I. C. CAVOUR
PAGINE DI DIARIO IN … 2^G
Prof.ssa Angela Arena ALUNNI CLASSE2^G
in occasione del 27 Gennaio, il Giorno della Memoria” Per non dimenticare”, gli alunni della seconda G sotto la guida della professoressa Arena si sono cimentati nella scrittura “Pagine di Diario” immaginandosi adolescenti che abbiano vissuto quei terribili giorni …
27 Gennaio 2016 Catania
PAGINE DI DIARIO ….IN 2^ G l’’unità didattica il “diario”, durante il Alla classe seconda G è stata proposta secondo il secondo pentamestre. Lo scopo generale dell’unità è stato quello di approfondire alcuni aspetti di riflessione sulla lingua inserendoli in attività di tipo letterario e creativo e in un percorso strutturato. Si è così voluto tentare di mettere gli allievi nella condizione di applicare convenzioni linguistiche in contesti concreti e anche quotidiani. La docente di Lettere Angela Arena, ha proposto 1) La lettura di diversi testi di letteratura classica( Dracula di Stoker, Cecilia va alla guerra di L.Levi, Mi piaci così di Gungui, Diario di Anna Frank, etc.) 2) La lettura di pagine d’antologia modello con esercizio di redazione legato alle esperienze dirette degli allievi per l’esplicitazione delle caratteristiche testuali. 3) La scrittura del Il diario “inventato” 4) Riflessione ed esercitazioni su alcuni elementi del linguaggio formale come la struttura del testo, i connettivi, la concordanza dei verbi, le scelte lessicali. 5) Trasformazione del diario “inventato” in un’autobiografia. Obiettivi - Riconoscere caratteristiche testuali e utilizzarle nei propri elaborati. - Capire l’importanza della fase di ideazione e di ricerca delle informazioni per la redazione. Riflettere sulle caratteristiche del linguaggio formale e riuscire ad applicarle nello scritto. -‐ Esercitare strutture grammaticali e sintattiche (concordanza dei verbi, uso dei connettivi) e metterle in atto nel proprio testo. - Adottare un punto di vista particolare, mettendosi nei panni di un personaggio. Caratteristiche del progetto - Valorizzare le esperienze e i vissuti degli alunni - Sviluppare l’attitudine all’ascolto e la voglia di comunicare - Sperimentare modalità di lavoro coinvolgenti e motivanti - Imparare a scrivere dagli autori Al termine dl Percorso PAGINE DI DIARIO IN …….2^ G in occasione del 27 Gennaio, il Giorno della Memoria” Per non dimenticare”, gli alunni della seconda G sotto la guida della professoressa Arena si sono cimentati nella scrittura “Pagine di Diario” immaginandosi adolescenti che abbiano vissuto quei terribili giorni …
DIARIO DI CHIARA Berlino, 28 ottobre 1943
Caro diario, non ci sentiamo da tanto tempo a causa di brutti avvenimenti, quindi vorrei riassumerti tutto ciò che sta succedendo. Penso tua sia già a conoscenza di Hitler, Adolf Hitler, quell’uomo malvagio che ritiene noi poveri ebrei un popolo inferiore e che per questo dobbiamo essere eliminati. Scartati dal mondo… come quando prendi un pezzo di carta, lo accartocci tra le mani e lo butti nel cestino. Forse qualcuno ha più notizie di me ma io, ragazza di dodici anni, mi chiedo solo cosa abbiamo fatto di male noi ebrei. Hitler, convinto delle sue idee, ha deciso già da qualche anno di ordinare uno sterminio di tutti gli ebrei e già sai qual è il risultato? 700.000 ebrei morti. Tante persone hanno avuto la sfortuna di essere portate nei campi di concentramento, posti orrendi, squallidi, dai quali nessuno è più ritornato. Molta gente che conoscevo, che abitava nella mia stessa città, è stata uccisa o è morta a causa di fame e stenti… e tutte queste cose, che io non capisco minimamente, avvengono così… dall’oggi al domani… Questo è ciò che accade ancora in questi giorni… essere strappati dalla vita di normali essere umani… scuola, attività e tanto altro ed essere costretti a trascorrere il resto della propria vita nei campi di concentramento... Tutto questo è ingiusto! Tutto questo non ha spiegazioni! Provo tanta rabbia e angoscia, perché non so più pensare al mio futuro, a quello che ne sarà di me. Tutto perde colore intorno a me… ogni giorno passa nel terrore di essere trovati… Caro diario, spero di poter scrivere un giorno sulle tue meravigliose pagine che questo orrore è ormai finito. Chiara Malfitana
PAGINA DAL DIARIO DI ALESSANDRA
1/02/1944 Caro diario, Volevo parlarti di un evento accadutomi oggi. Questa mattina come le altre, la mamma era agitata, la nostra è una famiglia ebrea ed un po’ che il mio papa non è a casa, cosi come faccio spesso ho chiesto alla mamma dove fosse papà e lei sempre con la stessa risposta :<< papà è uscito e torna tra un paio di giorni>>. Io però, non sono più piccola e ho capito che non è vero. 7/02/1945 Ieri, sentii il campanello della porta suonare; la mamma andò ad aprire. Era mia zia la sorella della mamma. La salutai e le due mi dissero di salire nella mia stanza, io però feci finta di salire nella stanza invece, mi misi dietro la porta ad origliare per capire se fosse vero quello che io pensavo sul mio papà. Parlavano della guerra che ha colpito anche il nostro paese, in particolare parlava la mamma e diceva di aver sentito che ieri sera avevano preso molti, uomini, donne e bambini ebrei e li avevano uccisi. Piangeva e tra i singhiozzi diceva che molto probabilmente avevano preso anche papà e che sicuramente …. ormai sarebbe … morto. Io non voglio crederci, mio papà.. il mio papà NO! Nessuno può togliermi il mio papà . Sono sicura che mio papà si è salvato . Papà…..non mi lasciare ti voglio bene…. Tu sei il Mio papà Alessandra Verona
