NOTIZIARIO ANUSCA Associazione Nazionale Ufficiali di Stato Civile e Anagrafe
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Anno XXIX, n. 6 • Giugno 2015
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IL “DIVORZIO BREVE” DIVENTA REALTÀ di Tiziana Piola
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a Legge 6 maggio 2015, n. 55 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 11 maggio 2015. Le nuove disposizioni normative riguardano lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi: stiamo parlando di quello che è stato definito popolarmente il «divorzio breve», che riduce in modo significativo i tempi per il passaggio dalla separazione al divorzio. In realtà il nuovo principio enunciato dalla legge è definito impropriamente «divorzio breve» dal momento in cui la modifica non riguarda il divorzio, rimasto immutato, ma è relativa ai termini per la sua proposizione, che sono stati ridotti rispetto a quanto accadeva in passato nella separazione. La nuova legge riduce i tempi, ma non vengono modificati i presupposti
XXXV CONVEGNO NAZIONALE ANUSCA CHIANCIANO TERME
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E ALL’INTERNO Cassazione: valido il matrimonio dopo che un coniuge ha cambiato sesso...........pag. 3 ANPR: il contributo di ANUSCA a ForumPA.....................................................pag. 7 XV Congresso Europeo EVS..................pag. 8 Siamo davvero un popolo unico.........pag. 9 Il punto sul tesseramento...................pag. 11 Gli incarichi vietati ai dipendenti pubblici......................................................pag. 16 Osservatorio ANUSCA sul divorzio (L. 162/2014) i primi dati...........................pag. 20
CON RAMMARICO COMUNICHIAMO CHE, A CAUSA DEL GRANDE SUCCESSO CHE REGISTRANO I MERCATINI DI NATALE A MERANO, NON È STATO POSSIBILE REPERIRE LA DISPONIBILITÀ DI CAMERE NELLE VICINANZE DEL CENTRO CONGRESSI KURHAUS. LA NOSTRA MANIFESTAZIONE SI TERRÀ A
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SEPARAZIONE E DIVORZIO DAVANTI ALL’USC EX LEGGE 162: I PRIMI RISULTATI DELL’OSSERVATORIO ANUSCA Nei mesi scorsi, dopo l’entrata in vigore della Legge 162/2014, ANUSCA ha, tramite il proprio Osservatorio, chiesto ai Comuni di inoltrare i dati dei procedimenti di separazione, scioglimento e cessazione degli effetti civili di fronte ai sensi dell’art. 6 e dell’art. 12. ANUSCA ha così anticipato i tempi del monitoraggio di ISTAT che comincerà dal primo ottobre. In questo numero vengono illustrati i primi risultati di questa indagine. Anticipiamo che nei prossimi mesi l’Osservatorio verrà riaperto per raccogliere i dati dei mesi successivi e presentare un quadro più completo dell’impatto della normativa al 35° Convegno Nazionale.
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LA PROFESSIONALITÀ DEGLI OPERATORI DEI SERVIZI DEMOGRAFICI: L’EVOLUZIONE ATTESA CON L’ANPR ANUSCA, in collaborazione con LGnet, ha promosso nel corso del mese di aprile, tramite il proprio portale un questionario teso a verificare l’impatto che la realizzazione dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente avrà sull’organizzazione degli Uffici Demografici e sull’attività degli operatori. Il questionario ha inteso indagare non soltanto ipotesi di nuovo assetto degli uffici, ma anche la definizione dei ruoli e le soluzioni per superare il digital divide. Il questionario, formato da 16 domande, punta ad approfondire anche il valore della formazione nella percezione degli operatori, ipotizzando la previsione di una certificazione dei crediti maturati durante percorsi di aggiornamento e riqualificazione professionale. I risultati definitivi del questionario saranno presentati in un evento organizzato nei prossimi mesi presso l’Accademia.
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CASSAZIONE: RESTA VALIDO IL MATRIMONIO DOPO IL CAMBIAMENTO DI SESSO DI UN CONIUGE
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a Corte di Cassazione sez. I Civile, con la sentenza 21 aprile 2015, n. 8097, ha affrontato ancora il tema del matrimonio tra persone omosessuali, in una ipotesi particolare ed ha emesso una decisione eccezionale, salvaguardando un matrimonio tra due persone dello stesso sesso: sembrerebbe una pronuncia innovativa, quasi rivoluzionaria, ma al contrario, esaminandola con attenzione, risulta molto equilibrata e rispettosa dei diritti degli interessati e dei principi del nostro ordinamento. Il caso riguarda una coppia eterosessuale, regolarmente coniugata, nella quale l’uomo aveva deciso di cambiare sesso, con la conseguenza che, dopo la rettificazione di sesso di colui che risultava essere il marito, era divenuta coppia composta da persone dello stesso sesso. Entrambi gli interessati non avevano manifestato intenzione di sciogliere il matrimonio, al contrario avevano avviato una lunga battaglia giuridica per vedersi riconosciuto il diritto mantenimento del vincolo coniugale esistente. Dopo che l’ufficiale dello stato civile aveva annotato sentenza di scioglimento a margine dell’atto di matrimonio, a seguito della rettificazione di sesso di uno dei coniugi, dopo che il Tribunale di Modena aveva accolto il ricorso dei coniugi disponendo la cancellazione dell’annotazione di scioglimento, dopo che la Corte di Appello di Bologna, su ricorso del Ministero dell’Interno, aveva riformato la sentenza del Tribunale di Modena, confermando la legittimità dell’annotazione apposta di scioglimento del matrimonio, gli interessati avevano presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il matrimonio, qualunque fosse la causa di invalidità dello stesso, potesse essere sciolto solamente con provvedimento dell’autorità giudiziaria ed evidenziando la differenza con il caso di due persone dello stesso sesso che vogliono contrarre matrimonio. La Corte di Cassazione con ordinanza n. 14329 del 6/6/2013 aveva riconosciuto
di Renzo Calvigioni
i dubbi di legittimità costituzionale riguardo a quell’insieme di norme che prevedono il divorzio “imposto” alla coppia all’interno della quale uno dei coniugi decida di cambiare sesso. In particolare, aveva evidenziato come il venire meno automaticamente del vincolo coniugale, a seguito della sentenza di rettificazione di sesso, determini l’eliminazione della relazione stabile e duratura che aveva dato vita ad un nucleo familiare costituzionalmente protetto dall’art. 29 Costituzione, e, pertanto, aveva rimesso gli atti alla Corte Costituzionale. La questione era fondata, come aveva riconosciuto la Corte stessa con sentenza 170 dell’11 giugno 2014. Dovendosi rispettare e tutelare il diritto a vivere una condizione di coppia, diritto però che può essere riconosciuto anche senza invocare la celebrazione di un matrimonio sarà
compito del legislatore introdurre con normativa che la stessa Corte aveva già evidenziato come necessaria fin dal 2010. Da una parte, dunque, veniva confermato il modello eterosessuale del matrimonio che, pertanto, non poteva continuare ad essere tale una volta venuta meno la diversità di sesso degli sposi, requisito comunque essenziale, dall’altra veniva invocata una normativa che avesse consentito il rispetto e la tutela di quell’unione anche fuori dal matrimonio. La Corte Costituzionale dichiarava l’illegittimità costituzionale di quelle norme che prevedono lo scioglimento del matrimonio a seguito della rettificazione di sesso di uno degli sposi, non perché tale norma sia in sé in contrasto con i (continua a pag. 4)
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(continua da pag. 3: Cassazione...)
