Anteprima Le Terre del Mithril

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Le Terre del Mithril


Copyright Š 2013 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it ISBN: 978-88-96926-26-0

Le terre del Mithril, Antipodes, Palermo 2013


Premessa

Le Terre del Mithril è il frutto dell’ardua selezione effettuata tra tutti i racconti iscritti all’omonimo concorso gratuito indetto dalla Casa Editrice Antipodes. Iniziativa molto partecipata e sostenuta da blogger, siti specializzati e appassionati del genere fantasy, che hanno subito colto lo spirito del progetto e dato il via ad un solidale passaparola, arrivato ben oltre i confini italiani. Con la presente pubblicazione è stata premiata non soltanto l’originalità dei personaggi e delle trame, ma tutto un mondo di valori che così bene gli autori hanno saputo descrivere nei loro racconti e che noi riteniamo fondamentali ed attuali: amicizia, famiglia, amore per la patria, rispetto di tutte le forme viventi e dell’ambiente. Tali valori non si limitano alle pagine che leggerete ma sono perfettamente integrati nella filosofia della Casa Editrice Antipodes che ha scelto il sistema print on demand per le proprie pubblicazioni al fine di ridurne drasticamente l’impatto ambientale. Abbiamo creato in queste pagine un piccolo e vario universo fatto di sentimenti, storie ed emozioni di personaggi che sapranno ritagliarsi un posto speciale nella Vostra memoria. Non ci resta altro che augurarvi buona lettura e buon viaggio nelle Terre del Mithril.

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Le torri dei Ragni Francesco Alexander Cacciatore

G

inger prese un respiro profondo e cercò di calmare i nervi. L’aveva fatto centinaia di volte, quindi non avrebbe dovuto sentirsi così agitata. Sospesa in aria a pochi centimetri dal suolo, sorretta dal suo fidato artiglio ben attaccato al soffitto, osservò con attenzione l’antico vaso di vetro davanti a lei. Per l’attuale proprietario era probabilmente solo un pezzo di antichità, un souvenir bizzarro di cui vantarsi con gli amici, ma per la ragazza rappresentava molto di più. Indossò le lenti a infrarossi, perché in quel momento aveva bisogno di massima precisione, e il buio assoluto della stanza era troppo anche per la sua vista naturalmente adattata alle condizioni di scarsa visibilità. Esaminò minuziosamente il ripiano su cui poggiava il vaso, alla ricerca di un qualsiasi dispositivo di allarme ma non vide nulla di sospetto, confermando la sua idea che l’unica precauzione contro il furto presente in quella stanza fosse la griglia elettrica attiva sul pavimento. Allungò le mani, trattenendo il fiato, e afferrò il vaso. 7


Le Terre del Mithril Scoprì di essersi sbagliata nel momento in cui avvertì il familiare ronzio e il fischio nelle orecchie di un impulso elettromagnetico appena rilasciato. L’artiglio, privato improvvisamente della sua carica elettrica, smise di aderire al soffitto, facendola cadere al suolo. Roger aveva ragione sulle precauzioni specifiche contro i Ragni, pensò, furiosa con sé stessa per essersi fatta sorprendere. Ginger doveva agire in fretta, sapeva di non avere molto tempo prima che le guardie, allertate dall’allarme innescatosi con l’impulso, si precipitassero sul posto. Azionò il meccanismo di riavvolgimento del cavo e si assicurò alla cintura l’estremità metallica dell’artiglio che, in quel frangente, non le sarebbe stato d’aiuto. Infilò il vaso nello zaino, pregando che fosse abbastanza resistente per quello che stava per fare. Tenendo l’involucro stretto in mano indietreggiò di un paio di passi per prendere la rincorsa, e infine saltò. Atterrò solo per un attimo in cima allo scaffale alto quasi due metri, usandolo come trampolino per compiere un balzo ulteriore e raggiungere infine l’apertura nel condotto di aerazione che aveva usato per intrufolarsi nella stanza. Era un buco largo appena cinquanta centimetri, ma grazie alla sua statura minuta la ragazza vi si infilò agilmente, trascinando con sé lo zaino, e cominciò a strisciare verso l’uscita più in fretta che poteva. Sapeva che le guardie avrebbero individuato facilmente la sua via di fuga e le sarebbero state addosso da un momento all’altro, poteva soltanto sperare che non intuissero quale uscita avrebbe preso per scappare dalla Torre. Rinchiusa in quello stretto budello, in corsa contro il tempo, quasi senza volerlo Ginger tornò con la memoria agli eventi che l’avevano condotta in quel posto.