DIARIO DI DALILA 02/01/1945 Caro diario, Mi trovo in uno strano luogo, lontano dalla realtà,la gente ha una triste espressione e tutti hanno i capelli rasati. Mia madre continua a ripetermi che questo e solo un gioco… facendomi credere che fossi in un film… ma io so dove siamo… ho oramai dieci anni e sento molte volte parlare la gente che mi sta intorno. Ho tanta paura che quelle persone cattive vengono a prendere me ela mia famiglia… non voglio che accada niente a loro, preferisco prendano me, non riuscirei a sopportare tutto quel dolore… L’unica cosa che non capisco però, è il perché di tutto questo… far soffrire la gente inutilmente, a quale scopo? Non ne ho la minima idea… sono una bambina e non dovrei vivere tutto ciò. Ogni giorno vedo in questo posto molti miei coetanei vivere ciò che sto vivendo io, e non ne sono molto entusiasta. Credo che noi più piccoli dovremo in qualche modo ribellarci, ma se questo accadesse, penso che ora non sarei qui a scrivere su questo diario. 03/01/1945 Ho tanta voglia di giocare con altri bambini, e non lavorare come se fossi una schiava. Noi siamo gente normale! Come qualsiasi forma di vita sulla terra! A volte mi capita di sognare che un buon uomo qualche giorno, venga a salvare tutte le persone di questo posto, comprese me e la mia famiglia. Mia madre mi ha appena comunicato che fra poco andremo tutti a farci una rinfrescante doccia… non ci credo tanto, non ho un buon presentimento. Dalila Tamburella
DIARIO DI ANTONIO 13 Luglio 1939 Caro diario, Oggi è un giorno speciale, o meglio, il mio giorno speciale! Oggi compirò 11 anni e ne sono entusiasta. Io e la mia famiglia ci siamo trasferiti da poco a Berlino, in Germania, ne so poco di tedesco, mentre papà lo sa parlare molto bene. Abram Liscob, questo è il suo nome, è un ricco imprenditore nel campo tessile, che per problemi finanziari, ha deciso di spostare la sede centrale dell’azienda, qui nel paese della legalità, o almeno, lui diceva così… Sinceramente, devo dire che mi sono ambientato bene, ho tanti amici che come me, si sono trasferiti da poco in città, pensa che ogni pomeriggio, dopo la scuola, ci incontriamo nella piazza del paese per fare due tiri a pallone, ci divertiamo molto insieme… Sono stato fortunato, eppure avverto una mancanza dentro di me, sento che non proverò mai più quella sensazione di freschezza, emanata dal disciogliersi dalle goccioline di rugiada, depositatasi nella notte sui germogli della piantina di menta che cresceva velocemente sul mio balcone, con il primo sole… Per ricordare un po’ quell’emozione, ho convinto i miei genitori a portarmi sulle fertili sponde del Danubio, le quali acque, con il calar della sera, assumono un colore cristallino e trasparente, se ci si sporge si intravede il fondale colmo di colori gioiosi e lucenti. 16 Luglio 1939 Sono le 9:00 del mattino, siamo tutti pronti per partire, la mamma ha appena impacchettato l’ultimo panino per il pranzo, io ed il mio fratellino Tomas abbiamo preso i costumi migliori per farci una bella nuotata nel fiume. Dopo 3 lunghe ore, eccoci arrivati. Sull’insegna posta sul cancello in ferro, nella parte superiore, vi è scritto:” Parco nazionale del Danubio”. Mentre correvo gioiosamente verso la verde vegetazione, ho notato una scritta in rosso sul muro grigio e pieno di muschio, che
diceva: “KEINE JUDEN”. Non ho avuto neanche il tempo di voltarmi che… ho sentito papà che diceva a bassa voce, con aria preoccupata: ”ragazzi in macchina si torna a casa!”. Lui ha iniziato a guidare velocemente, mentre una gocciolina di sudore gli scendeva dalla fronte. Siamo arrivati nella nostra abitazione di periferia, i miei genitori stanno discutendo in salone, una discussione che ormai si è evoluta in un litigio, io sono nascosto sotto un tavolo impaurito dalle urla, non capisco molto, ma le parole che vengono ripetute più volte sono: EBREI, HITLER, RAZZISMO, RELIGIONE. 31 Luglio 1939 Oggi mamma ha espresso chiaramente di voler scappare…Chissà, forse aveva litigato con le amiche del quartiere, solo una cosa è certa, sono confuso… 12 Agosto 1939 Non scrivo da tanto tempo, durante il viaggio ti avevo smarrito. Dimenticavo! Ci siamo trasferiti in Inghilterra, sto indagando sul perché di questa emigrazione, ma papà non vuole dare spiegazioni. Ogni volta che provo a parlargli, si innervosisce e trova una scusa futile per interrompere la discussione… Qui a Londra, mi sono ambientato bene, la gente è socievole, ma non capisco gran che… Detto fra noi, io sorrido e annuisco, parlano troppo veloce gli inglesi. 1 Novembre 1942 Sono passati ormai 3 anni e per i viali noto sempre più delle bandiere rosse con uno strano simbolo in mezzo che mi ricordano lo stemma della mia terra natale: la Trinacria siciliana. 4 Novembre 1942 Oggi alla tv ho sentito parlare di un uomo che aveva qualcosa contro noi ebrei, si chiama Adolf Hitler. Ho prestato poca attenzione a quella notizia poiché, si diceva che combattesse il nemico, ma il mio papà non aveva fatto male a nessuno.