principi costituzionali, quanto per il fatto che non essendo prevista alcuna alternativa per coloro che non vogliano sciogliere il vincolo, non è consentito il perdurare di un legame di coppia tutelato e protetto dall’ordinamento, anche se diverso dal matrimonio. Nel frattempo, però, era rimasto in sospeso il dubbio sulla validità del matrimonio dei ricorrenti, cioè della coppia che, con il cambiamento di sesso del marito, aveva avviato questa lunga vicenda. Infatti, dopo la decisione della Corte Costituzionale sopra richiamata, alla quale, come detto era stata proprio la stessa Cassazione a trasmettere gli atti sollevando la questione di legittimità costituzionale, le parti ricorrenti hanno chiesto la riassunzione e presentato memorie, confermando il loro interesse a continuare il percorso giudiziario, al fine di ottenere la cancellazione dell’annotazione di scioglimento del matrimonio, apposta sul registro di matrimonio dall’ufficiale dello stato civile. In sostanza, gli interessati, visto il favore che alle tesi da loro sostenute era derivato dalla pronuncia della Corte Costituzionale, hanno chiesto la conservazione del vincolo coniugale, secondo la tutela che la sentenza n. 170/2014 voleva loro assicurare. La Corte di Cassazione, sez. I Civile, chiamata a decidere, ha emesso la sentenza 21 aprile 2015, n. 8097, che prosegue nel percorso già tracciato dalla Corte Costituzionale e dalla stessa Cassazione, giungendo a conclusioni che appaiono eccezionali, anche se limitate nel tempo. Dopo aver richiamato la sentenza 170/2014 della Corte Costituzionale, viene ricordato che gli articoli esaminati dalle legge 182/1984, prevedono la regola del venire meno automaticamente del vincolo matrimoniale, per effetto del cambiamento di sesso di uno dei coniugi e “Tale norma, secondo la Corte Costituzionale, produce effetti incompatibili con il grado di protezione costituzionale riconosciuto alle unioni omoaffettive, nel senso che determina una soluzione di continuità
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costituzionalmente non tollerabile tra la condizione preesistente e quella successiva alla rettificazione di sesso. Da una comunione coniugale e familiare, caratterizzata da un nucleo intangibile di diritti fondamentali e doveri di assistenza morale e materiale condizionante l’assetto della vita personale e patrimoniale dei suoi componenti, si passa ad una situazione priva di qualsiasi ancoraggio ad un sistema giuridico di protezione e garanzie di riferimento”. In sostanza, nel rispetto dei principi costituzionali previsti dal nostro ordinamento, è inammissibile che una coppia che godeva della protezione dei diritti fondamentali di qualsiasi coppia eterosessuale, si trovi improvvisamente a perdere tutti i diritti ed i doveri tra i
coppia degli interessati. In sostanza, il principio affermato dalla Corte deve essere applicato ed impone che le norme debbano essere adeguate alle indicazioni della Corte Costituzionale. Questo non significa che venga introdotto il riconoscimento del vincolo coniugale tra persone dello stesso sesso, né che possa essere esteso il modello di matrimonio etereosessuale alle coppie omosessuali, ma che occorre salvaguardare la situazione di chi, avendo goduto dei benefici di essere coppia anche in tutti i rapporti giuridici e sociali, si trovi improvvisamente privo di qualsiasi tutela a seguito del cambiamento di sesso: tale eventualità “...è costituzionalmente obbligata e non determina l’estensione del modello
coniugi, semplicemente perché uno dei coniugi ha cambiato sesso. Questo non significa che si debba necessariamente prevedere un’ipotesi di matrimonio tra persone dello stesso sesso, che si debba consentire una celebrazione anche a coppie omosessuali. Ancora di più, che non si possa prevedere lo scioglimento del matrimonio a seguito della rettificazione di sesso, come pure previsto dal nostro ordinamento, ma tutto questo non deve consentire il venir meno dei diritti costituzionalmente garantiti a favore delle coppie, per il solo fatto del cambiamento di sesso di uno dei coniugi. La Corte di Cassazione rileva come la sentenza della Corte Costituzionale non possa invadere la sfera di competenza del Parlamento e, quindi, non possa dare una regola positiva, tale da modificare la norma contestata. Resta comunque necessario applicare la sentenza in modo che gli effetti della stessa vadano ad escludere il sacrificio dei diritti fondamentali in capo alla
di unione matrimoniale alle unioni omoaffettive, svolgendo esclusivamente la funzione temporalmente definita e non eludibile di non creare quella condizione di massima indeterminatezza stigmatizzata dalla Corte Costituzionale in relazione ad un nucleo affettivo e familiare che, avendo goduto legittimamente dello statuto matrimoniale, si trova invece in una condizione di assenza radicale di tutela”. Dunque, se queste sono le indicazioni e le motivazioni della Cassazione, alla fine non resterà altro prevedere che le parti manterranno il vincolo contratto, cioè che il matrimonio resterà valido ed efficace, fino a che il Legislatore non abbia stabilito un’altra forma di convivenza registrata che consenta, pur facendo venire meno il matrimonio, la conservazione dei diritti legati all’istituto del matrimonio. Di conseguenza, questa situazione di tutela dei diritti e doveri della coppia (continua a pag. 6)
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necessari per richiedere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio; infatti occorre comunque la previa pronuncia della separazione. Rimangono, quindi, indispensabili dei provvedimenti definitivi sullo status che ad oggi, a seguito della legge 162/2014, si riassumono in: − sentenza giudiziale di separazione passata in giudicato; − verbale di separazione consensuale omologato, − dichiarazione di separazione resa di fronte all’ufficiale di stato civile; − convenzione di negoziazione assistita dagli avvocati relativa alla separazione. Per proporre la domanda di divorzio occorre comunque che siano trascorsi i termini: − dalla data di presentazione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale sia nel caso di separazione giudiziale che di separazione consensuale; − dalla data di accordo dei coniugi reso con dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile; − dalla data di sottoscrizione, che viene definita data certificata, della convenzione di negoziazione relativa alla separazione personale. Il 26 maggio è la data di entrata in vigore della legge sul divorzio breve, ciò sta a significare che verrà modificata la legge sul divorzio ed in particolare la lettera b), del numero 2), dell’articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898: “...per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale”. Restando fermi tutti gli altri presupposti del divorzio può verificarsi il caso in cui se la separazione è giudiziale, decorra il termine di un anno, quando non sia ancora stata emessa la relativa sentenza. In caso, invece, di separazione
consensuale, soprattutto laddove non vi sia la presenza di figli minori da tutelare, la riduzione dei termini, anziché snellire il procedimento, in molti casi rappresenta una semplice attesa che molte coppie intenderebbero evitare, obbligati invece ad un ulteriore passo per ottenere il divorzio: sarebbe forse il caso di chiedersi se “il diritto al ripensamento” ha bisogno di questi sei mesi per essere tutelato. Le nuove disposizioni normative si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge, anche nei casi in cui il
procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data. Ciò sta a significare che le coppie che si sono separate a gennaio sottoscrivendo un accordo ai sensi dell’art. 12 della legge 162/2014 di fronte all’ufficiale di stato civile possono divorziarsi a luglio. Facciamo un esempio: i coniugi hanno sottoscritto un accordo di separazione consensuale in data 15 marzo 2015; in data 16 aprile confermano l’accordo di separazione e gli effetti giuridici della separazione decorrono dal 15 marzo 2015 quindi il termine per la proposizione della domanda di divorzio deve essere calcolato dal 15 marzo 2015. In data 16 settembre 2015 i coniugi possono ripresentarsi all’ufficiale di stato civile per rendere la dichiarazione consensuale di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, che produrranno i loro effetti giuridici da quella data solo dopo che tale accordo sia stato confermato di fronte all’ufficiale di stato civile decorso un mese. Sorge infatti spontaneo chiedersi se
abbia ancora senso mantenere uno spazio di riflessione ridotto al minimo di sei mesi e imporre un doppio “passo”, che nella maggior parte dei casi sarà ripetitivo e inutile, quando in quasi tutti i Paesi Europei il divorzio è immediato senza per forza “passare” dalla separazione. Parecchi cittadini italiani, infatti, avvalendosi dei principi enunciati dal Regolamento UE n. 1259/2010 si divorziano in applicazione della legge straniera laddove sussistono dei criteri di collegamento, senza attendere neppure i sei mesi di separazione. La nuova legge ha anticipato lo scioglimento della comunione legale. In precedenza i coniugi erano in regime di comunione sino al momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale o di omologa della separazione consensuale; ciò stava a significare che essi non potevano procedere all’effettuazione di acquisti, in quanto destinati inesorabilmente a ricadere in comunione con la persona, oltre tutto, con cui si era in una situazione talvolta di pesante conflitto. Dal 26 maggio 2015 l’articolo 191 del codice civile viene modificato, dopo il primo comma è inserito il seguente: “Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il Presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al Presidente, purché omologato. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione”. Dal punto di vista operativo, l’ufficiale di stato civile non si limiterà più ad annotare sull’atto di matrimonio con formula 175-bis, la sentenza di separazione giudiziale o la sentenza che omologa la separazione consensuale, ma dovrà annotare lo scioglimento della comunione, che avverrà dalla data dalla quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati. Quindi la Cancelleria (continua a pag. 6)
(continua da pag. 5: Il “divorzio breve”...)
del Tribunale dovrà trasmettere un’ordinanza con la quale il Presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separati con la conseguenza dello scioglimento della comunione. Il Ministero dell’Interno dovrà prevedere un’apposita formula, nell’attesa l’annotazione potrebbe essere del seguente tenore “Con ordinanza del Tribunale di ... in data ... i coniugi sono autorizzati a vivere separati dal ... con il conseguente scioglimento della comunione legale”. Quale influenza determina questa nuova disposizione sugli istituti “appena nati” dell’art. 6 e art. 12 della legge 162/2015? Per quanto riguarda la convenzione di negoziazione assistita questa sembra che non abbia effetti giuridici fino a che non intervenga il nulla osta o l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, che rappresentano quindi atti integrativi dell’efficacia dell’accordo sottoscritto dalle parti, al pari di quanto accade per l’omologa della separazione consensuale, ai sensi dell’art. 158, primo comma, c.c. Se così fosse, si verrebbe a determinare una evidente discrasia tra la separazione consensuale raggiunta davanti al giudice (nella quale, come si è evidenziato, l’effetto della cessazione del regime si ha al momento della sottoscrizione del verbale) e la separazione consensuale conseguita per via di negoziazione assistita, per la quale invece, occorre attendere il nulla osta o autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Ugualmente la dichiarazione di separazione consensuale recepita dall’ufficiale di stato civile, deve attendere la conferma dell’accordo affinché quest’ultimo possa esplicare i propri effetti. Se aspettassimo, per il prodursi dello scioglimento della comunione, la fase integrativa dell’efficacia dell’accordo sottoscritto in entrambi i casi dai coniugi, l’uno davanti agli avvocati
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e l’altro davanti all’ufficiale di stato civile, si vanificherebbe l’obiettivo della nuova norma. L’art. 191 del codice civile modificato, non regolamenta in modo esplicito lo scioglimento della comunione nei casi di cui all’art. 6 e art. 12 della legge 162/2014, tuttavia ritengo che analogicamente possa essere applicato anche alla convenzione di negoziazione assistita e all’accordo raggiunto davanti all’ufficiale di stato civile. Quindi la comunione legale si dovrebbe sciogliere in entrambi i casi quando la coppia sottoscrive l’accordo davanti agli avvocati o davanti all’ufficiale di
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(continua da pag. 4: Cassazione...)
conseguenti al matrimonio, è soggetta ad una condizione temporale risolutiva, nel senso che il matrimonio verrà meno solamente quando, a seguito dell’emanazione delle norme di tutela invocate da tempo, il venir meno del vincolo coniugale non sia penalizzante per i coniugi. Pertanto, la Corte “...dichiara illegittima l’annotazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio apposta a margine dell’atto di matrimonio delle ricorrenti e le successive annotazioni e ne dispone la cancellazione”: dunque, in questo modo, viene ripristinata la situazione originaria di sussistenza del vincolo coniugale tra gli interessati, vengono cancellate le annotazioni di cessazione degli effetti civili del matrimonio e
stato civile. Tuttavia il legislatore non ha previsto in questi casi di anticipare la data dello scioglimento della comunione, forse non era l’intenzione della legge; quindi dal punto di vista operativo dovremmo attendere le istruzioni del Ministero dell’Interno, il quale dovrà dare indicazioni su come, e in quali casi, procedere in applicazione dell’art. 191 del codice civile. Nell’attesa applicheremo in modo letterale la norma e annoteremo a margine del matrimonio lo scioglimento della comunione legale comunicata dalla cancelleria a seguito di pronunzia di separazione in sede giurisdizionale. le due persone dello stesso sesso risulteranno legittimamente coniugate. Certamente, anche se limitata nel tempo, almeno fino a che non venga emanata una normativa di riconoscimento delle unioni di fatto e di tutela dei diritti derivanti da tali unioni registrate, analoga a quelle esistente per le unioni matrimoniali, la sentenza della Cassazione è di notevole impatto, in quanto, alla fine, consente il mantenimento in vita di un matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ciononostante, è doveroso sottolineare l’equilibrio che traspare nella sentenza, nel dover mediare tra il mantenimento dei diritti e doveri già esistenti, il riconoscimento di una situazione completamente nuova per il nostro ordinamento, la mancanza di qualsiasi normativa nonostante i solleciti della Corte Costituzionale, il silenzio del Legislatore, il non dover superare i limiti del matrimonio inteso come esclusivamente eterosessuale, il rispetto dello status quo e l’apposizione di una condizione risolutiva: tutti aspetti che denotano l’ottimo lavoro dei giudici della Cassazione. È ancora un richiamo al Legislatore, un invito a provvedere in tempi rapidi all’emanazione di una disciplina delle unioni di fatto che sappiamo essere all’esame del Parlamento e che, quindi, potrebbe essere approvata in breve.
