentemente aspirazioni tangibi- ne quando ero bambino e ragazzo, ho sen- andava matto. li. Tutte cose che la tito da mio padre e da mia madre. Sono queste parole ad avermi insetelevisione, nel suo proprio gnato che la stima e l’affetto del pubblico proporre immagini vanno conquistati giorno dopo giorno, mosse da un flusso senza mai abdicare al mio modo di essere». frenetico e compulsi- Devono essere stati questi insegnamenti guidare il giovane Giletti a convincere vo, rischia di vedere aGiovanni Minoli ad assumerlo nella redazione di “Mixer”; a fargli giocare ruoli andare perse».
di Lamberto Vallarino Gancia
The success that Massimo Giletti has enjoyed as a conductor and journalist since the beginning of his career is hardly surprising. His adventure began in 1988 in the innovative television program of Giovanni Minoli “Mixer Cultura”, and thanks to his solid
tezza, si cela forse il segreto del consenso – non di rado tendente all’affetto – che circonda la figura dell’attuale conduttore di “Non è l’Arena”. Lontano da ogni cliché elitario, favorito anche da una spontanea estraneità al carattere tortuoso che spesso contraddistingue ormai il narrare televisivo, lo stile con cui Giletti gestisce i suoi programmi sembra davvero capace di arrivare alla gente. Che lo apprezza proprio per l’immediatezza del modo in cui riesce a non nascondersi i problemi, a chiamare le cose col loro nome e, in ultimo, a parlare la stessa lingua dei suoi telespettatori.
to really know how to touch people’s hearts who appreciate him for being able to get to the core of problems, to call things by their name and, finally, to speak the same language as his viewers.
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fotografie di © Giovanni Caccamo
Massimo Giletti
Certo quel giovane destinato a diventare uno dei più popolari conduttori televisivi,
I.P.
history, which has overcome obstacles and periods of stagnation, which has had to deal with harsh crises and moments of uncertainty, which has succeeded in effectively circumventing unfavorable conjunctures and unexpected difficulties. It is a company that has proven to be able to navigate in this sea that is anything but calm with a mastery that can even amaze, but which for our family is the simple result of an approach to life that has always accompanied us. Almost a sort of inheritance left to us by those who have preceded us and being faithful to them seems quite natural to us».
Il rigore dell’aria sabauda di Torino, su queste colline che sovrastano la città, sembra assumere un’inedita
La stessa che si può scorgere nel tono di voce di Massimo Sagna, erede di una famiglia abruzzese giunta in Piemonte verso la fine dell’Ottocento e divenuta capace di dar vita a un’azienda tanto solida da poter continuare ancora oggi, ai massimi livelli del settore, la sua attività di importazione e distribuzione di vini e distillati di altissima qualità. Basta uno sguardo alle etichette collocate nella vetrinetta che sta alle spalle del mio interlocutore per capire, senza se e senza ma, ciò di cui stiamo parlando: Champagne Cristal e Cognac Delamain, Grand Cru Romanée-Conti e Rhum agricole de la Martinique J.M, Poully-Fumé Baron de Ladoucette e Porto di Ramos Pinto, senza dimenticare il territorio del Piemonte, ben rappresentato dalla Grappa di Romano Levi e dal Vermouth di Antica Torino. Di questo mondo, fatto di sentori e sapori d’essai, la Sagna S.p.A. si occupa ormai da ben novant’anni. È nel 1928 infatti che il barone Amerigo Sagna, il cui medagliere per meriti militari ottenuti in ambito sanitario trova posto ancora oggi su una delle pareti dell’ufficio di rappresentanza dell’azienda, pose le basi di questa realtà commerciale. «La scelta di specializzarsi nell’importazione di vini e distillati – racconta Massimo Sagna, non senza tradire un’evidente senso di gratitudine verso il nonno – si rivelò da subito vincente, anche se le difficoltà non dovettero mancare.
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sfumatura di leggerezza.
© FRANCO BORRELLI, ARCHIVIO SAGNA S.P.A.
Piergiuseppe Bernardi
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Il vino non è filosofia. È soltanto un piacere!
“I want to be quite clear. For me, wine is not a religion. And it is not even a philosophy. Wine is a pleasure, and when the wine is truly very good, an emotion”. This is how Massimo Sagna defines the wine. HE is heir to an Abruzzese family who arrived in Piedmont at the end of the Nineteenth Century, that was able to create a company that continues to operate at the highest levels of the sector in the importation of wines and spirits of the highest quality. «Without my grandfather - continues Sagna - and without my Uncle Ernesto, who gave a tremendous boost to the company, Sagna S.p.A. would not be what it has become and what it continues to be. A company that has managed to operate for almost a century of
Quelle però erano epoche nelle quali si era abituati a far fronte a tutto e la capacità del nonno di muoversi con competenza in un universo in cui dazi e licenze la facevano da padrone, seppe dimostrare anche sui tempi lunghi la sua lungimiranza.
quando sostengo la necessità, per un’azienda come la nostra, di poter contare su maison davvero interessate alla qualità del vino, anziché su realtà esclusivamente mosse dal ricavo economico o dal ritorno di immagine che a esse può derivare dal possesso di qualche ettaro di vigna prestigiosa. Per contrastare questa deriva, sia pure nell’orizzonte di un’economia di mercato, occorre sostenere con decisione il tessuto vitivinicolo indipendente.
da una passione capaci di valorizzare appieno una materia prima connotata dall’eccellenza». «Quali sono – domando curioso – le caratteristiche che un vino deve avere per poter diventare un grande vino? ». La risposta è netta e non tradisce esitazioni: «Pur riconoscendo alla tecnologia di aver profondamente segnato la produzione vitivinicola, quel che non è cambiato è proprio ciò che rende un vino grande: la qualità del terroir, l’orientamento dei vigneti, il lavoro in vigna.
dal nonno e dallo zio, non abbiamo finora mai avuto l’esigenza di contare su fidi bancari, così come a seguito della rigorosa gestione del nostro presidente Giusto Lusso, con noi da oltre cinquant’anni, possiamo contare su una clientela affidabile nelle scadenze e puntuale nei pagamenti. Credo dunque ci siano tutte le condizioni perché i miei figli possano gradualmente prendere in mano le redini dell’azienda e, in sintonia con richieste di mercato decisamente diverse dal passato, condurla verso nuovi traguardi».
Il marchio indelebile lasciato da Amerigo Sagna all’azienda di cui fu il fondatore, oltre che aleggiare sensibilmente negli spazi che fanno da sfondo al nostro conversare, trova eco anche nelle parole del nipote: «Senza il nonno e senza lo zio Ernesto, che ha dato un grandissimo impulso alla società, la Sagna S.p.A. non sarebbe quella che è diventata e quella che continua a essere. Un’azienda che è riuscita a superare quasi un secolo di storia, che ha travalicato ostacoli e fasi di stallo, che ha contrastato crisi durissime e momenti di incertezza, che è riuscita ad aggirare efficacemente congiunture sfavorevoli e difficoltà inattese. E che ha dimostrato di saper navigare in questo mare tutt’altro che calmo con una maestria che può anche stupire, ma che per la nostra famiglia è il semplice frutto di un approccio alla vita che ci accompagna da sempre. Quasi una sorta di eredità, lasciataci da coloro che ci hanno preceduti e a cui essere fedeli ci sembra del tutto naturale».
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E proprio questa dinamicità, impressa all’azienda fin dal suo nascere, sarebbe forse stato il segreto del suo successo e della sua durata».
buono un’emozione. È questo che difendo
Comincio a intuire la ragione per cui della Sagna S.p.A. si sente parlare come di un’azienda il cui marchio è sinonimo di eccellenza. Puntare sul meglio in questo contesto, in cui eleganza e sobrietà si sposano perfettamente, sembra un imperativo categorico radicato in un passato che continua a guidare il presente:
«Per noi, sul piano della rappresentanza e della vendita, esistono solo prodotti di qualità. Ma non è sufficiente. Devono anche essere dei prodotti di nicchia legati a realtà indipendenti ed estranee alle multinazionali, visto che sono proprio queste ultime a essere diventate la scheggia impazzita del mondo del vino d’élite. La loro disponibilità finanziaria le mette in condizioni di acquistare a prezzi spropositati importanti maison, ma il loro interesse per il vino e i distillati in quanto tali è nullo. E il risultato di queste acquisizioni è, in definitiva, una perdita di identità e un’omologazione dei vini con cui non vogliamo avere nulla a che fare». Lo interrompo: «Mi colpisce la passione che la infiamma quando parla della qualità del vino». Il suo viso è attraversato da un lampo. Poi, sorridendo, reagisce: «Vorrei fosse ben chiaro. Per me il vino non è una religione. E nemmeno una filosofia. Il vino è un piacere, e quando è davvero
Nell’interesse autentico di quest’ultimo per la qualità del vino riecheggia infatti il respiro stesso della storia, capace di rendere davvero intenso il piacere e l’emozione legati a un grande vino».
Bisogna sottrarsi all’illusione che un buon vino si possa fare in cantina: il lavoro in quest’ultima, per quanto importante, può togliere al vino molti difetti, forse addirittura tutti i difetti. Ma non riesce ad aggiungergli nemmeno un pregio.
La passione che lega Massimo Sagna al mondo del vino ha del resto radici antiche, rese ben solide quando, ancora giovanissimo, decise di andare a imparare i segreti dello champagne lavorando per un anno come operaio nella terra delle bollicine per eccellenza: «Vivere per un
E dunque la qualità di un grande vino – e lo dico forte di un’esperienza pluridecennale sul campo – non è mai determinata in modo sostanziale dalla cantina, mentre è imprescindibile dalla forza che gli deriva dal terroir, dall’orientamento del sole nel lambire i filari del vigneto, dalla cura con cui il processo di maturazione dei grappoli viene seguito».
anno intero a contatto col mondo dello Champagne, nelle allora indipendenti cantine Perrier-Jouët, fu indubbiamente per me un’esperienza straordinaria. Superare le iniziali diffidenze
dei compagni di lavoro, tentare invano di stare al passo con i ritmi vorticosi e quasi frenetici dei remueur professionisti, invidiare chi riusciva a fare rapidamente e con estrema precisione il dégorgement à la volée, mi ha dato una volta per tutte il senso di quanto nel mondo del vino di qualità si lavori per non lasciare nulla al caso e di come una buona bottiglia nasca da una ricerca e
Sto per domandargli come vede il futuro dell’azienda di cui è alla guida, ma vengo prevenuto: «Vede, è proprio su questa qualità che la nostra azienda, ormai da generazioni, ha puntato tutto. E per gestire la qualità occorre evitare passi falsi. In questi anni c’è chi ha insinuato che la nostra strategia aziendale sia troppo sabauda. Può darsi, ma finora ha dato risultati eccellenti. Grazie soprattutto alla solidità impressa all’azienda
«Ha già idea – lo sollecito con un’ultima domanda – di quali possano essere questi traguardi?». Non risponde subito, come se il futuro fosse qualcosa di cui toccherà ad altri occuparsi. Ma non si sottrae: «Le cose che andavano bene fino a ieri, forse oggi potrebbero non andare più bene. Pensi alla mixology: un mondo cui mi sono avvicinato con molte perplessità, per poi essere però costretto a riconoscere che la professionalità dei bartender odierni, al di là del loro abbigliamento o delle loro acconciature, è davvero straordinaria e capace di aprire, ai prodotti rappresentati dalla nostra azienda, spazi di mercato nuovi e per nulla estranei alla ricerca di qualità che da sempre perseguiamo. Questa partita però, che non possiamo non giocare e che sono convinto sapremo vincere, dovrà necessariamente avere come protagonisti i miei figli. È impensabile che un’azienda intenzionata a fare seriamente i conti con il proprio futuro non sia guidata da persone capaci di capire fino in fondo l’epoca in cui vivono».
i a M
the markets, in the historic heart of the city or in the Marina, in the best inns and trattorias, desserts to be enjoyed in bars, pastry shops and bakeries or delicacies that are strictly to be bought in the stalls of the alleys and alleyways ... the important thing is to remember that Palermo is no place for those on a diet!
a z n e s e r i t r ir pa di Cinzia Taibbi fotografie di @ Pasquale Spinelli
Nel celebrare Palermo Capitale della Cultura Italiana per il 2018,
non potevamo esimerci dal passare in rassegna anche un po’ della gastronomia cittadina passando, con un veloce volo pindarico, i piatti della tradizione palermitana e altri che segnano il cambiamento di una radicata cultura alimentare che comunque si basa su materie prime di altissima qualità . Sappiate che a Palermo si mangia non bene, ma benissimo e se mai riusciste a dire il contrario, avrete sbagliato città .
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In Sicily every culinary preparation is a history book which should be known and tasted where the various types of food are re-elaborated into a fusion cuisine that was ahead of its time, a cuisine that celebrates the cultural integration that had already become a reality in about 1100 when Palermo was a cosmopolitan city. It’s street food to be tasted in
Ho menzionato tradizione palermitana, e non siciliana, perché a distanza di pochi chilometri cambiano dialetti, tradizioni e, quindi, elaborazioni culinarie. E allora iniziamo questo pantagruelico viaggio, ricordando che i cibi sono come gli abiti: ci sono quelli di ogni giorno, quelli della domenica e quelli delle feste comandate! In Sicilia ogni preparazione di pietanza è un libro di storia da conoscere e degustare; cibi che risalgono alla notte dei tempi, tramandati dalla memoria orale di migliaia di generazioni che si sono alternate ai fornelli rielaborandoli in una cucina fusion anzitempo che celebra l’integrazione culturale divenuta realtà già a partire dal 1100 (circa), quando Palermo era una città cosmopolita e le moschee dividevano lo spazio con chiese e sinagoghe. A celebrazione di questo patrimonio vi porto per mano in un tour gastronomico che abbraccia i cibi di strada da assaggiare nei mercati, nel centro storico o alla Marina, magari alzando gli occhi e trovandosi, tra un boccone e l’altro, dentro una carrozza, nel bel mezzo di un ballo o sotto il palchetto della musica, dal quale eleganti musici intrattenevano la passeggiata fuori porta dell’aristocrazia cittadina. Pani ca meusa, cibo tipico dello street food palermitano, nella versione schietta o maritata. Un panino di forma rigorosamente rotonda viene imbottito con milza, preumi, polmoni, e scannaruzzatu (trachea di vitello) cotti nello strutto (ovvero sugna, saimi) e serviti schietti (con la sola aggiunta di caciocavallo grattugiato a filini e/o limone strizzato) o maritati (con aggiunta della virginea ricotta).
Panelle, schiacciatine di farina di ceci fritta e crocchè di patate, ovvero impasto di patate, cipolla e prezzemolo, ovviamente fritte, chiamate anche cazzilli per la loro singolare forma. Le citiamo insieme perché a Palermo il panino si fa cu panelle e crocchè! Potete anche aggiungere gocce di limone fresco. Sfinciune, focaccia morbida con pomodoro, cipolla, acciuga, caciocavallo, origano e un filo d’olio. Questa volta cotta al forno. Lo trovate a un euro o poco più dai venditori ambulanti di sfinciuni, che si muovono da una via all’altra di Palermo a bordo di una moto-ape (lapino in palermitano) al grido di scarsu di ogghio e cchinu ri pruvulazzo (con poco olio e molta polvere!). Purpu, polpo fresco bollito, tagliato a tocchetti, da gustare irrorato di abbondante succo di limone. Si trova sulle bancarelle delle località di mare e nei mercati storici di Palermo accostato spesso al cicireddo, pesce azzurro di piccole dimensioni (fritto). Il purpu può anche essere degustato a Mondello, la vicina borgata marinara, passeggiando tra il Liberty palermitano e deliziandovi con i ricci di mare freschi e pane della zona. Frittola, avanzi di carni non meglio definite e cartilagini animali, fritti nello strutto (saimi) e serviti in un foglio di carta oleata o in mezzo a un panino. Quarume (in brodo di sedano, carota e pepe a grani), si tratta di interiora di manzo o di vitello (ventra, ziniere, matruzza e centopelli) che dopo una lunga bollitura danno vita a un piatto prelibato. Stigghiola, ovvero budella di capretto, agnello o mucca, vendute a stecca ovvero arrotolati nello scalogno e nel grasso. Vengono preparate su una griglia e condite con sale e limone. Babbaluci, pietanza da “passatempo” legata al festino di Santa Rosalia che ricorre il 15 luglio. I babbaluci ovvero le lumache, si fanno prima spur-
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Arancine, ossia “palle” (grandi quanto una mano e ovviamente fritte in padella) di riso cotto con zafferano e ripiene di ragù se sono alla carne, di burro, prosciutto e mozzarella, se sono al burro.
