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Francesco Bennardo
La Massoneria siciliana nel XIX secolo e l’ideale del perfetto massone
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Che cosa è la Massoneria? La Massoneria è stato l’unico partito reale ed efficiente che la classe borghese ha avuto per lungo tempo… Poiché la Massoneria in Italia ha rappresentato l’ideologia e l’organizzazione reale della classe borghese capitalistica, chi è contro la Massoneria è contro il liberalismo, è contro la tradizione politica della borghesia italiana. (Antonio Gramsci)
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Copyright © 2016 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it ISBN: 978-88-96926-98-7 In copertina “Sicilia e Massoneria” di Luca Torrisi Francesco Bennardo, La Massoneria siciliana nel XIX secolo e l’ideale del perfetto massone, Antipodes, Palermo 2016
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Prefazione di Marcello Saija Professore Ordinario di Storia delle Istituzioni Politiche Università degli Studi di Palermo Il desiderio di scrivere della Massoneria in Sicilia nei secoli XIX e XX è frequente in studiosi, appassionati, ma anche in studenti laureandi che durante il corso di studi finiscono per maturare interrogativi pregnanti che i libri difficilmente riescono a soddisfare. Scarseggiano, però, le fonti. O meglio mancano documentazioni sistematiche soprattutto per l’Ottocento. Chi scrive ha raccolto carte sparse per circa 40 anni ed è ancora ben lontano dal poter affermare che il mosaico componibile con le tessere possedute sia sufficiente a dipanare la complessità della storia massonica siciliana. Così, nel panorama delineato, oltremodo generoso appare lo sforzo di Francesco Bennardo che, trovato un fondo di documenti massonici siciliani, tenta di capire il contesto nel quale le storie narrate da quelle carte vivono. Si tratta di fonti manoscritte e a stampa, custodite nel Fondo Miscellanea Archivistica - Manoscritti III dell’Archivio di Stato di Palermo, che, molto opportunamente, per la loro rarità, l’autore ha deciso di riportare in appendice. Ed è questo un primo innegabile pregio del lavoro. Ma andiamo al merito. Per cogliere appieno le valenze della liberamuratoria siciliana, Bennardo offre un quadro di sintesi della storia massonica risalente tentando di spiegare le origini e le modificazioni che l’Ordine subisce nelle evoluzioni successive e nei vari contesti geografici dove approda. Devo dire che il risultato è assolutamente convincente perché l’autore riesce a cogliere da una 5
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bibliografia ormai vasta, i cardini esplicativi delle trasformazioni e il lettore molto agevolmente è condotto per mano a comprendere per esempio le differenze che si accumulano nel modello inglese e nel modello francese, o la prolificazione delle logge in modo del tutto incoerente rispetto alle matrici originarie. Ed è quanto basta per demolire il principale pregiudizio con cui viene letta ancora oggi la storia della massoneria, considerata come centrale unica ed occulta per la programmazione e realizzazione di eventi della storia non spiegabili diversamente. L’ordine liberomuratorio subisce le sollecitazioni politiche economiche e sociali nell’umano divenire, esattamente come le può subire un partito, una confessione religiosa, un’associazione laica e quant’altro. Così è più facile spiegare gli avvenimenti interni alle logge alla luce di ciò che accade nel mondo profano che non viceversa. È, invece, del tutto conducente e produttivo il processo di rintracciare sul piano culturale gli effetti della presenza massonica in un determinato contesto. Valga come esempio: la riforma elettorale del 1882 in Italia non l’ha fatta certo la massoneria, però diventa comprensibile nelle sue dinamiche e soprattutto nelle sue motivazioni solo se si tiene presente la formazione massonica di Giuseppe Zanardelli che è il principale autore della legge. Così come diventa essenziale per comprendere la natura di un’aggregazione massonica e la compatibilità tra le diverse comunioni, la filiazione diretta o indiretta delle logge dalle esperienze massoniche del passato. Solo così, per esempio, è possibile comprendere la compresenza nella Sicilia postunitaria di una organizzazione diretta da Romualdo Trigona di Sant’Elia ed un'altra che ha come Gran Maestro Giuseppe Garibaldi. E credo che il libro che presentiamo dia su questo le giuste direttrici. Se proprio vogliamo cogliere qualche punto debole, tuttavia – ma non è una critica, quanto piuttosto uno stimolo a proseguire nella ricerca – non possiamo non rilevare come la debolezza dell’organizzazione massonica in 6
