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{Romanzo}
Rosalia Sconzo
Un cielo piĂš bianco
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Tutti i personaggi e i fatti presenti in questo romanzo sono puramente immaginari . Voglio, innanzitutto, ringraziare tutta la Casa Editrice Antipodes e in testa Vanessa Russo, per il suo impegno e perché per prima ha creduto in questo mio lavoro. Ringrazio mio marito Salvatore e mia madre Teresa, che ogni giorno mi sono vicini e che rappresentano per me la valvola di sfogo e il sostegno nei momenti di sfiducia e di stanchezza. Per ultimo, ma non per importanza, desidero esprimere la mia eterna gratitudine a mio padre Salvatore, con cui, purtroppo, non potrò più condividere i pensieri. Tuttavia, il suo esempio specchiato e il suo affetto rimarranno sempre dentro di me.
Copyright © 2019 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it ISBN: 978-88-99751-84-5
Rosalia Sconzo, Un cielo più bianco, Antipodes, Palermo 2019.
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…Dove andrò ?non so… Viaggio, viaggio per fuggire altro viaggio…
(Guido Gozzano “La signorina Felicita ovvero la felicità”)
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Prologo - Sposa bagnata, sposa fortunata! Chi lo grida nella luce appena accennata dell’alba? L’uomo accovacciato sui gradoni della cattedrale, ha un sussulto e solleva la bruna testa spettinata, abbandonata, persa, su una spalla come se dormisse, per scoprire da dove proviene la voce, ma la piazza, alle sei del mattino, è ancora deserta e le persiane rigorosamente serrate, nascondono ai curiosi gli interni maleodoranti dei respiri notturni quasi si trattasse di segreti capitali. Anche il portone sotto l’architrave barocco rimane chiuso, eppure la ringhiera di ferro brunito, ai lati dell’alto scalone, è già bianca di beneaguranti settembrino e rose. I segni scuri che rigano il viso attraente, gli occhi lucidi dicono che l’uomo ha pianto. L’aspetto è dimesso e abiti sgualciti e polverosi rivestono il giovane corpo ripiegato su se stesso, le terga infreddolite sul marmo gelato. A prima vista potrebbe essere scambiato per un mendicante, tanto la postura è umile, forse un ubriaco, magari un pazzo. Invece, è un professionista esemplare, conosciuto e portato in palma di mano per tutta questa cittadina di tremila anime in cui è nato e vissuto e dove, come un pellegrino che non ha trovato migliore rifugio, ha trascorso l’ultima parte della notte, buttato sotto il sagrato dell’antico duomo, e dove tra poco, ne è consapevole, sta per rendersi mortalmente ridicolo. Lo sguardo è attirato da una forma sferica, immobile per strada. Così da lontano, anche se è improbabile in una zona dell’entroterra, dà l’idea di essere un gabbiano. Deve essere morto o ferito. L’uomo, preso dalla compassione e dalla curiosità, si alza per vedere da vicino e, mentre fa forza sulle gambe, sente tutto d’un colpo 5
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la stanchezza del sonno perduto nelle ossa pesanti e nei muscoli indolenziti. - Maledetti! Bella “nettezza urbana”! - Dice ad alta voce, quando si accorge che la piccola pozzanghera bagna solo dei fogli di giornale appallottolati e unti da un trasparente liquido oleoso. Effettivamente non è ancora passato nessun addetto del comune e lo slargo tutt’intorno è punteggiato dai rifiuti della giornata precedente. L’uomo con il piede forma un martello per scalciare rabbioso, ma subito sospende il movimento, perché con un fastidioso rumore metallico, Settebicchieri sta tirando su la saracinesca. Il padroncino e banconista ad un tempo, con indosso un grembiale che, scendendo dal collo, gli protegge l’intero busto, con brevi, sapienti gesti, tra lo stretto marciapiede e l’asfalto, sistema i due tavolinetti rotondi e le quattro sedie sgangherate usate da decenni, dagli anni Sessanta, probabilmente, tessute con fili rossi di plastica di quelli che segnano la pelle. Il pellegrino in attesa elegge una di quelle poltroncine a dimora del suo supplizio. - Sì, posso rimanere qua, per un’ora o anche due. Fingerò di scrivere qualcosa. In fondo, non potrei soltanto avere bisogno di starmene, tranquillo, a