18 Dicembre 1942 Il mio amico George Bilton, gira ogni mattina per le strade a distribuire il giornale alle famiglie, proprio oggi per caso uno di questi mi è finito fra le mani, l’ho aperto ed in prima pagina vi era scritto: “ L’Inghilterra dichiara guerra ad Hitler ”. Ho sollevato lo sguardo un attimo, e subito dopo realizzai; Adolf Hitler, era un uomo cattivo, brutto ed arrogante, era molto forte, capace di conquistare territori enormi. Si faceva chiamare “ FURER ” ovvero capo…Già capo di un popolo di ignoranti, perché avevo letto che facesse bruciare libri culturali… 14 Maggio 1943 Ho paura, sento degli spari provenire dalla strada, Papà ha perso l’azienda a causa di una legge che vietava agli ebrei di possedere o amministrare fabbriche… Sento dei rumori provenire dal piano di sopra, Papà ha detto noi di nasconderci, mentre loro avrebbero risolto la questione… Sento le urla e il pianto della mamma, in cantina Tomas ed io tratteniamo le lacrime… Voglio parlare, andare lì fuori ad esprimere il mio parere, anche se so che non avrebbe senso, sono un bambino io non valgo nulla…Quelle parole mi sono rimaste in gola ma non ho più voglia di condividerle con nessuno. 15 Maggio 1943 La notte di ieri, è stata la più brutta della mia breve vita. Quei signori loschi e misteriosi, si sono portati via papà e Tomas. Ma ho come il presentimento che non passerà tanto tempo prima che verranno a prelevare anche noi… 19 Maggio 1943 I miei presentimenti si sono avverati hanno preso anche me e mamma…Siamo in una macchina strana tutta chiusa, non entra aria, accanto a me vi è una donna con un bambino di massimo 3 anni, povero lui chissà cosa gli sarebbe spettato, e soprattutto chissà cosa
sarebbe spettato noi… Dopo 6 ore di viaggio nel fetore e nei pianti di un ammasso di gente siamo fermi… 27 Giugno 1943 Caro diario, Questi soldati sono proprio cattivi… Mi hanno separato dalla mamma e mi hanno privato del mio unico bene materiale che mi contraddistingueva dagli altri: tu, il mio diario, e in cambio mi hanno dato un numero… Ormai non mi chiamo più Antonio ma 1357 un semplice numero, che papà spesso dava ai suoi capi tessili…Mi sento un oggetto, ho freddo, ho sonno e non ho nessuno con cui sfogarmi, se non un piccolo pezzo di carta usata ed una matita consumata… Antonio Tiralosi
DIARIO DI SVEVA Le divise nere si stavano macchiando di bianco 17 febbraio Caro Diario oggi siamo scappati, non so il perché, so solo che è fondamentale non farci vedere. Franca, la signora che ci ha ospitati per quasi quattro notti, ci ha svegliato presto e ci ha aiutato a fare le valigie. Ovviamente non potevo lasciarti. Verso le sei di mattina, papà ed io siamo usciti da casa e ci siamo avviati verso la stazione, la mamma invece ha detto che voleva salutare Franca e ci avrebbe raggiunto subito. Prima di arrivare alla stazione, dei soldati ci hanno fermato, così papà ha inventato delle scuse, sostenendo che stavamo andando a trovare i suoi genitori perché stavano male. I soldati ci hanno fatto passare. Arrivati alla nostra meta abbiamo incontrato anche Isaac, il mio compagno di classe, e la sua famiglia. Abbiamo cominciato a preoccuparci perché la mamma non arrivava mai. Isaac, suo fratello ed io di nascosto abbiamo deciso di tornare indietro per prendere mia madre, a casa della signora Franca. Lì, però, non abbiamo trovato più nessuno, neanche la padrona di casa. Entrando, abbiamo notato che tutte le stanze erano sottosopra, sembrava che fosse passata una mandria di bufali inferociti. Dopo qualche minuto il padre di Isaac, Ezechiele, è corso a riprenderci. Era arrabbiato per quello che avevamo fatto e urlava che stavano arrivando e dovevamo sbrigarci. Chi e perché questo non era chiaro. Hanno cominciato tutti a correre. Ezechiele mi ha afferrato da un braccio e ha cominciato a trascinarmi via. Solo una domanda mi rimbombava nella testa: dov’era mia madre? Arrivati alla stazione abbiamo trovato solo papà che piangeva come un bambino, era la prima volta che lo vedevo piangere. Sono rimasta talmente turbata che ho smesso di farmi domande e ho iniziato a correre con loro verso un rifugio.