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Aquamarina Daniele Cutali

T

oc. Toc. Toc. L’incedere lento e cadenzato del picchiettìo, proveniente dall’interno del grande uovo perfettamente sferico, cominciava ad aumentare la sua frequenza. «Ci siamo!» l’enorme dragoverme acquatico era ansioso per la nascita del suo primo cucciolo. «Lo so, caro. Si vedono le prime crepe.» Anche la femmina era ansiosa ma cercava di non darlo a vedere, per abbassare un po’ la tensione del compagno. Toc. Toc. Toc. Sempre più veloce. Sempre più frenetico. Crac. L’uovo si aprì e il piccolo draghettoverme venne alla luce galleggiando. Dispiegò le piccole alucce e sibilò un lungo, acuto stridìo. Si allontanò con un balzello dai resti del guscio e andò a fondo nell’abisso smeraldo, riempiendo di spruzzi i musi dei genitori. I due dragovermi adulti non si scomposero e attesero che la natura facesse il proprio corso. Una natura che si palesava nei dragovermi con milioni di anni di evoluzione su quel mondo chiamato Aquamarina, la cui superficie era totalmente ricoperta d’acqua. 18


Aquamarina I dragovermi di Aquamarina erano creature anfibie e potevano respirare sia sott’acqua che librarsi nel cielo dalle sfumature verdi smeraldine per farsi schiaffeggiare dall’aria fresca, ad altissima quota. Ovvero la celebrazione della loro paradisiaca vita su quel mondo liquido. Un mondo tutto loro in cui erano liberi. Liberi di cacciare, per lo più altre specie acquatiche ma anche volatili. Liberi di fare qualsiasi cosa e di andare in qualsiasi posto desiderassero, per acqua o aria. Liberi di vivere. Liberi da qualsiasi catena. Finchè non arrivarono i Respira-aria, e i dragovermi divennero prede a loro volta. Tempo Il suo significato può essere tutto o niente. La sua percezione non esiste per me, eternità o attimo non fa differenza. Trascendo queste concezioni fin troppo terrene tipiche dei Respira-aria, dal momento che le loro vite sono brevissime come un soffio nel vento, e vi corrono rovinosamente appresso. Ma io non sono un Respiraaria. Non tutto è trasceso di quelle concezioni terrene, però. Qualcosa è ancora rimasto con me, dentro di me. Il meraviglioso ricordo di un incredibile esemplare di quella specie aggressiva, predatrice, totalmente avversa e nemesi della mia, mi è rimasto segnato in maniera indelebile. Il ricordo di una Respira-aria diversa da tutti gli altri e della fortissima amicizia che ci legava, a cui ripenso ancora adesso con grande nostalgia. Anche se quella Respira-aria non c’è più. Il cucciolo tornò in superficie all’improvviso. Eseguì una lunga capriola carpiata con triplo salto mortale, muovendo grandi quantità d’acqua che presero la forma di fontane cristalline artisticamente 19


