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Liliana Casadei
Le imperfezioni
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Copyright © 2017 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it In copertina: “Ramon” di Silvia Casadei ISBN: 978-88-99751-08-1
Liliana Casadei, Le imperfezioni, Antipodes, Palermo 2017
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A Silvia, Emanuela e Fausto
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L’infanzia a Catania
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uando Martino, detto Tino, arrivò all’Istituto aveva otto anni. Con lui c’erano la madre, Susanna, una giovane donna dagli occhi spenti e la pelle chiara, e Nicole, la sorellina di tre anni. Avevano viaggiato tanto in varie città d’Italia, per poi approdare lì, a Catania. Le suore dell’Istituto capirono immediatamente che quella famiglia era in bilico e che i due bambini avevano patito la fame pertanto li accolsero immediatamente in una camera al piano terra. La stanza si affacciava sul giardino interno in cui i bambini giocavano a tutte le ore del giorno. Susanna aveva trent’anni, i capelli biondi che sembravano fili d’oro, una vena polemica che la fece discutere da subito con gli educatori e, una notte, sparì. Sparì dopo pochi mesi, lasciando i due figli nelle mani delle suore. Nessuno riuscì a capire come fece ad uscire dall’Istituto, poiché le porte venivano chiuse rigorosamente ogni sera alle ventidue. Nessuno sapeva, però, che prima di andarsene la donna aveva salutato il maggiore dei figli e che, accarezzando la 5
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grande testa del bimbo, gli aveva affidato il compito di vegliare su Nicole. Tino l’aveva guardata andare via, senza dire una parola. Non aveva mosso un dito per fermarla, aveva fatto solo un cenno con la testa per accettare l’incarico conferitogli. Poi aveva pianto fino ad addormentarsi. Ai due fratelli non restava altro che un vago ricordo del volto scavato della madre, destinato ad annebbiarsi, ed infine a confondersi con quello di tante altre persone incontrate. A Tino piaceva giocare a calcio e parlare poco. Quelle partitelle erano la sua sfida quotidiana e sembrava che in ballo ci fosse molto di più di qualche tiro al pallone. Scommetteva con sé stesso e si rattristava davanti alla sconfitta o all’errore. Era scarso. Lo sapevano tutti, ma a lui piaceva giocare a calcio e ci credeva. Credeva che un giorno sarebbe stato un campione. Si fece amare da subito per il suo bel carattere quieto. Chiunque avesse visto giocare, mangiare, crescere quei bambini insieme avrebbe di certo pensato che fossero tutti fratelli, figli di un’unica immensa madre. Non appena Susanna se ne fu andata, ai due fratelli venne cambiata la camera. Tino venne mandato al quarto piano insieme agli altri maschi, mentre Nicole insieme ai bambini più piccoli. Il maggiore dei due sembrava a suo agio all’Istituto. Delle sere lo si vedeva appartato in un angolo a pensare e nessuno andava a disturbarlo. Seduto sul muretto, sotto gli alberi di limone, annusava l’aria dell’estate in Sicilia. Tino era nato in Francia, a Nizza. Sua madre era sola ed 6
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avevano passato otto anni vivendo di espedienti qua e là: prima Nizza, poi in Piemonte dai genitori di lei, a Genova, a Roma ed infine a Catania. Da solo sul muretto, Tino ripensava alla sua mamma, cercando di non dimenticare il calore dei loro abbracci e cercando, invece, di rimuovere dalla memoria i singhiozzi dei suoi pianti notturni. Susanna era scappata di casa quando Tino aveva appena pochi mesi, per poi tornare dai genitori, in Piemonte, e ripartire di nuovo. Tino ricordava con difficoltà il volto dei suoi nonni. Solo un’immagine era rimasta nitida nel tempo. Suo nonno che lo teneva per mano lungo una stradina di campagna piena di nebbia. Lui col cappotto ed il freddo dei primi giorni di novembre. Nicole avrebbe sofferto meno per tutto quel dolore che gli aveva lasciato in eredità la madre. Avrebbe sofferto la solitudine, anche se Barbara, l’educatrice che si occupava di loro, riusciva ad essere una mamma sorridente e premurosa per tutti i bimbi che teneva sotto la sua ala. “Non ho figli ed il mio istinto materno è tutto qua, tra le pareti dell’Istituto” Rideva, pronunciando queste parole, i suoi occhi erano puri, come pochi se ne possono incontrare in una vita intera. Rideva sempre ed era un’ottima ascoltatrice. Tino sentiva di poter contare su di lei completamente. Con quella donna poteva parlare e sfogarsi. Certe sere la chiamava sotto le chiome dei limoni e chiacchieravano a lungo, fino a che non si faceva ora di coricarsi. 7
