Le lettere di Nina

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Laura Giurdanella

Le lettere di Nina


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A mio padre


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Copyright Š 2014 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it ISBN: 978-88-96926-56-7 In copertina: Il lungomare di Ortigia, fotografia di Rosario Russo

Laura Giurdanella, La lettere di Nina, Antipodes, Palermo 2014


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13 Gennaio 1989 La prigionia

C

ara Maria, mi sento prigioniera. Come un pesce nella rete. Ho sgranato gli occhi nel silenzio. Questa immagine, ieri notte, ha attraversato la mia mente improvvisamente, come un baleno che passa veloce sul mare notturno, illuminandolo a giorno, per poi tornare a chiuderlo nel buio. Così, nel nero seppia della notte, ad occhi aperti, pensavo al pesce catturato che cerca la via di fuga, la sgranatura nella rete cercata prima della definitiva prigionia, una lotta fino all’ultimo spasmo per la riconquista della libertà. E, alla fine, mi è piaciuto immaginare che quel pesce sia riuscito a trovarla, quella maglia sgranata e aperta. E ho provato anche ad immaginare che sapore meraviglioso abbia avuto per lui quella libertà gustata dopo avere sperimentato, seppure per attimi, la prigionia e l’immobilità forzata, nell’acqua salata fonte di vita, riconquistata e apprezzata come mai prima, mentre guizza libero nel mare immenso, scampato al suo pericolo. 5


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Ma la maglia sgranata l’ha trovata perché l’ha cercata, e non si è arreso. E mi sono chiesta se, per me, ci fosse una maglia sgranata, da qualche parte. E se io abbia la forza e la voglia di cercarla, quella maglia. Impossibile continuare a dormire. Così, mi sono alzata senza accendere la luce, cercando di farmi strada con le mani, e ho guadagnato, finalmente, l’accesso alla cucina, per scaldarmi un po’ di latte. Poi sono ritornata a letto, aiutata solo dalla luce azzurina della luna che entrava dalla finestra, e, lì, ho aspettato che la luce del giorno cominciasse a entrare, sempre più intensa, dalle fessure delle persiane. Poi mi sono assopita, e, allora, immagini più chiare, in quello strano stato sospeso, a metà fra il sonno e la veglia, ho realizzato che, forse, mi sento prigioniera del tempo di cui non mi sento padrona, un tempo che vorrei in armonia con il mio tempo interiore e non scandito da alcun orologio segnatempo. Ho ripensato alle parole di Seneca, nelle sue Lettere a Lucilio, e, in particolare, quella nella quale il filosofo esorta Lucilio a non sprecare il suo tempo, a impedire che esso, che è la cosa più preziosa che abbiamo, possa esserci sottratto quando veniamo distolti da cose di poco conto e futili. Il vero problema, però, riflettevo, è proprio quello di capire quando le cose che inseguiamo sono futili, perché, a volte, può anche succedere di investire tempo in cose futili ritenendole importanti, salvo, poi, a rendersene conto quando il tempo passato è già da categorizzare come sprecato e non ben speso. E, in effetti, la morte non è davanti a noi, perché ogni giorno che trascorre, ineluttabilmente, ci avvicina sempre più all’appuntamento a cui nessuno potrà mancare, data e luogo incerti, ma certo l’evento. Il domani non ci appartiene affatto, perché la sola cosa che è veramente, autenticamente nostra, è il tempo. Il tempo presente. 6


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Ma, allora, mi chiedevo, perché facciamo così fatica a capire la differenza fra tempo sprecato e tempo speso, anche quando, spesso, siamo convinti di padroneggiare perfettamente la nostra vita? Ed è stato dopo queste riflessioni che, stamattina, ho deciso di fare che non facevo da parecchio tempo, andare a passeggiare sulla spiaggia. Non faceva freddo. Non troppo, almeno. Certo, era molto umido, e il vento a raffiche, alitando dal mare, lo smuoveva facendolo frusciare un poco a riva e incrinava l’orizzonte gelando, pungente, il collo e soffiando nelle orecchie, ma il sole splendeva chiaro nel cielo pulito e puro, appena striato da fili bianchi di nubi. Ho parcheggiato l’auto a Valdesi, lungo il viale che costeggia la spiaggia di Mondello. La strada era quasi deserta, ed anche la spiaggia, e, a vederla così, silenziosa e maestosa, dava quasi l’impressione di una remota spiaggia tropicale, con il mare piatto e cristallino e la sabbia distesa a onde regolari, ben diversa dalla spiaggia rumorosa e sovraffollata che olezza di profumi di pelle, olio solare e salsedine a partire da maggio e fino a ottobre. Ho affondato i piedi nudi nella sabbia, ho gustato la sensazione benefica della sabbia fredda a contatto con i miei piedi, l’ho attraversata con calma e mi sono avvicinata alla riva del mare, toccando l’acqua con una mano, come sempre mi piace fare quando mi trovo in riva al mare. E, nel frattempo, una pace, seppure temporanea, mi ha avvolto quasi completamente. Questa lunga spiaggia, nel corso dell’anno, subisce mutamenti straordinari. In questo periodo, a gennaio, nella parte tirrenica della Sicilia, nelle giornate di sole come questa, quando ancora la morsa del freddo non ci ha lasciato, ma già le ore del pomeriggio cominciano ad allungarsi verso la luce, sfumando sempre più tardi nel tramonto ed aprendosi verso la promessa di primavera, i colori 7