La Reliquia Flavio Graser

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ra una scena surreale, soprattutto per chi, come Akhay, non ricordava l’Epoca delle Lance. La Hamsarya fluttuava con grazia sul marmo del Tempio Maggiore, una meraviglia architettonica che rifulgeva tra le strutture cristalline della città di Tupaar, e fissava con freddezza la strage che le si presentava davanti. Le fiamme da cui era composta scorrevano più veloci del solito, dagli arti fino alle quattro ali che le spuntavano dalla schiena, come a volerla supplicare di uscire da lì, di raggiungere i suoi compagni, di andarsene. Akhay si fermò accanto a Dia, Gran Sacerdote di Skia, e contemplò ancora una volta lo spettacolo, le decine di Neminantha uccisi, fatti a pezzi e sparpagliati per la sala. Le pelli cristalline che un tempo avevano ricoperto interiora bluastre e ossa minerali decoravano ora il pavimento, che come un prato di diamanti intrappolava e rifletteva la luce emanata dalle pareti. Qualcosa si agitò dentro di lei, una premonizione o una memoria 29


Le Terre del Mithril ancestrale, un guizzo fugace che si spense così com’era venuto, senza alcun rumore. Era una figlia di Floga, era fuoco fattosi solido, ma dentro di lei non c’era che gelo, come in qualunque altro abitante di Argetéia. «Hai accettato il mio invito», mormorò Dia con voce roboante. Il suo volto rimase impassibile, tanta era la gravità che ne appesantiva i lineamenti. «Il mio gruppo è alla ricerca di un impiego, ho pensato che tu volessi offrircene uno.» «È così, infatti.» «Ha qualcosa a che fare con la morte di metà dei tuoi sacerdoti? Dovete stare attenti, prima o poi voi Neminantha vi estinguerete.» «Accetteremo la volontà dei Due», rispose Dia. «Cos’è successo qui?» «Qualcuno ha tentato di rubare una delle nostre reliquie più preziose, una scheggia della Lancia di Floga.» Le fiamme di Akhay si bloccarono, per poi tornare ad agitarsi in tutte le direzioni. «Voi adorate Skia, non Floga.» «Per questo la reliquia è così preziosa, risale all’Epoca delle Lance.» «Un frammento polveroso dei tempi del mito? E a chi potrebbe interessare? Chi farebbe questo,» e indicò la strage, «per impossessarsene?» «Forse non lo sapremo mai.» «Cosa vuoi da me, allora?» «Dovrete scortare la reliquia fino alla città di Riya. È una fortezza, più antica di Tupaar, sopravvissuta alle ere. Là sarà al sicuro.» «Affideresti un tale oggetto a dei mercenari come noi?» «Ci sarà una sacerdotessa con voi, l’unica a poterla toccare,» replicò Dia. «Cosa mi dici, invece, dei tuoi sottoposti? Vedo che comandi un gruppo piuttosto variegato,» continuò portando il 30


Respiro di Drago Alessia Lo Bianco

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e onde s’infrangevano sugli scogli solitari della spiaggia in un’esplosione di furia e acqua salata. Il freddo era pungente e la luce ancora fioca. I pescatori, in fretta e con occhio pronto, preparavano le reti nel silenzio che era loro abituale mentre il villaggio lentamente si risvegliava. Le strade erano deserte ma s’intuivano rumori di pentole sbatacchiate dietro le porte chiuse delle abitazioni e da diversi comignoli cominciava già a uscire il fumo dei piccoli bracieri. Con l’inverno ormai alle porte, l’estate sembrava solo un dolce e lontano ricordo. Niahm immerse le dita delle mani nella sabbia umida e contemplò il cielo grigio che la sovrastava. Quell’enorme volta, spoglia di nuvole e desolata come un giardino abbandonato, era attraversata da occasionali stormi di gabbiani che, volando più in alto del solito, si spingevano quasi fino in mare aperto senza tuttavia rimanere mai troppo lontani dalla terraferma. Niahm avrebbe voluto essere come loro. Libera di andare e libera 41