Adesso la sezione Seduti a tavola. Andate in un’osteria o trattoria. Le migliori le troverete chiedendo ai venditori ambulanti, ai cocchieri, ai putiara (negozianti), a chi di Palermo, insomma, ne capisce. Pasta con i broccoli arriminati, è uno dei piatti palermitani per eccellenza dove arriminato significa mescolato e deriva dall’atto del continuo mescolare che serve a rendere cremoso questo condimento fatto di broccoli, cipolla, uva passa, pinoli, zafferano e sarde salate che rendono il piatto forte e gustoso. La pasta tipica è il bucatino, capace di accogliere tutto il condimento dal dolce connubio di sapori. Importante: a Palermo, chiamiamo broccolo ciò che in altre parti d’Italia è il cavolfiore! Verdure in pastella (pastella di farina, lievito e sale), ovvero cardi, carciofi o cavolfiori. La frittura in pastella venne importata in Sicilia dagli Arabi, probabilmente influenzati dai Cinesi, grandi estimatori della pastella. Questi ortaggi, di solito, vengono serviti per antipasto. Anelletti al forno ovvero, pasta al forno! Piatto tipico delle domeniche dalla nonna, delle festività e delle antiche giornate al mare per la sua caratteristica di essere un piatto unico e di facile trasporto (perché prende la forma della teglia). È un laborioso piatto di origine saracena che si prepara alternando uno strato di ragù ben ristretto, melanzane fritte, uova sode e fette di formaggio (caciocavallo fresco). Quaglie di melanzane, melanzane fritte, tagliate in altezza a listarelle, ma lasciate attaccate alla base, come un fiore. Essendo tipiche della cucina povera il nome serviva a imitare qualcosa che nel piatto non c’era. Sarde a Beccafico, si tratta della rielaborazione popolare di un piatto di uccelletti arrosto tipico della cucina aristocratica: non potendosi permettere di acquistare i beccafichi, le massaie ne riproducevano la forma arrotolando su se stessi i filetti di sarde e imbottendoli di pangrattato e pinoli. Involtini, ovvero sottilissime fette di carne, passate nell’olio e nel pangrattato, quindi avvolte intorno a un ripieno di caciocavallo fresco, in tempi moderni anche di salumi. Gli involtini vengono infilzati in uno spiedino alternandoli a fette di cipolla e foglie d’alloro. Involtini di melanzane, rotolini realizzati da melanzane fritte farcite con prosciutto, formaggio e altri ingredienti a scelta! Caponata di melanzane, frittura in salsa agrodolce con pomodoro, olive, capperi, sedano e pinoli. Pasta ca n’ciova, pasta condita con una salsa ottenuta soffriggendo aglio, olio, sarda salata (sarde essiccate e sotto sale), estratto di pomodoro e mantecata con mollica di pane atturrata (abbrustolita). Pasta chi sardi, con le sarde, finocchietto selvatico, uva passa e pinoli. Anche qui si aggiunge la mollica atturrata al momento di servire. Secondo la leggenda, la ricetta fu inventata dal cuoco al seguito dell’esercito arabo che, durante la campagna di conquista siciliana, avendo a disposizione solo pasta e delle sarde non molto fresche, pensò di dissimularne l’odore utilizzando il profumatissimo finocchietto che cresceva selvatico nelle campagne isolane. Che sia dopo pranzo, merenda o colazione, siete ormai pronti per entrare nel girone dei dolci! Li potete trovare un po’ ovunque: bar, pasticcerie e panifici, meglio se nelle zone del centro storico. Ricordatevi: a Palermo la frittura inizia a colazione Sfince fritte, dette anche sfince di San Giuseppe, morbidissimi e lievitati impasti dolci fritti, coperti e ripieni di crema di ricotta e gocce di cioccolato, guarniti con pistacchi tritati e una ciliegia candita. Cannolo, cialda di pasta fritta ripiena di crema di ricotta di pecora con gocce di cioccolato e guarnita con scorze d’arancia candite o ciliegie candite.
Cassata, è l’emblema storico-culinario di Palermo. La sua origine risale al IX-X secolo a opera degli Arabi: le mandorle, la vaniglia e la cannella, ingredienti cardine della cucina saracena, vennero abbinati alla locale ricotta di pecora. Successivamente gli Spagnoli aggiunsero il pan di spagna, i Normanni la copertura con un impasto tra zucchero e farina di mandorle, infine gli Angioini e gli Aragonesi introdussero i canditi. Iris con ricotta, uno dei dolci che i palermitani amano gustare a colazione (ma anche in qualsiasi ora del giorno): un involucro di pasta morbida che racchiude un’abbondante ripieno di ricotta, il tutto sigillato da una panatura esterna croccante e fritta. Nasce nella pasticceria del cavaliere del lavoro palermitano Antonio Lo Verso che, nel 1901, in occasione della prima dell’opera Iris di Pietro Mascagni, diede questo nome sia alla sua pasticceria a Palermo in via Roma (divenuto poi luogo di ritrovo di personaggi prestigiosi), che al suo dolce. Frutta martorana, pasta di mandorle che prende il nome dal convento della Martorana, che nel periodo normanno creò la pasta reale, impastando farina di mandorle, albume d’uovo e zucchero, lavorandola a forma di frutta e colorandola con tinte molto forti e allegre. Pupaccena, statuette cave a forma di uomo, fatte di zucchero indurito e dipinto, che rievocano figure tradizionali quali paladini di Francia, ballerini e personaggi tipici del teatro dei pupi siciliani. Si regalano ai bambini per la sera dei morti.
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gare e devono essere cucinate il giorno prima. La ricetta più diffusa è quella con aglio e prezzemolo, ma vi è anche la versione con il sugo di pomodoro.
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Cuccia, il cui nome deriva da cocciu che in siciliano vuol dire chicco e ricorda il miracolo di Santa Lucia che liberò la città dalla carestia nel 1646, facendo arrivare nel porto un bastimento carico di grano. La gente che aveva sofferto la fame, non aspettò di macinare il grano, ma lo bollì immediatamente aggiungendo solo un filo d’olio, creando così la cuccia. La cuccia è quindi grano cotto e poi condito secondo i propri gusti: con cioccolata, “biancomangiare” ovvero budino di latte, zucchero e dadini di zuccata oppure ricotta. Gelato, è il miglior pranzo estivo dei palermitani. Una brioche con gelato di infiniti gusti; la brioche viene tagliata nella circonferenza e riempita di gelato fino a rimanere aperta per metà. Ahimè, è giunta l’ora di lasciarci, non vi resta che una lunga passeggiata tra vicoli e vicoletti: ma ricordate, anche qui c’è un codice da seguire, perché la passeggiata va accompagnata da altro cibo, da acquistare rigorosamente nelle bancarelle.
Marco Piraino
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Calia e simenza, preparazione tipica da intrattenimento siculo, composta da ceci e semi di zucca. Viene preparata e consumata, sia in estate che in inverno, in tutta la Sicilia in occasione delle feste patronali e per accompagnare le passeggiate sottobraccio. Si parla più ampiamente di scaccio quando nel coppo di carta c’è un misto più completo di frutta secca ovvero mandorle, arachidi, noci, pistacchi, anacardi, nocciole, semi di girasole… Torrone di mandorle, chiamato minnulata, è un croccante di mandorle caramellate. È consuetudine sgranocchiarlo prevalentemente durante il periodo natalizio.
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Caramelle carruba, caramelle tipiche della pasticceria siciliana preparate cuocendo a fuoco lento la carruba con miele o zucchero.
La cucina siciliana, pur rimanendo legata ai valori dei mangiari di strada e a piatti unici e inimitabili che l’hanno resa grande a livello mondiale, si è arricchita di contaminazioni e tendenze acquisite da altre culture che, in qualche modo, hanno modificato la tradizione stessa andando incontro ai nuovi gusti di un consumatore che, in questa isola, è attento in modo particolare alla qualità delle materie prime. In questo scenario mai statico, se pur ancorato a basi irrinunciabili, si inseriscono le rivisitazioni gastronomiche di alcuni Chef emergenti. Uno di questi è il palermitano Marco Piraino. Nuovi colori e accostamenti, quadri futuristi incorniciati da un piatto e mescolanze di materie prime di indubbio legame storico e di altissima qualità abbinata a metodi di cottura moderni rendono il suo lavoro quanto mai originale. Questo giovane “manager del gusto” e non Chef, come ama definirsi, è molto legato alle sue origini siciliane che quasi sfacciatamente rilancia in chiave moderna, pur partendo dal recupero degli elementi fondamentali della dieta mediterranea, del benessere naturale, dell’alimentazione consapevole e della gastronomia sostenibile. Piatti particolarmente colorati per l’insieme dei prodotti utilizzati, condimenti che esaltano i sapori piuttosto che nasconderli, insomma una sensazione di freschezza a tutto tondo anche nelle sue più elaborate versioni.
1. Di Terra e Mare
Il piatto, nella sua semplicità e complessità, è un omaggio agli elementi naturali e alla vita. Fuoco = Tuorlo Terra = Grano/Patata/Capperi/Olio Acqua = Riccio di Mare Aria = Spuma di mare Ingredienti: uovo di gallina, uova di ricci, polvere di capperi, patate, zafferano, nero di seppia, olio extravergine.
2. “Davanti la porta del Polpo”
A chi non è mai capitato almeno una volta di vedere l’ingresso della tana di un polpo?! Ammesso che il polpo sia un animale di estrema intelligenza, a me piace ricordarlo così, come un interior designer che orna l’ingresso della sua casa con ciò che più gli piace. Ingredienti: conchiglioni di grano duro, ricotta di bufala, gambero rosso, crema di polpo e ceci, olio extravergine.
Ricordatevi prima di partire che Palermo non è un luogo per chi fa una dieta.
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3. “Passeggiata sui Nebrodi”
Il piatto nasce dall’intenzione di catturare un “suono naturale” che ormai, a causa dell’eccessivo inquinamento acustico, la maggior parte di noi ignora, quando in realtà, in un suono apparentemente così semplice, si nasconde il passaggio dalla vita (la morbidezza dei germogli) alla morte (le foglie secche). Ingredienti: 3 consistenze di ceci, funghi, salsiccia di suino nero, germogli, polvere di verdure, pane.
4. “Il sogno di un tortellino”
Il piatto nasce dallo stato d’animo di un tortellino bolognese che sogna la ricchezza di una materia prima di qualità, come quella siciliana, e il tepore del sole del sud. Ingredienti per la sfoglia: farina di grano duro siciliano, strutto, zucchero, vaniglia, limone; per il ripieno: fior di Garofalo (formaggio a pasta molle fiorita Siciliano), marmellata di fichi al mandarino verde, nocciole dei Nebrodi. Marco Piraino
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Cuccidato, il dolce siciliano delle feste natalizie è il Buccellato (cucciddatu), un involucro di pasta frolla che racchiude dentro un ripieno che ha come base i fichi essiccati al sole d’estate, ma a questo viene aggiunto un po’ di tutto a seconda della “ricchezza” della famiglia. Il Buccellato prodotto nelle pasticcerie ha la forma di una ciambella, spennellato di marmellata e decorato con frutta candita; quello casereccio invece è confezionato in forme più piccole e arricciate perché il buccellato deve avere le corna! Si serve coperto semplicemente di zucchero a velo o di glassa bianchissima tempestata di “diavulicchi”, codette di zucchero multicolori che richiamano la forma della coda dei diavoli del castello della Zisa.
I.P.
Employing organic farming techniques, with planting systems of 4,000 to 7,000 vines per hectare and harvesting of the fruit by hand, the Nuti family, which has owned wine estates for more than a century of land in La Regola in the municipality of Riparbella, has placed its focus on high quality. The new winery is only the latest investment that the company has enacted in order to convey its philosophy, that is aimed at preserving and enhancing a unique and unspoiled land where respect for the ecosystem remains one of the primary objectives. Among the various experiments that the company has carried out over time, is the one that was started 10 years ago to make a sparkling Brut. Then began the adventure with the Manseng grape variety that yielded the first sparkling base in 2008.
una regola il manseng e le sue bollicine Claudio Mollo
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fotografie © Claudio Mollo
Il suggestivo territorio di Riparbella, che vede il fiume Cecina scorrere per gli ultimi chilometri prima di sfociare in mare, è da sempre stato ritenuto ideale per la vite. Le numerose anfore vinarie di epoca etrusca, rinvenute nella zona, meglio conosciuta come necropoli di Belora, rappresentano non solo un reperto archeologico risalente al VII secolo a.C., ma una vera e propria testimonianza che lega indissolubilmente la coltivazione della vite a questi paesaggi. Il sodalizio etrusco si ripete ancora oggi. Con tecniche di agricoltura biologica, sesto d’impianto da 4.000 a 7.000 ceppi per ettaro
e raccolta manuale del frutto, la famiglia Nuti, proprietaria da oltre un secolo di terreni in località La Regola, punta sull’alta qualità. La nuova cantina è solo l’ultimo degli investimenti che l’azienda ha messo in atto per trasmettere la sua filosofia, tesa a preservare e valorizzare una terra unica e incontaminata dove il rispetto dell’ecosistema resta uno degli obiettivi primari. La famiglia Nuti ha sempre avuto un rapporto speciale con la terra. Dal padre Rolando, che fondò nel 1931 una ditta agromeccanica, che tutt’oggi porta il suo nome, Luca e
Come da tradizione sulla Costa, oltre al Sangiovese e al Vermentino, nell’azienda si coltivano vitigni francesi che ben si sono adattati a questo particolare microclima. Tra le varie sperimentazioni che l’azienda nel tempo ha portato avanti, c’è quella, iniziata 10 anni fa per realizzare uno spumante Brut. Un’idea che nasce principalmente dalla passione per le bollicine dei due fratelli Nuti, nonostante la tradizione storica di famiglia sia sempre stata rivolta ai vini rossi. L’emozione di voler provare a superare i limiti del territorio pensando a uno spumante realizzato con un microclima profondamente diverso dalla classica situazione di terroir e microclima nel quale in genere crescono le uve da spumante, in questo caso sulla costa, ad appena 50 metri sul
livello del mare. Quindi, fatte le dovute valutazioni e dopo un accurato report fatto al vivaista francese che da anni affianca l’azienda con le migliori barbatelle di vitigni con i quali La Regola produce i suoi vini di punta, parte l’avventura con la scelta del Manseng, un vitigno singolare e molto interessante per la realizzazione di uno spumante. Il clone più adatto è decisamente quello con l’acino più grande che presenta una spiccata acidità, adattissimo quindi a essere spumantizzato. Un progetto ambizioso, che presto avrebbe portato l’azienda a produrre per primi uno spumante con questo vitigno. Il Manseng, messo a dimora nel 2003 in due ettari iniziali, regala la prima base spumante nel 2008 e a quel tempo, insieme al Manseng concorreva anche una percentuale di Chardonnay, percentuale che è andata man mano riducendosi fino all’odierna produzione. Da 2.000 bottiglie si è passati a 10.000 per un prodotto venduto dopo 36 mesi di permanenza sui lieviti, nessun tipo di dosaggio e con la sboccatura, come unica fase della lavorazione, fatta a macchina. Un “Brut Nature”, di spiccata personalità, che presenta un bellissimo perlage, fine e persistente, al naso spiccano note agrumate e fruttate; floreale quanto basta per renderlo ancora più gradevole a tutti i palati. In bocca entra morbido e mantiene un’ottima persistenza. Un prodotto che trova una sua felice collocazione al consumo, nel panorama dei bianchi toscani di maggior consumo e in particolar modo tra le bollicine più interessanti prodotte in Toscana.
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Flavio hanno recepito, stando a contatto con alcune fra le più importanti aziende vitivinicole di Bolgheri, l’importanza del vino e del territorio della Costa Toscana e del fascino imprenditoriale che ne seguiva. Nel 1990 nacque l’azienda vinicola, la prima nel comune di Riparbella, e nel 1997 furono prodotte le prime bottiglie di vino, cui seguì, nel 1998, l’uscita del vino simbolo, il Cru “La Regola”. Da allora Luca, agronomo, si occupa della parte vitivinicola e produttiva e Flavio, avvocato, della parte amministrativa, commerciale e della comunicazione. Nei 20 anni di produzione è diventata sempre più forte la necessità di realizzare una nuova cantina, ecosostenibile e alimentata a energia solare, ideale per trasformare e affinare i vini rigorosamente biologici, che si armonizzasse con l’ambiente circostante.
EMANUELE VALLINI
fotografie © Claudio Mollo
e la sua cucina
«I was born with the cuisine of the sea – stated Emanuele Vallini, the chef and manager of La Carabaccia restaurant in Bibbona, in the province of Livorno - food that I love deeply and that over time I have tried to know more and more about it, cooking seafood in all the possible and imaginable ways, then meat arrived and with this as well I embarked upon an interesting food and technical path, until I started to successfully cook with pleasure every part of the animal, including the "fifth quarters", of which many of my dishes bear the stamp". The restaurant, which has been open for 8 years, also hosts another dream of Emanuele, the Officina Vallini: a space all of his own, where he offers fast but always high-quality dishes, served on a single table, where diners eat one next to
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another, like old style trattorias.
Claudio Mollo
Emanuele Vallini è uno Chef dai tanti punti fermi in quanto a filosofia culinaria, una mano interessante, che firma piatti di notevole valore aggiunto. Una cucina che non scivola mai nel banale e non va mai oltre certi limiti, ma è buona, equilibrata e ricca di sapore. «Io nasco con la cucina di mare – dice Emanuele – alimento che amo profondamente e che nel tempo ho cercato di conoscere sempre più, lavorandolo in tutti i modi possibili e immaginabili, poi è arrivata anche la carne e anche con questa ho iniziato un interessante percorso alimentare e tecnico, fino ad arrivare a lavorare con piacere e successo ogni parte dell’animale, “quinti quarti” compresi, di cui molti dei miei piatti portano il segno».
La Carabaccia
Emanuele si può trovare in giro per il mondo a portare il suo messaggio gastronomico oppure nella cucina del suo ristorante, La Carabaccia, situato sulla via principale di Bibbona, in provincia di Livorno, dove insieme alla moglie Ornella, sommelier e responsabile della sala, gestisce un intimo e accogliente locale nel quale trovano posto pochi clienti, accolti sempre con grandi cure e attenzioni. Dopo la Scuola Alberghiera frequentata all’Isola d’Elba, arrivano i primi lavori
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l’Officina Vallini: uno spazio tutto suo dove offrire piatti veloci ma sempre di alta qualità, serviti su un unico tavolo mangiando uno vicino all’altro, stile vecchie trattorie. Uno spazio che lo Chef, quando il lavoro glielo permette, condivide con le persone speciali, gli amici che sente più vicini, cucinando e mangiando con loro, a riflettori spenti. Un angolo di locale più semplice, più diretto che lui adora particolarmente, che vede come una scatola magica dalla quale far saltare fuori le idee più belle e divertenti, da utilizzare anche per la Carabaccia, con una veste diversa, ma anche no! Carabaccia e Officina, sono due ambienti intimi e raccolti, nei quali si torna volentieri, coccolati da un’atmosfera cordiale, un servizio che, visto il numero ridotto dei coperti, è molto curato. Una clientela fatta soprattutto di affezionati e stranieri di passaggio. Molti i proprietari di aziende vinicole della zona che hanno fatto della Carabaccia il loro punto di riferimento per i piaceri del palato, somministrati con grande entusiasmo dallo Chef e il suo staff: Mirko Verardi, il “secondo storico” di Emanuele, e Tony Uccello, altro validissimo cuoco. Un trio unito e performante, che non manca mai di stupire i fortunati ospiti in cerca di cose buone, con una cucina in continua evoluzione.
EMANUELE VALLINI
stagionali in zona e, raggiunti i 18 anni, lavora con Valtur, in Italia e all’estero. Poi locali in Liguria e ancora altre esperienze con gli hotel della catena Orient Express, insomma i contatti con tante filosofie culinarie e i tanti modi di interpretare la cucina non sono mancati, forieri di quello che poi sarebbe stato il suo esordio come Chef/patron dell’attuale ristorante. In questi ultimi anni, molte le comparse in TV e impegni su importanti navi da crociera. Due parole anche sulla Carabaccia, il ristorante di Emanuele, che esiste ormai da 8 anni, all’interno della quale, qualche anno fa ha preso vita un altro piccolo sogno di Emanuele,
L’estate futuristica e tropicale di Fendi
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Photos courtesy Fendi HAIR-DO ARTIST: Sam McKnight MAKE-UP ARTIST: Peter Philips
Summer is finally here. The heat takes off layers of clothes from our bodies and accessories, make up and hairstyle become the main keys which define our style. This year it is absolutely forbidden to be plain. It is time to have fun. Colors, glitters and patterns are the main trends of the season. Fendi, for example, proposes futuristic and tropical looks, with colorful hair, cat-eyes with eyeliner, pointed flat shoes and high heels and amazing hand bags that look like artworks.