Siamo arrivati in una strada piccola e poco illuminata, Ezechiele ha discusso con mio padre su chi doveva fare i turni per quella notte. Ho capito solo allora che avremmo dormito proprio in quella stradina e ho poggiato le mie cose a terra. Caro Diario, la nostra sosta è durata molto poco: siamo già fuggiti da qualche ora e papà continua a dirmi che la mamma sta bene e tornerà presto. Di lei, però, non c’è traccia e questa cosa mi preoccupa da morire. Mi è tornato alla mente Axel, un compagno mio e di Isaac, che qualche giorno fa ha cominciato a prenderci in giro. Ci ha detto che ci avrebbero pensato i soldati, che ci avrebbero portato via, nel posto dove vanno tutti gli ebrei. Io non capisco cosa abbiamo fatto di male, perché scappare come criminali. In questo luogo di cui parla Axel, ammesso che esista, rivedrò mia madre forse, e allora perché non farci prendere. 18 febbraio Mamma non c’è. Ci siamo nascosti in un vicolo della periferia della città. Il freddo è così intenso che non mi sento più le mani e i piedi. La mia stanzetta, prima di andare a vivere a casa della signora Franca era enorme. Mamma aveva fatto cucire dal sarto una coperta rosso fuoco e il materasso era di piume d’oca. Accanto al letto c’era un ritratto di mia cugina ed io mentre giocavamo al lago. Eravamo piccole e mi ricordo che quel giorno il pittore ci chiedeva di rimanere immobili, mentre noi volevamo giocare. E’ da tanto che non vedo mia cugina, chissà se anche lei è stata portata nel posto dove vanno tutti gli ebrei. Ezechiele continua a lamentarsi, sostiene che se non ci muoviamo presto ci troveranno e non avremmo tempo per andare oltre i confini. Parlano dei confini della Germania, credo. Isaac ha paura, dice che non resisterà un’altra notte al gelo.
19 febbraio Scrivo con le dita congelate. Oggi ci siamo svegliati presto, la via in cui abbiamo dormito era assediata dai soldati. Noi ci siamo mossi nell’ombra e siamo rimasti nascosti. Un uomo in divisa, però, ci ha visti e ci ha presi. Urlava e ci ha trascinati in un camion. Sono riuscita a nasconderti nelle pieghe del cappotto, sei talmente piccolo. Ci hanno portato alla stazione e messi su un vagone stracolmo di persone. Credo ci vogliano portare dove vanno tutti gli ebrei. La gente piange e si dispera, io credo ancora che lì potrò ritrovare mia madre. La famiglia di Isaac è finita su un altro vagone. Papà mi ha preso in braccio e mi ha fatto guardare dalla finestrella del vagone. Stava cadendo la neve e le divise nere di quegli uomini si stavano macchiando di bianco. Sveva Bonura
DIARIO DI DOROTEA 29 giugno 1943 Caro diario, E’ difficile scrivere in questi giorni … Dall’ufficio di papà, si sentono dei rumori, come se qualcuno scaraventasse tutto a terra … come se stesse cercando qualcosa. Spero fermamente che non stia cercando …. me e la mia famiglia. Siamo nascosti nella cantina, il nascondiglio non è affatto riconoscibile. A terra c’è una sorta di porta nascosta sotto un lungo tappeto, che porta ad lungo e buio corridoio che a sua vota dopo un tortuoso labirinto arriva a un piccolo rifugio. Ho paura… Questi uomini sono in cantina… Sentiamo i lori passi svelti e minacciosi . Ho tanta paura … Si sa, sono nazisti, e vogliono uccidere noi ebrei. Il perché nessuno lo sa, ma siamo tutti terrorizzati. Qui sotto, i miei nonni e i miei genitori, continuano a dire a me e mio fratello ‘’state tranquilli, non ci succederà niente, ma dovete stare in silenzio… altrimenti .....’’ e smettono subito di parlare. Adesso, caro diario, penso che le nostre conversazioni da questo momento in poi siano finite. Sono scesi i nazisti nel rifugio, come non detto. Ma adesso non ti dico addio, ti dico solo alla prossima, come faccio ogni giorno quando finisco di raccontarti…….la mia ….. Dorotea Samperi
DIARIO DI EDOARDO C. Berlino 21 dicembre 1939 Da poco è iniziata la guerra. Ho tanta paura che io e la mia famiglia veniamo rapiti dagli scagnozzi di Hitler. Siamo nascosti da una famiglia molto simpatica che ogni giorno ci da da mangiare e da bere. Una volta la settimana perquisiscono le cantine ed ho paurissima quando passano vicino al nostro nascondiglio. Berlino 25 dicembre 1939 Ci mancava tanto così che oggi ci scoprivano, non scrivo sempre, perché lì sotto non succede quasi mai niente. A, oggi è Natale ma dato che non possiamo uscire ci siamo limitati a una semplice cena tutti insieme. Berlino 1 gennaio 1940 Oggi c'è la perquisizione ma credo che... Berlino 1° gennaio 2000 Caro Diario, oggi “compio” il mio 50° anniversario da quando sono stato liberato dai