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L’ANPR CAMBIERÀ IL RUOLO DEGLI UFFICIALI DI ANAGRAFE E STATO CIVILE. IL CONTRIBUTO DI ANUSCA AL FORUM PA
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o scorso 28 maggio, all’interno dei lavori del FORUM della Pubblica Amministrazione, ANUSCA è stata invitata al tavolo dei relatori nel convegno organizzato dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID) e alla presenza della Direzione Centrale dei Servizi Demografici del Ministero dell’Interno, di SOGEI, ISTAT, ANCI, INAIL, INPS oltre ai rappresentanti delle aziende produttrici di software demografici. Il convegno, brillantemente coordinato dal Direttore AgID, Maria Pia Giovannini, aveva per oggetto ovviamente l’Anagrafe Nazionale, lo stato di avanzamento, i tempi della sperimentazione e del subentro e gli scenari evolutivi poiché in questa fase sono in corso febbrili approfondimenti proprio per progettare una modifica normativa che completi, dopo l’ANPR, anche l’informatizzazione dello stato civile, includendo anche riflessi sulle restanti funzioni statali delegate ai Comuni. Il convegno si è aperto con l’interessante intervento del dott. Nicola Melideo, padre della circolarità anagrafica italiana in quanto tra gli ideatori negli anni novanta di INTEGRA poi divenuto INA-SAIA. Melideo ha curato insieme ad ANUSCA la realizzazione e somministrazione di un questionario nei Comuni per capire la percezione dell’impatto che l’ANPR avrà negli enti. L’indagine che ha avuto un brillante riscontro con oltre 1000 Comuni che hanno risposto, è stata molto interessante perché ha evidenziato che ancora i Comuni non hanno una idea chiara di ANPR e percepiscono uno slittamento dei tempi di realizzazione rispetto ai tempi sanciti dalla legge; la cosa interessante è che circa il 40% dei Comuni (specie quelli di piccole dimensioni) vedono positivamente l’arrivo dell’Anagrafe unica per ripensare anche le proprie scelte organizzative fino a dismettere il proprio software locale ed utilizzare solo il sistema nazionale. L’indagine è stata ricca di spunti che saranno illustrati in un prossimo convegno presso l’Accademia
di Alessandro Francioni
Nazionale di Castel San Pietro tuttavia quello che merita di essere sottolineato è stata l’attenzione che i diversi interlocutori hanno voluto riconoscere all’Associazione degli Ufficiali di Stato Civile ed Anagrafe. In questi 35 anni ANUSCA ha sviluppato una professionalità indiscussa grazie alla passione della propria classe dirigente, del proprio gruppo di docenti-esperti, e delle migliaia di iscritti che ogni anno partecipano a iniziative, seminari, corsi e convegni
in tutta Italia. Il ruolo di ANUSCA e la serietà dei propri contributi si è evidenziata proprio in questi mesi con ripetuti contatti con la Direzione Centrale dei Servizi Demografici, SOGEI e AGID per migliorare i documenti tecnici che devono essere alla base della nuova architettura tecnologica. Un po’ di date: inizio dei test per i 27 Comuni sperimentatori è focalizzato per il mese di Luglio, subentro pianificato per novembre, chiusura del progetto, primavera del 2016. È evidente che le tempistiche sono ambiziose ma siamo
convinti che si sta procedendo sulla strada giusta. Una strada che ANUSCA da anni individua come l’unica possibile. Il Presidente Gullini nel suo intervento ha chiarito che l’esperienza dell’Austria ci deve insegnare le modalità più utili per portare a casa il nostro obiettivo, che è un obiettivo del Paese, dell’Italia. ANPR deve necessariamente coinvolgere i 35000 ufficiali d’anagrafe, le aziende produttrici e le amministrazioni locali. L’ANPR contribuirà a migliorare la PA italiana, a tagliare i costi che tutte le PPAA oggi sostengono per istruire i rispettivi procedimenti ed erogare i propri servizi. È chiaro che cambierà anche il modo di lavorare degli ufficiali di anagrafe e stato civile; saremo dentro una rete di sportelli. Dove sarà possibile certificare le informazioni registrate da un altro Comune; soprattutto sarà molto più rilevante il ruolo dell’ufficiale d’anagrafe che applica correttamente le norme nazionali ed internazionali per dare certezza dell’identità del cittadino, del suo status, dei suoi diritti con competenze che crescono nel tempo, come le recenti attribuzioni in materia di divorzio e separazione. La formazione e l’aggiornamento professionale saranno sempre più importanti ed ANUSCA ha in animo di sviluppare un nuovo modello formazione che si ottiene solo con la qualità dei servizi e mantenendo alto il livello culturale e professionale dell’intera categoria degli operatori demografici.
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GLI UFFICIALI DI STATO CIVILE EUROPEI SI INCONTRANO A KASSEL (GERMANIA)
A
Kassel, in Germania, si è tenuto il 15° Convegno dell’Associazione Europea degli Ufficiali di Stato Civile (EVS), appuntamento immancabile per ANUSCA, che anche quest’anno ha partecipato con una delegazione, composta dal Vice Presidente ANUSCA Corrado Zaccaria (in rappresentanza del Presidente Paride Gullini, impegnato ad un tavolo istituzionale a Roma su ANPR) dal componente della Giunta esecutiva Franco Stacul, dalla prof.ssa Luisa Pascucci e dagli esperti ANUSCA Grazia Benini, Paola Lucchi, Liliana Palmieri, Nadia Patriarca, Giorgio Scalzini e Luca Tavani. L’incontro, presieduto da Jürgen Rast (Presidente dell’EVS) e coordinato dal moderatore RD Walter Königbauer (Min. Interno, Infrastrutture e Trasporti), è stato particolarmente stimolante per l’attualità degli argomenti trattati, quali la maternità surrogata, la doppia maternità, la transessualità, le unioni civili, il divorzio amministrativo, il diritto al nome; temi sui quali l’ufficiale di stato civile è da sempre coinvolto in prima linea, consapevole delle difficoltà da affrontare, tanto più quando è richiesto il riconoscimento di atti provenienti da altri Stati e fondati su basi normative fortemente difformi. Il mondo si è globalizzato: mezzi di trasporto sempre più veloci, che azzerano distanze un tempo quasi incolmabili e persone che in nome del principio di libera circolazione si muovono senza troppi ostacoli, rendono sempre più labili i confini fra uno Stato e l’altro ed aumentano il numero di coloro che, nell’arco della propria vita, lasciano la nazione di origine. Questo fenomeno, indubbiamente positivo, accorcia le distanze fra i popoli, ma porta con sé una serie di problematiche legate a questioni decisamente spinose come, per citarne alcune, l’identità di genere o le unioni fra persone dello stesso sesso, nei confronti delle quali l’approccio culturale e,
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di Paola Lucchi e Liliana Palmieri
di conseguenza, la regolamentazione cambiano notevolmente da uno Stato all’altro. La complessità del contesto sociale delineatosi rende dunque fondamentale il momento di confronto annuale fra gli ufficiali di stato civile europei, perché consente di far emergere gli aspetti controversi e di ipotizzare possibili soluzioni comuni. I lavori sono iniziati con la relazione della Dottoressa Claudia Mayer (Università di Passau – Germania) in materia di maternità surrogata:
La delegazione ANUSCA a Kassel, da sinistra, dietro: Nadia Patriarca, Giorgio Scalzini, Luca Tavani, Paola Lucchi, Liliana Palmieri, Luisa Pascucci, Grazia Benini, Franco Stacul e Corrado Zaccaria
sempre più coppie sterili decidono di avvalersi dei nuovi orizzonti aperti dalle scoperte scientifiche, fra le quali la possibilità che una donna estranea alla coppia consenta l’impianto di un ovulo fecondato nel proprio utero, portando avanti la gravidanza e partorendo il bambino. La donna in sostanza, su commissione, si assume l’obbligo di provvedere alla gestazione ed al parto per conto dei genitori intenzionali, ai quali si impegna a “consegnare” il nascituro. La prima criticità rilevata dalla dott.ssa Mayer è rappresentata dalla disomogeneità delle norme adottate nei diversi Stati, non solo in ambito mondiale, ma anche nello stesso contesto europeo. Si spazia, infatti, dal divieto assoluto di maternità surrogata (in Svizzera, in Francia ecc.), alla sua ammissione condizionata alla preventiva autorizzazione del giudice (ad esempio in Grecia, dove è consentita
quando è dimostrata la sterilità della coppia e solo per i cittadini residenti nello Stato), fino alla sua completa legalizzazione anche in presenza di un accordo commerciale fra i genitori intenzionali e la partoriente (come in India). In ogni caso, nessun impianto legislativo può impedire che, una volta sottoscritto l’accordo, la partoriente possa cambiare idea e tenere il bambino, né obbligare i genitori intenzionali a prenderlo. Questo aspetto, non secondario, è alla base di un episodio eclatante verificatosi in Thailandia, dove la madre surrogata ha partorito due gemelli, uno dei quali affetto da sindrome di Down: la coppia australiana ha riconosciuto come figlio solo il bambino nato sano, lasciando alla madre surrogata il gemello malato. Su questo delicato e complesso panorama si innesta l’autorevole voce della Corte Europea dei diritti dell’uomo (sentenza Mennesson e Labassee c. Francia) che sottolinea come l’ampio margine di discrezionalità degli Stati, inevitabile su questioni eticamente sensibili, quali la maternità surrogata, trova un limite allorché sia in gioco un legame di parentela che coinvolge un aspetto fondamentale dell’identità degli individui. Il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione influenzerebbe inevitabilmente la vita familiare dei minori, i cui interessi devono sempre essere considerati come preminenti e non possono subire un danno a causa del reato commesso dai genitori. Anche dopo la sentenza Menesson Labassee, però, permangono molte incertezze e non rimane che auspicare una regolamentazione a livello europeo che, pur lasciando la potestà decisionale ai singoli Stati, definisca quantomeno alcuni principi comuni a tutela dei bambini, principali vittime incolpevoli di scelte a volte insensate dei genitori e di un ordinamento giuridico inadeguato. Dopo la maternità surrogata è stato affrontato un altro argomento molto (continua a pag. 12)
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SIAMO DAVVERO UN POPOLO UNICO
U
na serie di quesiti giunti all’Associazione da diversi Comuni ha convogliato, nelle scorse settimane, l’attenzione degli esperti ANUSCA su alcune singolari dichiarazioni che, per ragioni destinate a rimanere sconosciute ai comuni mortali, sono arrivate sul tavolo di molti colleghi dei servizi demografici. Se non avete mai sentito parlare del “Popolo Unico”, magari siete ancora in tempo per liberare la vostra vita da ogni vincolo e spiccare finalmente il volo nell’oceano della libertà… (auguri!). O, molto più probabilmente, non vi siete persi nulla più di qualche risata o qualche momento di incredulità. Eppure tale congregazione, facilmente rintracciabile sul web dove pare abbia migliaia di seguaci (oggi non si negano a nessuno), raccomanda ai suoi adepti di compilare e sottoscrivere due modelli di autocertificazione o autodichiarazione, all’attenzione dell’ufficio anagrafe-stato civile, con la pretesa che vengano protocollati e dunque acquisiti dal Comune. Sulla finalità di tali aspirazioni il mistero persiste, non solo per il collega che per la prima volta sta leggendo queste brevi note, ma (ve lo assicuriamo) anche in noi che, coraggiosamente, ci siamo un po’ addentrati nel merito di tali atti e degli obiettivi che questi “cittadini liberi” espongono sul web. Sta di fatto, però, che la tragicomica patata bollente ha generato, giustamente, molti dubbi tra i colleghi: di cosa si tratta? Devo protocollare? Devo forse rispondere o fare qualcosa? Tutte domande legittime a cui noi, certamente non degni di far parte del “popolo unico” ma limitandoci modestamente a essere normali cittadini e pubblici funzionari di uno Stato di diritto, proviamo a dare risposta. Le dichiarazioni - Di cosa stiamo parlando? I modelli, facilmente rintracciabili anche sul web, recitano testualmente “Autocertificazione/ autodichiarazione di esistenza in vita e di Legale Rappresentante” ed elencano una serie di stati personali che il