Debora Lupi
Tendenze accessori, make up e capelli proposte dalla maison per la bella stagione L’estate ci spoglia, la temperatura sale, la pelle si colora. Finalmente osiamo soddisfare quella brama di scoprire i nostri corpi di donna, per troppi mesi seppelliti sotto strati di indumenti. A volte basta un abito e via: siamo pronte per uscire. Ma è proprio nella bella stagione, quando siamo libere, che i piccoli dettagli acquisiscono più importanza. Meno cose ma importanti, anche il make up e capelli diventano più che mai il nostro biglietto da visita così come le borse, le scarpe e gli accessori diventano ancor di più i pezzi che compongono il puzzle del nostro stile. Quest’anno le tendenze mettono il minimalismo al bando. Il look estivo per il 2018 è un trionfo di colori e glitter, con chiome colorate, makeup ricchi e accessori che diventano opere d’arte. Il risultato è un effetto super scintillante e divertente. Tra le proposte più alternative e accattivanti troviamo quella di Fendi.
Per la collezione moda donna Spring/Summer 2018 le modelle hanno sfoggiato un look ispirato a un futuro immaginario, con acconciature ed eyeliner dalle linee grafiche e dai colori del cielo e del mare. Borse e scarpe hanno un design unico e all’avanguardia. Ogni outfit è un cocktail tropicale di cui gli accessori costituiscono gli ingredienti più succosi. La borsa per Fendi non è altro che un vaso di Pandora le cui meraviglie, tuttavia, sono state liberate diventando parte del vaso stesso. Le dimensioni vanno dallo small-medium all’extra large e i modelli propongono mix azzardati dal sapore tropicale e rock, con pelli metalliche, borchie e frange. Le tinte unite dalle tonalità vivaci lasciano talvolta il posto a pattern floreali e tartan. Poi ritorna il classico logo della doppia F, ripetuto in sequenza geometrica su tutta la superficie della borsa (o su parte di essa). Non mancano le iconiche tracolle Strap You e piccoli charm monte, banana e palma che accentuano il carattere tropical chic della collezione. Borse composite, dunque,
che aggiungono allo stile quell’invidiabile fattore X che lo esalta e distingue. I modelli più interessanti visti in passerella sono stati la Mon Trésor, il mini secchiello in una lussuosa pelle esotica impreziosita da dettagli metallici che debutta proprio nella passerella SS 2018, e Runaway, la nuova tote trasparente in tartan con manici arrotondati. Le scarpe sono super elaborate e rigorosamente a punta. Flat o con tacco largo o in rattan, décolleté e ballerine sono aperte dietro con cinturino e sono decorate con perline metalliche, pattern in tartan e cinghie da surf. Le modelle indossano, inoltre, calzini sottili, con righe alla caviglia, che amplificano l’effetto grafico e visivo creato dalla sovrapposizione di materiali e colori nelle scarpe. Parola d’ordine è osare. La semplicità piatta di pelletteria monocolore non piace a Fendi per questa stagione.
Last but not least, il make up conclude la cornice estetica del nostro essere. Il viso diventa tela e le palette sono le tavolozze da cui attingere i colori. I trend per l’estate 2018 vedono un unico protagonista: gli occhi. La pelle è diafana, il contouring superato. L’attenzione è focalizzata sullo sguardo e ombretti ed eyeliner tornano in primo piano. Fendi opta per una linea scura di color ottanio che delinea il contorno della palpebra, creando un effetto “occhio di gatta”, ma dalla lunghezza più estrema e la forma geometrica. Le labbra, d’altra parte, sono lasciate al naturale. Solo un velo di balsamo lucido per renderle succose e idratate, senza che peraltro rubino la scena agli occhi. Questa è l’estate tropicale futuristica di Fendi. E voi cosa aspettate a sperimentare questo vortice di forme e colori?
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E semplici non sono nemmeno hairstyle e makeup. I capelli, lisci, sono ordinati in una coda bassa. Ma a questa, che di base è una tra le più classiche acconciature, viene applicata una ciocca colorata che scende solo verso un lato dalla riga. Le tonalità utilizzate sono quelle marine e vanno dal verde acqua al celeste, per poi sfumare in nuance quasi violacee e grigiastre. Tali tinte alternative, un tempo viste come anticonformiste e piuttosto punk, sono oggi largamente apprezzate da donne di ogni età che si divertono a osare colori insoliti sulle loro chiome. E questa tendenza continuerà a dipingere i nostri look estivi.
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Vale la pena
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Ilario Piscioneri, one of the stars of Italian tailoring and president of the Italian Academy of Tailors, the oldest guilds of tailors in the world, had a very ambitious project: to create a school in the penitentiary of Rebibbia that would train prisoners to be tailors, to become craftsmen able to excel at the national level. "The initiative - the master tailor tells us – has immediately enjoyed a huge success inside the prison" and has continued wonderfully and with the passionate involvement of the inmates who, once they have finished the three-year course, can continue in their commitment thanks to the creation of the Made in Rebibbia brand, "a company that will give a professional follow-up to those who have followed the course and who have naturally completed their prison sentence".
«Quando sono entrato per la prima volta in quell’aula e ho cominciato a lavorare con i ragazzi devo dire che mi sono messo le mani nei capelli»
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Ricuciamolo insieme.
Accademia Italiana
dei Sartori
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Potrebbero essere le parole di un qualunque professore al suo primo giorno di scuola. E invece no. O meglio, non esattamente, perché a guardare bene, un po’ di scuola c’entra pure. E anche il termine “ragazzi”, sebbene i frequentatori di questa “classe” un po’ speciale abbiano un’età che varia dai 28 ai 50 anni, possiamo infilarcelo. «Poi però qualcosa è cambiato. La volontà che ho visto negli occhi di quei ragazzi, mi ha fatto capire che il potenziale che avevo davanti era immenso». Chi parla è Ilario Piscioneri una delle eccellenze della sartoria italiana, presidente dell’Accademia Italiana dei Sartori, la più antica congregazione di sarti del mondo. E la classe? Chi frequenta questa classe? Beh, qui la storia è un po’ diversa, nessuna eccellenza, nessun curriculum mirabolante. Anzi potremmo addirittura dire che se esistesse un curriculum “al contrario”, qualcuno che primeggia lo avremmo senz’altro. Eh già, perché i “ragazzi”, come li chiama Ilario, sono i detenuti del carcere di Rebibbia. «Il progetto – prosegue Ilario – è nato nel 2016. Era un po’ che mi domandavo dove sarebbe andata a finire tutta l’esperienza che avevo accumulato in sessanta anni di sartoria. E allora ecco che il caso, o forse il destino, mi ha messo davanti a una possibilità che per me è diventata una sfida. Creare all’interno di un carcere una scuola che formasse dei sarti». Ma non piccoli sarti che lavorano in un sottoscala per poche centinaia di euro. No, la sfida era quella di formare delle eccellenze in grado di primeggiare a livello nazionale. «Ciò con cui mi volevo veramente confrontare però – racconta il Maestro – era la provocazione di portare a termine tutto questo in un ambito che avesse un valore etico/sociale molto alto, qualcosa che fosse un riferimento per tutto il settore dell’artigianato». E così, forte della conoscenza della Direttrice del carcere di Rebibbia a Roma, che ha subito appoggiato il progetto, il nostro Ilario si è rimboccato le maniche e, coadiuvato dall’Accademia Italiana dei Sartori, ha cominciato a dar vita alla sua idea. Ha preso contatti con istituzioni, mobilitato amici, trovato nella BMW Roma lo sponsor che ha curato la parte economica, una ditta di tessuti, la Drapers, che ha fornito le stoffe, e infine i sarti che si sono prestati a fare da maestri. A questo punto, una volta trovato lo spazio all’interno del carcere si è cominciato ad allestire l’aula/laboratorio. Macchinari, banchi da lavoro, un impianto di aria condizionata e perfino uno
di videosorveglianza. Il progetto dunque diventava realtà. Tutto ciò succedeva nel corso del 2016. Nel luglio dell’anno dopo veniva indetta una conferenza stampa in cui si annunciava che il 28 settembre avrebbero avuto inizio le lezioni per couturier dentro di uno dei maggiori carceri italiani. «L’iniziativa – continua il Maestro sarto – ha avuto immediatamente un grande successo all’interno dell’istituto di pena. Abbiamo selezionato oltre cento domande, ridotte poi a trenta, che si sono concretizzate, infine, in una classe di quindici persone e altrettante pronte a entrare nel caso ci fosse qualche defezione». E come procede? Ci viene da chiedere. La risposta del grande sarto è immediata, quasi di getto. «Meravigliosamente, i ragazzi si sono dimostrati subito vogliosi di imparare e pieni di un talento inaspettato. Pensi che alcuni di loro, dopo soli tre mesi, sono già alla loro seconda giacca. Ma c’è di più, la passione di questi ragazzi è tale che quando il sabato e la domenica non c’è lezione, si esercitano in cella da soli.
Drogati di sartoria. Anche se l’espressione, dato il contesto, può apparire un po’ forte, è proprio ciò che mi dicono quando parlano della nuova attività che stanno imparando». Il corso dura tre anni. E dopo? Anche stavolta Ilario risponde di getto: «Il bello viene proprio dopo – dice sorridendo soddisfatto –. Il progetto, infatti, prosegue con la creazione di un marchio che si chiamerà Made in Rebibbia, un’azienda che darà un seguito professionale a quanti hanno seguito il corso e naturalmente terminato il proprio periodo di pena». Siamo arrivati alla fine di questa magnifica favola e ci viene da chiedere un’ultima cosa a Ilario, e cioè che cosa resterà non tanto al sarto, ma all’uomo Ilario Piscioneri di questa straordinaria iniziativa. «C’è un detenuto – racconta senza riuscire a nascondere l’emozione – un cosiddetto fine pena mai, che per me è un grande talento, tra i migliori, senz’altro, della scuola. Tempo fa aveva fatto domanda per essere trasferito nel penitenziario di Porto Azzurro dove avrebbe goduto di una maggiore libertà. Bene, ora, pur avendo ottenuto l’agognato trasferimento, ha deciso di rimanere a Rebibbia per continuare il suo lavoro da couturier». Si ferma un attimo Ilario, l’impressione è che sia davvero emozionato. «La soddisfazione di essere forse riuscito a dare una chance a chi di chance sembrava non ne avesse più – dice infine il maestro –, ecco che cosa mi resterà».
Photographer: Antonio Barrella Styling: Lucia de Grimani Post produzione: Studio Orizzonte
Fotografie © Stefano Guidani stefanoguidani.com
Com’è avvenuto il suo passaggio da rugbista a giardiniere in Tv? «Sono nato a Catania: la mia famiglia aveva una casa in campagna lontano dal frastuono cittadino. Svegliarsi con il canto degli uccellini e stare a contatto con la natura non ha prezzo; quei colori che spaziano dal verde al blu non mi hanno mai abbandonato, e così ho deciso di dedicarmi alla mia più grande passione, quella per il giardinaggio. Attualmente ho un’azienda agricola che si chiama I Scecchi (in dialetto siciliano vuol dire “Gli asini”) e una fattoria alle porte di Roma, a Nepi, e non cambierei per nulla al mondo la vita tranquilla che conduco adesso». Cosa producete? «Miele e zafferano, che vendiamo anche sul web con la Zafne, (zafferano supremo di Nepi), ma l’attività che sto intraprendendo adesso ha a che fare con gli asini. Sto per lanciare una cooperativa che si occupa di onoterapia, un’attività terapeutica assistita, conosciuta come pet-therapy, che aiuta in particolare i bambini che sono affetti da disparate patologie: sto chiedendo di poter accogliere i degenti più piccoli ricoverati in ospedali come il Bambin Gesù di Roma, in modo che abbiano la possibilità di alleviare le sofferenze nel corso della loro malattia. L’asino è un animale perfetto per entrare in contatto e in empatia con il paziente: mi sono recato fino a Ragusa con la mia compagna per scegliere personalmente le mie asine, di cui due incinte. Ora sono una decina e insieme alle caprette tibetane fanno parte integrante della nostra famiglia».
Andrea Lo Cicero si racconta in sella a un asino che gli ha cambiato la vita.
Il Barone dei Giardini è tornato. Simona Cangelosi Lo guardo e nei suoi occhi vedo il gioco di squadra, lo spirito di appartenenza, l’energia, quella elettricità del confronto fisico e mentale che si sviluppa nel rugby che è stata per lui una scuola di vita. Lo guardo e vedo le geometrie degli schemi mentali di un guerriero di altri tempi che mi sorride e si apre senza timori per mostrare ciò che è. Poche occhiate nelle quali mi invita
a fare altrettanto, a rilassarmi per ritrovarmi a dialogare con un vecchio amico che non vedo da tanto tempo, come si fa nel “terzo tempo” mettendosi davanti a una birra. Così mi ritrovo a fare qualche domanda ad Andrea Lo Cicero, definito, probabilmente il più forte prima linea del rugby italiano degli ultimi vent’anni. Lo incontro mentre segue il giro ciclistico d’Italia, nella
sua Sicilia. Un passato da rugbista: ha giocato negli Amatori Catania, passando per Roma, Bologna, L’Aquila e Tolosa, per finire come allenatore nella S.S. Lazio. Ben 103 presenze nella Nazionale italiana, fino all’anno del suo ritiro avvenuto nel 2013. Dal 2014 conduce una rubrica di giardinaggio su Sky Uno.
Lei è stato chiamato a far parte della giunta Raggi come Assessore allo sport, ma ha rinunciato subito dopo all’incarico, perché? «Penso che la politica debba essere svolta per fini nobili, senza dover mai abbandonare la missione di dover rappresentare i più deboli e la gente comune. Mi chiamano “Il Barone” perché ho davvero delle ascendenze nobiliari, ma la mia famiglia, e in particolare zio Michele (che mi ha avviato al rugby quando ero un ragazzino), mi hanno insegnato dei valori di cui ho fatto tesoro per tutto il corso della mia vita, ovvero rispetto, umiltà e onestà, e di andare sempre avanti a testa alta. Ho cinquantacinque punti in testa, però non ho mai abbandonato il campo per infortunio». Quali sono i suoi hobby? «Sono un appassionato di tutti gli sport, in particolar modo la vela, sono infatti di ritorno da una regata a Palma di Majorca, in Spagna. Amo anche il ciclismo, di cui sto seguendo la tappa del Giro d’Italia in Sicilia, la Agrigento-Santa Ninfa, come testimonial del Ride Green sull’ecosostenibilità. Al più presto riprenderò la mia trasmissione Giardini da incubo, dove posso
dar sfogo alla mia creatività e dare utili consigli ai telespettatori che non hanno il pollice verde: sarà in onda a breve dal lunedì al venerdì alle 19.45 su Sky Uno. Diciamo che di ogni passione ne ho fatto un lavoro: nel 2015 sono stato nominato Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica, non mi aspettavo di ritirare questa onorificenza così importante, sono rimasto piacevolmente sorpreso e felice per aver ricevuto questo titolo che mi è stato conferito per attività sociali, filantropiche e umanitarie. Spero che molti giovani possano seguire il mio esempio sia nello sport che nella vita perché sono loro il futuro del nostro Paese». Qual è il suo motto?
«Agisci come un cavaliere antico e il fato ti sarà sempre amico».
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Andrea Lo Cicero, 42 years old and a former professional rugby player with as many as 103 appearences in the Italian national team, has since 2014 been conducting a program on gardening column on Sky Uno television, Giardini da Incubo (Nightmare Gardens). «I was born in Catania: my family had a house in the country far from the noise of the city. Waking up with the singing of birds and being in contact with nature is priceless; those colors that range from green to blue have never left me, and so I decided to devote myself to my greatest passion, that for gardening. Currently I have a farm called I Scecchi (in Sicilian dialect it means “The Donkeys”) as well as a farm on the outskirts of Rome, in Nepi, and I would not change the quiet life that I lead now for anything”. He produces honey and saffron and is also about to launch a cooperative that will deal with pet-therapy for children suffering from a myriad of different illnesses.
francopugi.com
di Franco Vergnano
Arriva dall’Australia la guru emergente della nuova economia collaborativa
Italian Fashion Leather & Goods 100% HANDMADE in Italy
RACHEL BOTSMAN
without Franco Pugi’s bag life is nothing
Rachel Botsman, the emerging “guru” of the new “collaborative economy” as well as a world-renowned expert on the convergence of trust and technology, explained how hi-tech brought us together in the first phase, but how it might also divide us today, revolutionizing personal relationships as well. «This is because the sharing economy is booming, fueled by the sharing of cars, apartments, and skills among consumers ». It is one of the most profound social transformations in the history of mankind. “While - says Rachel Botsman - we formerly used to give our trust to well defined and recognized institutions such as governments and banks, today we increasingly rely on others, who are often completely unrelated, on platforms and technologies such as the blockchain. This new era of trust might bring with it a more transparent, inclusive and responsible society. But on one condition, though. That of doing things right”.