Le Terre del Mithril di tornare. Libera di seguire i desideri del proprio cuore e non gli ordini di qualcun altro. Si chiedeva come sarebbe stato osservare il mondo da quella prospettiva privilegiata e riuscire a scrollarsi di dosso le pesanti radici che la tenevano incollata al suolo. Sognava orizzonti lontani e mondi sconosciuti. Voleva trovare una briciola di infinito, stringerla nel palmo e vederla brillare tanto da scacciare il buio della solitudine e l’angoscia del rimpianto ma non le era permesso. Non le era permesso niente. Poteva soltanto aiutare la madre in casa rattoppando vecchi indumenti o pulendo il moccio dal naso sporco di bambini strillanti. Le faccende domestiche erano uno strazio e badare ai suoi fratelli minori un’autentica condanna eppure piatti da lavare e neonati da pulire erano tutto quello che aveva e che avrebbe sempre avuto. Una prospettiva tetra ma obiettiva. Niahm aveva appena sedici anni. Sedici anni che pesavano sulle sue magre spalle come sedici secoli. «Hai intenzione di scendere o devo tirarti giù io?». Una voce familiare s’intromise all’improvviso nel bozzo di quiete che l’aveva avvolta. Niahm, distesa e con le braccia incrociate a sorreggerle la nuca, alzò lo sguardo e incontrò l’espressione canzonatoria di un paio di iridi azzurre. Preferiva le nuvole al mondo reale ma sapeva che poteva allontanarsi da quest’ultimo per una manciata di attimi. Attimi che spesso era lunghi quanto un respiro. «Inseguivo un pensiero» si limitò a spiegare. Eoan scoppiò a ridere e le sedette accanto. Piuttosto seccata da quell’eccesso di ilarità, Niahm si sollevò per fissare dritto negli occhi l’amico dagli incredibili capelli color del grano. «Cosa ci trovi di tanto divertente?» chiese osservando il viso tempestato di lentiggini del ragazzo. 42


Il crepuscolo dei Luminosi Spartaco Mencaroni

«Nessuno può capire quanto abbia odiato quella missione. » La creatura parlava lentamente, scandendo le parole con la sua voce sepolcrale, per nulla adatta ad una taverna. L’uomo seduto dall’altra parte del tavolo mangiava tenendo il cappuccio del mantello calato sul volto. Mandò giù un boccone con uno sforzo visibile. Era disgustoso, ma era stato già fortunato a trovare della carne in quella parte di Litrass. Fece un gesto, invitando l’essere a proseguire il suo racconto. «Un lavoro schifoso.» Ripeté questo, sibilando. «Non ho paura a dirlo e se qualcuno della Legione lo verrà a sapere, tanto peggio. Magari la prossima volta mi manderanno a combattere contro i Luminosi; meglio essere inceneriti dalla Radiazione che andare a caccia di umani.» «Hai colpito la donna?» Il nonmorto emise un sibilo rabbioso. «Certamente. Sei venuto qui per insultarmi?» Gli occhi dell’uomo avvamparono di una minacciosa luce azzurra, 53


Le Terre del Mithril ben visibile sotto il cappuccio. Percepì la rabbia della creatura mutarsi in terrore. «Sono venuto» disse alzandosi lentamente «per un altro motivo.» *** «Mamma, ma quando si sveglierà? » «Non lo so, Gweena.» «Uffa.» La donna sorrise e arruffò con una mano i capelli della sua bambina. Il sole appena sorto entrava dalla finestra gettando una luce obliqua, rossastra. Le foglie del grande acero su cui abitavano erano tutte screziate di giallo e stormivano al vento che annunciava l’autunno. Al centro della stanza, la più grande della casa sull’albero, era sistemato un letto alto e morbido. La bambina adorava il letto degli ospiti e non vedeva l’ora che la donna si svegliasse dal suo lunghissimo sonno per tornare a giocare sul materasso di piume. Imbronciata, uscì dalla stanza e corse giù per la ripida scala di pioli che la collegava al resto della casa. Nel corridoio urtò contro Retor. «Fai attenzione, piccolo demone!» Urlò il nano. Gweena lo ignorò e si fiondò in cucina, in cerca di biscotti. Il nano proseguì lungo il corridoio e raggiunse la stanza da letto. «Come sta?» Domandò, indicando il giaciglio con un cenno del capo. «Dorme. Ha smesso di agitarsi nel sonno.» « È già qualcosa, no?» «Forse. Non so dirlo.» La donna apparve improvvisamente molto stanca. Fissò il letto, dove la sconosciuta giaceva abbandonata 54