di Andrea Antognoni
cittadino ritiene di dover attestare. Il primo modello sostanzialmente è un’autocertificazione di esistenza in vita, benché contenente alcuni riferimenti quanto meno singolari (la persona dichiara “in qualità di essere umano” e in quanto residente “nella Penisola italica”). Con il secondo modello abbiamo il definitivo salto di
qualità: la persona si dichiara in fatti “legale rappresentante” di se stessa e soggetta a un fantomatico Trust in base al quale (tenetevi forte) “dichiara di non accettare alcun contratto, ovvero effetto di alcun contratto tra voi, stato “Italia”, corporation Republic of Italy, comune di xxx e qualsiasi terzo, avente ad oggetto o presupposto la sua Persona o le sue posizioni giuridiche di qualsiasi tipo, in base al precetto “Res inter alios acta tertio neque nocet neque prodest”. Come giustamente rilevato dal collega Romano Minardi nella sua risposta a uno dei tanti quesiti giunti in associazione, recentemente divulgata da ANUSCA, si tratta di atti dichiarativi del tutto sconnessi da qual si voglia attività o procedimento di competenza dei servizi demografici ma, più in generale, dell’intero Comune. Visto il tenore delle dichiarazioni, poi, che mirano all’obiettivo di non sottostare più ai provvedimenti della Pubblica Amministrazione italiana, esse sono correttamente rubricabili nella categoria delle scritture private, con
una rilevanza giuridica che risulta pari a zero. Tuttavia, sono dichiarazioni regolarmente sottoscritte, presentate nella forma prevista dal Dpr n. 445/2000, direttamente all’ufficio protocollo dell’ente, con esplicita richiesta che vengano protocollate e, conseguentemente, indirizzate all’ufficio indicato (ahinoi, i demografici). Sul dovere di protocollazione - Ora, nessun dubbio che tali atti rientrino nel novero, in costante aumento delle “stramberie” e che dal punto di vista dei procedimenti amministrativi essi siano da considerarsi inesistenti, poiché del tutto estranei a qualunque competenza dell’ente, non richiesti né inquadrabili in alcun procedimento né in alcuna registrazione anagrafica o di Stato Civile. Ma tutto ciò ben difficilmente potrà esimere il Comune dalla protocollazione. La questione è assai dibattuta poiché non vi è una norma di legge che dica chiaramente cosa debba essere protocollato (vi sono alcuni Comuni che hanno deciso di regolamentare la materia, benché sia molto complesso definire a priori cosa protocollare e cosa no). Se non ché, tuttavia, riscontriamo nel Dpr n. 445/2000 nonché nei principi stessi dell’attività amministrativa una chiara distinzione tra l’obbligo generico (cfr. art. 53, quinto comma: “sono oggetto di protocollazione obbligatoria…”) di protocollare tutta la documentazione in entrata e in uscita dall’ente e l’eccezione di alcune categorie di documenti che non vanno, invece, protocollati, perché per la loro natura, sostanzialmente divulgativa, non necessitano di alcuna registrazione formale né di conservazione. In generale, le istanze e le dichiarazioni dei cittadini non rientrano nell’eccezione, che tra l’altro il medesimo articolo del Testo Unico elencherebbe in un numero finito di atti, col risultato che non potranno (continua a pag. 10)
PRONTO ANUSCA HAI UN CASO COMPLESSO DA RISOLVERE? (continua da pag. 9: Siamo davvero...)
che finire nella regola generale, cioè essere protocollate. Non mi pare, ma ribadisco che qui siamo sul terreno dell’interpretazione giuridica, che vi siano gli estremi per negare a una dichiarazione di un cittadino quella “efficacia probatoria” di esistenza che è risultato tipico dell’azione di protocollazione, che la rende determinante e che cristallizza, dopo averlo giuridicamente generato, tutto ciò che è transitato per l’Amministrazione. Dal punto di vista pratico, l’ufficio protocollo ben difficilmente potrà entrare nel merito della dichiarazione, specie se destinata a un particolare ufficio, come in questo caso, e rifiutare anche solo di riceverla. Più coerentemente col dettato normativo, come appena visto, ma anche applicando il principio di diligenza e di cautela nell’azione amministrativa, l’operatore che per primo si ritroverà tra le mani tale documento non potrà far altro che protocollare, come richiesto dal cittadino. Questo è il consiglio di natura pratica che mi consiglio di dare. E l’ufficio anagrafe che fa? - Dopo di che, la dichiarazione entra comunque nel patrimonio documentale dell’ente, verrà associata a una registrazione (informatica) di protocollo e comunque inserita, presto o tardi nel sistema di conservazione. Tenere traccia di ciò che è avvenuto: è questa la finalità del sistema di gestione documentale, che rileva anche quando l’atto è, come in questo caso, del tutto improduttivo di effetti giuridici. In prima istanza, essa non potrà che essere assegnata agli uffici indicati: anagrafe e stato civile. Trattasi, come già detto, di mera dichiarazione attestante stati personali del tutto non richiesti (l’esistenza in vita) né in alcun
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modo pertinenti (per tutto il resto) in alcun procedimento amministrativo. L’ufficio assegnatario dovrà dunque, in linea di principio, trattandosi di mera dichiarazione, non far nulla, e anzi probabilmente respingere il documento che tornerà dunque al protocollo, ove sarà destinato a rimanere. Questo l’iter più corretto che tale documentazione dovrà seguire. Ci è stata, tuttavia, giustamente posta anche la questione sull’opportunità, o meno, di comunicare una qualche forma di risposta al cittadino. Tale possibilità sarebbe percorribile, e anzi forse persino obbligatoria come tra poco vedremo, se dalla documentazione (ribadiamo: al di là del suo contenuto del tutto scollegato dalla realtà) emergesse un’istanza di registrazione o comunque una domanda da parte del cittadino, formulata per iscritto e dunque, almeno formalmente, corretta. Se fosse un’istanza - In questo caso saremmo in una delle ipotesi
IL CORSO HA VALORE ABILITANTE AI SENSI DEL PROTOCOLLO DI INTESA CON IL MINISTERO DELL’INTERNO 10 OTTOBRE 2008
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Attiva il servizio per essere contattato al telefono da un esperto ANUSCA e avere la soluzione contemplate all’art. 2 della legge n. 241/1990, che così recita: “Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le Pubbliche Amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le Pubbliche Amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo”. Ci si troverebbe dunque di fronte a un’istanza che, per la sua assurdità, sembra calzare a pennello in ciascuna delle quattro categorie, essendo senz’altro, nell’ambito dei procedimenti di nostra competenza, irricevibile, inammissibile, improcedibile e infondata. L’operatore che si trovasse di fronte a una simile istanza, sempre che, come detto, ravvisi nel documento l’esistenza della stessa, non potrà più respingere all’ufficio protocollo tale atto ma dovrà invece farsene carico e operare come dispone il suddetto articolo 2. Occorrerà procedere a redigere un rifiuto alla registrazione (o qualsivoglia operazione richiesta dal cittadino) indicando, appunto, che la documentazione presentata non rientra nell’ambito di alcun procedimento di competenza dell’ufficio ed è dunque da considerarsi manifestamente non ammissibile e infondata. E per concludere… Scrivendo questo articolo, oltre alla condivisibile battuta per cui “siamo davvero un popolo unico” mi è tornato in mente uno dei tanti versi traboccanti di verità che ci ha lasciato il grandissimo Lucio Dalla e che, più passa il tempo, più sembra attuale: …l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale…
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BUONE NUOVE DAL TESSERAMENTO
S
iamo ormai al giro di boa di questo 2015: dati provenienti dall’Ufficio Tesseramento incoraggianti. Non se ne è mai fatto mistero: soprattutto in questi tempi di tagli alla formazione, diviene quanto mai importante per gli Enti e gli operatori iscriversi ad ANUSCA, per assicurarsi, fra le varie opportunità, tante possibilità di formazione gratuita. Per ANUSCA, individuata rappresentante della categoria professionale degli ufficiali di stato civile ai sensi dell’articolo 4 del DPR 396/2000, è indispensabile poter contare sul tesseramento, prima di tutto per la rappresentatività che ne deriva, da spendere nel dialogo con gli interlocutori istituzionali, per le risorse, che consentano formazione gratuita per gli associati, ma anche per fornire sostegno all’Accademia degli Ufficiali di Stato Civile, Anagrafe ed Elettorale, la seconda in Europa, dopo quella in Germania. Primo dato significativo: i Soci Individuali iscritti in questi primi sei mesi del 2015 hanno già superato il conto finale 2014 (che ammontava a 7056 tesserati). Ecco, invece, alcuni spunti interessanti sulle adesioni degli Enti per l’anno corrente. Fra le regioni primatiste come numero di Comuni iscritti in questa prima parte dell’anno la Lombardia, il Piemonte, il Veneto e l’Emilia Romagna; tante, tantissime conferme dei tesseramenti anno 2014 (anche con note di preadesione, in attesa dell’approvazione dei bilanci, che l’Associazione fa comunque valere per l’attivazione dei servizi), ma siamo contenti di segnalare anche la notizia dell’adesione di oltre 200 Comuni mai stati iscritti. Segno
di Silvia Zini
tangibile che l’attenzione verso le attività dell’Associazione è alta e fra gli operatori si diffonde sempre più la conoscenza dei servizi assicurati dall’adesione. Record anche fra i Comuni capoluogo di provincia: al momento, mancano all’appello solo tre città, per il resto, tutti associati a partire da Roma Capitale. L’importanza di aderire all’Associazione non viene trascurata anche fra i piccoli Comuni: il più piccolo centro attualmente tesserato anno 2015 è Macra (in
Nel corso del 2014, sono stati 778 i colleghi che hanno usufruito del soggiorno offerto dall’Associazione. Questi positivi risultati del tesseramento sono di certo un segno di vitalità per ANUSCA: l’esperienza di trentacinque anni al fianco degli operatori demografici, la professionalità dei propri esperti che hanno pochi eguali nel settore, i progetti attivati per semplificare le procedure, le intuizioni che hanno anticipato soluzioni innovative
provincia di Cuneo), che conta soltanto 54 abitanti. La quota D è quella più gettonata. Non solo diversi nuovi Comuni associati per la prima volta si sono diretti senza esitazione su di essa, ma hanno optato per il passaggio anche tanti Comuni che negli anni scorsi erano in A, B o C. L’abbiamo sottolineato spesso, ma una volta in più non guasta; chi opta per la quota D, fa una scelta non solo di convenienza economica, dato che il valore del plus assicurato in termini di servizi è economicamente più alto della differenza pagata, ma anche per le opportunità che garantisce: tutta la gamma dei servizi ANUSCA, ma anche la possibilità di partecipare senza limiti alle iscrizioni a una iniziativa a pagamento, le videolezioni e l’archivio quesiti risolti. Inoltre, sono tanti i seminari in Accademia in cui viene prevista l’ospitalità gratuita per operatori di Comuni in quota D presso l’ANUSCAPalace Hotel.