prendere un po’ d’aria? Parla tra sé e, nel piccolo paese, fa la meraviglia e lo sfottò di chi nota lo stato febbrile nel quale si trova. Ed è niente se paragonato alla vergogna che seguirà a quello che si prepara a fare e che darà nuovo pepe ai soliti, frusti e noiosi pettegolezzi di quell’ingenua provincia. - Mi porti un caffè? - Mattiniero oggi! Apparente, fredda calma nella comanda dell’uomo in pena tanto che Aldo, ingiuriato Settebicchieri, non fa caso ai pantaloni infangati, allo sguardo smarrito del prematuro primo avventore del Bar Sport di quella mattina. Un vecchio, spalle curve, bretelle sulla camicia con le maniche arrotolate, arriva ora dalla campagna, seguito dal minuto bracco ansimante. Altre presenze attraversano la piazza o si fermano a discorrere, uomini dapprima. 6
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Lentamente inizia a svolgersi la matassa delle incombenze quotidiane e per ogni singolo abitante di Alicara, oggi, ci saranno gioie e preoccupazioni, ma il sangue dell’uomo disperato correrà più forte di quello di tutti gli altri. Per il momento il pellegrino se ne sta immobile e guarda nel vuoto ricercando nella memoria i recenti risvolti di quella che, lui per primo, definisce “assurda storia”. Rivive gli ultimi giorni, durante i quali non ha smesso di cercarla, come un pazzo, al telefono, cento volte, ed anche a casa e al negozio, attraverso la cui bussola, ai tempi dell’innamoramento, di nascosto la contemplava come una santa, come un miracolo, che risolve la vita e le dà senso. Da giorni la meravigliosa donna che amava era scomparsa. L’avrebbe detta morta, se non sapesse del matrimonio, se non fosse per le notizie che di straforo continuano ad arrivargli con la stessa puntualità dolorosa di bollettini medici a un malato terminale. - Sì, certo che si sposano, la ragazza non vorrà di sicuro farsi scappare quella fortuna! Glielo aveva gettato in faccia zio Tofanio, ridendo o forse erano soltanto rughe quelle che segavano gli zigomi avvizziti, chissà, certo è che aveva avuto l’impressione che gli si aprisse una voragine sotto i piedi. Le nozze si sarebbero celebrate. Non c’era nessun dubbio. Non glielo diceva solo quello scimunito, tutti fantasticavano, ricamavano sulla festa dell’anno, rivelando iperbolici dettagli che destavano l’invidia di tutti, non solo delle zitelle del paese. Il pellegrino non aveva bisogno di quel chiacchiericcio per sapere. Lui, schernito dal destino, godeva, si fa per dire, dell’opportunità di avere notizie di prima mano da una narratrice pietosa che conosceva i suoi casi e che in quella vicenda aveva avuto un ruolo decisivo. Dov’era lei ora? Perché non vuole aiutarlo? Continua a chiederselo mentre anche gli angoli più reconditi della piazza sono a giorno, e Mino, il sagrestano, aprendo l’alto portone istoriato, rivela buona parte della navata centrale, mentre due ragazzetti srotolano un tappeto esageratamente lungo che imporpora i gradoni della scalinata, arrivando fin quasi sulla strada. 7
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Da un furgoncino scendono due garzoni con un camice da lavoro color cachi, portando ceste ricolme di calle e rose, con i quali cominciano ad adornare i banchi all’interno della chiesa. Il pellegrino con la mano si sorregge la testa annebbiata. Magari avesse fede! Pregherebbe Dio e tutti i santi del calendario. Non osa ancora guardare il cielo. Tanto non è di quel rosso sangue del kimono che le aveva fatto indossare quella sera, per gioco. Cos’era lei quando ondeggiava sulle sue ginocchia, i capelli scomposti, le iridi palpitanti come due libellule verderame!? Attorno a sé avverte un nuovo movimento dell’aria e si sente rinfrancare un po’, quando, emerso dall’ultima rêverie, riconosce i graziosi lineamenti della sua amica. Guarda la donna che ha occupato il suo spazio vitale e accorgersi che è praticamente pronta per la cerimonia riapre la ferita. Il viso è perfettamente truccato e i fini capelli castani sono già stati acconciati in un raffinato raccolto. Che strano vedere come il personaggio della sua opera si sia trasformato e ben poco dell’espressione strafottente di un tempo rimanga al