nazisti. Nel 1° gennaio del 1940 io e la mia famiglia siamo stati scoperti e mandati ad Auschwitz. Non sapevo com'era questo posto quindi mi potevo aspettare di tutto. Non si vedeva niente, era cupo e buio. Volevo tornarmene a casa era un posto talmente pauroso che ho urlato talmente forte che le guardi mi hanno dato uno schiaffo che mi ha fatto ammutolire. Un giorno molti li portarono in fabbrica per costruire armi e proiettili, altri furono mandati, a gruppi di venti, alle docce dove la morte aspettava il loro arrivo. In un gruppo sarei dovuto andarci pure io ma mio padre che mi disse: “Scappa e nasconditi, poi ti raggiungo”. Io aspettai in un angolo per più di due giorni, dove capì che mio papà non tornerà mai più e che sarebbe giusto tornare e mangiare qualcosa. Compiuto dodici anni mi mandarono pure a me a lavorare per giorni e
giorni spesso senza cibo. Quando finivo avevo lo stomaco a pezzi, infatti subito dopo vomitavo. Non capivo se quello che stavano vedendo i miei occhi fosse vero o solo un incubo, a breve potevo diventare pazzo. Tutte le volte che ci portavano alle docce io riuscivo sempre a scappare. Passati altri tre anni a lavorare e a nascondermi la notte non riuscivo più a dormire. Quella notte mi salvò la vita perché un soldato inglese, fingendosi un medico, entrò dentro il mio dormitorio e mi trascinò assieme ad altri due miei amici più piccoli di me. Correvo come se stavo facendo una gara e in palio c'era l'immortalità. Marco correndo troppo velocemente cadde, rompendosi il piede. Io lo presi in groppa e lo portai fino ad una piccola apertura nella recensione e passando mi sono graffiato la schiena, ma il dolore in confronto alla libertà non era niente. A distanza di cinquant'anni io, Enrico Sciuti, ho passato i miei anni dell'adolescenza a lavorare e a soffrire. Ora, da anziano, vivo una vita fantastica assieme ai miei figli e ai miei nipoti. Edoardo Celentano
DIARIO DI CRISTINA Finalmente tornerò a vivere “La libertà è innanzi tutto il diritto alla disuguaglianza”.(Nikolaj Berdjaev) -‐Signore ne abbiamo trovato un altro, era vicino a quello della signorina Frank, al campo di Auschwitz. -‐Portalo a Bill, chiedigli di leggerlo … 01/02/1944. Sono passati quattro anni, da quando ho smesso di scrivere. Sono cambiate tante cose … Lo ricordo ancora, era il 1940 ,avevamo abbandonato la nostra casa a Berlino, per andare a vivere in una cantina sotto la casa della famiglia Usterh. Mi mancava la mia casa, le tende, la luce, le grandi poltrone e le feste che la mia famiglia dava. Fu da quel momento che le cose iniziarono a cambiare.. 06/02/1940 Mamma e papà parlavano sempre a voce bassa, quando gli chiedevo cosa stava succedendo, loro sorridevano e mi dicevano di giocare con le mie bambole, o di leggere un libro. Per quanto cercavano di nasconderlo, io sapevo già la verità, volevano ucciderci ,ecco perché ci eravamo nascosti. Le giornate diventavano sempre più dure, erano passati 2 mesi, avevo 13 anni, mi sentivo in trappola, come un uccellino in gabbia, ma questo non era niente in confronto a quello che mi sarebbe successo dopo. Era il 15/05/1940, quando i miei genitori mi dissero la verità, non potevo uscire, ne telefonare, mi sentivo in una prigione, ma era il prezzo da pagare se volevo rimanere in vita. Alla televisione, si trasmettevano notizie riguardo “la persecuzione” degli ebrei, vedere tutta quella gente che veniva messa in carri e veniva separata dalla propria famiglia non mi aiutava, però, guardando il telegiornale ,capivo che non erano solo i Nazisti a volerci mandare via, ma era tutta la città, tutto il mondo, nessuno ci voleva aiutare, eravamo in trappola, per noi non c’era scampo. Quelli che venero dopo, furono giorni bui, di tristezza, i miei amici iniziarono a scomparire, uno dopo l’ altro. Le lacrime della
mamma mi contagiavano, anche se , cercava di piangere in silenzio; niente più notizie di nonna, ne di zio Rodolfo. In un certo senso, quella cantina mi rasserenava, mi sentivo al sicuro, anche se sapevo di non esserlo affatto. Era la mattina del 05/12/1942,quando era arrivato il mio momento. Continuavo a pregare, io, sapevo che Dio mi sarebbe stato accanto. Sentivo le urla, era la mamma, la chiave della porta era ben girata, mi ero chiusa a chiave, come mi aveva chiesto di fare papà. Ad un certo punto , non sentii più niente. Mi sentivo come Dante nella Selva Oscura, però Virgilio non arrivava. Non scoppiai a piangere, sapevo che mi avrebbero sentito. Alla fine, presi due cose, la Bibbia e il mio diario. Ero uscita dalle condutture dell’ aria, non