Qualsiasi cosa tu voglia Sara Nicastro

Eclettica, anno solare 1799 «Signori e signore, in onore del nuovo secolo in arrivo vi presentiamo l’Enciclopedia, appena uscita dalle tipografie dell’Accademia! Un libro da non perdere per chiunque voglia definirsi cittadino di Eclettica, venghino signori venghino!» Anna sorrise e passò oltre il venditore, diretta alla piazza; nella borsa teneva una copia ancora incartata dell’Enciclopedia, la più importante opera letteraria della storia della città. Arrivò presto davanti alla Bottega di Otto, dove sostava la solita fila eterogenea di Pionieri, Scienziati, Ricercatori e Meccanici; ognuno di loro teneva sotto il braccio qualcosa da riparare, o meglio “rinnovare”. Il talento unico di Otto consisteva nel rimaneggiare qualsiasi oggetto - da un paio di stivali rotti a dei goggles infranti, perfino il tostapane - e trasformarlo nella più ingegnosa meraviglia mai vista, in cui scienza e tecnica si fondevano dando il meglio di sé. Ecco allora le donne vantarsi del loro Motore Inverso, che riportava 65


Le Terre del Mithril qualsiasi cosa al suo stato originale (i piatti vuoti tornavano pieni, i vestiti macchiati puliti) e gli uomini confrontare le loro Ventiquattrore Solari Superaccessoriate - griglia da campeggio, set di stilografiche, rivista d’auto Il Nuovo Motore e fiori di scorta da regalare alla moglie - tutto in un’unica valigetta. I ragazzini avevano smesso di fare la fila al negozio delle caramelle, ormai il loro unico desiderio era quello di avere qualche prezioso gadget creato da Otto. Anna salutò le persone in coda, clienti abituali, scambiandoci qualche parola e poi entrò nella Bottega. «Questo sì che è un posto meraviglioso» pensava sempre la ragazza ogni volta che ci entrava. Davanti a lei file e file infinite di scaffali ospitavano gli oggetti più improbabili e curiosi di tutta Eclettica, grazie ai quali Otto poteva compiere la sua opera di ingegno sugli oggetti che gli portavano. «Anna, sei in anticipo oggi.» disse Otto spuntando alle sue spalle. «Guarda cosa ti ho portato.» rispose lei mostrandogli l’Enciclopedia. «Oh, quella può aspettare; ho un regalo per te, vieni.» sorrise il ragazzo prendendola per mano. Otto si immerse nel labirinto di scaffali, evitando lì una pila di ruote dentate e là una sbuffata di vapore; per orientarsi nell’immenso magazzino della sua Bottega seguiva i tubi al muro, ognuno di un colore diverso a seconda di quello che trasportava. Il tubo grigio, per esempio, conduceva in città il vapore d’argento direttamente dalle Mongolfiere dei Pionieri; quello blu elettrico il fluido energetico della Centrale e quello bianco perlato l’acqua potabile. Nella sua Bottega Otto aveva installato un altro tubo, di colore rosso, che conduceva a quella zona del magazzino in cui il ragazzo conservava gli oggetti a lui più cari. «Mi è arrivato stamattina per posta pneumatica. Me l’ha spedito 66


La fine di un’era Raffaele Nucera

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l vento ululava e la notte era oscurata da un esercito di nubi che scaricava ormai da troppi giorni una pioggia incessante. Neanche una stella in cielo era timidamente apparsa a illuminare quella che certamente sarebbe stata la nostra ultima notte. Eravamo tutti fradici dell’acqua gelida che scorreva in veloci rivoli sotto le nostre corazze, sulla nostra pelle, in ogni nostra giuntura, mentre i lunghi capelli sconvolti ci sferzavano il viso e ci oscuravano la vista. Ma io e i miei compagni restavamo fieramente immobili. Perfettamente nei ranghi, eravamo incuranti che anche la natura si scatenasse contro di noi. Noi valorosi centauri, gli ultimi della nostra razza, trenta fieri guerrieri che affrontavano la loro ultima battaglia. Il nostro popolo era morente e la nostra fine lentamente si avvicinava, nessuno di noi aveva potuto ignorarlo. Da troppo tempo non eravamo illuminati dalla gioiosa luce di una nuova nascita. Rassegnati, ci eravamo ritirati su montagne inaccessibili, lontani 76