di sopra dell’etereo abito traslucido nel quale nuotano le brevi membra ossute. L’eterna ribelle è ora un’amabile dama di compagnia che gli sta sussurrando con dolcezza: - Che fai? Vieni via! L’uomo distoglie subito i suoi occhi spenti. - Ma hai bevuto? - Gli chiede la nuova arrivata, vergognandosi un po’. L’alito effettivamente è acre, tuttavia l’affetto per l’amico, buono come il pane, dà la forza a questa donna sincera di stargli vicino per cercare di distoglierlo dai suoi tristi propositi. - Andiamo via da qui! - Gli continua a dire e posa la destra sul polso. Solo allora si accorge che la manica della camicia è percorsa da una grossa chiazza bordeaux. - Cosa ti sei fatto? Fammi vedere! - Niente, sono caduto, stanotte! Non m’importa! Non m’importa più di niente! Risponde, cacciando indietro il labbro superiore come un bambino 8
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che fa i capricci, e ricoprendo il braccio con la stoffa che la donna, preoccupata, ha sollevato. - Non è vero, cos’è successo? Non essere bugiardo! - E tu, tu sei stata sincera? Tu che mi hai abbandonato, che di tutta questa storia, te ne sei lavata le mani, tu, che già sei pronta per assistere a questa messinscena, che vieni da quella casa e non mi fai entrare, tu cosa fai tu? Pensi di agire bene? Anche tramortito l’artista non aveva perso il gusto per l’enfasi comunicativa. - Ssshhh, non alzare la voce, vieni, che ci guardano tutti. Invece, di rispondergli per le rime la donna addolcisce ancora di più la voce e l’espressione, tanto che l’altro, come per una specie di miracolo, si alza, accogliendo il suo invito, non prima di essersi raccomandato: - Però, non allontaniamoci! - Ma che vuoi fare? L’elemosinante la guarda di sbieco dopo quella domanda retorica: - Un casino! - Ci pensa un po’, poi completa quasi piagnucolando: - Le devo parlare, le voglio dire che... Lei lo guarda con tenerezza quasi fosse un piccolino alle prese con una richiesta ingenua, invece si trova davanti un uomo fatto da richiamare all’ordine e alla razionalità: - Sarebbe peggio incontrarla, per dirle cosa? E poi è lei che non vuole, lo sai. Ha deciso, ormai, tra qualche ora sarà già... mi dispiace... - La donna, lo sa, perora una causa persa mentre si avviano lentamente verso il marciapiede di fronte. Il pellegrino si affida come un bambino imbronciato. La testa è bassa, la mente altrove. Approdano su un freddo sedile di pietra. Di fronte lo scenografico prospetto del santuario. L’uomo gioca con quell’immagine, gli sembra una gigantesca faccia di pietra che lo beffeggia con la sua lingua impertinente. Fa su e giù con il capo, infine, come appena illuminato, sobbalzando con tutto il corpo, si volge con tono di accusa verso la sua amica: 9
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- Mi dispiace, mi dispiace... ma, ti rendi conto che se mi trovo in questa situazione è in gran parte per causa tua, ma non ti ricordi come è cominciato tutto? Il pellegrino rischiara il volto. Sente di essersi liberato di un peso. - Ah, l’hai detto finalmente! - Replica la sodale offesa, gli dà le spalle e fa per andarsene, ma l’uomo la trattiene per l’avambraccio. - Aspetta, mi sono spiegato male. Volevo dire, beh... - continua cantilenando - dai che lo sai bene, che in questo paese tante cose sono cambiate da quando sei arrivata. Anche il mio romanzo... Inghiotte la saliva, poi si ferma, riflette per qualche attimo prima di togliere i veli al libro a cui sta lavorando da mesi e che nessuno ha ancora letto: - Lo sai che sei tu la protagonista! - Io!? L'uomo guarda l’estremità del campanile accesa dal primo incerto sole, pensando che in un altro momento fare quella rivelazione lo avrebbe reso felice. Una famiglia intera emerge da un portone. Per mano ai genitori due gemelle di cinque sei anni dai lunghi capelli mielati. I due adulti sembrano tesi, mentre salgono su una vecchia Clio. Passano due vecchiette a braccetto, parate di nero, che, arrancando sui lastroni, stanno recandosi alla prima messa. Enrico le riconosce e, intanto, rivive le pagine che ha composto in onore della complice che, sedutagli accanto, gli lancia sguardi interrogativi. Lui l’osserva a