sapevo che fare, allora mi misi a correre. Mi nascosi in un palazzo abbandonato, dentro un armadio. Mi sentivo sola, arrabbiata e triste, volevo morire, ma non potevo farlo per i miei genitori. Non capivo e non riesco ancora a capire, perché non posso essere libera, perché non posso fare un passo senza aver paura, perché non posso vivere come un essere umano. Passarono uno, due giorni, poi mi trovarono. Ero stremata, mi diedero da bere e poi mi misero con altre persone in una specie di carro. Non so descrivere come mi sentivo, come se il mio cuore avesse smesso di battere. Vedevo con me, gente che piangeva, altra che tremava. Il carro era all’aperto, si moriva dal freddo. La Bibbia, l’avevo lasciata dentro l’armadio, il diario invece ero riuscita a nasconderlo sotto la sottana. Quando ci fermammo calò il silenzio. S’intravedeva una scritta: ”Auschwitz”. Eravamo dentro. Un filo spinato circondava tutto il territorio. I soldati ci fecero mettere in riga e successivamente dissero qualcosa in austriaco, io non riuscivo a capire. Poi seguendo le altre persone entrai in una baracca, quella che sarebbe stata la mia nuova cosa. Dovevo essere coraggiosa, come gli ebrei quando attraversarono il deserto per 40 anni, chissà quanto tempo sarei dovuta rimanere lì. Per un intero mese, cercavo, nel tempo in cui i miei occhi riuscivano a staccare lo sguardo dalla malinconia che colmava quel buio luogo, i miei genitori, ma loro non c’erano, ero sola. Tra lavoro, sudore, rimproveri e pianti, trovai un’amica, si chiama Anna. Con il passare dei
mesi, iniziarono di nuovo a scomparire persone, una macchina era sempre accesa, da essa usciva fumo, inizialmente pensavo che fosse la cucina per i soldati, poi alcuni anziani mi spiegarono cos’era davvero. Era impossibile scappare da lì, rischiavamo la nostra vita e quella della gente che ci stava accanto. 03/09/1943 Avevo scoperto una cosa. Il nonno era stato qui. Nella baracca trovai i suoi pantaloni, sapevo che erano suoi, c’era la foto della nostra famiglia. Mesi duri, tristi, difficili, qualsiasi cosa sbagliavamo ci punivano. La solitudine mi rattrista e il fatto di essere trattata come un animale mi opprime. Ormai, l’unica cosa che ci consolava era pregare, anche se era proibita farlo. Sono passati 2 anni ,da quando sono qui, ogni giorno è peggiore dell’altro, non c’è speranza, non c’è vita, non c’è un sorriso. Pian piano muoiono persone ne arrivano altre. Adesso ho 18 anni ,prima non mi uccidevano perché ero troppo giovane, ma adesso … È da due giorni che non vedo Anna ,mi hanno spostata di baracca. Questo posto è come un inferno, non siamo più esseri umani, siamo solo anime lavoratrici, ma io lo so, lo so che Dio mi pensa e so che dopo la morte c’è la vita ,ed io non ho paura. Un giorno, ci ricorderanno, ci salveranno, ma io non posso e non potrò mai perdonarli. Il pensiero di non poter più rivedere i miei genitori oscurava il mio cuore, non riuscivo a credere che mio nonno era morto qui. So che le uniche cose che mi rimangono sono la fede e Anna. Il tempo ci preoccupa, uccidono più velocemente, sta arrivando il mio momento. Ho deciso di rischiare, devo rivedere Anna. Sono scappata ed entrata nella baracca dove ho lasciato Anna. I Nazisti non si accorgono se manca qualcuno. Ero lì, sì, ma Anna non c’era, …. c’era solo il suo diario. Oggi è il 27/01/1945 … Si sentono dei passi, dei cannoni. Si è innalzato il vento della libertà, lo sento, il mio dolore sta svanendo. Finalmente tornerò a vivere. Cristina Giuffrida
DIARIO DI GIORGIO 19 Luglio 1939 Caro diario, Oggi, fortunatamente, sono sopravvissuto ad un bombardamento...penso che questo giorno sia complicato da dimenticare, quasi impossibile, io sono l'unico ad esser scappato, ero l'unico che poteva passare sotto la buca che conduceva dall'altra parte della città. Qui a Berlino, è difficile trovare rifugi anti-‐bombardamento, quindi io mi sono costruito un passaggio segreto che porta da un muro all'altro. Ripeto: io sono l'unico ad essermi salvato, neanche li ho potuti salutare bene per l'ultima volta. Rabi, mio fratello è troppo alto, non ci è passato, è dovuto rimanere là . Da ora in poi io tutte le persone alte che vedo me le metto contro, perché ormai soltanto a vedere una persona come lui mi rifà pensare a quel momento. Non so se è ancora in vita o no, vorrei solo che lui fosse con me, al mio fianco. Questa è una delle tante immagini che ricordo, ma ce n'è una che penso mi rimarrà a vita; prima di trasferirmi a Berlino stavo in una cittadina vicino Potsdam e i nostri vicini erano