codificate dalla legge, alla lunga, per fortuna, pagano. Quindi, chi sceglie di aderire lo fa non solo per fruire delle possibilità operative legate alla quota, ma soprattutto perché decide di condividere una mission e di sostenere la propria categoria professionale.Si tratta di valori che sono posti in maniera chiara sul piatto fin dalla assemblea di fondazione: ANUSCA non è mai stata un sindacato, ma da sempre mira alla valorizzazione della figura dell’operatore demografico attraverso la formazione e l’aggiornamento professionale e soprattutto alla definizione di pubblici funzionari caratterizzati da senso civico e alto spirito di servizio nei confronti delle Istituzioni. Tratto fondamentale, se consideriamo, la centralità del ruolo dei Servizi Demografici non solo nell’ambito della macchina comunale, ma di tutta l’organizzazione statale.
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controverso: la doppia maternità. Christoph Cuypers, ufficiale di stato civile belga, ha illustrato il profondo cambiamento che ha interessato la legislazione del Belgio, con il passaggio da un impianto normativo molto simile a quello italiano in materia di filiazione, alla introduzione della “co-maternità”. L’ordinamento belga, infatti, con una legge in vigore dal primo gennaio 2011, stabilisce che un bambino possa avere due genitori: una madre e un padre, oppure due madri, ovvero colei che lo ha partorito e la compagna di quest’ultima, che ha la facoltà di riconoscere il neonato se il legame di filiazione con il padre biologico non è stato accertato. Una legislazione analoga è vigente in Olanda, come sottolineato da Leon Evers. Anche in questo Stato il bambino, su decisione della madre, potrà essere riconosciuto dal padre biologico o dalla compagna della madre, definita “seconda madre”. Addirittura è in fase di studio un progetto di legge che consente al nato di avere più di due genitori. Certamente si tratta di temi che scatenano profonde riflessioni sul ruolo genitoriale e soprattutto sulla necessità di tutelare colui che si trova, involontariamente, al centro dell’attenzione: il minore. Sempre in tema di filiazione, anche se con una prospettiva più “tranquilla” rispetto alle scottanti tematiche affrontate in precedenza, il lucido e chiaro intervento dell’esperto ANUSCA Giorgio Scalzini, che ha illustrato le novità introdotte nell’ordinamento italiano dalle nuove regole in materia di filiazione (L. 219/2012 e D.lgs. n. 154/2013): una vera e propria conquista di civiltà, che ha finalmente eliminato ogni differenza fra figli nati all’interno del matrimonio e figli nati fuori del matrimonio. Altro argomento complesso la transessualità, tematica affrontata dalla dr.ssa Ruth Reusser – CH (già
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dirigente del dipartimento di diritto privato Ufficio Federale di Giustizia); partendo dalla toccante testimonianza di chi ha vissuto in prima persona le difficoltà, anche da un punto di vista burocratico, del cambiamento di sesso, sono state prese in esame le diverse legislazioni in materia nei vari paesi dell’Unione Europea, delineando un quadro estremamente variegato. L’esigenza emersa è ancora una volta la necessità di poter contare su regole comuni, che consentano di uniformare quantomeno gli aspetti pratici ed
amministrativi, a vantaggio dei diretti interessati già provati da un lungo travaglio personale e psicologico. I lavori sono poi proseguiti con l’intervento della rappresentante della Polonia, che ha illustrato le novità normative introdotte nel servizio di stato civile polacco; fra queste non può non essere menzionata la necessità di una laurea per poter esercitare la funzione di ufficiale di stato civile e di uno studio post laurea una volta entrati nell’Amministrazione; una scelta forte e coraggiosa quella dello stato polacco, che mira a valorizzare il ruolo dell’ufficiale di stato civile. Ancora, l’istituzione dei registri di stato civile in formato elettronico, la certificazione con firma elettronica, la predisposizione di nuovi modelli; in particolare è stato presentato il nuovo formato del nulla osta al matrimonio che verrà rilasciato ai nubendi che contraggono matrimonio all’estero. Infine è stato affrontato un tema molto sentito in Italia: il divorzio amministrativo. In Europa sono solo
SULLA PAGINA!!! sei gli stati che hanno affiancato alla tradizionale modalità giudiziaria la possibilità di rivolgersi ad autorità amministrative per sancire la fine del matrimonio: si tratta di Danimarca, Italia, Lettonia, Estonia, Portogallo e Romania. Renata Mihaela Marin, Presidente dell’Associazione degli ufficiali di stato civile rumeni, ha illustrato la procedura del divorzio amministrativo secondo l’ordinamento rumeno, descrivendo un quadro per molti aspetti simile a quello italiano. Anche in Romania infatti è previsto un doppio binario: i coniugi possono rivolgersi all’ufficio del registro (ma solo a determinate condizioni quali l’assenza di figli, l’inesistenza di interdizione ecc) o al notaio, che in Romania risulta avere un ruolo analogo a quello dell’avvocato italiano quando gestisce il divorzio tramite la convenzione di negoziazione assistita. Ha quindi fatto seguito il magistrale intervento della prof.ssa Luisa Pascucci, docente di diritto privato all’Università di Bolzano, che con grande chiarezza ha delineato il quadro generale del nuovo impianto normativo introdotto dal D.L. n. 132/2014; l’Italia è stata interessata, negli ultimi anni, da rivoluzioni epocali ed il matrimonio ha perso la sua “vis” quale elemento fondante la famiglia. Il legame fra i coniugi può dunque essere liberamente sciolto con modalità parallele, più veloci rispetto al procedimento giudiziale e a costi decisamente più contenuti. Non mancano però, a sei mesi dall’entrata in vigore della norma, i dubbi interpretativi che l’intervento del Ministero non è riuscito a dirimere totalmente; in particolare, l’assenza di tutele per la parte debole nel divorzio di fronte all’ufficiale di stato civile e l’esclusione di patti di trasferimento patrimoniale, due aspetti tuttora controversi, che tengono vivo un acceso dibattito fra gli esperti di diritto di famiglia. Il moderatore Walter Königbauer ha (continua a pag. 14)
Pag. 13 L’iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri
INGRESSO E SOGGIORNO E SPAZIO SCHENGEN di Patrizia Dolcimele
L’ingresso ed il soggiorno I cittadini stranieri che intendono entrare nel nostro Paese hanno il dovere di munirsi di due importanti documenti: • Il passaporto in corso di validità od altro documento di pari valore; • Il visto consolare di ingresso. In mancanza dell’uno o dell’altro (o di entrambi) le autorità di polizia di frontiera preposte al controllo effettuano il respingimento del cittadino.
già residente nel territorio di una delle parti contraenti, e munito di regolare autorizzazione al soggiorno; d. sia munito, ove prescritto, di valido visto di ingresso o di transito; e. non sia segnalato ai fini della non ammissione nel Sistema Informativo Schengen; f. non sia considerato pericoloso per l’ordine pubblico, la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali di una delle Parti contraenti, da disposizioni nazionali o di altri Stati Schengen.