RACHEL BOTSMAN: DI CHI POSSIAMO FIDARCI? PERCHE’ L’HI-TECH CHE CI HA UNITI POTREBBE DIVIDERCI
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La fiducia è una cosa seria. Una frase di altri tempi, per alcuni un pay off pubblicitario e analogico degli anni settanta (Galbani, n.d.a.). Un topos che sembrerebbe ormai in via di estinzione, tanto da entrare svagatamente nel pour parler delle persone, che lo pronunciano raramente perché privo di credibilità. Nell’epoca dei Bitcoin (monete potenzialmente pericolose) e della blockchain Online (materia ancora misteriosa ai più), sulla scena del business la parola suddetta riassume valore, ancor più davanti alla comparsa di altre tipologie di convertitori di valute e di nuove monete, ormai arrivate a oltre 990. Ecco rispuntare che, con altra veste e con altra funzione, la fiducia influenza e capitalizza la reputazione di chi la evoca. Del resto nel mondo della sharing economy, dove tutto, a partire dall’informazione, si fonda sulla condivisione, chi e che cosa può vantare migliore fama e valore se non colui che gode di una fiducia ampia, diffusa e riconosciuta? Sento ripetere sempre più spesso la definizione di viral marketing, ma che cos’è, in accezione positiva, se non la trasmissione della fiducia in qualcosa o qualcuno attraverso il passaparola? Oggi lo studio della fiducia (“trust” in inglese) è assurto al rango di disciplina. Una materia che vede nell’australiana Rachel Botsman, una quarantenne affascinante di fama mondiale, la consulente e saggista, nonché “guru” emergente, della nuova “economia collaborativa”. Bubble’s l’ha incontrata a Milano in occasione del suo tour europeo di conferenze, che ha toccato la città meneghina, dedicate ai top manager dell’industria e dei servizi sull’evoluzione socio-economica dei mercati. D’obbligo la prima domanda su cosa beva, dal momento che l’Australia è un produttore ed esportatore di vini. La Botsman però non ha dubbi: «Quando devo brindare a qualcosa, un successo, oppure celebrare un’occasione particolare – racconta senza problemi – preferisco le “bollicine” Made in Italy». E specifica sicura, al di là di ogni aspetto diplomatico, essendo ospite in Italia: «No question about it!». Botsman, un marito e due figli, ha già ricevuto numerosi riconoscimenti mondiali come “keynote speaker” di incontri e riunioni d’affari. I suoi interventi non sono mai banali e spesso danno il via a dibattiti molto vivaci e controversi. È un’esperta di fama mondiale sulla convergenza tra fiducia e tecnologia. Sostiene, dati
alla mano, che l’hi-tech in una prima fase ci ha uniti, ma ora potrebbe dividerci. E, in ogni caso, è destinata a rivoluzionare anche le relazioni personali: «Questo avviene perché l’economia della condivisione è in pieno boom, alimentato dallo sharing tra consumatori di automobili, appartamenti, competenze». Gli esempi? Non mancano: da Airbnb a Uber, Blablacar per non parlare di Buzz Feed , attivo nelle news, di ogni ordine e grado. Insomma, qualcosa di profondo sta cambiando il nostro concetto di fiducia. Sta emergendo un nuovo ordine mondiale. Una delle trasformazioni sociali più profonde nella storia dell’umanità. Dice Rachel Botsman: «Mentre eravamo soliti dare la nostra fiducia a istituzioni ben definite e riconosciute come governi e banche, oggi facciamo sempre più affidamento negli altri, spesso del tutto estranei, su piattaforme e tecnologie come la blockchain. Questa nuova era di fiducia potrebbe portare con sé una società più trasparente, inclusiva e responsabile. A una condizione, però. Quella di fare le cose per bene». La fiducia non è più di natura locale o istituzionale ma è diventata “fiducia distribuita”, conclude Botsman. Un nuovo paradigma, reso possibile da tecnologie innovative, che sta riscrivendo le regole di vivere, lavorare e consumare. «Questo cambiamento – è la sintesi – rappresenta al contempo un pericolo e una straordinaria opportunità. Con una domanda chiave alla base: di chi vi potete fidare?».
Location - Events - Banqueting - Flowers
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fiori e sapori NEL BISTROT
di Mario Barnabone
Via Montebello, 7 - 20121 Milano - 02 29014390 - info@fioraiobianchicaffe.it - www.fioraiobianchicaffe.it
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Il sapore unico di un bistrot d’altri tempi.
PARIGINO DEI MILANESI
C’è un posto a Milano, nella vecchia Brera, dove il tempo rallenta davvero: il Fioraio Bianchi Caffè. Nato 40 anni fa come bottega fioraia per le composizioni del signor Raimondo Bianchi, il locale si è arricchito nel tempo anche di un caffè dall’atmosfera intima e di un ristorantino dalla cucina raffinata.
There is a place in Milan, in the old Brera, where time really slows down: the Fioraio Bianchi Caffè. Born 40 years ago as a florist shop for the compositions of Mr. Raimondo Bianchi, the place has also been enriched over time with a Café with an intimate atmosphere and a restaurant with refined cuisine. The result is a floral workshop and bistrot of yesteryear, an urban oasis with a decidedly bohemian style, as the food critic François Simon would say: “A small theater, one of the last in the city where customers show off and talk with strangers, where real encounters take place”. All is surrounded by flowers and their scents, which you can always buy and take home.
Il risultato è un laboratorio floreale e bistrot d’altri tempi, un’oasi urbana dallo
stile decisamente bohemien, come direbbe il critico gastronomico Fracois Simon: «Un piccolo teatro, uno degli ultimi della città dove i clienti si mettono in scena e parlano con sconosciuti, dove avvengono incontri veri». Il tutto circondati dai fiori e dal loro profumo, che si possono sempre acquistare e portare a casa.
È il 1970 quando Raimondo Bianchi apre la sua bottega nel cuore di Milano. Con caparbia originalità va alla ricerca dell’anima dei fiori attraverso bouquet ricercati e scenografici, richiamando dalle sue vetrine una clientela curiosa. Sono passati quasi 15 anni da quando al fioraio si sono affiancati un caffè e il bistrot, con un’evoluzione naturale operata con lungimiranza dal nuovo proprietario Antonio Mirigliano. È come se l’atmosfera intima della bottega si fosse allargata ad accogliere amici e persone con cui condividere caffè, dolcetti deliziosi e merende gourmand gustati con calma, fino al conforto di due chiacchiere davanti ai piatti e ai sapori raffinati proposti dal menu.
L’atmosfera unica.
Il valore aggiunto del caffè sono tutti gli elementi che riportano le persone in armonia con la terra: fiori, caffè, cibo. La stessa cura usata per studiare e accostare i fiori si sente nell’atmosfera parigina, fatta di arredi originali, e nelle golosità ricercate ma leggere. La selezione dei pezzi di arredamento in stile retrò è ispirata a un rinomato cafè parigino. Nelle sale piccole dai colori caldi e le pareti délabré, tra i soffitti a volta con il cotto a vista e i tavolini di ferro battuto, si respira un’aria elegante ma autentica e accogliente, che profuma di fiori e rende la location adatta a shooting e piccoli eventi privati unici nel loro genere. L’accento francese di René, il direttore di sala, completa il quadro da accogliente bistrot di una volta.
Cosa mangiare
. Al Fioraio Bianchi Caffè si viene per un pranzo informale o una cena elegante, ma anche per rilassarsi e fare due chiacchiere in tutta tranquillità davanti a croissant e frolle accompagnate da un caffè prima di cominciare la giornata, o per condividere un calice di vino della fornitissima carta e stuzzicare all’aperitivo a fine lavoro.
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Fioraio o caffè?
La cucina, leggera e gustosa, è un gioioso incontro di tradizione e materie prime italiane con un tocco internazionale. Da poco è in mano all’estro di Robbie Pepin, Chef pluripremiato e braccio destro di Alain Ducasse, che completa l’allure originale del Fioraio Bianchi Caffè.
Eventi e Banqueting,
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l’atmosfera del Fioraio si diffonde. Da che ce ne sia memoria, la famiglia Mirigliano è sempre stata amante del buon cibo, delle materie prime ricercate e della socialità. Queste caratteristiche, unite all’unicità riconosciuta del Caffè, hanno creato una naturale evoluzione dei servizi anche al di fuori del bistrot. Catering di alto livello, allestimenti scenografici con le sue famose composizioni floreali, collaborazioni con enti culturali come il Teatro Manzoni e il Franco Parenti di Milano per eventi su misura e la recente gestione dell’atmosfera e della ristorazione ai Bagni Misteriosi, sono alcuni esempi di come si può gustare un pezzo unico di “Parigi all’italiana”.
© Roberto Merlo
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EUROFLORA
di Simona Cangelosi
Vedere le migliori produzioni florovivaistiche italiane e straniere, come quelle di Francia, Spagna, Stati Uniti e Cina, cui la manifestazione è particolarmente legata dal gemellaggio con Pechino previsto per la prossima edizione, è un’esperienza da non mancare. L’evento, davvero unico per la presenza di oltre 27.000 aziende florovivaistiche che occupano più di 100.000 addetti, grazie a una tradizione risalente ai primi dell’Ottocento, ha come sua protagonista l’Italia, in grado di primeggiare nella produzione di fiori e piante ornamentali. Né questo appare strano visto che i parchi e i giardini da cui sono rese uniche ville, castelli, dimore storiche e paesaggi del nostro Bel Paese, si fondono con le radici storiche e culturali di una terra potenzialmente destinata a essere una meta turistica d’eccellenza.
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Visiting Euroflora, in addition to the extraordinary experience of being able to enjoy the very best of Italian and foreign flower nursery production - there are 27,000 companies involved in the project – is also an opportunity to grasp the fragility of the "green" ecosystem in which we live and the importance biodiversity, that is protected by floriculture. It is a floriculture that is today protected by a recent Italian law. The delicate balance of the "green" ecosystem requires that a great deal of attention be paid to preventing the management of tree and flower production systems from compromising the ecosystem’s stability.
Il florovivaismo incide molto sulla biodiversità, tutelata oggi da una recente normativa italiana.
circostante, rispecchiandosi nel Lago delle Ninfee, imprimono all’acqua una limpidezza cristallina capace di renderla, in pieno accordo con la natura, fonte di quiete e di pace. E la varietà delle 150 ninfee che vi galleggiano, rigenerandosi senza sosta, divengono il simbolo di una perenne rinascita capace di richiamare una bellezza senza tempo.
© Gaia Cambiaggi © Roberto Merlo
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Essa registra più di 2.000 specie che, appartenenti a diverse famiglie botaniche e grazie a specifiche condizioni climatiche trasformate in piante ornamentali sia da interno sia da esterno, incidono non poco sulla qualità della vita nelle nostre case e nelle nostre città. Un esempio? I boschi verticali che ormai, integrando conservazione ambientale e il design architettonico, assecondano la crescente esigenza di poter contare su un sempre più necessario “verde urbano”.
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Sono molte le regioni italiane che, secondo peculiarità proprie, si distinguono per le loro produzioni florivivaistiche: dalla Liguria alla Campania, note per la produzione di fiori e fronde, fino alla toscana Pistoia e alla lombarda Mantova, famose invece per il vivaismo ornamentale arbustivo e forestale. E non mancano nemmeno piccole perle d’importazione, come l’albero del Kashmir e piante acidofile che crescono ormai perfettamente sul Lago Maggiore, nelle isole Borromee, sposandosi del tutto naturalmente col paesaggio nostrano. Così come a giocare un ruolo di primo piano restano le essenze delle piante aromatiche e ortofrutticole del Mediterraneo, da sempre alla base di una dieta mediterranea che tutto il mondo ci invidia.
Visitare Euroflora tuttavia, oltre che un’esperienza straordinaria, è anche l’occasione per cogliere la fragilità dell’ecosistema “verde” nel quale viviamo. Il suo delicato equilibrio impone infatti una grande attenzione mirata a evitare che la gestione di questi sistemi produttivi ne comprometta la stabilità, destinando lo stesso pianeta a un futuro di incertezza e di precarietà ecologica. Ecco perché, soprattutto in questo specifico settore, diviene prioritario non perdere mai di vista la sostenibilità, come del resto accade già per larga parte delle produzioni florovivaistiche italiane, divenute col tempo a basso input energetico, in grado di poter contare su poca acqua e, grazie alla loro capacità di fare da schermo acustico e di abbattere le polveri sottili, capaci anche di migliorare la qualità della nostra vita.
Germinazioni: la Terra Una sequenza di quinte vegetali, connotate da pareti di verde verticale dove specie di diverso colore si intersecano in modo suggestivo, fanno da scenario a un’installazione artistica volta a esprimere la prorompente vitalità della terra. Realizzata dall’artista Giuseppe Carta, noto per le sue sculture già esposte sia alla Biennale di Venezia sia all’Expo di Milano, l’opera d’arte è costituita da un insieme di venti peperoncini rossi in bronzo e resina policroma che germinano in modo inarrestabile dalla terra di cui sono il frutto.
3 In Italia il settore vivaistico rappresenta oltre due terzi della produzione mondiale, ed è composto soprattutto da alberi e arbusti, la cui richiesta nazionale e internazionale, nel corso dell’ultimo biennio, appare in forte crescita. I dati sul commercio estero infatti, elaborati da Ismea su fonte Istat, indicano un aumento del 10% dell’export: la produzione delle aziende florovivaistiche italiane risulta così pari a 2,5 miliardi di euro, cifra suddivisa in oltre 1,1 miliardi per fiori e piante in vaso e 1,4 miliardi per alberi e arbusti.
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© Roberto Merlo
I quattro elementi delle installazioni al Parco di Nervi di EUROFLORA: Red Wave: il Fuoco Lunghe fiamme rosse si distendono sull’erba fino a lambire la sommità del grande prato, dominata da una fioritura rossa che visivamente richiama l’elemento naturale cui è dedicata questa installazione. A determinarsi è dunque un grande impatto visivo nel quale a spiccare è il contrasto tra le 14.000 piante di margherite rosse e il fondo verde puntellato di fioriture. I petali delle corolle aperte, che con i loro colori ricordano il sole e che appaiono circondati da farfalle variopinte, evocano così un fuoco di artificio rosso che si apre nel cielo, quasi a evocare una serata di festa estiva. Lago delle Ninfee: l’Acqua. È nella figura del cerchio, pura e perfetta, di uno specchio d’acqua artificiale che l’acqua trova la sua piena espressione. I colori del cielo e quelli del fiorito paesaggio
© Roberto Merlo
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Labirinto: l’Aria L’ondeggiare degli alti papaveri rossi, che avvolge il labirinto sorto dall’intersecarsi dello sfondo del mare coi binari di una ferrovia, trasmette la sensazione di essere avvolti da una leggera e vitale brezza marina. A essere centrale in questo spazio è il Bouquet de Coquelicots Suspendus, opera la cui identità è rappresentata da 21 papaveri sospesi, frutto della mente creativa di Alain Micquiaux, artista noto per i suoi aquiloni e le sue sculture animate dal vento. La resistente solitudine del papavero, nel suo legame con antichi miti, diviene il segno della grazia capace di fiorire anche in angoli remoti e abbandonati.
Vini
Sostenibili Cantina di Vicobarone ha ottenuto il riconoscimento da parte del Ministero dell’Ambiente e di V.I.V.A. (Valutazione
dell’Impatto
della
Vitivinicoltura
sull’Ambiente), di due etichette garantite: il Gutturnio
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D.O.C. frizzante e la Malvasia Colli Piacentini D.O.C. frizzante, con i quali ha dimostrato ridotti impatti ambientali della fase agricola (vigneto), dell’intera filiera di trasformazione (cantina), fino alla commercializzazione.
V.I.V.A.
SUSTAINABLE W I N E
VIGNETO
“Genua”
ACQUA
TERRITORIO
ARIA
VICOBARONE (PC) Via Creta, 60 - Tel. 0523 84 01 45 PIACENZA Via E. Pavese, 280 - Tel. 0523 48 05 00 www.cantinavicobarone.com
EUROFLORA 2018
© Roberto Merlo
Etichette certificate V.I.V.A.
Investire sul vino italiano del futuro: viaggio nelle potenzialità dei territori “outsider” tion in investments in the wine sector during these last two years in Italy. Important wine estates have made acquisitions that have enabled them to broaden the wine offering and to make the best use of their organizational structure. The acquisitions by the Terra Moretti Group in Italian areas and those of Teruzzi & Puthod in Tuscany are quite important. These are undoubtedly interesting choices that show how investments in this specific sector are linked to the search for less “prestigious” winegrowing areas, whose considerable potential has not been fully expressed yet.
investimenti nel settore vitivinicolo. Si sono così registrate, da parte di aziende importanti, acquisizioni capaci di aumentare la loro offerta enologica e di sfruttare al meglio la propria struttura organizzativa. Significative sono, ad esempio, le acquisizioni del Gruppo Terra Moretti in vare aree italiane e quelle di Teruzzi & Puthod in Toscana. Scelte indubbiamente interessanti e che mostrano come gli investimenti in questo specifico settore siano legati alla ricerca di zone vitabili meno “prestigiose”, dove le notevoli potenzialità restano ancora in gran parte inespresse. Individuare l’appeal dei terroir “outsider” nelle diverse regioni italiane sarà così l’obiettivo del sintetico tour che cercheremo qui di proporre.
Fabio Piccoli fotografie di © Fabio Piccoli
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questi ultimi due anni in There has been a sharp accelera- In Italia vi è stata una forte accelerazione negli
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Sebbene reso famoso da una realtà vitivinicola come le Langhe, il Piemonte offre, soprattutto nel territorio del Gavi dei Colli Tortonesi, delle notevoli possibilità di sviluppo. Specialmente per i bianchi, come dimostrato dall’unicità del Timorasso, promosso da un testimonial del calibro di Valter Massa, e dal Cortese, la cui personalità e longevità rimangono ancora fortemente inesplorate, sebbene ormai già più che intraviste dalle prime esperienze di invecchiamento. Così come restano da scandagliare ancora, per questo vino, le sue effettive potenzialità in ordine alla spumantizzazione.
Veneto
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Pur chiamati a sopravvivere tra colossi del calibro del Prosecco, dell’Amarone,
del Soave e del Lugana, estremamente interessanti sembrano essere anche le carte capaci di essere calate in futuro dai veneti Colli Berici e Colli Euganei, rispettivamente collocati nel veronese e nel trevigiano. Nei primi l’esaltazione qualitativa di vitigni come il Cabernet Sauvignon, il Merlot e il Carménère si articola alla possibilità di puntare, in un paesaggio vitivinicolo tra i più belli e incontaminati del Nord Italia, su un vino identitario come il Tocai, oggi costretto a essere chiamato solo Tai. Nei secondi l’acquisita potenzialità di sviluppo dei vini bordolesi, anche qui in un contesto qualificato da una proposta termale di prim’ordine, si sposa con l’opportunità di connotare la produzione vitivinicola di questo territorio mediante il Fiore d’Arancio, vino dolce ottenuto dal Moscato Giallo e capace di risultare, nel suo ambito specifico, uno dei più intriganti d’Italia.