La fine di un’era dal mondo, lontani dalle altre razze, affinché il nostro declino restasse intimamente segreto, affinché dell’epopea dei centauri rimanessero solo le pagine della storia, che avevamo scritto con le nostre imprese, con i nostri eroi. La storia di un popolo che avrebbe narrato in eterno gesta di generosa temerarietà e nobiltà d’animo, episodi di coraggioso altruismo e di spirito di sacrificio senza precedenti, miti di lealtà e di audacia che mai avrebbero rivissuto in questo mondo come nei gloriosi tempi dei centauri. Ma non ci era stato neppure concesso di terminare i nostri giorni nella tranquilla vita di eremiti che ci eravamo imposti. La nostra terra era stata attaccata mentre noi giovani venivamo addestrati, lontani. Le nostre case erano state distrutte, le nostre famiglie annientate, le nostre poche ricchezze depredate, e anche i corpi dei nostri compagni orribilmente mutilati da un nemico sconosciuto, assurdamente perfido, schifosamente perverso. La furia degli elementi non ci scalfiva, non ci preoccupava, no, poteva solo dare nuovo vigore alla nostra rabbia, al nostro furore. «Hanno aspettato che la pioggia inondasse questa terra e la rendesse viscida e fangosa, perché i nostri zoccoli vi affondassero. Ci hanno sfidato in questo posto angusto, pieno solo di rocce sporgenti, perché non potessimo lanciarci al galoppo e sfondare le loro linee in tutta la nostra potenza.» La voce austera del vecchio Elden sovrastava anche il vento rabbioso. Ma il tono era pacato, anzi assurdamente ironico, come fosse disgustosamente divertito da quel nemico che, ormai prossimo, si sarebbe finalmente mostrato. «Non vogliono una leale battaglia: vogliono un massacro!» conclusi, con un ringhio, male intuendo quello che credevo fosse il suo pensiero. «Sono stati bravi…troppo bravi!» aggiunse invece, enigmatico. 77


Il figlio della luce e delle tenebre. Il destino di Nephilim Matteo Pratticò

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a notte era tiepida nel cielo di Budapest, come di consueto in quel periodo dell’anno. Le strade del centro erano colme di gente di ogni sorta: onesti cittadini, passanti occasionali, turisti eccitati e agenti di pattuglia. La confusione e il viavai erano così intensi che nessuno notò due giovani che lasciavano la via principale e imboccavano un vicolo buio, attraversandolo fino a raggiungere una chiesa solitaria. A prima vista sembravano una coppia di fidanzatini sedicenni, in cerca di un luogo tranquillo ove poter stare appartati. Il maschio era un giovane dai capelli rossi che indossava una felpa nera di marca con il cappuccio. La femmina aveva corti capelli biondi coperti in parte da un basco, abbigliata in modo da imitare la moda del momento tra le ragazzine di Budapest, e tra i suoi vestiti spiccava una lunga t-shirt con su scritto Neon Genesis Evangelion: non aveva potuto fare a meno di acquistarla quello stesso giorno al mercato, tanto le era piaciuta l’omonima serie animata giapponese. Il che era in qualche modo paradossale, dal momento che in 86