ebrei come noi. Un giorno nel bel mezzo della cena io e la mia famiglia sentimmo il rumore della macchina di una pattuglia nazista. Ero terrorizzato, lo eravamo tutti. Il nostro morale cambiò quando i militari bussarono alla porta accanto, chiesero ai nostri vicini se fossero stranieri e nonostante quest'ultimi risposero di no, i soldati presero la persona anziana, costretta a stare sulla sedia a rotelle a causa di un incidente, e, senza esitare, la buttarono dal balcone. A differenza dei suoi parenti ebbe una morte veloce e indolore, loro, invece, furono crivellati di colpi nelle gambe e nelle spalle in modo che perissero in maniera lenta e dolorosa. Ricordo ancora le mani tremolanti di mia madre sulle mie orecchie. Penso che se ne avessi i mezzi farei fare pace tra tutti... ma ormai ho
capito che alla gente non importa niente… gli interessa solo la supremazia che possono avere su un determinato oggetto... mi spiego meglio... Credo che ad una persona non importa discutere se aiutare il mondo o avere il pane, le interessa soltanto possedere un grande quantità di beni per poi vantarsene, anche a svantaggio degli altri. Per fortuna non tutti siamo così o, almeno, lo siamo solo quando siamo dalla parte del povero o di chi soffre. Solo quando perdi tutto, come me, riesci a capire come tutti ci dovremmo comportare nei confronti degli altri. Io ne conosco tantissime persone così, tutti i miei amici, molti miei coetanei. Peccato che non siamo adulti perché tanto è così.. ai grandi non gliene frega niente, dal momento che non sono stati ancora capaci di fermare questa maledetta guerra. Diario ormai ho capito qual è il mio destino e ormai devo accettarlo. Giorgio Zurria
DIARIO DI GIUSEPPE 9 Aprile 1945 Caro diario, È ormai da tanto che vivo qui, in questo incubo ad aspettare… non so cosa. Non dimenticherò mai il giorno in cui mi portarono in questo posto assurdo, puzzolente, entrarono alcuni soldati gettarono fuori dalla finestra tutti i nostri oggetti, picchiarono tutti, ci presero, ci infilarono in vagoni terribili pieni di gente urli pianti bestemmie uscivano da quel vagone sovraffollato ah, quasi dimenticavo mi scuso con te diario perché in quei momenti ti tenetti in bocca per non farti vedere dai soldati e poi non capisco che ci faccio io in questo posto, se è un posto per lavorare io sono un bambino, non posso lavorare. Ci trattano come se fossimo animali, anzi peggio, come se fossimo oggetti perché io al mio cane gli do da mangiare e ha un nome, noi non abbiamo un nome abbiamo un numero. Ogni tanto spariscono persone, soprattutto gente che non lavora, questi soldati sono assurdi, non danno un’identità, del cibo ci fanno la doccia, e poi che doccia! La fanno in una stanza enorme, io non l’ho mai fatta. Non riesco a capire perché portarono me, la mia famiglia tranne mia madre, cosa ha lei di diverso da me, è una femmina, anche mia nonna è una femmina, lei è spagnola ma non credo che la abbiamo lasciata per questo all’inizio volevo venisse con me, ora invece sono contento che non sia venuta un questo incubo. 10 aprile 1945 Oggi è stata una giornata bella mi hanno portato a casa del capo dei soldati a fare il cameriere, mi trattano male se sbaglio ma non c’è paragone con il campo, qui mi danno da mangiare, ho fatto amicizia con il figlio del capo dei soldati
11 aprile 1945 Oggi è il giorno più bello, è iniziato con la guerra ma infine altri soldati ci hanno salvati erano americani, li ho riconosciuti dalla bandiera sopra il carro armato, ho anche scoperto come si chiama il campo orribile, Buchenwald, allora non voglio tornare più in un Buchenwald, anche se questi altri soldati parlano inglese io li capisco perché mio zio lo parlava, mi hanno fatto un sacco di domande e mi dissero che con loro sarei stato bene e avrei continuato a studiare, in questo momento ci troviamo in una automobile. Addio Buchenwald !!! Giuseppe Cairone