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smeraldo del mare, il candore della sabbia immacolata, l’azzurro intenso del cielo, le barche del borgo marinaro, i pescatori che raccolgono e riparano le reti con gli stessi gesti ripetuti da secoli, il piccolo bar in legno sulla sabbia, il silenzio, ammantano e incantano questo luogo di una suggestione senza tempo. Percorrendo la spiaggia a passi lenti, lungo la battigia, osservavo le forme mutevoli e irregolari dell’acqua schiumosa sulla riva, e, nel frattempo, osservavo il mare e lo spumeggiare delle onde che, ritmicamente, si ritraevano e ritornavano, e giocavo a schivarle. Ho percorso tutta la lunghezza del bagnasciuga, arrivando fino al piccolo borgo, e, poi, ho proseguito fino alla Riserva naturale di Capo Gallo fino a dove si apre la veduta dell’ Isola delle Femmine. E, quando mi sono finalmente fermata, trafelata, mi sentivo già più lucida, con la mente sgombra da ogni pensiero, con il mio respiro affannoso e il sudore che si asciugava sulla fronte raggelandola. Ho capito che devo cominciare da me, ed ora. Non domani, non fra un mese, né fra un anno. Ora. Niente catastrofismi, niente radicali cambiamenti, niente di tutto questo. Soltanto il bisogno di passare in rassegna ogni singolo aspetto della mia vita, nella quale, stranamente, come in una specie di puzzle difettoso, non tutte le tessere sembrano combaciare perfettamente armonizzandosi in un tutto coerente, dandomi, piuttosto la sensazione di essere proiettata, contemporaneamente, verso direzioni diverse che, tuttavia, mi distolgono dal salto necessario e rischioso che -forse- potrebbe dare un senso compiuto a tutto questo. Forse. Ma, allora, perché Adorno dice che la libertà non sta nello scegliere fra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta? Esiste dunque una libertà, massima e assoluta, di non-scelta, che non imbrigli in una forma e in uno stato fisso, ma che consenta di assecondare la mutevolezza? In via ipotetica certamente si, all’atto pratico credo che sia un’utopia. 8


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Chiederò un’aspettativa, ho deciso. Domani stesso avviserò la scuola e informerò i miei studenti. Rifletto, quasi pellegrina, su di me bisognosa di sciogliere laccioli e stringhe da ciò che è consueto, di togliere gli strati sovrapposti negli anni, per ritrovare la parte autentica di me, rimasta sepolta da qualche parte. Cosa estremamente difficile, non tanto perché siano le persone che ci circondano ad impedircelo, quanto per noi stessi, che siamo i primi ad imbrigliarci e a volerci incatenare, a farci prigionieri da soli per trovare alibi alle nostre paure di scoprire i nostri errori. Nina

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15 Gennaio 1989 Il viaggio della memoria

C

ara Maria, Oggi sono arrivata qui, a Modica, dopo avere preso la decisione di partire. Per un po’, solo per qualche giorno. È da tanto tempo che non mi allontano dalle cose di sempre, e questo, forse, mi ha fatto perdere, in qualche modo, la giusta prospettiva delle cose. Perché, come tu stessa mi hai detto tante volte, le cose bisogna guardarle con un po’ di distacco, dalla giusta distanza, come quando ammiri un grande affresco e, a distanza ravvicinata, riesci solo a cogliere i dettagli ma non il respiro di insieme, o come quando, dall’alto di una collina, osservi una città cogliendone la pianta, la concentrazione dei palazzi, lo snodo delle strade, ma ti sfugge, magari, l’essenza. Perché è così: o sei lontana e ti sfuggono i dettagli, o sei vicino e ti sfugge l’insieme. Quando sono arrivata qui, a Serrauccelli, a casa dei nonni, nelle campagne modicane, era già pomeriggio inoltrato. Le ombre si allungavano nel rapido crepuscolo invernale, sotto l’incalzare della notte. 10


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