Il figlio della luce e delle tenebre. Il destino di Nephilim Evangelion avevano messo in una luce bizzarra l’immagine di ciò che rappresentava la sua gente... I due ragazzi osservavano in silenzio l’ambiente, fino a concentrarsi entrambi sulla facciata esterna della chiesa: era alta e imponente, in parte ricoperta da impalcature e recintata da inferriate. Il ragazzo sbuffò profondamente alla vista di un cartello là vicino: indicava che la chiesa era chiusa per restauri che sarebbero proseguiti fino a novembre. «Addirittura fino a novembre» mormorò seccato. «Questi tipi se la prendono comoda con il lavoro!» «Non pensarci» disse la ragazza. «Augurati invece che quegli sventurati arrivino a novembre.» Il ragazzo ammutolì, facendosi improvvisamente serio. «Credi che la situazione sia tanto grave?» «Così pare» rispose la ragazza. «L’ho intuito dallo sguardo che aveva Kamael quando mi ha avvertito. Andiamo, dai... gli altri saranno già arrivati.» «Aspettatemi» disse una voce alle loro spalle. I due ragazzi si voltarono. Dal vicolo era apparsa una donna, vestita con un lungo abito da sera rosso sangue che metteva in risalto le sue curve più che generose; sorrideva ai ragazzi, ma essi ricambiarono con uno sguardo stupito. «Asaliah?» disse la ragazza. «Cavolo, a momenti non ti riconoscevo!» «Ma come ti sei conciata?» fece l’altro. «Kamael aveva detto di camuffarci bene!» «L’ho fatto» rispose Asaliah, guardandosi con aria perplessa. «Mi sono camuffata per assomigliare agli umani. Perché, cosa c’è che non va?» «Kamael ha detto anche di non dare nell’occhio. Il tuo abito è troppo vistoso, sembri Jessica Rabbit!» 87


Il senso della giustizia Savino Princigalli

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’inverno dell’Egeran si abbatté sul villaggio senza pietà alcuna per il malmesso rito funebre. Lo storto cancello di ferro battuto, unico accesso al cimitero cittadino, strideva nonostante le premure di chi aveva cercato di oliarne i cardini e, al frastuono del metallo arrugginito, si unì quello del vento che sfrecciava tra le lapidi ammassate. «Che il Sommo Guardiano possa conclamare a Sé l’anima di questa donna, congiungendola ai cari che hanno già l’onore di sedere al suo banchetto di luce», disse il prete sventagliando con la forza dell’abitudine un incensiere, dinanzi ad un ciuffo di popolani pensierosi. Judy osservava silenziosa in prima fila, con gli occhi arrossati per le tante lacrime spese. Teneva i gomiti contro i fianchi e le mani giunte in preghiera, stretta e contrita nel suo unico vestito di lino, tirato a lucido per la funesta occasione. Poi, vide calare nella fossa la bara in faggio con l’ausilio di spesse corde e quattro uomini la interrarono, tanto in fretta da non lasciarle quasi il tempo 100


Il senso della giustizia di lanciare il mazzo di viole selvatiche che aveva raccolto poco prima. Nell’umida terra, venne infine posta una scialba lapide sulla quale era stato inciso il nome dell’adorata madre e il rito fu dichiarato concluso. Seguirono brevi frasi di circostanza. Bernold, il fabbro, le disse che a sua moglie avrebbe fatto molto piacere ospitarla ma Judy rifiutò e si allontanò per starsene sola ancora per un po’, mentre ognuno tornava ai proprio impegni. Gocce di gelida pioggia scesero timidamente sui suoi capelli dorati, legati in una lunga treccia. L’acqua si confuse alle ritrovate lacrime e, osservando sgomenta il nome della donna che l’aveva cresciuta e accudita, comprese di essere rimasta sola. Un odore acre le accarezzò di colpo il naso e il suo volto fu sfiorato da uno spesso manto sfilacciato, di carminio colore. L’acqua smise di scalfire il suo corpo minuto e una grande ombra le apparve alle spalle, proteggendola dal freddo. Avrebbe dovuto urlare o fuggire, ma non fece nulla. La presenza di quella figura, infatti, non le destava alcun timore. Ruotando di poco il capo, scorse un uomo molto alto, avvolto in un lungo tessuto scarlatto, sui cui portava una mantellina nera con cappuccio. Corvini capelli arruffati scendevano sul volto per metà velato da un panno di cotone nero, del quale si potevano vedere solo due fieri occhi colorati come grano maturo, messi in risalto dalla carnagione scura. «Suicidio, hanno detto. Prima di togliersi la vita, tua madre ha avuto la forza di picchiarsi fino a sfigurarsi e di pugnalarsi in tredici punti diversi del corpo», disse la sagoma con un tono di voce cupo e gutturale. «Chi sei?», domandò Judy. «Posso essere ciò che la tua mente vuole. Dimmi in cosa credi e io sarò quella realtà», replicò l’individuo. 101