Emilia Romagna
In quel lembo di Emila Romagna tanto a nord-ovest da venire spesso confuso con la Lombardia, anche i Colli Piacentini sembrano destinati a un futuro vitivinicolo di prestigio. Qui ci sono tutte le condizioni ideali per produrre grandi vini, come evidenziato dal consenso già raccolto dalle produzioni di alcune aziende di punta e sebbene in queste terre la messa a punto di vini di qualità sia rimasta una sorta di “incompiuta”. Oggi, infatti, i tempi sono maturi per strappare all’incertezza questa progettualità, grazie anche a tipologie di vino che sembrano saper intercettare efficacemente le tendenze del mercato. Emblematici in questo senso sono, ad esempio, la Malvasia di Candia, l’Ortrugo e il Gutturnio. Il primo un vitigno
semi aromatico che consente di ottenere vini, sia fermi sia spumantizzati, che uniscono grande personalità a una bevibilità perfetta. Il secondo, troppo a lungo sottovalutato, capace con la sua acidità di rappresentare un’ottima alternativa al Prosecco. L’ultimo infine, destinato a farsi apprezzare all’estero nella sua versione vivace, anche da “fermo” potrà dire la sua nel confronto con altri rossi oggi più popolari.
Toscana
La notorietà assunta dal Brunello di Montalcino, ancora semisconosciuto quando negli anni settanta i fratelli Mariani ne intuirono le potenzialità, suggerisce che possano ancora esserci, proprio in Toscana, tante altre Montalcino. La prima, forse non così affascinante nel nome ma unica nella sua bellezza tutta maremmana, si chiama Montecucco. Qui, tra i territori vitati più incontaminati e selvaggi del nostro Paese, il Sangiovese ha trovato un suo habitat perfetto per esprimere al meglio sia la sua anima “potente”, sia soprattutto la sua natura “elegante”. Come del resto il paesaggio tipico di questa terra, che nel passare dal Mar Tirreno al Monte Amiata vede panorami e microclimi diversissimi succedersi in modo stupefacente. Analogamente inespresso rimane ancora, sempre in Toscana, il valore enologico della Maremma piombinese, nelle cui Colline Metallifere i principali vitigni francesi aspettano ancora di essere valorizzati come presumibilmente potrebbero e dovrebbero. Peraltro in un contesto tanto suggestivo da aver indotto un imprenditore come Vittorio
Moretti a costruirvi una delle cantine architettonicamente più belle d’Italia.
Abruzzo
Anche qui ad apparire tra i territori più promettenti sul piano vitivinicolo sembra essere un’area che, geograficamente collocata nella provincia di Chieti tra la famosa costa dei Trabocchi e lo splendido Massiccio della Majella, sembra avere tutte le carte in regola per dar vita a vini di qualità. Non è un caso che proprio in questa terra sia nato un produttore come Gianni Masciarelli, capace di intuire prima di molti altri come il Montepulciano d’Abruzzo avesse qui la sua culla d’elezione, riuscendo a darsi un’identità tanto specifica da assumere un appeal internazionale, sul piano sia della produzione sia della promozione, ancor tutto da far crescere.
Basilicata
Anche il Vulture, area vulcanica della Basilicata divenuta nota per i sentori dell’Aglianico, sembra essere pronto per sviluppare una produzione capace di entrare a pieno titolo nell’olimpo della vitienologia rossa mondiale. I suoi spazi in gran parte incontaminati, i suoi paesaggi unici, i suoi borghi storici, le sue tradizioni ancora autenticamente sentite da chi abita questa terra, lo rendono un territorio del quale il vino potrà in futuro diventare un prestigioso biglietto da visita, capace di esprimere in un sorso di sapori la complessità di un mondo in cui risuona ancora oggi l’autenticità di un affascinante passato.
Campania
Il solo pensiero della Campania, su un piano vitivinicolo, rimanda ormai immediatamente a prestigiose etichette di Falanghina e Greco di Tufo: due bianchi straordinari che dicono, senza necessità di troppe precisazioni, quanto questa sia una terra “baciata da Dio” proprio in quanto capace di dare vini bianchi nei quali eleganza e bevibilità trovano un connubio perfetto. E oggi la critica enologica, compresa quella più autorevole, si sta accorgendo che il grande profilo qualitativo raggiun-
to dai vini del Sannio è solo agli inizi e che in futuro le aziende capaci di posizionarsi come leader della produzione vitivinicola di quest’area si troveranno davanti immense praterie.
Sicilia
Attraversare lo stretto di Messina per raggiungere la Sicilia significa sbarcare su un vero e proprio “Nuovo Mondo” enologico. Certo l’universo del vino ha qui fatto in pochi decenni passi da gigante, ma i territori “outsider” non mancano di certo. E come non inserire tra questi i pendii scoscesi dell’Etna, nei cui evocativi paesaggi legati al più grande vulcano attivo d’Europa affondano le radici vitigni dai quali scaturiscono vini capaci di sedurre per potenza e raffinatezza, nei quali risuona la potenza di un magma antico e, contrariamente alla sua apparenza distruttrice, capace invece di rivelarsi fertile? O quello ragusano dove il Cerasuolo di Vittoria è stato in grado di costruirsi, a partire dalla particolarità di un vitigno come il Frappato, una personalità ancora troppo poco conosciuta e capace di dare in futuro grandi soddisfazioni? O infine l’agro ericino, sulle cui colline che scemano al mare guardando a isole ricche di storia i sapori dell’Erice passito suggeriscono sensazioni capaci di sedurre e di dire tutta la bellezza di un’isola sul piano enologico ancora ricca di opportunità?
Sardegna
Ed eccoci giunti, alla fine del nostro tour, nella terra italiana dove forse si respira con maggiore intensità la memoria di un passato le cui tracce sono ancora ben percepibili nell’aura quasi selvaggia che la circonda: la Sardegna. Le potenzialità enologiche di questi spazi non di rado lasciati incolti sono qui davanti agli occhi di tutti e non lasciano dubbi in merito. Come del resto attestano i risultati raggiunti qui dalle acquisizioni di terre da vino da parte di Sella & Mosca. Risultati paradossalmente raggiunti senza produrre, almeno al momento, una certamente remunerativa e auspicabile emulazione.
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Piemonte
Trani Why Trani? For what strange alchemy has this provincial town, even with its great historical past, especially linked to the sea, rightfully become, the focal point of gastronomy in Puglia?
B
di Pasquale Porcelli
ianchissima, splendente, protesa verso oriente. Questa è Trani con il suo porto, con la sua Cattedrale, forse il maggior simbolo architettonico romanico pugliese della Puglia, che sembra ergersi “sola contro il mare”.
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It is difficult to say why. Maybe because of the bewitching view of the port, especially at night, or because of the
warm, golden colors that the facades of the buildings take at some hours of the day; or perhaps because here as in no other place you have such an extraordinary quality/price ratio of the dining offering; or maybe because here, amongst these alleys and along the pier, time runs slowly and you find yourself staying up late without realizing it.
l'eccellenza dei sapori pugliesi
© Francesca De Leonardis
una stella, di colpo lo scenario ristorativo della città si illuminò portando alla luce quello che tutti ormai sapevano, ma di cui pochi avevano l’esatta percezione.
D’un tratto, sotto i riflettori della critica gastronomica nazionale, la città prese coscienza d’essere diventata la capitale dell’enogastronomia regionale. Improvvisamente la bella addormentata si svegliò dal suo torpore; il bacio di quel-
la stella innescò una reazione a catena che ancora oggi non ha concluso il suo effetto. Ma perché Trani? Per quale strana alchimia questa cittadina di provincia, sia pure con un grande passato storico, soprattutto legato al mare, è diventata, a pieno titolo, il punto focale della gastronomia in Puglia? Difficile rispondere. Sarà forse per la suggestione che crea la veduta del porto, specie di notte, sarà il colore caldo e dorato che in alcune ore del giorno prendono le facciate dei palazzi; sarà perché qui hai un rapporto qualità/prezzo dell’offerta ristorativa come da
Memorie Tonno rosso, foie gras e dettagli
nessuna altra parte; sarà per il fatto che, fra questi vicoli e lungo il molo, il tempo scorra lento trovandoti a tirar sino a tardi senza accorgertene.
Trani è un complesso cittadino unico, articolato, fantastico dove vi è sempre qualcosa da scoprire: dal ghetto ebraico con la sua antichissima sinagoga, ai suoi palazzi nobiliari, austeri ed eleganti, testimoni di uno storico passato. Il successo gastronomico non è casuale, è frutto di un processo evolutivo lento ma costante, che dura da anni, figlio di un insieme di ristoratori identificabili con locali quali Corteinfiore, Gallo, la Banchina, Le lampare al Fortino e Torrente Antico, che hanno voluto e saputo dare valore a questa cittadina ricca di bellezze monumentali, architettoniche e paesaggistiche come poche altre in Puglia. Una concentrazione dalla quale è scaturito un movimento di intellighenzie ristorative che sembra inarrestabile, alle quali si sommano nuovi e prestigiosi
chef stellati, come Lo Basso. Un ritorno alle origini per lui che è pugliese e non è sicuramente un caso che abbia scelto per il suo debutto questa città e il suo lungomare, dando di fatto un riconoscimento diretto al livello qualitativo raggiunto dalla ristorazione di questa città. Il bello attira il buono e viceversa, creando un circuito virtuoso che si auto genera, ma attenzione, basta poco per rompere l’equilibrio; a questo punto perseverare nella scelta di una ristorazione sempre più di qualità non è solo una necessità, ma un obbligo nei confronti della stessa città. Della città si hanno notizie certe a partire dal IX secolo, quando, dopo la distruzione di Canosa da parte dei saraceni, fu dichiarata Sede Vescovile.
Qui, nel 1063 furono promulgati gli «Ordinamenta maris», che costituiscono il più antico codice commerciale marittimo del Medioevo.
Quintessenza Ravioli di razza e menta, piselli e mandorle
Oggi Trani amalgama il retaggio dell’antica struttura urbana di stampo medioevale con quello di epoche a noi più vicine, ma il suo centro storico evoca l’influenza della Serenissima veneziana. Quando Venezia s’impossessò delle vie del mare e i Crociati mossero alla conquista della Terra Santa, Trani, come altri porti della Puglia, fu una delle principali teste d’imbarco degli eserciti crociati, affermandosi quale importante centro di traffici commerciali e di scambi culturali tra l’Oriente e l’Occidente.
Il porto divenne anche un punto focale per l’esportazione del vino pugliese che affluiva nelle osterie di tutta Italia, ma in particolare in quelle di Milano. Qui avvenne la consacrazione di un binomio che Giorgio Gaber riportò nella sua canzone Trani a gogò, alludendo con questo titolo a quei locali “in” frequentati dalla classe operaia della cittadina lombarda.
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È la città più turistica del litorale nord barese. Il centro storico cinge il porto ed è sempre un crocevia di persone di ogni nazionalità che trovano accoglienza in piccole ed eleganti strutture, oltre al piacere di soddisfare le loro curiosità gastronomiche nei numerosi locali e pizzerie, così come in un nutrito numero di ristoranti capaci di proporre un altissimo livello di cucina in una vetrina ambientale tra le più belle ed eleganti d’Italia. Quando qualche anno fa il ristorante Quintessenza dei giovanissimi fratelli Di Gennaro ottenne dalla guida Michelin
I.P.
fotografie © Marcello Paternostro
Bubble’s è ancora insieme allo spettacolare Circuito dei Gran Galà per la XVI edizione del
Blues & Wine Soul Festival
Il più grande Wine Music Festival nel mondo qual’ è? Il Blues & Wine Soul Festival di Joe Castellano, giunto quest’anno alla sua XVI edizione. Serate di musica e di grandi galà che si svolgeranno in affascinanti e prestigiosissimi hotel e resort, come il Metropole di Taormina (31 luglio), Le Calette di Cefalù (primo agosto), il Verdura Golf Resort di Sciacca (10 agosto), ma anche in meravigliosi club estivi sul mare, come il Lounge Beach Restaurant nella splendida Scala dei Turchi (27 e 28 luglio) e in alcuni dei più bei borghi antichi della penisola italiana.
Una grande official band del Festival, diretta da Joe Castellano, che integra special guests americani provenienti da formazioni leggendarie, come Earth Wind & Fire, Michael Jackson, Wilson Pickett, Bruce Springsteen, Santana, Withney Houston, che si alterneranno, nelle serate, a tanti altri grandissimi nomi del blues e del soul internazionale. Un insieme di fenomeni musicali che quest’anno vedrà, fra gli interpreti, anche la grandissima star inglese Sarah Jane Morris e i suoi grandi chitarristi Tony Remy (ex Sting, Annie Lennox) e Tim Cansfield (ex Ray Charles, Elton John, Prince, Steve Winwood e 10 dischi con i Bee Gees…) oltre a una vecchia conoscenza del Jump e dello Swing alla Lou Prima, come il sassofonista-cantante Ray Gelato, unitamente ai suoi travolgenti “The Maniacs”. I nomi della musica si uniranno a quelli del vino, di cui già si menzionano: Milazzo Vini, Bisol, Maeli, Carlo Hauner, Feudo Disisa, Alessandro di Camporeale, Feudo Principe di Corleone, Colomba Bianca, Planeta e diverse etichette delle “bollicine” che il Festival proporrà al grande pubblico assieme ai media-partner della rivista Bubble’s Italia.
A circuit of the "Beauty" and of flavors, where Bubble's could not fail to be present, that accompanies on stage the greatest artists of world music and the best wines of our Peninsula: the Blues & Wine Soul Festival of Joe Castellano, now in its 16th edition. A tour that from Sicily crisscrosses Lazio and Umbria, enflaming the lovers of life with its great galas or with its great nights of soul.
Il Blues & Wine Festival infiammerà con i suoi gran galà o le sue grandi notti del soul gli appassionati della vita
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Il circuito della “Bellezza” e dei sapori, dove Bubble’s non poteva mancare, che accompagna in scena i più grandi artisti della musica mondiale e i migliori vini della nostra splendida Penisola. Un condensato di emozioni, sensazioni e profumi dove le note musicali di artisti prestigiosi rallegrano, in un clima di piacevole convivialità, offrendo ai gastronauti e agli appassionati del buon gusto l’opportunità di incontrarsi e condividere momenti unici. Un tour che dalla Casa Florio all’Arenella di Palermo, scelta per dare un omaggio alla storia della grande famiglia siciliana, conduce alle piazze di bei borghi storici della Sicilia (Comitini, Sciacca, Naso), fino nel Lazio, a Civitella d’Agliano, e nell’Umbria per infine tornare al sito Unesco della Valle dei Templi di Agrigento.
© Sergio Visciano
di Marco Ongaro
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Scultura o pittura: fotografia
The traveling exhibition Statue Vive (Living Statues) – which is being prepared for the summer of 2018 in the Museo Archeologico dei Campi Flegrei (Archaeological Museum of the Phlegraean Fields) – is by Sergio Visciano, a geologist and photographer, who has given rise to a hybrid that perhaps represents only the evolution and ultimate convolution of the aesthetic challenge between painting and sculpture. It is through photography that the reconciliation of the two arts has been sought and Sergio Visciano, has been searching for the «intimate message that derives from the innerness of the statues through the shooting of movements in his photographs in the direct phase and the subsequent simple elaborations», exhibiting the result in places in which these statues stand by right, claiming the power of reconciliation by means of the pictorial tools of photography that the Avant-garde had alienated for decades. Photography becomes painting in penetrating the “too many facets at once” of sculpture and investigates how solely twodimensionality knows how to create that inner dimension of the “industriously turned” stone.
Charles Baudelaire riflette sulla scultura nel Salon del 1846 e usa la «punta affilata dell’Infinito» per porre a confronto due arti che forse non andrebbero mai confrontate: la pittura e la scultura. Non senza una forte dose di snobismo da prototipo dandy, il poeta liquida la scultura con la sufficienza che un miliardario accorderebbe a un supermercato discount. «Vediamo tutti i popoli intagliare molto abilmente dei feticci assai prima di accostarsi alla pittura», scrive. Pittura «che è un’arte di profondo ragionamento, e della quale non si può neanche godere senza una speciale iniziazione». L’articolo di Baudelaire si intitola Perché la scul-
tura è noiosa e si avvale di argomentazioni da perfetto decadente che schifa la natura innalzata dai Romantici a madre onnipotente e ispiratrice, riconoscendo in essa invece poco più che il tedio della bêtise. «La scultura si avvicina assai più alla natura, ed è per questo che anche i nostri contadini, i quali si rallegrano alla vista di un pezzo di legno o di pietra industriosamente tornito, restano sbalorditi all’aspetto della più bella pittura».
L’analogia scultura/natura poggia per il poeta sulla brutalità positiva dell’una e dell’altra, al tempo stesso vaghe e inafferrabili perché portatrici di «troppe facce in una volta».
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La pittura, al contrario, «non ha che un solo punto di vista; è esclusiva e dispotica; perciò l’espressione del pittore è assai più forte». Perciò giudica la scultura un’arte complementare, destinata ad associarsi umilmente alla pittura e all’architettura per servirne le intenzioni. Forse Sergio Visciano, geologo e fotografo, è stato suggestionato da tali impressioni nell’ideare la mostra itinerante Statue vive, una sorta di mediazione tra scultura e pubblico allestita nell’e-
state 2018 al Museo Archeologico dei Campi Flegrei, presso il Castello di Baia, nel cuore campano dell’antica Roma. La convivenza dell’appassionato di archeologia e del professionista della fotografia in un’unica individualità ha generato un ibrido che forse rappresenta solo l’evoluzione e circonvoluzione ultima della sfida estetica consumata tra pittura e scultura attraverso i secoli. Pare ci sia un contrappasso positivo nell’intento di riconciliare le due arti attraverso il terzo incomodo, il mez-
zo fotografico, che con l’arroganza dell’obiettivo aveva liberato nell’Ottocento la pittura dai suoi obblighi nei confronti del vero e dell’esteriorità, consentendole di rivolgere la ricerca della bellezza e del senso all’interno dell’individuo, della psiche, dell’inconscio sprigionato dalla camicia di forza imitativa della natura. Sergio Visciano, ricercando il «messaggio intimo che deriva dall’interiorità delle statue attraverso la ripresa di mossi in fase diretta e di successive semplici elaborazioni», esibendo il risultato nei luoghi in cui queste statue stanno di diritto, rivendica agli strumenti pittorici della fotografia il potere di riconciliazione che
le Avanguardie avevano alienato per decenni. La fotografia si fa pittura nel penetrare le «troppe facce in una volta» della scultura e indaga come solo la bidimensionalità sa fare la dimensione interiore della pietra «industriosamente tornita». 27 opere, di cui 16 specifiche del sito archeologico in cui sono esposte e 11 di altri musei archeologici nazionali, restituiscono alle statue angolature e dettagli rivelatori che attraverso il fil rouge dell’artista contemporaneo collegano precursori e imitatori, influenze e origini, correnti ed episodi isolati nel paesaggio di una bellezza cangiante con le diverse sensibilità delle epoche.