Lo “spazio Schenghen” Perchè “spazio Schengen”? Schengen è il nome di una città sita nello stato del Lussemburgo. In quella sede, nel 1985, un ristretto numero di stati europei (Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi), decise di creare un territorio privo di frontiere, aprendo la strada a un nuovo livello di integrazione europea: tale territorio venne denominato “spazio Schengen”. È stato questo progetto, che si prefiggeva l’obiettivo di un’area omogenea in cui fosse garantita la libera circolazione di merci, servizi, capitali e persone, e quindi finalità prettamente economiche, a far sorgere l’esigenza di una politica comunitaria di immigrazione con intenti facilitatori. L’ingresso nel territorio italiano degli stranieri provenienti dalle frontiere esterne dello Spazio Schengen è consentito soltanto allo straniero che: a. si presenti attraverso un valico di frontiera; b. sia in possesso di un passaporto o di altro documento di viaggio equivalente riconosciuto valido per l’attraversamento delle frontiere; c. disponga di documenti che giustifichino lo scopo e le condizioni del soggiorno e dimostri di disporre di mezzi finanziari sufficienti in relazione alla natura, alla durata prevista del soggiorno, ed alle spese per il ritorno nel Paese di provenienza (o per il transito verso uno Stato terzo). Da tale dimostrazione è esentato lo straniero
Il Passaporto o documento di viaggio equipollente Per l’ingresso, il soggiorno od il transito nell’intero Spazio Schengen, gli stranieri devono essere in possesso di un passaporto o di altro documento di viaggio riconosciuto valido da tutti gli Stati Schengen. Per l’ingresso, il soggiorno od il transito in Italia gli stranieri devono essere in possesso di un passaporto o di altro documento di viaggio riconosciuto valido dal Governo Italiano. I documenti di viaggio si considerano validi se “oltre a soddisfare le condizioni di cui agli articoli 13 e 14 della Convenzione di Applicazione dell’Accordo di Schengen, attestino debitamente l’identità del titolare e la sua nazionalità o cittadinanza”. In particolare, nel caso in cui sia necessario il visto, l’articolo 13 della Convenzione dispone che: - nessun visto può essere apposto su un documento di viaggio scaduto; - la durata della validità del documento di viaggio deve essere superiore a quella del visto. Tale validità dovrebbe essere superiore di almeno 3 mesi a
quella prevista dal visto. Allo straniero titolare di un documento di viaggio non riconosciuto dall’Italia, potrà essere eventualmente rilasciato dalla nostra Rappresentanza diplomatico consolare un “lasciapassare”, valido solo per il nostro Paese, che non consentirà il transito attraverso il territorio degli altri Stati Schengen. Sono considerati validi per l’attraversamento delle frontiere e per il rilascio del visto, i sottoelencati documenti di viaggio: - Passaporto - Documento internazionalmente riconosciuto che abilita il titolare a recarsi da un Paese all’altro Può essere: - diplomatico, di servizio (o ufficiale, speciale, o per affari pubblici) od ordinario; - individuale (con l’eventuale iscrizione del coniuge e dei figli minori) o collettivo (intestato a gruppi di non meno di 5 e non più di 50 persone, che viaggino tutte insieme e per la stessa finalità, di solito turistica, aventi tutte la stessa cittadinanza, e che entrino, soggiornino ed escano tutte insieme dallo Spazio Schengen: ogni componente la comitiva deve essere in possesso di un documento individuale d’identità, corredato di fotografia). Altri documenti di viaggio, equipollenti al passaporto, sono: - titolo di viaggio per apolidi rilasciato ai sensi della Convenzione sullo Statuto degli Apolidi firmata a New York il 28.9.1954. Gli apolidi sono soggetti ad obbligo di visto per l’Italia, a meno che non dispongano di un titolo di soggiorno rilasciato da uno degli Stati Schengen; - titolo di viaggio per rifugiati, rilasciato ai sensi della Convenzione sullo Statuto dei Rifugiati firmata a (continua a pag. 14)
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suggerito che la procedura italiana possa essere adottata anche in altri Stati, come ad esempio la Germania. I lavori, che si sono articolati in due giornate intense, sono stati conclusi da una serie di workshop in tema di unioni civili, registrazione dei decessi in caso di catastrofi e diritto al nome, durante i quali gli ufficiali di stato civile appartenenti alle varie nazioni europee si sono direttamente confrontati, cercando di trovare punti di convergenza e modalità di collaborazione.
In particolare, il diritto al nome ha dato il via ad un ampio dibattito e portato ad ipotizzare diverse soluzioni che consentano di superare le difficoltà determinate dalle difformi legislazioni. Una su tutte la possibilità di attribuire alla nascita a ciascun individuo un codice alfanumerico, che consenta l’identificazione sicura anche in caso di variazione delle generalità. Volendo tracciare un bilancio dei lavori della edizione n. 15° del convegno EVS, questo non può che essere estremamente positivo: conoscere le diverse norme in vigore negli Stati dell’Unione Europea è non solo utile,
ma addirittura indispensabile! Culture e sensibilità diverse, a volte affini, a volte diametralmente opposte, ma legate da un unico filo conduttore: l’appartenenza all’Unione Europea. E un imperativo categorico per tutti gli Stati membri: essere uniti anche nella diversità! In questo complesso scenario ANUSCA svolge un ruolo di primaria importanza e si pone come interlocutore privilegiato per continuare un percorso di dialogo e di confronto avviato da tempo e che ad ogni appuntamento segna risultati molto significativi per i cittadini e per la tutela dei loro diritti fondamentali.
(Ginevra, 13.5.1958), e da quelli con i quali abbia stipulato specifici accordi bilaterali; - documento di navigazione aerea, rilasciato ai piloti ed al personale di bordo delle Compagnie Aeree civili per l’esercizio delle loro attività, ai sensi della Convenzione sull’Aviazione Civile firmata a Chicago il 7.12.1944;
- Licenza di Pilota, Crew Member Certificate. Sono documenti di viaggio riconosciuti come esenti dall’obbligo di visto dai Paesi aderenti alla predetta Convenzione, a titolo di reciprocità, a condizione che l’ingresso sia determinato da motivi inerenti l’attività professionale. (Informazioni tratte da www.esteri.it)
(continua da pag. 13: Ingresso e...)
Ginevra il 28.7.1951. I rifugiati sono soggetti ad obbligo di visto per l’Italia, a meno che non dispongano di un titolo di soggiorno rilasciato da uno degli Stati Schengen o di un documento di viaggio rilasciato da uno dei Paesi firmatari dell’Accordo di Strasburgo del 20.4.1959; - titolo di viaggio per stranieri, rilasciato a coloro che non possono ricevere un valido documento di viaggio dalle Autorità del Paese di cui sono cittadini. Segue il regime di visto in vigore per il Paese di cui l’interessato è cittadino; - libretto di navigazione, documento professionale rilasciato ai marittimi per l’esercizio della loro attività. È riconosciuto come documento valido per l’ingresso nello Spazio Schengen solo in relazione alle esigenze professionali del marittimo, e non per altre motivazioni. L’Italia riconosce i Libretti di Navigazione emessi dai Paesi U.E., dai Paesi S.E.E., dagli Stati che aderiscono alla Convenzione Internazionale del Lavoro n. 108
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LA PERDITA E IL RIACQUISTO DELLA CAPACITÀ ELETTORALE
L
’applicazione delle norme che regolano la perdita e il riacquisto del diritto di elettorato attivo comporta, nella pratica, qualche difficoltà per l’Ufficiale elettorale: - quali sono le cause ostative? - come calcolare il periodo di incapacità elettorale? - quali accertamenti sono necessari prima di procedere alla reiscrizione? Cerchiamo di fare insieme un veloce “ripasso” dei riferimenti normativi e dei criteri da seguire per determinare tempi e procedure per l’aggiornamento delle liste elettorali. Il primo richiamo è, ovviamente, al quarto comma dell’art. 48 della Costituzione: “Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”. Le cause di incapacità elettorale sono poi elencate, come sappiamo, nell’articolo 2 del Testo Unico 20 marzo 1967, n. 223, tuttora in vigore benché radicalmente modificato da una serie di interventi che, nel tempo, l’hanno depotenziato riducendo gli effetti interdittivi e sanzionatori che l’art. 48 aveva demandato al Legislatore. Il riferimento è, in particolare, alla legge 22 maggio 1980, n. 193 che, abrogando il numero 7) del primo comma dell’art. 2, ha cancellato i “casi di indegnità morale” precedentemente individuati come causa di perdita della qualità di elettore, e determinato, in più, i problemi applicativi con i quali ci si deve confrontare oggi. Dobbiamo infatti ricordare che l’articolo 2 del Testo Unico n. 223, così come era formulato prima della legge n. 193, disponeva la cancellazione dalle liste elettorali per cinque anni di chi fosse stato condannato per uno dei reati elencati nel punto 7) citato, indipendentemente dalla durata della pena ed anche in caso di sospensione condizionale: il calcolo del periodo di sospensione si effettuava aggiungendo cinque anni alla durata della condanna, sia che questa fosse scontata con la detenzione sia che fosse stata sospesa condizionalmente; si sommavano
di Sergio Santi
inoltre la durata della eventuale misura di sicurezza e, in caso di latitanza, il tempo in cui il condannato si era sottratto volontariamente all’esecuzione della pena. Da tutto il tempo così calcolato doveva essere detratto soltanto quello corrispondente alla pena già eventualmente scontata con la carcerazione preventiva, prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Se la condanna comportava anche l’interdizione temporanea dai pubblici uffici, non si ponevano altri problemi per il calcolo, perché il tempo dell’interdizione temporanea veniva assorbito nei cinque anni “fissi” di cancellazione.