Luna piena Luana Semprini

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a notte era scesa da un pezzo e la sola luce su cui Harald e Galdor potessero contare erano i raggi della luna piena che li sovrastava dall’alto. I due compagni cavalcavano in silenzio da ore, certi soltanto di essere nel cuore della notte. Legata alla sua schiena, Harald sentiva il calore che gli procurava Nova Splendente, una sensazione di sollievo e di apprensione allo stesso tempo. Gettò uno sguardo all’elfo che cavalcava di fianco a lui e vide i suoi capelli chiari resi ancora più luminosi grazie alla luce della luna. Galdor si fermò di scatto. Il principe lo fissò stranito e poi fece lo stesso. Tanos grugnì di disappunto. «Galdor perché ci siamo fermati?» chiese l’uomo a bassa voce, scrutando intorno a sé per scovare tracce di pericolo. «Dritto davanti a noi, guarda.» Harald guardò verso la direzione indicata dall’elfo, ma all’inizio non scorse nulla, poi, in lontananza, una minuscola figura, ferma al centro del sentiero. 111


Le Terre del Mithril «Oh diavolo…chi può essere?» «Non ne ho idea Harald, ma avverto un’energia forte, femminile, eppure non semplicemente umana.» «Una donna? Pensi sia pericolosa Galdor? Cosa potrà mai farci qui una donna?» «Harald, mi stupisci, dopo tutti i nemici e i pericoli che abbiamo incontrato, hai ancora questi pregiudizi.» Il principe non rispose, piccato. «Non possiamo evitarla, se perdessimo la via del sentiero, ci inoltreremmo in una selva e di notte non è la cosa migliore, tornare indietro ci farebbe perdere del tempo, possiamo solo andare da lei. Ci sta aspettando.» Harald era contrariato, avrebbe preferito attraversare il bosco piuttosto che andare incontro a qualcosa di così incerto e femminile. Odiava le donne. Seguì a malincuore il suo compagno, mentre la figura diveniva sempre più grande e distinguibile, illuminata dalla luna. Era inquietante; Harald dovette ammettere dentro di sé che trovarsi di fronte, in piena notte, a una donna illuminata di sbieco dalla luna, il viso chino nascosto dai lunghi capelli castani e le mani giunte in grembo, era inquietante. Non alzò la testa nemmeno quando loro frenarono i propri cavalli di fronte a lei. Era vestita come una donna comune, con un lungo abito chiaro che le arrivava fino ai piedi. «Chi siete signora? Perché vagate sola nella notte?» chiese Galdor. «Mi sono smarrita, ero in cerca di frutti selvatici ed improvvisamente è sopraggiunta la notte…» rispose lei con voce sommessa, senza alzare lo sguardo. Un campanello di allarme trillò dentro Harald. «Donna, siamo nel cuore della notte, non pensi che ti saresti dovuta accorgere prima del calare del giorno?» 112


Indice

Premessa

5

Le torri dei Ragni - Francesco Alexander Cacciatore

7

Aquamarina - Daniele Cutali

18

La Reliquia - Flavio Graser

29

Respiro di Drago - Alessia Lo Bianco

41

Il crepuscolo dei Luminosi - Spartaco Mencaroni

53

Qualsiasi cosa tu voglia - Sara Nicastro

65

La fine di un’era - Raffaele Nucera

76

Il figlio della luce e delle tenebre. Il destino di Nephilim - Matteo Pratticò

86

Il senso della giustizia - Savino Princigalli

100

Luna piena - Luana Semprini

111 125


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