sua volta, si sofferma sul suo aspetto. Leila non è bella veramente, o almeno non lo è nel senso comune del termine. Il naso non è delicato come si vorrebbe, e di lei non si può ammirare una bocca sensualmente carnosa, tratti che oggigiorno sono ricercati. Tuttavia, il corpo è proporzionato nelle sue parti e soprattutto è dotato di una forza plastica, di una spinta verso l’alto, si sarebbe tentati di dire in direzione di un’altra dimensione, che la distingue e la fa emergere quando si trova in mezzo ad altri. Enrico non dimentica come quell’energia gentile del portamento fu quello che inizialmente l’aveva attratto. Solo dopo si era accorto dei grandi occhi scuri, 10
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parlanti, messi ancora più in risalto dal fototipo chiaro della carnagione. Quando poi, passati pochi mesi e verificatesi alcune circostanze, erano diventati alleati, la tranquilla curiosità per la forestiera, oltre a mutarsi in affetto, aveva anche lasciato il posto a una sensazione a cui non riusciva a dare un nome. Pensando a lei sentiva un sapore pungente come quello provato da bambino nel suggere uno stelo d’agrodolce. Avvertiva un indistinto senso di colpa di cui non capiva l’origine. Quella frequentazione ebbe una conseguenza importante. Le dolorose vicende di quella ragazza avevano ridestato la sua vocazione letteraria tanto da indurlo a concepire il progetto di un racconto realistico, ma, si chiedeva: “Avrò il coraggio di narrare anche di me?”. L’aveva sentita snocciolare le vicende della sua vita e da ogni singolo grano di quel rosario era stato catturato per sempre. Aveva sempre inseguito una trama e ora l’aveva bell’e fatta, ma voleva pensarci bene, dal momento che l’intero paese sarebbe stato tirato in ballo. Alla fine, una gelata sera d’autunno, in solitudine, seduto allo scrittoio con un vecchio scialle sulle spalle, prese una decisione da cui non tornò più indietro. Aveva capito. Non poteva fare a meno della scrittura perché solo quest’ultima dava un significato più autentico alla sua vita. Come in trance si alzò, prese dalla consolle, dove, ritenendo di dover rinunciare, lo aveva abbandonato alcuni giorni prima, lo scartafaccio contenente i primi appunti vergati a penna. Da allora, ricacciando indietro la cura per le inevitabili conseguenze di una futura divulgazione, quotidianamente e con frenesia si dedicò alla stesura delle pagine che seguono...
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e due. Verdi brillanti spiccano nelle tenebre. Lei cerca conferma alle luci del cruscotto dall’orologio d’oro che le racchiude l’azzurro e delicato polso. Tutt’intorno la neve cade copiosa, rompendo il buio con fiocchi su fiocchi, quanti mai ne ha visti, forse solo in quel film di Capra, dove, il protagonista che non ce la fa più a vivere, corre, disperato, su lande immacolate. Qual era il titolo? Dopo quella serata infernale, ancora in stato di shock, figuriamoci, se si ricorda! Si sforza di sorridere, ma riesce solo ad atteggiare la bocca a un ghigno amaro. Stanca, troppo stanca anche per proseguire al volante della BMW, su per la strada impervia di quella montagna, dove non era mai stata prima. Ormai, da più di un’ora un vento gelato, di tramontana, si diverte a strapazzare le fronde innevate della sugherella, che di tanto in tanto, piegandosi sembrano chiederle udienza. Anche se non ha freddo trema, mentre una risata isterica illumina per qualche secondo il buio dell’abitacolo fitto come velluto. - Vigliacco! Quattro anni di vita insieme a quell’idiota allampanato! Quante arie si dava con quegli occhialetti da dirigente! Però, con lo schiaffo che gli aveva mollato sulla guancia fresca di dopobarba, gli erano caduti sulla tovaglia del ristorante, il rinomato “Trendy”. Rompendosi? Non lo sapeva. Non poteva saperlo perché era subito corsa via, anzi fuggita. Che cosa pensava quel coglione, dopo che per tutta la sera aveva fatto il cascamorto con quella Claudia dai capelli ossigenati, impresentabile con quell’abito troppo sexy per una semplice cena tra colleghi? Che avrebbe sopportato anche questo senza dire nulla e se ne sarebbe stata buona buona a reggere la candela? 12