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Sicilia dalla Restaurazione all’Unità, dipende quasi esclusivamente dal fatto che il nucleo più forte delle organizzazioni massoniche siciliane era sorto nel decennio britannico e per opera degli inglesi di stanza nei porti di Messina e Palermo. Costoro per influsso di Bentick che massone lo era fino in fondo, avevano certo contribuito non poco alla stagione costituzionale del 1812 ma che chiuse le velleità autonomiste dei siciliani per il mutato clima politico della restaurazione, avevano conservato l’internazionalismo massonico come principale veicolo commerciale per le loro ditte (si legga a tal proposito Massoneria e modelli politici dalle Costitutions al decennio inglese di Sicilia di Maria Azzurra, Trisform edizioni, Messina 2002). È sicuramente questa la matrice culturale della loggia dei Rigeneratori nella quale viene battezzato Crispi e che opera tra Malta e la Sicilia. Mentre non sorprenderebbe affatto che il Concistoro di Trigona di Sant’Elia, con le sue note attitudini cospirative ma reazionarie, avesse ascendenze bonapartiste modellatesi secondo le convenienze politiche del momento. L’autore coglie poi bene, il rapporto tra Crispi e Lemmi tra la fine degli anni ’80 e il primo lustro degli anni ’90 e fa cenno alla loggia Propaganda 1 che era il principale strumento con cui i due intendevano trasformare la Massoneria nel primo partito organizzato della borghesia italiana (secondo la definizione di Gramsci). Bennardo (come chiunque altro del resto) non è in grado di approfondire questo passaggio importantissimo della storia italiana postunitaria, per mancanza di documenti attendibili. Nel libro, però, ci sono tutti gli spunti e le direzioni nelle quali continuare la ricerca. Sono quindi ben lieto di battezzare questo lavoro nella speranza di poter continuare con l’autore uno scambio proficuo in vista di un’opera sistematica sull’argomento. Isola di Salina, domenica 14 febbraio 2016, San Valentino. Marcello Saija 7
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Introduzione
Tradizione di scuola vuole che si cominci dal nome: lo Zanichelli descrive la Massoneria come una “società segreta di origine remota, che nella sua forma moderna sorse in Inghilterra nel sec. XVIII, ispirandosi ai principi del deismo o del razionalismo illuministici: diffusa in molti Paesi, appoggiò i movimenti liberali e diventò un’associazione di aiuto reciproco fra gli adepti organizzati in una rigida gerarchia”. Definizione sostanzialmente corretta, ma che contiene un errore di fondo: attraverso un meccanismo retroattivo, trasferisce al passato remoto tratti peculiari del presente o al massimo del passato prossimo. Si nota, infatti, che non v’è cenno dell’eredità diretta che la Massoneria ha ricevuto dalla Libera Muratoria. Come nota giustamente lo storico Giuseppe Giarrizzo “il nome massoneria/masonry, così la gerarchia dei gradi e delle insegne (il grembiule di cuoio, la cazzuola, la squadra, il compasso, il filo a piombo, ecc.) – tutto riporta all’arte muratoria, alle corporazioni di muratori e fabbri, la cui leggenda è stata dagli stessi massoni fatta propria, elaborata, ampliata con l’obiettivo di consolidarne la maggior dignità fra le arti”1. E difatti in Italia la denominazione originale della Massoneria fu Libera Muratoria. Inerentemente al tempo in cui la Massoneria ebbe origine, già nel XV secolo circolavano in Scozia una serie di leggende note 1
G. Giarrizzo, Massoneria e Illuminismo, Marsilio, Venezia, 1994, p. 12. 9
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come Old Charges secondo le quali essa sarebbe stata una delle sette arti liberali create dai figli di Lamec - fratello di Noè - nella Genesi. Vale la pena di riferire il racconto, data la sua natura interessante, premettendo però che non è di nessuna utilità per lo storico (l’obiettivo, infatti, era consolidare la dignità dei massoni stessi) e che proprio per questo è preferibile citarlo adesso e non nel primo capitolo: la scorrevolezza nella lettura del presente lavoro avrebbe di che perirne. Affidiamoci adesso alle parole di Trampus: mentre Noè caricava nell’arca le donne e gli uomini in vista della salvezza, Jabal figlio di Lamec aveva inciso su delle colonne di pietra le maggiori scoperte a cui l’uomo era pervenuto per salvaguardarle dalle intemperie e conservarne memoria. Una di queste colonne venne scoperta molto tempo dopo da Ermete Trismegisto, discendente di Noè in linea diretta, che tramite le informazioni ivi contenute poté costruire la torre di Babele. Questi dati vennero