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Barbara gli stringeva la mano e gli dava coraggio. Nessun brutto sogno avrebbe potuto spaventarlo. Barbara sapeva per certo che i buoni, alla fine, vincono sempre. Tino si occupava della sorellina come un vero fratello maggiore, la difendeva sempre e pretendeva totale rispetto verso la bimba. Nicole era fantastica, due occhi chiari dolcissimi, ma al tempo stesso severi, come giudici scrutatori. Una coppia di Roma si era innamorata di lei e, una volta al mese, veniva a trovarla. E intanto i bimbi crescevano. Tino divenne grande amico di Giulio, ma anche di Michele, Flavia, Marco e Teresa. Crescevano giocando a pallone. Con tutto il via vai in giro per l’Italia, il giovane calciatore era rimasto indietro con gli studi, perché a otto anni non aveva ancora iniziato ad andare a scuola. E così era il più grande della classe. D’estate Barbara li portava al mare, un mare indimenticabile, soprattutto quello lungo la scogliera. L’odore degli eucalipti, il sapore dei limoni appena raccolti dall’albero, il profumo degli oleandri. La Sicilia era un pozzo di meraviglie e la fantasia correva veloce in quelle giornate assolate poichè tutto, anche la cosa più banale, diventava fonte di curiosità e spunto per giocare: dalle lucertole in cortile, alle faccende domestiche in cui i ragazzi davano il loro contributo giornaliero, ai compiti estivi, fatti in una grande sala dalle pareti tutte colorate e disegnate. 8
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A Tino piaceva fare le faccende, soprattutto sistemare negli scaffali i tegami e le posate dopo il lavaggio. Con le posate si era inventato un gioco. Le forchette erano le mamme, i coltelli i papà, i cucchiaini i figli ed i cucchiai le zie. Doveva riuscire a combinarli e raggrupparli in modo da creare delle famigliole e, se riusciva a non lasciare nessuna posata fuori, aveva vinto. Un giorno di settembre portarono via Nicole. Venne affidata alla coppia di Roma, con il patto di tornare spesso per farle incontrare il fratello. Ma Nicole piangeva e non voleva andare via dal Tino, da Barbara, da Catania e da tutti gli amici dell’Istituto. Tino, però, non pianse. Rimase a guardare quello spettacolo straziante senza muovere un dito, senza fiatare. Gli occhi vuoti sembravano altrove. Non lo fece perché quei due gli andassero a genio e nemmeno perché pensasse che si trattava della soluzione migliore, semplicemente non lo fece. Non disse nulla e non cercò di fermarla. Poi, però, quando la sorellina fu lontana, pianse tanto da sentire di aver esaurito le lacrime. Dal momento della partenza per Tino cambiò tutto. Divenne ancora più silenzioso, si infuriava per delle sciocchezze e non giocò più a pallone. Soltanto Barbara e Giulio, che viveva all’Istituto insieme alla madre e al fratello Giuseppe, riuscivano a calmare quei momenti di rabbia incontrollabile. Non poter più vedere la sorellina significava aver perso tutta la sua famiglia. 9
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Nicole partì e lasciò un vuoto immenso nel cuore di tutti. Erano passati due anni dal loro arrivo e Nicole ne aveva appena cinque. Ogni tanto sentiva la sua voce al telefono, interrotta continuamente dai due nuovi genitori, ma sembrava che la lontananza avesse reso difficile una comunicazione prima tanto semplice. La bimba sembrava cambiata, la voce gelida e lontana. Tino ne aveva dieci di anni e ne avrebbe passati altri due all’Istituto prima di essere affidato ad una coppia di Milano. Partì anche lui nel mese di giugno, finita la scuola. Da allora Tino non sentì più Nicole. Solo a Giulio e Barbara lasciò un foglietto in cui c’era scritto l’indirizzo di Milano ed il numero di telefono della nuova casa. Si promisero amicizia eterna. Quasi sicuramente Giulio sarebbe diventato maggiorenne all’Istituto. La vita in Sicilia sarebbe stata la risorsa a cui attingere per il tempo a venire. Una risorsa inesauribile come solo un’infanzia ricca e colorata può essere.
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