«Perché al Castello di Baia?», chiediamo. «È un luogo di grande magia – precisa Visciano – dove arte, storia e bellezze naturali si uniscono a creare una sinfonia perfetta». Se gli si chiede ragione di questo inatteso movimento a ritroso, dell’inversione a U con cui la fotografia guarda secoli dietro a sé per aggiornare la propria attualità, l’artista risponde: «Il mio compito è quello di creare un contatto tra spettatore, fotografia e opera d’arte: emergono così dalla pietra sentimenti sempre attuali, come la violenza, la seduzione, la forza, la bellezza, l’obbedienza». E rimaniamo disorientati come capita nel venire a contatto con qualcosa di sepolto nella memoria, improvvisamente riemerso. Perché Visciano ci rammenta che, se bellezza e seduzione vi si aggirano ancora, in età classica trovavano cittadinanza
© Sergio Visciano
nel medesimo panorama estetico pure la forza, la violenza e l’obbedienza. Applica all’arte una lente che ci permette di accedere a una bellezza vissuta diversamente, modificata dal tempo eppure ancora presente nelle pulsioni umane meno esteticamente considerate. La visione onnicomprensiva dell’esistenza negli antichi ci raggiunge in queste immagini che evidenziano nei particolari la persistenza di una totalità esplosa, sbriciolata e riassunta nel dominio del molteplice. Ciò che il contemporaneo ha dovuto estrarre dall’astratto e dal concettuale, eccolo affiorare grazie a Visciano nelle forme da secoli sotto gli occhi di tutti.
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Baldassare Agnelli, la storica fabbrica del “Made in Italy” in cucina, ha ideato 1907, una linea di pentole molto speciali. 1907, associa l’eccezionale conduttività termica e la leggerezza dell’alluminio con la lucentezza dell’acciaio inossidabile. Le pentole della collezione 1907, dal cuore spesso in alluminio, rivestite internamente ed esternamente dall’acciaio, offrono così uno straordinario risultato nella distribuzione uniforme del calore, migliorandone le prestazioni, riducendo i tempi di cottura e permettendo un notevole risparmio energetico. Le pentole 1907, adatte anche per la cottura ad induzione, con il loro rivestimento esterno in acciaio inox lucido amano mostrarsi nelle cucine a vista, seducendo e incantando chiunque le veda.
www.pentoleagnelli.it
Angela Cesaro
LA CRAVATTA soddisfa l’esigenza dell’uomo moderno
UNA STORIA… TRE GENERAZIONI
Le cravatte firmate Bigi nascono in viale Gian Galeazzo a Milano, in un piccolo laboratorio, cuore pulsante di un classico palazzo d’epoca che rispecchia l’eleganza, la ricercatezza e il dettaglio che caratterizzano i prodotti realizzati dall’azienda. Prestigioso ingresso, un importante edificio collocato su un circuito che unisce tutte le antiche porte della città e tipico di quella Milano amata dai milanesi e dagli stranieri più sensibili alle bellezze architettoniche non esibite. Quella Milano che oggi detiene il titolo di “fashion capital”, dettando lo stile e custodendo il segreto del buon gusto. Eh sì… esattamente da qui partono le cravatte destinate ai paesi esteri… Ecco arrivare Stefano, sorridente e orgoglioso e, sorseggiando un caffè insieme, iniziammo a parlare. Gli ho presentato il magazine Bubble’s e devo dire che ha fatto un buon effetto… Gli ho chiesto di raccontarmi come ebbe inizio l’attività. Mi ha raccontato che nel 1938 Luigi Draghi, il nonno materno di Paola e Stefano Bigi, trasformò l’amore per lo stile e la raffinatezza in un laboratorio destinato alla produzione di cravatte, e da allora la passione per il buon gusto e i dettagli si è tramandata di generazione in generazione, dando vita a una delle più importanti aziende italiane di cravatte di alta qualità. Quindi il nonno Luigi fondò con un suo socio l’azienda di cravatte nel 1938 a Milano, al civico 2 di via Corridoni; dopodiché nel 1954 aprì una propria azienda, “Luigi Draghi”, con al suo fianco suo genero, Daniele Bigi, padre di Stefano e Paola Bigi, sempre con l’intento di produrre cravatte di qualità, identificandole con il marchio Luigi Draghi e Pulcher, mantenendo intatti gli elevati standard qualitativi e l’artigianalità dei prodotti. Nel 1976 Daniele Bigi fondò la West Point Manifattura Cravatte S.r.l. continuando il mestiere del suocero, dopo che questo si era ritirato con l’avanzare dell’età. Stefano precisa che nel 1980 cambiò nuovamente marchio denominandolo “Bigi”, in Porta Ticinese.
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in d n de e e d un s b an fo ha nal ny at io ap s pa th it ly ear d m th rad at n co lo f t c re y y , a o , g nt et tie f t e p o en d. ies e rk th tri sc fiel i t tw a s e g ig ast n m in his th the e B e l sia nn r t ng to ad h A ru fo thi in m in t he t on ove rea sion ve e l b d ha us red ie A n as at ca e rr . or l p th be qu ca 938 e b na n ly, con n. ve n 1 wer ssio io e ss on ly pa ha i i f pa not cial Ja gi gh ho ro Bi ra w p nd ut pe ally a i D wo and e a b es ci ol g t nc ly e pe Pa ui e al h L t te Ita hav es d on r y pe n rs an e m d i ey o ath y b pe co te th an f da eir ef nd e of cia St ra gl th n g g ry pre i n s gs ir i sto lin the ery ing hi sib by ev , br A e d rt Th ilan ate l a M ltiv oria cu art s
Stefano e Paola Bigi
Ed eccomi proprio qui a Milano dove ho avuto il piacere di incontrare i fratelli Stefano e Paola Bigi… dopo un accordo telefonico, presentandomi come inviata del luxury magazine “Bubble’s”, ho chiesto loro se avessero avuto piacere che scrivessi la storia sulla loro produttività: interessati, Stefano e Paola mi hanno dato un appuntamento presso la loro sede produttiva.
Gli chiedo quanti viaggi fa durante l’anno e mi risponde che per seguire l’aspetto company commercial, negli ultimi anni si è trovato spesso a girare per il mondo. Viaggiare e conoscere sono aspetti che ha amato sin da quando era molto giovane. Paola invece mi ha raccontato che «Fin dagli anni giovanili l’arte, in ogni sua espressione, è stata la sua compagna di vita. Questa passione – continua il racconto Paola Bigi, diplomata in pittura all’Accademia delle Belle Arti di Milano – non sfuggì a mio padre che, avendo ben compreso la mia inclinazione, riuscì a convincermi a occuparmi dell’azienda di famiglia. E in questa azienda ho portato la mia creatività e la mia professionalità». Mi spiega che ha iniziato nel 1986 il suo percorso in azienda, affiancando le loro operaie in laboratorio per seguire tutte le fasi di realizzazione di una cravatta, per poi occuparsi dei rapporti con i produttori e i fornitori di tessuti. Un mestiere che non smette di affascinarla e di coinvolgerla: parla di un’esperienza che apprezza sempre più quando, ogni giorno, vede realizzare il loro prodotto, frutto e sintesi di gusto, passione e laboriosità.
Un amore per questa striscia di tessuto coltivato giorno dopo giorno, mettendo in campo le passioni personali e professionali di due fratelli nati respirando il profumo dell’arte sartoriale e tradizionale. Ogni anno la West Point Manifattura Cravatte S.r.l. produce migliaia di cravatte fatte a mano, esportando il Made in Italy nel mondo, pur mantenendo una struttura aziendale tradizionale, agile e snella. Mantenendo il modello aziendale impostato dal nonno, tutte le fasi di lavorazione della cravatta vengono effettuate da personale dipendente specializzato che opera in azienda o presso il proprio domicilio. Un punto di forza del prodotto è sicuramente la qualità unità all’esclusività e alla competenza. Ho domandato a Stefano da dove arrivassero i tessuti chiedendo poi anche come, dopo la selezione delle materie prime, sia processata la lavorazione. «Scegliamo i migliori fornitori tra i quali italiani e inglesi, sete e calde lane Comasche e lanifici Biellesi. Abbiamo due etichette, una Blu che si riferisce a una linea tradizionale con gusto classico e sofisticato, ideale per un man of style, mentre l’etichetta Azzurra aggancia la linea casual dedicata più al modern man.
Stefano Bigi continua a spiegarmi il processo di lavorazione e rifinitura che porta alla nascita di nuovi prodotti. Taglio, punta, macchinatura, stiro, montatura, cucitura, attaccatura passante ed etichetta, controllo e imbustatura sono i primi passi importanti per realizzare una cravatta perfetta. Deve essere realizzato rigorosamente a 45 gradi rispetto al dritto filo del tessuto per far sì che la cravatta, una volta confezionata, non giri su se stessa. Le due punte, ottenute dal taglio della stoffa, devono formare un angolo retto con i lati perfettamente uguali. La storia di competenza e passione raccontata dalle cravatte Bigi è apprezzata non solo in Italia. Negli ultimi vent’anni ha conquistato soprattutto il mercato asiatico, in particolare il Giappone. E che dire… avendomi mostrato i percorsi della lavorazione di una cravatta, devo dire che qualcosa l’ho imparata anch’io… Alla prossima…
163
Oggi
eccoci qui con i fratelli Stefano e Paola Bigi che, in prima persona, portano avanti con competenza e orgoglio questa tradizione di famiglia. Entrambi si occupano dalla ricerca alla scelta dei tessuti per la realizzazione delle collezioni, fino al confezionamento e alla commercializzazione dei prodotti. Dal 1990 Stefano e Paola Bigi, forti dell’esperienza acquisita dal padre, si sono occupati con entusiasmo della gestione della West Point Manifattura Cravatte S.r.l. Stefano è nato nel 1966, tre sorelle, due figlie, una moglie giapponese e tantissime cravatte intorno al collo. Ecco i numeri di Stefano Bigi, amministratore unico della West Point Manifattura Cravatte S.r.l. dal 1997. Entrato in azienda nel 1989, a 23 anni, dopo un’esperienza formativa all’estero presso una impresa produttrice di tessuti di altissima qualità per l’abbigliamento maschile, condivide con la sorella Paola la gestione dell’azienda di famiglia. «Mi ricordo ancora il profumo della seta che si sentiva nella ditta del nonno quando da piccolo andavo a giocare tra i tavoli delle lavoranti... – racconta Stefano Bigi – Nella mia formazione professionale è stata molto importante l’esperienza fatta affiancando mio padre quando ho iniziato a lavorare in azienda: vivere da vicino tutti gli aspetti produttivi e stare a stretto contatto
con le lavoranti mi ha dato una solida base. Mio padre mi ha trasmesso principi molto importanti quali l’amore e la passione per la cravatta».
La luce caleidoscopica di una creatività inarrestabile rienza a consentirle di entrare in con-
LAMBERTO GANCIA
166
La storia di Licia Mattioli, il cui contributo come vicepresidente di Confindustria nel valorizzare il Made in Italy è stato e rimane decisivo, nasce
tatto con una creatività giovanile di cui
saprà far tesoro nel suo efficace sforzo di dar vita a collezioni di gioielli uniche e inimitabili. E da esse, che portano il suo nome, traspare appieno tutta la complessità della sua affascinante persona-
rado molto diversi tra loro.
La loro bellezza prende forma talora
dall’arte, come la collezione Arcimboldo, talaltra dai viaggi, come la collezione Tibet, fino a trovare ispirazione nella stessa natura, come la collezione African Queen. Ed è ancor meno strano
nel tessuto imprenditoriale dell’operosa
lità: dinamica e femminile, sofisticata e
Torino. È qui che questa donna straordi-
flessibile, animata dal riferimento alla
zionata sia il “Puzzle”. Ispirato a Calder e
naria, seguendo un’intuizione del padre
tradizione e profondamente innovativa.
Mondrian, ha nella versatilità, capace di
che nel 1995 aveva acquisito l’Antica Dit-
che il gioiello cui la Mattioli è più affe-
adattarsi in modo diverso e personaliz-
ta Marchisio, il più vecchio e apprezzato
Lo stile Mattioli, radicato in un caleido-
zato allo stile e all’umore di ogni donna,
laboratorio orafo artigianale di Torino,
scopio di colori e sapori in cui
il suo autentico punto di forza.
Avvocato di formazione e imprenditri-
si riflette tutta la forza del Made in Italy, traspare da tutte le collezioni
ce di vocazione, Licia darà presto vita a
da lei concepite: dai bracciali alle celebri
un’intelligente rivoluzione dell’azienda,
catene, ogni gioiello risulterà singolare
trasformandone
vi si dedicò senza riserve.
Tra le fonti di ispirazione dei suoi gioielli – e Licia non esita affatto ad ammetterlo – c’è anche il mondo del vino.
imprenditorialmen-
ed eclettico, versatile compagno di viag-
te e creativamente la fisionomia. Avrà
gio e insostituibile segno di distinzione.
Un mondo che lei ama profondamente e
così modo di muovere, in punta di piedi,
E il segreto della forza che i suoi gioielli
a cui è legata da una passione tanto pro-
sanno trasmettere sembra nascondersi
fonda da spingerla non solo ad essere
nell’evocazione attualizzante del pas-
curiosa dei sentori e degli aromi legati
che sarebbe diventata, grazie alla de-
sato, meticcio di un DNA italiano in cui
a questo straordinario prodotto, ma an-
terminazione e alla grinta che tutti le
coesistono grandi culture: da quella gre-
che a stapparsi una bottiglia di buone
riconoscono, una vera e propria scalata
ca a quella etrusca, da quella romana a
bollicine ogni volta che deve festeggiare
delle vette della high-fashion.
quella araba, da quella medievale a quel-
un successo, come
i suoi primi passi nel mondo dei gioielli, ponendo le basi di quella
la rinascimentale. Tutte destinate, nella
la nomina nel 2017 a Cavaliere del Lavoro,
Spinta da questa sua passione per il bel-
creatività di Licia, a risaltare nel brillio,
o far cambiare rotta a una serata triste
lo, e coniugando perfettamente impegni
a un tempo tenue e potente, dei suoi af-
attraverso un perlage capace di restitu-
lavorativi e dedizione al marito e ai due
fascinanti gioielli.
irle allegria ed entusiasmo. E se a una
Licia aprirà una galleria d’arte contemporanea, contribuendo a promuovere e lanciare giovani artisti italiani. Sarà questa espe-
figli, sempre a Torino
Non è per nulla strano, in questa prospettiva, che i gioielli di Licia nascano dal convergere di stimoli non di
linea di gioielli esplicitamente ispirata al mondo del vino non ci ha ancora pensato, perché mai escluderlo? Potrebbe essere dietro l’angolo.
167
The history of Licia Mattioli, the vice president of Confindustria, is deeply rooted in that Turin where her father, in 1995, acquired the Antica Ditta Marchisio, a greatly esteemed artisan goldsmith’s workshop, to which has Licia dedicated herself succeeding in soaring to the lofty heights of high- fashion. Her jewels are born from the convergence of stimuli that not infrequently are strikingly different from each other, including the world of wine, a universe that she deeply loves and to which she is linked by a visceral passion.
Licia Mattioli
© Agenzia fotografica “Blu Cobalto”
“Metodo Italiano”!
170
Bedin Collina 48 Millesimato
Moscato Bianco in purezza
Dry, Asolo Prosecco Superiore Docg, vendemmia 2017, uvaggio 85% Glera e Bianchetta, Perera, Boschera Soc. Agr. Colli Asolani Bedin Enrico & C., via Monte Pasubio 22, 31041 Cornuda-Altamarca (TV) www.
di Giampietro Comolli
Scrivo
Asti DOCG
colliasolani.it
Bera Dolce, Asti Docg, vendemmia 2016, uvaggio
tessitura del Grasparossa, finale croccante e persistente.
Villa di Corlo Rosanto Rosè Brut, Spumante Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Doc,
Bera Azienda Agricola, via
uvaggio Lambrusco Grasparossa
Castellero Cascina Palazzo 12, 12050 Neviglie (CN),
di Castelvetro in purezza
www.bera.it
Vestito giallo paglierino intenso con spuma persistente e continua e bollicine importanti. Ventaglio di aromi floreali bianchi di margherita e di clementina abbinato a fiori di salvia. Al palato è modera-
Bel corpo paglierino giallo sormonta una spuma
tamente titolato, in equilibrio dolce e acido tipico
brillante, intensa fine. L’olfatto coglie aromi diversi
dell’uva, finale piacevole, delicato e rotondo.
di fiori gialli e bianchi, con clementina. Al gusto è
Villa di Corlo sas, strada Cavezzo 200, 41126 Baggiovara (MO) www.villadicorlo.com
Vestaglia rosa accesa luminoso trasparente con spuma continua e dinamica e corona ampia evanescente. Quadro aromatico tipico dell’uva con note floreali e frutti di ciliegia e amarena. In bocca ancora frutti rossi di bosco, tono asciutto e rotondo, leggero e avvolgente, finale netto acidulo tannico
corposo, spesso e rotondo giusto per un’acidità non
lungo e piacevole.
da anni: degustare i vini effervescen-
Spurrier e Adriano Rampone, come lo è stato vedere all’opera
ti non è come assaggiare i vini fermi, tranquilli, passiti. Non
davanti a un calice Michel Bettane, Denis Dubourdieu, Nicolas
Lambrusco Emilia
è semplice fare assaggi didattici, valutazioni tecniche, indivi-
Belfrage e Burton Anderson. Ragionando su quelle esperienze
Rinaldini Pjcol Ross Rosso Brut,
Grasparossa, Lambrusco
duando le caratteristiche e le peculiarità che ogni vino espri-
ho deciso anche di utilizzare il termine “Metodo Italiano” cre-
Montelvini Collezione Serenitaris
Lambrusco Emilia IGP, uvaggio
Doc, uvaggio Grasparossa di
me. Semplice sarebbe dire solamente mi piace o non mi piace.
ando per una tipologia una scheda grafica diversa nella scala di
Millesimato Extra Dry, Asolo
Lambrusco Antico Pjcol Ross in
Castelvetro in purezza
«…il vino è un alimento vivo», così dicevano gli antichi esperti
valori rispetto a quella unica e uniforme utilizzata da sempre
Prosecco Superiore Docg,
purezza
e anche i miei professori dell’Università, o i miei grandi mae-
per tutte le tipologie di vini effervescenti e frizzanti.
stri. Sono stato un tecnico del vino fortunato perché ho avuto,
Una scheda tecnica universale, riferita a due vini precisi: Bor-
già all’inizio degli anni ’80, maestri che mi hanno guidato, sti-
deaux e Champagne. Nata in Usa durante il proibizionismo,
molandomi, in modo scientifico, ad analizzare e valutare ogni
strettamente legata all’analisi chimico-fisica, poi rivista da
aspetto ed elemento della vite, del vino, del luogo, della terra,
Andrè Tchelistcheff nel 1938-1940 quando era in Champagne,
della cantina, del rispetto che il pro-
riprodotta
duttore mette nel proprio lavoro,
dall’enologo
cercando di decifrare ognuno di questi elementi dentro un calice. Ebbi la riprova della complessità dell’assaggio-giudice a metà degli anni ’80 a Epernay e a Saint Sadurnì d’Anoia, dove lo Chardonnay, il Pinot Nero, la Malvasia e altre uve pesano e incidono su descrittori sensori in modi
What Bubble’s wishes to tackle is a cultural oenological challenge. The “Metodo Italiano” can be a masterly ambassador, a one-of-a-kind in the world arena so much so as to bring it to the attention of national producers, as a specific mention indicated on the label as a further contribution and added value to the national sparkling wine system, defining a national identity, the historical ability to qualify Italian entrepreneurship in wine.
e
poi
nel
invadente, mix finale di erba verde e pesca gialla matura.
uvaggio Glera in prevalenza
La Battagliola 30 Dosage
Azienda Agricola La Battagliola,
Azienda Agricola Il Moro, via
via Muzzacorona 118, 41013 Piumazzo (MO) www.