insegnati da Abramo agli egiziani dopo la fuga nel paese del Niloe ad essi Euclide diede il nome di geometria. In Terrasanta, infine, i muratori avevano trovato protezione in David e questi stessi lavoratori cominciarono sotto la direzione del di lui figlio Salomone la costruzione del tempio di Gerusalemme2. Questo ennesimo riferimento alla categoria sopracitata ci fa notare quindi che la conoscenza storica della Massoneria non può prescindere dalla ricostruzione accurata del modo in cui la corporazione dei muratori si trasformò in loggia. Ma è proprio a questo che le fonti cominciano a scarseggiare. Sarà per questa scarsezza documentaria – unita a una considerazione “esotica” che molti studiosi hanno della Massoneria, come qualcosa di “strano” e intellegibile da evitare se non si è dilettanti d’eduzione – che, come segnalato da moltissimi studiosi tra cui Candeloro e Carocci, la Massoneria è rimasta al di fuori dalle 2
A. Trampus, La Massoneria nell’età moderna, Laterza, Roma-Bari, 2001, p. 11. 10
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opere di grande impianto e di vasto respiro? Probabilmente queste sono delle valide concause, ma a mio avviso si deve concordare con Mola quando egli afferma che il motivo principale del silenzio emerge dalla difficoltà di definire in modo coerente il senso unitario della partecipazione della Massoneria alla vita politica, civile e intellettuale dell’Italia risorgimentale e soprattutto postrisorgimentale3. Affronteremo tale questione nel quarto capitolo, soprattutto per quanto concerne le vicende politiche della Sicilia (e, di conseguenza, dell’Italia) e di come la Massoneria le abbia influenzate, giudicate, affrontate; adesso invece è utile aprire una parentesi riguardo quest’importante periodo della nostra Storia che, se potrà apparire “scontato” agli addetti ai lavori, è sempre utile ribadire. Conclusesi ormai da molti mesi le celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, è ora necessario nei confronti di questi avvenimenti un approccio meno retorico e più “disilluso”: per troppo tempo si è visto trionfare nella storiografia nazionale un atteggiamento di grande esaltazione aprioristica del Risorgimento, lasciando senza risposta numerosi interrogativi leciti. Come alcuni storici (tra cui Salvatore Lupo e Alberto Mario Banti) hanno sottolineato, già il termine “Risorgimento” si presta a due equivoci: 1) sembra descrivere una rivoluzione caratterizzata solo da successi e trionfi; 2) soprattutto, pare definire un moto in cui il popolo italiano nella sua interezza abbia combattuto come un sol uomo per realizzare finalmente i destini della Nazione. È facilmente intuibile che non fu così: troppo spesso ci si dimentica delle tremende e dolorose sconfitte del 1820-21 e del 1848-49, troppo spesso non si considera che il popolo italiano era poco compatto al suo interno; anche non accettando l’estremizzazione di Martin Clark, secondo cui “gli italiani erano divisi e per A. A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Bompiani, Milano, 2012, p. I. 3
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nulla ansiosi di raggiungere l’unità nazionale”4, non si può negare che non tutti parteciparono con lo stesso entusiasmo al nuovo processo: molti furono quelli non volevano l’Unità, ancor di più quelli che avrebbero voluto dargli un indirizzo diverso. Le perplessità pontificie, i fatti di Bronte, la guerra civile del 1861-65 (descritta col termine di “brigantaggio” dalla tradizione storiografica filopiemontese) e la Rivolta palermitana del Sette e mezzo ne sono esempi lampanti: gli eventi storici susseguitisi nella Penisola dal 1815 al 1870 non furono le tappe di un “Risorgimento” ineluttabile culminato con la creazione della “Patria” ma una serie di rivoluzioni e controrivoluzioni terminate con la nascita di un nuovo Stato-nazione5. Per troppo tempo s’è tacitamente approvata una visione del processo unitario tendente a considerare i principali protagonisti dell’epoca (ossia Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele III, Mazzini, ecc.) cooperanti e coesi, in completo accordo sui fini ma parzialmente divergenti sui mezzi: tale tesi è stata supportata, consciamente o inconsciamente, in buona o in male fede, da numerosi intellettuali come De Amicis e Verga, i quali, con i loro romanzi e le loro storie, le hanno dato un’aurea di verità. La moderna storiografia attesta ormai con certezza che tra i “quattro grandi” dell’Unità d’Italia i contrasti erano all’ordine del giorno e riguardavano praticamente tutto: forma di stato, forma di governo, priorità economiche, riforme sociali, rapporti con gli stati esteri e via discorrendo. Se aggiungessimo alla lista di personaggi considerati anche altri patrioti che hanno goduto di un rilievo minore, l’elenco delle diatribe diverrebbe praticamente infinito. La Massoneria post-unitaria può essere considerata un caso di M. Clark, Il Risorgimento italiano – una storia ancora controversa, BUR Storia, Milano, 1998, p. 9. 5 S. Lupo, L’unificazione italiana. Mezzogiorno, Rivoluzione, Guerra civile, Donzelli, Roma, 2011, IV di copertina. 4