DIARIO DI JACOPO I MIEI GIORNI SENZA LIBERTA’ Sentì un urlo provenire dalla cucina, corsi subito lì e vidi mio padre che gridava: “ lasciatemi maledetti! ” …. Degli uomini in divisa stavano arrestando tutta la mia famiglia ma senza spiegarci il motivo di tutto ciò. Ci misero dentro un treno, ammassati gli uni con gli altri; ci trattavano come animali senza alcun rispetto. All’arrivo, lessi in un cartello molto grande:” il lavoro rende liberi”. Ci portarono in campi molto vasti dove si trovavano dormitori, vari bagni e una mensa per mangiare. Passammo la notte là, ma io capì che non saremmo più tornati a casa. Il mattino seguente ci portarono tutti a lavorare pesantemente e l’unica emozione che in quel momento potevo riuscire a provare era una profonda tristezza. Tornai nei dormitori distrutto; a mia madre e a tutta la mia famiglia vennero tagliati i capelli quasi a zero e mio padre era in fin di vita. Il lavoro, era sempre costante e le giornate monotone: sveglia presto, lavoro brutale fino a sera e l’unico benessere che c’era consentito avere: dormire fino al mattino seguente. Capì che quel cartello “il lavoro rende libero” non diceva cose vere e pensavo che sarebbe più giusto scrivere :” la libertà viene tolta agli ebrei per lavorare”. Fu terribile quando la nostra famiglia venne separata. Ogni giorno in quei campi morivano decine di persone o per stanchezza o per fame o per malattia; sembrava proprio che la persona a capo di tutta quella brutalità non avesse alcun sentimento di pietà verso tutte quelle persone sofferenti nei campi di lavoro. Intanto io, continuavo a provare tristezza, odio; e malinconia….. Io ..ma oggi non sono più quell’io… Io , non so chi sono,….IO. Jacopo Scaccianoce
DIARIO DI GLORIA 1/02/1945 Caro diaro, anche oggi la guerra incombe su di me e la mia famiglia. Non so per quanto ancora potrò fingere che vada tutto bene, quando invece sono terrorizzata da tutto ciò che mi circonda. I miei dicono che questa tortura finirà presto ma io non ne sono tanto sicura. Il rumore delle bombe lo sento ovunque è come una melodia nella mia testa, una melodia di paura. Sento ancora gli spari dei militari che ormai mi imprigionano senza una via di fuga. L'unica cosa che vedo è solo il sangue, il sangue di povera gente. Non riesco a guardare una scena tanto orribile è come se il mondo pieno di gioia e allegria che conoscevo, si fosse trasformato in un luogo di morte e di terrore, peggio dell'Inferno. Lo ammetto ho paura, ho paura di tutto. Voglio che tutto questo finisca, non posso più vivere così. Ora ti devo lasciare, le truppe nemiche si stanno avvicinando ed io e la mia famiglia dobbiamo scappare. A dopo, si spera. Gloria Taormina
DIARIO DI EDOARDO B. Sono diventato grande “La senti, si chiama guerra! Non c’è niente da fare, diventerà un’abitudine.” Gridava la guardia tedesca mentre tirava la mia maglietta e strappava le mie braccia da quelle della mamma, bloccata da un altro soldato. Lei piangeva, piangeva la distruzione della natura: strappare un figlio ai genitori. Ho visto quella casa bruciare, era come un falò, ma molto più grande, strano io ho sempre amato i falò. La canna del fucile mi spingeva la schiena e salii sul treno. C’era molta gente sul treno. Persone spaesate, c’era anche un bambino che mi guardava con la paura disegnata negli occhi. Le donne erano spaventate e gli uomini le consolavano, ma si vedeva che avevano paura anche loro. Non capivo, prima di salire sul treno un uomo che non conoscevo mi disse che avrei rivisto i miei genitori alla fine della gita. Perché allora tutta quella paura. I miei amici pochi giorni prima avevano iniziato a chiamarmi sporco ebreo; quindi, cominciai a pensare che ci portassero via per lavarci. Effettivamente sul vagone sentii parlare di ebrei messi sotto le docce. E’ incredibile, esiste un limite per la crudeltà degli uomini, perché se esiste credo che, dove arrivai io, era stato superato da un pezzo. Il vagone si fermò ed io scesi insieme agli altri, tutti in fila. Era notte, notte fonda e c’era freddo. Ci separarono: i vecchi a sinistra, le femmine a destra e i maschi dritto, verso le zone di lavoro forzato. Quella notte rividi mia madre e fu l’ultima volta, non so come feci a capirlo, ma sapevo che dovevo osservarla bene e memorizzare ogni parte del suo viso per non dimenticarmela mai più. Lavoravamo il ferro in una grande fornace, giorno dopo giorno eravamo sempre di meno e il fumo sempre di più. Dicevano che i
cadaveri occupavano troppo spazio e che servivano bottoni e sapone. L’altro ieri mi hanno portato in una stanzetta ad aspettare, dicono che sono diventato grande. E’ passato qualche anno, ma io sono diventato grande da quando sono sceso da quel treno. Dopo un po’ è entrato un dottore, mi ha toccato varie parti del corpo e con uno strattone mi ha sbattuto su due SS, che mi hanno gettato in uno spogliatoio. Sono diventato grande qui dentro e so che è arrivato il mio momento per la doccia. Non so davvero come ho fatto a resistere tanto tempo in questo posto. Se state leggendo queste pagine vuol dire che la guerra è finita e che io, probabilmente sarò morto, ma sono sicuro che non morirà più nessuno di noi su questo freddo suolo maledetto. Edoardo Bonura