Montelvini, via Cal Trevigiana 51, 31040 Venegazzù
Andrea Rivasi 27, 42040 Calerno Sant’Ilario d’Enza
labattagliola.it
di Volpago del Montello-Altamarca (TV) www.
(RE) www.rinaldinivini.it
montelvini.it
Abito classico di un brillante rosso rubino inten-
Bel colore rosso vivo brillante con un’effervescenza
so con bel spumeggio di riflessi violacei e corona
Effervescenza dinamica crea intensa corona su ve-
luminosa, succosa e allegra di bollicine finissime.
evanescente. Al naso nitidi aromi di frutta rossa e
stito paglierino tenue e riflessi verdolini. Profumi
Aromi integri e schietti di frutti rossi dell’orto e ma-
fragranti giaggioli freschi. In bocca equilibrato mix
1970
nitidi di fiori di Glicine e di Robinia bianca. In boc-
rasca. Gusto pieno di bella foggia e struttura, equi-
acido-aromatico, fresco e di corpo di titolo contenu-
Vedel
ca è gustoso e pieno, morbida fragranza avvolgen-
librio tannico acido ottimo, mix fresco-asciutto con
to, elegante con finale fruttato d’uva e sapido.
te l’acidità, morbido, fresco e giovane con finale di
finale piacevolmente fruttato e vinoso.
ufficializzata
nel 1983 a Bordeaux
mela Lady e cedro. Albinea Canali Ottocentorosa
dall’UIOE. Ancora oggi è ben evidente, seppur
Villa Sandi Millesimato Brut,
con il successo mon-
Asolo Prosecco Superiore Docg,
diale delle bollicine
uvaggio Glera in purezza
Made in Italy, che vi
Villa Sandi, via Erizzo 113/A,
sia una diversa impo-
assai diversi, ben oltre la naturale
stazione e un diverso
soggettività del degustatore. Quella
approccio all’assaggio
31035 Crocetta del MontelloAltamarca (TV) , www.villasandi.it
Bell’abito giallo paglierino scarico con lampi verdolini sostiene una corona effervescente evidente.
mia “prima volta” fu terapeutica tanto da comprendere la mia
di metodologie diverse di vini effervescenti. Uno Chardonnay
Al naso è pulito e diretto con toni di fiori di acacia
vocazione all’assaggio, al non farsi influenzare da condizioni
con presa di spuma a Appledore-Sussex, a Reims, a Erbusco,
e mimosa. In bocca è ben strutturato, giovane ed
estranee alla filiera del vino che stavo assaggiando, riuscendo
a Trento o a Alba è logicamente diverso. È una sfida culturale
equilibrato, armonico fra acidità e asciuttezza con
a condensare in un calice tutta la storia produttiva-qualitati-
enoica quella che Bubble’s vuole affrontare. Il “Metodo Italia-
va-oggettiva di un sorso; tutto aiuta ad alzare il livello di valuta-
no” può essere un ambasciatore magistrale, unico nel panora-
zione andando oltre la preparazione corsuale o la metodologia
ma mondiale tanto da porsi all’attenzione dei produttori nazio-
abitudinale spesso inquinata dalla celebrazione enologica.
nali, come menzione specifica indicata in etichetta come un ul-
Essere astratti e oggettivi è un compito difficile.
finale fruttato di mela Renetta.
Rosè Extra Dry, Lambrusco dell’Emilia IGT, uvaggio Lambrusco di Sorbara e Grasparossa di Castelvetro Cantina Albinea Canali, via Tassoni 213, 42123 Canali (RE) www.albineacanali.com
Abito rosato tendente al rosso con lampi viola, porta una bella corona evanescente e continua in una succosa corona di bollicine. Profumi interessanti di fiori rossi di dente di leone e viola mammola. In bocca è fresco e morbido, frutto di mora e mirtillo armonico, interessante finale secco di pompelmo rosa e di ciliegia.
Cascina Fonda Bel Piasì Dolce,
Cavicchioli 1928 Rosè Extra
Asti Docg, vendemmia 2017,
Dry, Lambrusco Modena Doc,
teriore contributo e valore aggiunto al sistema spumantistico
uvaggio Moscato Bianco in
uvaggio Lambrusco Grasparossa
Per questo ho chiesto la collaborazione in questo bellissimo
nazionale, definendo un’identità nazionale, la capacità storica
purezza
e Lambrusco di Sorbara
impegno ad amici degustatori rappresentanti ed espressione
di qualificare l’imprenditoria italiana nel vino.
Cascina Fonda, via Spessa 27,
Cavicchioli, via Canaletto 52,
12052 Neive (CN) , www.cascinafonda.com
41030 San Prospero (MO) www.
di culture differenti, di lungo corso, e anche a esperti fuori dal gruppo. Per questo ho voluto rispolverare un termine, “saggia-
Grazie ai Consorzi, ai produttori, agli amici saggiamentali e
Spuma fine di bollicine continue sopra un abito
mentali”, che mi fu per la prima volta indicato da Renato Ratti,
agli amici degustatori liberi che mi hanno supportato in questi
paglierino con riflessi verdolini. Quadro olfattivo
un grande esperto di bollicine, direttore indimenticato del Con-
tempi… come Osvaldo Muri, Giacomo Mela, Nichi Stefi e tutti gli
sorzio Asti. Mi è stato utile anche avere come maestri Steven
altri. Alla fine ecco i migliori Metodo Italiano degustati.
cavicchioli.it
Corpo rosa particolare con luminose trame omoge-
scolastico di fiori di acacia e tiglio. Il gusto è armo-
nee arancio e cipolla cinge una spuma cristallina
nico, acidità contenuta, toni di caramello con finale
intensa con una corona spessa di bollicine vivaci.
e retrogusto leggermente amarognolo piacevole di
Profumo di rosa confetto e violetta selvatica del
pesca Noce matura.
Sorbara e nota floreale di melograno. Gusto piacevole completo, tono speziato rotondo, ottima
Lessini Durello DOC Corte Moschina Durello Millesimato, Lessini Durello Doc, uvaggio Durella in purezza Corte Moschina, via Moschina 1, 37030 Roncà (VR) www.cortemoschina.it
Vestigia giallo paglierino tenue per una corona evidente spumosa di fini bollicine brillanti. Al naso chiari profumi di fiori bianchi e di fiori di frutta gialla intensi. Sapore di pompelmo, papaia e mango acerbo, tipiche note aromatiche dell’uva, equilibrato e asciutto, fresco con un tono finale di radice vulcanica.
Danese Lessini Durello Brut, Lessini Durello Doc, uvaggio Durella prevalente e Chardonnay Cantina Danese, via Moschina 31, 37030 Roncà (VR) www. cantinadanese.com
Effervescenza persistente e abbondante di bolle fini poggia su un abito giallo paglierino scarico con vene verdoline. Profumi di fiori di camelia e margherita bianca e di buccia verde di mela Granny. In bocca persiste la mela verde, tono citrico asciutto, sapido pungente con finale leggermente rotondo.
171
2018
Asolo DOCG Prosecco Superiore
Lessini Durello Doc, uvaggio Durella in purezza Cantina di Soave sac, viale Vittoria 100, 37038 Soave (VR) www.cantinasoave.it
Corpo dal colore giallo paglierino tenue con effervescenza duratura viva e spessa nel calice. Quadro aromatico delicato e fine con fiori di Artemisia e Genziana e mango acerbo. In bocca sorgono toni agrumati, ben secco e sapido, fresco e racente, fina-
San Simone Perlae Naonis
Abito color paglierino carico porta un bel spumeg-
tura, asciutto, di mela Granny e pesca Noce, finale
Extra Dry Rosè, Oltrepò Pavese
Prosecco Millesimato Brut,
gio continuo lento regolare con una corona circola-
fresco e morbido con nota di cedro.
Doc Pinot Nero, s.a., uvaggio
Prosecco Doc Friuli Venezia
re intensa. Profumi spiccati di mentolo e di fiori di
Pinot Nero in purezza
Giulia, vendemmia 2017, uvaggio
mandorlo. In bocca si sente il gusto della mela Stark
Glera in purezza
e della pesca a polpa bianca, croccanti trame di im-
Massimago Magò Rosè Brut,
pasto farinoso, soffice acidità e fresca beva, finale
Verona IGT, vendemmia 2016,
Cascina I Carpini snc, Strada
minerale sapido salmastro.
uvaggio di Corvina, Corvinone e
Provinciale 105, 1, frazione San
Rondinella da produzione bio
Lorenzo, 15050 Pozzol Groppo (AL)
Finigeto Azienda Agricola, località Cella, 27040 Montalto Pavese (PV) www.finigeto.com
D’abito rosato tenue con riflessi ambrati e dorati e
Spuma intensa e avvolgente con corona spessa e
stenti. Profumi di petali di rosa rossa e di dente di
fine poggia su vestigia color paglia giallo con fili
Zeni Bardolino Brut, Bardolino
leone con trama rizomatica. In bocca è fresco e ar-
smeraldini. Quadro aromatico variegato di fiori
Chiaretto DOC, uvaggio 55%
monico, teso con tessitura, sapido e armonico con
bianchi e gialli e di frutta, dall’amarella alla clema-
Corvina, 35% Rondinella, 10%
finale di ciliegia rossa e tono di rabarbaro.
tis. In bocca è succoso e fragrante, elegante e fem-
Molinara
minile, titolo armonico con acidità e sapidità, finale gustoso di pera Abate e drupa matura di mandorla Cavallotti La Bolla Brut, Pinot
Lessini Durello Doc, uvaggio Durella in purezza Cantina Sociale di Monteforte d’Alpone, via XX Settembre 24, 37032 Monteforte d’Alpone (VR) www.cantinadimonteforte.it
Spuma fine e buona durata con corona circolare spessa su un abito paglia scarico brillante con riflessi verdolini. Aromi di erba verde e di Leucatemo e mela acerba. In bocca lo spumeggio colma la fragranza secca, elegante impronta acidula e di limone, finale piacevole di grissino e frutto rotondo.
e lieve pietrosità.
vaniglia. Il gusto è completo e complesso, succoso e
rotonda.
uvaggio Glera in purezza
fresco, armonicamente pieno e acido, con un finale
Vallescuropasso 92, 27040 Cigognola (PV) www.
Carpenè Malvolti spa, via A.
cantinecavallotti.it
Carpenè 1, 31015 Conegliano-Altamarca(TV) www.
Spumeggio pieno e intenso e cremosità dinamica
carpene-malvolti.com
doline, incoronato da un effluvio di fini e persisten-
vendemmia 2016, uvaggio
bianchi di robinia. Sapore aperto e fresco, equili-
ti bollicine dai bagliori dorati. Profumo delicato,
Sangiovese, Canaiolo e poco
brio armonico, giovane moderno, beva facile con
etereo tipico dell’uva e vegetale, fruttato. In bocca
Traminer Rosa
finale di note agrumate e fragolina.
ha una viva acidità non invadente, fresco, delicato piacevole con un finale di mela morbida.
Irruente spuma di bollicine fini disposte a corona
33043 Cividale del Friuli (UD) www.alturis.it
spessa continua su un vestito giallo paglierino bril-
scenza, di struttura, equilibrato acido fresco, finale
Buona effervescenza fine e persistente su un vesti-
lante e scarico. Olfatto delicato, netto e caratteristi-
ruvido lungo piacevole pulito astringente di pom-
to giallo paglierino tenue. Spettro aromatico nitido
pelmo giallo e di mandorla calda.
e pulito di fiori freschi di pompelmo e acacia. In bocca è bello ampio ed equilibrato, presenza acida armonica, secco con un delicato gusto minerale fi-
Vino Spumante di Qualità, s.a.,
Villa Chiopris Prosecco Extra Dry, Prosecco Doc Friuli Venezia Giulia, vendemmia 2016, uvaggio Glera in purezza Villa Chiopris, via C. Battisti 6, 33040 Chiopris-
Nero, Chardonnay
Viscone (UD) www.villachiopris.it
Fattoria Olmo Antico, via Marconi 8, 27040 Borgo
Effervescenza regolare luccicante e dinamica con
Priolo (PV) www.olmoantico.it
corona circolare sottile su un vestito colore giallo
corona circolare di bollicine finissime con bagliori su un corpo di un rosa cipria femminile. Profumo nitido intenso raffinato di fiori di Elleboro e Gerbera e fieno di campo. Gusto fruttato, pieno strutturato, elegante e preciso, asciutto e invitante con un finale lungo di fragola acerba.
paglierino scarico. Spettro aromatico delicato e fine, tanti fiori bianchi di frutta e di orto. Sapore decisamente fruttato di mela Renetta e fico Verdino, finale rotondo e fresco con briosa salinità.
Tenute Carpineto, località Dudda, 50022 Greve in Chianti (FI) www.carpineto.com
Falanghina in purezza Cantine degli Astroni srl, via Sartania 48, 80126 Napoli www.cantineastroni.com
Vestito ampio dal giallo paglierino ai lampi smeraldini porta una corona di bolle fini spessa e circolare di buone persistenza. Quadro olfattivo di tanti fiori bianchi, dall’amarella al lauro e all’elleboro. Bocca
Spuma fine evanescente con catenelle riflettenti un
piena di frutta calda e secca, struttura tesa, acidi-
color rosa e lampi ramati; aromi di frutta rossa ma-
tà equilibrata, finale armonico elegante di papaia
Prosecco Extra Dry, Prosecco
tura e petali rosa. Gusto pieno e secco, appagante
e tono basaltico.
Doc Treviso, s.a., uvaggio Glera
e suadente, quasi croccante equilibrato, molto ele-
in purezza
gante con un tono finale aromatico di vite piacevole.
Nardin Poderi dei Nidran
co tipico del frutto d’uva e fiori di tarassaco. Sorso teso e di struttura, pieno e abboccato, carbonica
Dry Millesimato, Vino Spumante Cevico B.io Brut, Romagna DOC
di Qualità, uvaggio prevalente
Trebbiano, uvaggio Trebbiano in
Glera e Chardonnay
purezza da agricoltura biologica
Bottega spa, Villa Rosina, vicolo Aldo Bottega 2,
Gruppo Cevico Soc. Coop.
31010 Bibano di Godega di Sant’Urbano (TV) www.
Agricola, via Fiumazzo 72, 48022
bottegaspa.com
Lugo (RA) www.gruppocevico.com – www.cevico.com
lato su creta pietrosa calcica.
Spumante di Qualità, uvaggio Verdicchio in purezza Casa Vinicola Giacchino Garofoli spa, via C. Marx 123, 60022 Castelfidardo (AN) www. garofolivini.it
Effervescenza brillante intensa e persistente con bella corona lineare circolare di grana fine su un corpo giallo paglierino scarico dai lampi verdolini. L’olfatto è ampio e complesso ricco di frutta e fiori bianchi di finocchio e di timo. In bocca sapore di pesca Leonforte e cedro molto maturo, piacevole elegante, equilibrato armonico, con finale iodato e
Brut, Vino Spumante di Qualità, uvaggio 50% Arneis e 50% Favorita Azienda Agricola Fratelli Massucco, via Serra 21/c, massuccowine.com
rino leggermente intenso con venature verdoline
po paglierino pastello. Quadro olfattivo floreale di
dorate, profumi di uva e di fiori bianchi e rosa ap-
magnolia bianca. Al palato è fresco e fruttato, ar-
passiti e di frutta verde. In bocca gustoso e di facile
monico ed equilibrato, buona mela verde e pesca
beva, acidità fresca in giusto equilibrio zuccherino,
a polpa bianca con finale acido-rotondo elegante e
finale delicato minerale e teso con le tipiche fra-
accattivante.
granze varietali
Abito di un bel paglierino giallo sgargiante e cristallino con riflessi di giada sorregge una spuma intensa, fine e persistente in una sottile corona circolare. Aromi di essenze floreali bianchi, azzurri e rossi delicati e molto raffinati. Il sorso è intenso, riempie la bocca, lievito fragrante, fresco e rotondo, finale
La Fortezza L’Oro del Marchese Aljano Brina d’Estate Brut, Colli
Extra Dry, Vino Spumante di
di Scandiano e Canossa DOP,
Qualità, uvaggio Falanghina in
uvaggio Spergola in purezza
purezza
Società Agricola Aljano ss di
La Fortezza Società Agricola,
Oleari Stefano & C., via Figno 1,
località Tora II 20, 82030
42019 Jano di Scandiano (RE)
Torrecuso (BN) www.lafortezzasrl.it
www.aljano.it
Massucco Cavaliere della Serra
12050 Castagnito (CN) www.
Merendella.
Vestigia di un giallo paglierino evidente con striatu-
Illica Riolo Brut, Vino Spumante
Effervescenza delicata fine e per-
re verticali smeraldine con un’effervescenza fine e
di Qualità, uvaggio Ortrugo,
sistente con una corona spessa
dinamica persistente. Aromi tipici dell’uva e fiori di
Trebbiano e Sauvignon da
su un abito paglierino intenso
ginestra e sambuco. Sapore strutturato e dinamico,
agricoltura biologica
con trame verdoline. Quadro ol-
delicati sentori di frutta esotica, equilibrata acidità
fattivo molto fruttato con tono di margherita gialla.
e vulcanica mineralità, finale leggero di lievito fre-
Gusto elegante e fragrante, sapido di buona strut-
sco e armonico.