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studio tendente a confermare questo quadro d’insieme: in molti la videro come un’associazione concorde, in realtà fu lacerata da aspri contrasti interni di natura non solo spirituale ma anche ritualistica e politica, tanto che nella sua opera dedicata appunto alle logge italiane del periodo, Fulvio Conti ha significativamente intitolato un paragrafo “Palermo contro Torino” (come vedremo, la prima fu campionessa della Massoneria progressista mentre la seconda si caratterizzò per l’adesione ad una dottrina liberaldemocratica e conservatrice). L’obiettivo di questo lavoro sarà mettere in risalto le divergenze ideologiche tra le logge, i Grandi Orienti e i Maestri operanti sul territorio in un periodo compreso tra la proclamazione del Regno d’Italia e gli albori del nuovo secolo dando particolare rilievo alle vicende delle consorterie siciliane. Per far ciò però è necessaria una premessa sulla cultura dell’isola e di come le logge si sono incardinate dentro essa. Carattere costante della storia siciliana, a cominciare dalla costituzione normanna del “regnum” nell’XI secolo fino alla sua dissoluzione avvenuta nel XIX secolo, fu quello di considerare l’isola come un’entità politica a se stante. Questo concetto venne lentamente prendendo forza col tramonto del lungo Medio Evo siciliano , verificatosi nel corso del XVIII secolo; e, per converso, si rafforzano i legami civici e sociali che univano la Sicilia al nascente Stato italiano. Non stupisce, pertanto, se una parte notevole degli avvenimenti italiani dell’Ottocento o si sia svolta in Sicilia o comunque sia direttamente collegata con i fatti avvenuti nell’Isola; e tra questi non fa sicuramente eccezione il Risorgimento, tanto che Giuseppe Mazzini definì la Sicilia “l’isola iniziatrice” del processo unitario7. L’aspetto più ricco e autentico dell’apporto culturale siciliano, intimamente connesso con lo svolgimento delle idee e dei sentimenti Archivio Storico Città di Lugano, Fondi Storici, Mezzana, sc. 4, man. 3, Lugano, 8 agosto 1863. 7
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che diedero luogo ai processi più ricchi di conseguenze del secolo, è rappresentato dalla produzione storiografica. L’acquisto da parte della cultura siciliana di una nuova visione della storia, la quale costituiva il carattere fondamentale del contemporaneo processo europeo, rappresenta un momento essenziale del processo di rinnovamento della cultura siciliana nei primi decenni del XIX secolo8. Con l’ascesa della borghesia – ascesa che, occorre puntualizzarlo, fu ben modesta se paragonata a quella dei paesi più alfabetizzati e in via di industrializzazione – si verificò una profonda revisione dei valori tradizionali ed un allargamento degli orizzonti spirituali che “impegnò a fondo le energie della nuova generazione che si affacciò sulla scena intorno al 1830, imprimendo alla vita dell’isola un più rapido moto, in rapporto anche alla rifioritura culturale del vicino Regno di Napoli e ai più intensi contatti che adesso si allacciano con l’Italia e con l’Europa”9. Non è questa la sede appropriata per stabilire se la Sicilia fu l’unica entità territoriale della parte occidentale del Vecchio Continente a rimanere impermeabile ai valori della Rivoluzione Francese10, se la conoscenza dell’etica liberale e illuminista non significasse automaticamente adesione alla stessa11 o se al contrario poco prima, durante e dopo l’ascesa di Napoleone Bonaparte si dovette registrare una decisa virata cosmopolita della cultura siciliana12; quello che preme sottolineare è che la diffusione della Massoneria nella regione contribuì a uniformare, svecchiare, laiR. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Bari, Laterza, 1970, p. 257. Idem, p. 256. 10 G. Gentile, Il tramonto della cultura siciliana, Firenze, Sansoni, 1963, II edizione, pp. 17-19. 11 G. Falzone, “La Sicilia sequestrata” in Annali del Mezzogiorno, Catania, 1962, pp. 55-84. 12 G. E. De Carlo, “Per la storia della cultura siciliana del Settecento” in Il Circolo Giuridico, Palermo, 1968, pp. 9-141. 8 9
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