Ora, pur non essendo più previsto tale periodo fisso di perdita della capacità elettorale, correlato alla “qualità” del reato commesso, rimangono validi gli altri criteri richiamati, che qui si riassumono: - per chi sia incorso in una delle cause ostative previste dalla legge, la perdita del diritto elettorale si verifica nel giorno in cui la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile; - la pena accessoria produce il proprio effetto, relativamente alla perdita della capacità elettorale, dal momento in cui la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile e, in caso di detenzione o di latitanza del condannato (in periodi successivi al passaggio in giudicato), l’effetto continua nel tempo: i termini ricominciano a decorrere dal giorno in cui è cessata l’esecuzione della pena; - il tempo complessivo di privazione della capacità elettorale si calcola sommando alla durata dell’interdizione stabilita in sentenza il tempo in cui
l’interessato ha scontato la pena (o la misura di sicurezza) detentiva, nonché il tempo di un’eventuale latitanza: “Nel computo delle pene accessorie temporanee non si tiene conto del tempo in cui il condannato sconta la pena detentiva, o è sottoposto a misura di sicurezza detentiva, né del tempo in cui egli si è sottratto volontariamente alla esecuzione della pena o della misura di sicurezza” (art. 139 C.P.). Gli elementi da tenere in considerazione sono i seguenti: a. la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni comporta l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni; b. la condanna all’ergastolo e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importano l’interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici; la dichiarazione di abitualità o di professionalità nel delitto, come pure di tendenza a delinquere, importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (art. 29 C.P.); c. la cancellazione dalle liste elettorali per cause ostative deve essere effettuata con la prima revisione utile dopo che sia pervenuta la comunicazione; d. l’interessato è interdetto dalla data del passaggio in giudicato e tale rimane almeno per il tempo indicato in sentenza; e. se il condannato si è reso latitante o ha scontato, in tutto o in parte, la pena detentiva DOPO il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, il tempo corrispondente va aggiunto ai cinque anni di cui al punto a; f. l’indulto costituisce uno “sconto”, parziale o totale, sulla pena principale, ma non ha effetti sulla pena accessoria; g. ai fini del computo del periodo di incapacità, il regime di affidamento in prova al servizio sociale equivale alla detenzione; (continua a pag. 18)
GLI INCARICHI VIETATI AI DIPENDENTI PUBBLICI di Angelina Marcella
L
a recente sentenza della Corte dei Conti, sezione giurisdizionale Lombardia, n. 54 del 16 aprile 2015 (Vd. in tema di attività svolte da dipendenti pubblici senza autorizzazione, anche sent. 25/11/2014 n. 216 e 30/12/2014 n. 233 della stessa Corte) è l’occasione per ricordare che i dipendenti pubblici, a tempo pieno o con prestazione lavorativa superiore al 50% di quella a tempo pieno, se vogliono svolgere una ulteriore attività per conto di altri soggetti pubblici o privati, sono soggetti all’obbligo della preventiva autorizzazione e alla previa verifica da parte del datore di lavoro che la prestazione abbia carattere occasionale, che non sussista incompatibilità con i compiti d’ufficio e che non vi sia alcuna interferenza negativa con la prestazione svolta nel proprio ente (art. 53 D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche”). Nel caso in cui l’incarico sia stato svolto senza autorizzazione, i compensi ricevuti devono essere versati all’amministrazione di appartenenza. La Corte, nel ribadire la legittimità costituzionale e ai principi comunitari del vincolo di esclusività (art. 98 Cost.: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”) cui è soggetto il pubblico dipendente, precisa che il “silenzio” del dipendente rispetto agli incarichi svolti costituisce colpa grave e che la prescrizione quinquennale decorre non da quando i compensi sono stati percepiti, ma «da quando il fatto dannoso diviene conoscibile secondo ordinari criteri di diligenza». Nel caso in esame il termine prescrizionale è stato fatto decorrere dalla trasmissione delle risultanze della attività ispettiva della Guardia di Finanza, per somme percepite dieci anni prima! La legge anticorruzione (Legge 6 novembre 2012, n. 190 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione” era già intervenuta
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sul punto, prevedendo l’adozione di appositi regolamenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni; il Dipartimento della Funzione Pubblica, lo scorso anno, al fine di supportare le amministrazioni nell’applicazione della normativa in materia di svolgimento di incarichi da parte di dipendenti e di orientare le scelte in sede di elaborazione dei regolamenti e degli atti d’indirizzo, ha emanato i “Criteri generali in materia di incarichi vietati ai dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche”, riordinando la materia ed esemplificando una serie di situazioni
di incarichi vietati per i pubblici dipendenti, fatte salve comunque eventuali disposizioni normative speciali. Ai dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni, a tempo pieno e parziale con percentuale superiore al 50%, sono vietati gli incarichi abituali e professionali. A entrambi sono preclusi gli incarichi che determinano conflitti d’interesse. Gli incarichi considerati nel documento sono sia quelli retribuiti sia quelli conferiti a titolo gratuito. Esaminiamo nel dettaglio le singole definizioni, così come risultanti dal documento emanato dal Dipartimento della Funzione Pubblica: Abitualità e professionalità 1) ai sensi dell’art. 60 del d.P.R. n. 3/57 il dipendente pubblico non può “esercitare attività commerciali, industriali, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro”. L’incarico presenta i caratteri della professionalità se si svolge con i
caratteri della abitualità, sistematicità/ non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo. Sono escluse dal divieto, fermo restando la necessità dell’autorizzazione: a) l’assunzione di cariche nelle società cooperative, in base a quanto previsto dall’art. 61 del d.P.R. n. 3/1957; b) i casi in cui sono le disposizioni di legge che espressamente consentono o prevedono per i dipendenti pubblici la partecipazione e/o l’assunzione di cariche in enti e società partecipate o controllate (si vedano a titolo esemplificativo e non esaustivo: l’art. 60 del d.P.R. n. 3/1957; l’art. 62 del d.P.R. n. 3/1957; l’art. 4 del d.l. n. 95/2012); c) l’assunzione di cariche nell’ambito di commissioni, comitati, organismi presso Amministrazioni Pubbliche, sempre che l’impegno richiesto non sia incompatibile con il debito orario e/o con l’assolvimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro; d) altri casi speciali oggetto di valutazione nell’ambito di atti interpretativi/di indirizzo generale (ad esempio, circolare n. 6 del 1997 del Dipartimento della funzione pubblica, in materia di attività di amministratore di condominio per la cura dei propri interessi; parere 11 gennaio 2002, n. 123/11 in materia di attività agricola). 2) Sono vietati gli incarichi che, sebbene considerati singolarmente e isolatamente non diano luogo ad una situazione di incompatibilità, considerati complessivamente nell’ambito dell’anno solare, configurano invece un impegno continuativo con le caratteristiche della abitualità e professionalità, tenendo conto della natura degli incarichi e della remunerazione previsti. Conflitto di interessi 1) Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti nei confronti dei quali la struttura di assegnazione del dipendente ha funzioni relative al rilascio di concessioni o autorizzazioni (continua a pag. 17)
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(continua da pag. 16: Gli incarichi...)
o nulla-osta o atti di assenso comunque denominati, anche in forma tacita. 2) Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti fornitori di beni o servizi per l’Amministrazione, relativamente a quei dipendenti delle strutture che partecipano a qualunque titolo all’individuazione del fornitore. 3) Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti privati che detengono rapporti di natura economica o contrattuale con l’Amministrazione, in relazione alle competenze della struttura di assegnazione del dipendente, salve le ipotesi espressamente autorizzate dalla legge. 4) Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti privati che abbiano o abbiano avuto nel biennio precedente un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all’ufficio di appartenenza. 5) Gli incarichi che si svolgono nei confronti di soggetti verso cui la struttura di assegnazione del dipendente svolge funzioni di controllo, di vigilanza o sanzionatorie, salve le ipotesi espressamente autorizzate dalla legge. 6) Gli incarichi che per il tipo di attività o per l’oggetto possono creare nocumento all’immagine dell’Amministrazione, anche in relazione al rischio di utilizzo o diffusione illeciti di informazioni di cui il dipendente è a conoscenza per ragioni di ufficio. 7) Gli incarichi e le attività per i quali l’incompatibilità è prevista dal d.lgs. n. 39/2013 o da altre disposizioni di legge vigenti. 8) Gli incarichi che, pur rientrando nelle ipotesi di deroga dall’autorizzazione di cui all’art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, presentano una situazione di conflitto di interesse. 9) In generale, tutti gli incarichi che presentano un conflitto di interesse per la natura o l’oggetto dell’incarico o che possono pregiudicare l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente. La valutazione operata dall’Amministrazione circa la
situazione di conflitto di interessi va svolta tenendo presente la qualifica, il ruolo professionale e/o la posizione professionale del dipendente, la sua posizione nell’ambito dell’Amministrazione, la competenza della struttura di assegnazione e di quella gerarchicamente superiore, le funzioni attribuite o svolte in un tempo passato ragionevolmente congruo. La valutazione deve riguardare anche il conflitto di interesse potenziale, intendendosi per tale quello astrattamente configurato dall’art. 7 del d.P.R. n. 62/2013.
Incarichi preclusi a tutti i dipendenti, a prescindere dalla consistenza dell’orario di lavoro 1) Gli incarichi, ivi compresi quelli rientranti nelle ipotesi di deroga dall’autorizzazione di cui all’art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, che interferiscono con l’attività ordinaria svolta dal dipendente pubblico in relazione al tempo, alla durata, all’impegno richiestogli, tenendo presenti gli istituti del rapporto di impiego o di lavoro concretamente fruibili per lo svolgimento dell’attività; la valutazione va svolta considerando la qualifica, il ruolo professionale e/o la posizione professionale del dipendente, la posizione nell’ambito dell’Amministrazione, le funzioni attribuite e l’orario di lavoro. 2) Gli incarichi che si svolgono durante l’orario di ufficio o che possono far presumere un impegno o una disponibilità in ragione dell’incarico assunto anche durante l’orario di servizio, salvo che il dipendente fruisca di permessi, ferie o altri istituti di astensione dal rapporto di lavoro o di
impiego. 3) Gli incarichi che, aggiunti a quelli già conferiti o autorizzati, evidenziano il pericolo di compromissione dell’attività di servizio, anche in relazione ad un eventuale tetto massimo di incarichi conferibili o autorizzabili durante l’anno solare, se fissato dall’Amministrazione. 4) Gli incarichi che si svolgono utilizzando mezzi, beni ed attrezzature di proprietà dell’Amministrazione e di cui il dipendente dispone per ragioni di ufficio o che si svolgono nei locali dell’ufficio, salvo che l’utilizzo non sia espressamente autorizzato dalle norme o richiesto dalla natura dell’incarico conferito d’ufficio dall’Amministrazione. 5) Gli incarichi a favore di dipendenti pubblici iscritti ad albi professionali e che esercitino attività professionale, salve le deroghe autorizzate dalla legge (art. 1, comma 56 bis della l. n. 662/1996). 6) Comunque, tutti gli incarichi per i quali, essendo necessaria l’autorizzazione, questa non è stata rilasciata, salva la ricorrenza delle deroghe previste dalla legge (art. 53, comma 6, lett. da a) a f-bis); comma 10; comma 12 secondo le indicazioni contenute nell’Allegato 1 del P.N.A. per gli incarichi a titolo gratuito, d.lgs. n. 165 del 2001). Nel caso di rapporto di lavoro in regime di tempo parziale con prestazione lavorativa uguale o inferiore al 50%, è precluso lo svolgimento di incarichi o attività che non siano stati oggetto di comunicazione al momento della trasformazione del rapporto o in un momento successivo. Il D.Lgs 165/2001, all’art. 53, comma 6, prevede una serie di deroghe all’obbligo di preventiva autorizzazione: collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali, partecipazione a convegni e seminari; incarichi per lo (continua a pag. 23)
Riportiamo, per memoria, l’art. 2, n. 7) del D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, nel testo poi abrogato dall’art. 1 della legge 22 maggio 1980, n. 193 Non sono elettori:
... omissis ... 7) per un periodo di cinque anni, ed indipendentemente dalla pena inflitta, ed anche qualora essa non importi interdizione dai pubblici uffici, o importi una interdizione di minore durata, coloro che sono stati condannati: - a) per i seguenti delitti, anche nelle ipotesi previste dal primo comma dell’art. 56 del Codice penale, e con esclusioni in ogni caso delle figure colpose: peculato (art. 314 Codice penale), malversazione (articolo 315), concussione (art. 317), corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (articoli 319 e 321), calunnia (art. 368), falsa testimonianza (art. 372), falsa perizia o interpretazione (art. 373), associazione per delinquere (art. 416), devastazione e saccheggio (art. 419), delitti contro l’incolumità pubblica (articoli 422 a 448), esclusi quelli previsti dagli articoli 441 e 445; falsificazione e alterazione di monete, spendita e introduzione di monete false, di carte di pubblico credito e di valori di bollo (articoli 453, 454, 455, 456, 458, 459, 460 e 461), contraffazione del sigillo dello Stato (articoli 467 e 470), uso di misure o pesi con falsa impronta (art. 472), falsità in atti commessa da pubblico ufficiale o da esercente un servizio di pubblica necessità (articoli 476, 477, 478, 479, 480, 481 e 487), e falsità in atto pubblico commessa da privati (articoli 482 e 483); delitti contro la libertà sessuale, esclusi quelli di cui agli articoli 522 e 526; delitti contro il pudore o l’onore sessuale, esclusi quelli di cui al capoverso dell’art. 527; delitti di aborto (articoli 545 e 551), eccettuati gli atti abortivi su donna ritenuta incinta (art. 550), qualora non ne conseguano la morte o lesioni gravissime, incesto (art. 564), omicidio (art. 575 e seguenti), lesioni gravissime (art. 583, capoverso), furto aggravato (art. 625), rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione (articoli 628 a 630), danneggiamento o appropriazione indebita, nei casi per i quali si proceda d’ufficio (articoli 635 e 646), truffa aggravata (art. 640, capoverso), circonvenzione d’incapace (art. 643), usura (art. 644), frode in emigrazione (art. 645) e ricettazione (art. 648), bancarotta fraudolenta (articoli 216 e 223 legge fallimentare); (continua da pag. 15: La perdita...)