(PC) www.illicavini.com
toni di pane tostato e un finale lungo di ammandor-
Spumeggio misurato e incisivo con una corona ben formata persistente non invasiva su un cor-
Illica Vini, località Case Barani 2, 29010 Vernasca
di mela Granny, perfetto equilibrio acido-minerale non invadente, sicuro teso, fresco bilanciato con
Bottega Stefano Bottega Extra
Spuma evidente e persistente su un corpo paglie-
Regioni diverse, altre zone, altre bolle sparse (dal Trentino all’Etna – dalla Toscana al Friuli)
binia con trame di erbe di campo, alloro domestico e mentolo. In bocca ha corpo e stile, seducente tono
leggera nota di grano balsamico
suadente e finale gustoso di mela Golden e pesca
nale di mela gialla.
uvaggio Pinot Meunier, Pinot
Spumeggio dirompente evanescente con raffinata
Carpineto Rosè Brut, Vino
rino tenue. Profumi delicati di fiori di rosa e fiori
Azienda Agricola Alturis ssa, via Strade Braide 21,
Olmo Antico Marty Rosè Brut,
Flegrei Dop Falanghina, uvaggio Spumante di Qualità,
vinwalternardin.it
Oltrepò e Oltrepò Pavese
Astroni Astro Brut, Campi
Bel vestito giallo luminoso con decise nuances ver-
giallo brillante. Profumo di gelsomino e fiori di ro-
Garofoli Verdicchio Brut, Vino
fragrante sapido rotondo di mandarino e cannella.
con una corona sempre viva su un bel corpo paglie-
uvaggio Glera in purezza
bianca. In bocca giustamente carico dell’efferve-
pici delle uve rosse, con fiori di campo rossi viola.
Brut, Prosecco Treviso Doc, s.a.,
Cantine Cavallotti, via
5, 31024 Roncadelle di Ormelle (TV) www.
fumi eleganti di fiori di nespola e di pesca a polpa
aperto in una corona sottile elegante. Profumi ti-
sco equilibrato di papaia matura con nota minerale
Doc Friuli Venezia Giulia,
paglierino brillante nitido con fili smeraldini. Pro-
corpo con spumeggio dai bagliori rosa porpora
pea intenso intrigante. Aromi di fiori variegati e di
Azienda Agricola Walter Nardin, via Fontane
Spuma misurata continua cristallina su un corpo
Bel rosato illuminato e intenso regolare colora un
In bocca schietto spettro dalla fragola alla pesca
Alturis Prosecco Brut, Prosecco
Ilarione (VR) www.marcazzan.eu
Spumeggio evidente, ricchezza di catenelle fini risalenti lente in un abito paglierino tendente al
Noce, pastoso e asciutto, finale suadente acido-fre-
Carpenè Malvolti Prosecco
www.cascinacarpini.it
www.massimago.com
Spumeggio intenso di bollicine piccole con lampi
uvaggio Pinot Nero in purezza
uvaggio Timorasso in purezza
21, 37030 Mezzane di sotto (VR)
rosa trasparenti su un abito buccia di cipolla di Tro-
Marcazzan Fabio, via Veschi 16, 37035 San Giovanni
vendemmia 2016, uvaggio
Costabella 9, 37011 Bardolino (VR), www.zeni.it
Massimago s.s. Agr., via Giare
Spumante di Qualità, s.a.,
Durella in purezza
Brut, Lessini Durello Doc,
Cantina Fratelli Zeni srl, via
Brut, Vino Spumante di Qualità,
Nero dell’Oltrepò Pavese, Vino
Prosecco Spumante DOC
Marcazzan Le Strie Millesimato
172
Porcia (PN) www.sansimone.it
corona spessa intera di bollicine fini vivaci e persi-
le lungo basaltico e di cedro caldo.
Monteforte Lessini Durello Brut,
San Simone di Brisotto srl, via Prata 30, 33080
I Carpini Chiaror sul Masso
sapido di nespola e nocciola.
Chiarli Modèn Blanc Pignoletto Brut, Pignoletto di Modena DOC, uvaggio Pignoletto in purezza Chiarli 1860, via Manin 15, 41122 Modena www.chiarli.com
Bella spuma brillante consistente su un corpo paglierino giallo pastello. Profumi di fiori bianchi e gialli e una buona nota del frutto, fini e nitidi. In bocca un’acidità avvolta da sentori di pesca e albicocca fresca con finale teso beverino con retrogusto di pasta da biscotto.
173
Cantina Soave Settecento33 Brut,
Finigeto Extrà Pinot Noir Cuvée
Millesimato Brut, Vino Spumante di Qualità, uvaggio Ribolla Gialla in purezza Zorzetting, via Strada Sant’Anna 37, località Spessa, 33043 Cividale del Friuli (UD) www.zorzettigvini.it
Effervescenza continua con corona di bollicine riflessi dorati su corpo paglierino profumi fiori bianchi e aromi di cedro e pompelmo. In bocca pieno, strutturato con sentori di lievito di orzo, acidità e fragranza in ottimo equilibrio, finale fresco persistente con retrogusto di frutta secca.
Ruggeri L’Extra Brut Millesimato Extra Brut, Vino Spumante di Qualità, vendemmia 2016, uvaggio Glera in purezza Ruggeri, via Prà Fontana 4, 31049 ValdobbiadeneAltamarca (TV) www.ruggeri.it
Agli occhi è paglierino con lampi smeraldini con fine effervescenza dinamica e una corona succosa. Patrimonio olfattivo ampio e diversificato di fiori d’acacia, di ginestra e di susina. Il sorso è fresco, croccante, asciutto e strutturato, caratterizzato da una decisa sapidità, finale pulito, minerale con toni
scorza di cedro, sapido, schietto e varietale, ottimo
dialogo sapido-acido per un finale persistente di
Agostinetto, strada Piander 7, 31049 Saccol di
Dry, Vino Spumante di Qualità,
equilibrio grande acidità e aromaticità varietale, fi-
alchechengi.
Valdobbiadene-Altamarca (TV) www.agostinetto.com
vendemmia 2016, uvaggio 40% Chardonnay, 40% Riesling Renano, 20% Trebbiano Azienda Agricola Ciccio Zaccagnini srl, contrada Pozzo, 65020 Bolognano (PE) www. cantinazaccagnini.it
Abito colore giallo paglierino con lampi paglia solcato da catenelle di bollicine per una corona sottile circolare. Bouquet delicato e aromatico di fiori di lime e cedro. Gusto fine ed elegante di frutto Carambola e melone con finale acido-rotondo beverino di grande impatto e completezza.
Fazio Blanc de Blancs Brut, Erice DOC, uvaggio Chardonnay in purezza Fazio Wines, via Capitano Rizzo 39, 91010 Fulgatore Erice (TP) www.
174
Superiore DOCG, vendemmia 2016, uvaggio Glera in purezza
Valdoca Rive di Santo Stefano
Conegliano Valdobbiadene
Nature Brut, Valdobbiadene
Prosecco Superiore DOCG,
Crocetta del Montello-Altamarca
Prosecco Superiore DOCG,
uvaggio Glera in purezza
(TV) www.astoria.it
uvaggio Glera in purezza
Giallo paglierino tenue con fili verdolini con una
Val d’Oca, via per San Giovanni
31044 Montebelluna-Altamarca
45, 31049 Valdobbiadene-
(TV) www.zanottocolfondo.com
quet ampio di fiori fruttati di pesca Saturnina
Altamarca (TV), www.valdoca.com
bianca con aroma varietale nitido. Sorso elegante e morbido, nota sapida e acidità tesa per sentori caldi aromatici di melone e albicocca.
Sorelle Bronca 68 Particella Brut, Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG, uvaggio 90%
e mandorla acerba.
Cantina Girardi, via Monchera 17, 31010 Farra di Soligo-Altamarca
Terre Siciliane IGT, vendemmia 2016, uvaggio Catarratto e Grillo
mela, bianco e verde, fresco e sapido, acido elegante, gradevole mineralità finale con propoli e lievito.
Agli occhi è giallo paglierino brillante trasparente
Superiore DOCG, vendemmia 2017, uvaggio Glera in purezza
Effervescenza lineare compatta non invadente su
Esuberante spuma con sottili catenelle ascendenti
gialle. Aromi leggiadri, eterei di fiori d’acacia Fri-
in un corpo giallo paglierino scarico. Al naso spri-
sia e mela Stark. In bocca asciutto e moderno, nota
giona gli aromi floreali bianchi tipici del vitigno. In
Valdobbiadene-Altamarca (TV) www.terredisanvenanzio.it
Bortolomiol Prior Brut
Follador Brut Nature Millesimato,
Millesimato, Valdobbiadene
Valdobbiadene Prosecco
Prosecco Superiore DOCG,
Superiore DOCG, uvaggio 85% Glera e 15% Chardonnay
Altamarca (TV) www.colvetoraz.it
Passerina in purezza Tenuta Cocci Grifoni – Guido Cocci Grifoni e C srl
Adami Vigneto Giardino
Società Agricola, via Messieri 12, 63065 San Savino
Dry, Valdobbiadene Prosecco
di Ripatransone (AP) www.tenutacoccigrifoni.it
Superiore DOCG, vendemmia
bidezza naturale con acidità tenue, finale raffinata sapidità di lievito.
Dosaggio Zero, Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG, vendemmia
Corpo giallo paglierino tenue cristallino e traspa-
2016, uvaggio Glera in purezza
rente porta una bella spuma evanescente di bolli-
Adami, via Rovede 27, 31020
purezza
cine vivaci e continue. Olfatto delicato di lievito e
Colbertaldo di Vidor-Altamarca
trame floreali e fruttate tipiche varietali. Sapore
(TV) www.adamispumati.it
Spagnol Soc. Agr.,via Scandolera 51, 31020
Effervescenza soffice e spessa e finissima su un corpo brillante color paglia di grano. Profumi nitidi varietali misti a fiori bianchi e menta. In bocca è caldo e dinamico, piacevole con nota di lievito, fresco e sapido con un finale di grande intensità fruttata di mela Golden.
Azienda Vinicola Follador,
Bortolomiol spa, via Garibaldi 142, 31049
via Gravette 42, 31010 Col San
Valdobbiadene-Altamarca (TV) www.bortolomiol.com
Martino-Altamarca (TV) www.
Corona geometrica e lenta di bollicine fini su vestigia dai riflessi paglierini giallo pastello. Note olfat-
folladorprosecco.com
Corpo giallo paglierino deciso percorso da cate-
tive nitide distinte di erbe di campo e raffinati fiori
nelle di bollicine fini sinuose dinamiche formano
bianchi. Al palato è vibrante, secco, anche austero,
una circolare corona continua. Spettro aromatico
esplode in una serie di essenze fruttate di albicocca
vivace e pizzicante di fiori di Tarassaco e Leuconte
e frutto della passione con chiusura in stile agru-
e mela verde. Al palato è seducente e appagante, di
mato.
struttura e diretto, fra agrumi schietti e un finale asciutto minerale basaltico stimolante.
Spagnol Col del Sas Quindici16
2015-2016, uvaggio Glera in
Colbertaldo di Vidor-Altamarca (TV) www. coldelsas.it
Spumeggio evidente e vivace corona circolare di bollicine fini su un vestito di un bel paglierino fulgido metallico cristallino. Olfatto intenso di gelsomino e lauro e felce. In bocca sentori di nocciola e
in purezza
via Capitello Ferrari 1, 31049
Stefano di Valdobbiadene-
grande equilibrio, accattivante e invogliante, mor-
di Cartizze DOCG, uvaggio Glera
gusto finale elegante e netto, lungo e morbido.
Al palato è ampio e ricco, raffinato incrocio acidità
di mughetto, biancospino e paglia di mais. In bocca
Brut, Valdobbiadene Superiore
piacevole.
freschezza e una chiusura minerale di pera Satur-
Valdobbiadene Conegliano DOCG Prosecco Superiore
Terre di San Venanzio Cartizze
Terre di San Venanzio Fortunato,
in purezza
è preciso e scolastico con ampia diversità floreale
cato, fresca ed elegante setosità di pera e finale di buon miele d’acacia.
vole, acidità delicata, etereo con trame agrumate e
vendemmia 2017, uvaggio Glera
ammandorlato.
li. Sapore sapido ed equilibrato, armonico e abboc-
bocca è sapido, fresco e brioso, moderno e grade-
delle Treziese 1, 31049 Santo
nua su un abito giallo paglierino pastello. Al naso
variegati di salvia e robinia e un bel tono di propo-
di pane accattivante e suadente, fusione perfetta
Col Vetoraz Spumanti srl, strada
suadente e croccante con finale di miele rotondo
rorati e smeraldini. Profumi floreali di fiori gialli e
acido-sapida con finale minerale agrumato lungo e
tenso quadro aromatico di fiori di lauro e osmanto.
Effervescente scroscio di perle con corona conti-
(TV), www.cantinagirardi.com
abito cristallino in tono paglierino con nuances
sa. Al naso un elegante tono di lievito seguito da in-
nina bianca.
Spuma cremosa di bollicine finissime lente e sinuose risalenti in un corpo paglierino pastello toni
Susegana-Altamarca (TV) www.malibranvini.it
con perle fini continue a formare una corona spes-
ra e talco.
www.tanore.it
rietale, salino e minerale.
Azienda Agricola Malibrán, via Barca II 63, 31058
www.perinieperini.it
armonico e sapido, finale di carota, mandorla ama-
di grande beva dai toni di pompelmo, crosta di pane
rato-smeraldo ed effluvio di cate-
Perini & Perini, via Luigi Scotti 14, 29122 Piacenza
deciso e carico, particolarmente acido e asciutto,
Pietro di Barbozza Valdobbiadene-Altamarca (TV)
to in acidità e struttura, un retrogusto esplosivo va-
Colore paglierino con riflessi do-
Valdobbiadene Prosecco
vendemmia 2016, uvaggio
Mont di Cartizze 3, 31049 San
2017, uvaggio Glera in purezza
a buona buccia di lime. In bocca l’incontro pera e
purezza
minerale e salino, dal retrogusto equilibrato pieno
in purezza
variegati di fiori di mela e foglie di tabacco oltre
Cartizze DOCG, uvaggio Glera in
bocca è asciutto e fresco, di grande beva, equilibra-
sorellebronca.com
lare continua. Al naso austero ed elegante con toni
Valdobbiadene Superiore di
Azienda Agricola Tanorè, via
una corona lineare e spessa di perle a grana fine.
un bel finale aromatico di miele avvolgente.
Tanorè Della Gioia Cartizze Dry,
chi, buone note vegetali e varietali. Gusto tagliente
Superiore DOCG, vendemmia
nelle continue finissime formanti una corona circo-
vole finale pulito e delicata pasticceria.
ed elegante, con sapida acidità racente, croccante
Superiore DOCG, uvaggio Glera
monico, sentori di ananas piacevoli e beverini con
so e cremoso, di pregnante rotondità, ma con sorbe-
te. Al naso bagaglio nitido e fine di bucce d’agrumi,
Vidor-Altamarca (TV) www.
Complessa nota sensoriale di fiori di Caprifoglio ed
frutto su paglia. Al gusto è fresco e dinamico, succo-
di mela Renetta e di fiori bianchi di margherita. In
Abito giallo paglierino con trame dorate portanti
(TP) www.firriato.it
Brut, Offida DOCG Passerina,
aromatico fra scorza di limone e fiori di Iris bian-
Valdobbiadene Prosecco
purezza
Cocci Grifoni Gaudio Magno
vestito paglierino scarico e limpido con trame dora-
Girardi Grande Cuvée Brut,
Col Vetoraz Extra Dry,
gialla. Sapore dolce non stucchevole, delicato e fine,
corona dirompente di bollicine persistenti. Quadro
Valdobbiadene Prosecco
Tenuta Borgo Guarini, via Trapani 4, 91027 Paceco
aromatici fruttati di albicocca e pesca Leonforte
Spuma vivace e continua su un
Glera, 5% Bianchetta, 5% Perera
Malvasia di Candia Aromatica in
intenso. Aroma di fiori di biancospino e profumi
Corpo cristallino di un bel colore paglia porta una
Malibran 5grammi Extra Brut,
Euriopsi. In bocca soffice e vellutato, asciutto e ar-
po giallo paglierino con lampi dorati smeraldini. Intenso aroma raffinato aromatico di lievito e del
Zanotto srl, piazza E. Ferrari 16,
bella spuma persistente di piccole bollicine. Bou-
Firriato Distribuzione srl -
spuma dai bagliori dorati su un corpo paglierino
Zanotto ZB Dosaggio Zero Brut,
Astoria, viale Antonini 9, 31035
Aromatico Dolce, uvaggio
Bollicine continue salgono e formano una spessa
Corona di perle finissime lente e sinuose su un cor-
20, 31020 Colbertaldo di
Firriato Saint Germain Brut,
Spumante di Qualità del tipo
Dry, Valdobbiadene Prosecco
nale mordente e minerale.
Sorelle Bronca, via Martiri
casavinicolafazio.it
di cedro e pompelmo.
Perini&Perini Malvasia Dolce,
Val de Brun Millesimato Extra
Cà Salina Sìrocol Extra Dry, Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG, uvaggio Glera in purezza Bortolin Gregorio - Vini Cà Salina, via Santo Stefano 2, 31040 Valdobbiadene-Altamarca(TV) www.casalinaprosecco.it
Valdobbiadene DOCG Superiore di Cartizze Agostinetto Cartizze Extra Dry,
Bella corona compatta intera spessa di bolle fini su
Valdobbiadene Superiore di
un vestito paglierino con riflessi verdolini. Aromi
Cartizze DOCG, vendemmia 2016,
olfattivi coinvolgenti intriganti giustamente aro-
uvaggio Glera in purezza
matici quasi dolci. In bocca tessitura forte con verve verticale in equilibrio morbido salino-vegetale,
Agostinetto Bruno Azienda Agricola di Daniele
Bollicine piccole, incisive, persistenti su un abito paglierino carico. Al naso ondata di fiori variegati di campo e mela Golden. In bocca ben bilanciato, di corpo morbido ma di asciutta eleganza, aperto e fragrante con toni armonici e pieni fruttati e un finale raffinato non sdolcinato.
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Zorzettig Optinum OZ
Zaccagnini Aster Bianco Extra
Anno II · numero 5 Luglio 2018 Periodico quadrimestrale
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