h. l’eventuale esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale non estingue le pene accessorie, in particolare l’interdizione dai Pubblici Uffici; i. prima di procedere alla reiscrizione occorre accertare se e quando l’interessato ha scontato pene detentive, rivolgendosi, con congruo anticipo e prima dello scadere del periodo di interdizione dai PP.UU. fissato in sentenza, al competente Ufficio Esecuzioni Penali presso la Procura, per acquisire il “certificato di espiata pena detentiva”. Quanto alle misure di prevenzione, alle misure di sicurezza e alla libertà vigilata, si ricorda che, secondo quanto disposto dall’art. 2, n. 1, lettere b) e c) del DPR n. 223/1967, non sono elettori: b) coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, alle misure di prevenzione di cui all’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come da ultimo modificato dall’articolo 4 della legge 3 agosto 1988, n. 327 (l’art. 120 del DLgs. n. 159/2011 ha abrogato la legge n. 1423/1956, senza però intervenire espressamente sull’art. 2 del Pag. 18
T.U. n. 223/1967; ora, se confrontiamo l’art. 3 della legge n. 1423 - come modificato dall’art. 4 della legge n. 327, pure abrogato - con l’art. 6 del DLgs. n. 159, troviamo, al di là di alcune differenze formali, una corrispondenza diretta e sostanziale tra i due testi. Si può quindi ritenere, pur con tutte le riserve del caso trattandosi di materia che attiene ai diritti fondamentali dei cittadini, che la disposizione di cui all’art. 2, c. 1, lettera b), del T.U. n. 223/1967 sia tuttora operante. È auspicabile una pronuncia in merito da parte del Ministero dell’Interno) finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi; c) coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, a misure di sicurezza detentive o alla libertà vigilata o al divieto di soggiorno in uno o più Comuni o in una o più Province, a norma dell’articolo 215 del codice penale, finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi. Va sottolineato che, quando è disposta una delle misure suddette, la perdita del diritto elettorale si produce, per l’interessato, non dalla data cui viene emesso il provvedimento, bensì nel momento in cui il provvedimento stesso viene eseguito. Si deve infatti considerare che «gli effetti del provvedimento» si concretizzano, ai fini elettorali, soltanto quando
il provvedimento stesso ha avuto esecuzione e questo avviene a volte in un momento successivo; inoltre, si tratta di misure soggette a proroghe ed anche a sospensioni. L’interessato resterà quindi privo del diritto elettorale dal momento in cui la misura della quale si tratta ha avuto esecuzione e fino a quando la misura stessa sarà sospesa o cessata per qualunque causa. Detto tutto ciò, va tenuto ben presente che l’Ufficiale elettorale non può fare altro che operare sulla base delle comunicazioni che gli pervengono, nel presupposto che siano state correttamente effettuate ai sensi dell’art. 32, n. 3, del DPR n. 223/1967: il questore incaricato della esecuzione dei provvedimenti che applicano le misure di prevenzione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), nonché il cancelliere o il funzionario competenti per il casellario giudiziale, inviano, ciascuno per la parte di competenza, certificazione delle sentenze e dei provvedimenti che importano la perdita del diritto elettorale al comune di residenza dell’interessato. In sintesi, una volta ricevuta dall’Autorità competente una comunicazione relativa a un provvedimento definitivo (continua a pag. 23)
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ALLA SCOPERTA DELL’ITALICUM
N
ella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 105 del 8/5/2015 è stata pubblicata la Legge 6 maggio 2015, n. 52 avente ad oggetto: “Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati”. La nuova legge, in vigore dal 23/05/2015, modifica il sistema elettorale per la Camera dei Deputati, sostituendo il c.d. “Porcellum”. Alcuni giuristi avevano sollevato dubbi di incostituzionalità riguardati alcuni aspetti dell’Italicum che potevano ricordare la precedente legge elettorale, poi “svuotata” proprio dalla sentenza della Consulta del dicembre 2013. Il riferimento era al premio di maggioranza e alle liste bloccate: la sentenza della Consulta aveva sottolineato la necessità di una soglia per il premio di maggioranza e denunciava la distorsione del rapporto tra elettori ed eletti, proponendo le alternative di liste più corte o liste bloccate solo per una parte. Nell’Italicum è prevista una soglia del 40% di voti validi per ottenere fin dal primo turno il premio di maggioranza; inoltre, soltanto i capolista sono “bloccati”. A riprova del fatto che i dubbi di legittimità costituzionale sono da considerare ormai superati, va sottolineato che il Presidente della Repubblica, secondo fonti del Quirinale citate dalle agenzie di stampa, ha promulgato la riforma senza porre note o osservazioni, non rilevando difetti nel testo uscito dal Parlamento sia sotto il profilo costituzionale sia sotto il profilo tecnico; ricordiamo poi, da un lato, che il Presidente Mattarella era giudice della Corte Costituzionale quando questa, nel 2014, bocciò il “Porcellum” e, dall’altro, che è l’autore della legge elettorale con la quale si è votato dal 1994 al 2001, il c. d. “Mattarellum”. L’Italicum sarà applicato a partire dalle elezioni successive al 1° luglio 2016 e riguarda, come detto, l’elezione della sola Camera dei Deputati. Per quella data dovrebbe essere stata approvata la riforma costituzionale che prevede il superamento dell’attuale sistema di bicameralismo perfetto, con un’unica
di Lorella Capezzali
Camera elettiva ed un Senato non più elettivo e depotenziato nelle sue funzioni. Le principali caratteristiche del nuovo sistema sono: - il territorio nazionale viene suddiviso in 20 circoscrizioni regionali, ciascuna delle quali a sua volta è suddivisa in collegi plurinominali, per un totale di 100 collegi; il numero dei seggi assegnati ad ogni collegio varierà tra un minimo di 3 seggi ed un massimo di 9 seggi;
- è previsto un sistema di multicandidature: nessuno può essere candidato in più collegi, salvo i capolista che potranno presentarsi in più collegi, fino ad un massimo di 10; - in ogni circoscrizione concorrono più liste di candidati. In ciascuna lista i candidati saranno presentati in ordine alternato in base al sesso, e i capolista dello stesso sesso non possono eccedere il 60% del totale in ogni circoscrizione; - ciascun elettore, oltre al voto alla lista, potrà esprimere due preferenze (una maschile e una femminile) tra i candidati presentati dalla lista all’interno del proprio collegio; se le due preferenze sono entrambe per candidati dello stesso sesso, la seconda preferenza è annullata; - nei 100 collegi ciascun partito presenta una lista con un numero di candidati pari almeno alla metà del numero dei seggi assegnati al collegio e non superiore a questo; il capolista è bloccato ed espresso direttamente dal suo partito o movimento (cioè è eletto automaticamente se scatta il seggio) mentre le preferenze valgono solo per gli altri candidati; - la scheda riporterà a fianco del
simbolo di ciascun partito il nome del capolista e due linee orizzontali dove scrivere le due eventuali preferenze; - è previsto un premio di maggioranza alla lista vincitrice, che in ogni caso non potrà avere più di 340 seggi sul totale di 630 (pari al 54% del totale). Il premio di maggioranza alla lista sancisce la fine definitiva dello schema basato sulle coalizioni in vigore negli ultimi vent’anni. Sarà la lista che arriva prima a ottenere la maggioranza assoluta dei seggi (al primo o al secondo turno) e a governare da sola. La lista non si identifica sempre con un solo partito. Sarà infatti sufficiente che due o più partiti si uniscano in una sola lista per raggiungere la governabilità. Il premio di maggioranza e il doppio turno garantiranno la certezza di chi sarà il vincitore. Non saranno più possibili cambi di schema dell’ultimo minuto come avvenuto nel 2013, dal momento che la lista vincente potrà contare su una maggioranza autosufficiente; - nel caso in cui nessuna lista raggiunga il 40% dei voti, si procede ad un secondo turno di ballottaggio tra le due liste che hanno ottenuto il maggior numero di voti validi: alla lista vincente vengono assegnati 340 seggi; i 290 seggi rimanenti vengono ripartiti proporzionalmente tra le altre liste, sulla base del “quoziente elettorale nazionale” e dei maggiori resti; - per accedere alla ripartizione dei seggi le liste di minoranza devono raggiungere o superare, a livello nazionale, la soglia di sbarramento, fissata al 3%; - in Trentino-Alto Adige e nella Valle d’Aosta si voterà con i collegi uninominali, come con il “Mattarellum”; - potranno votare per corrispondenza, oltre agli elettori iscritti in AIRE ed ai cittadini temporaneamente all’estero appartenenti alle categorie già previste dalle precedenti norme in materia, anche coloro che sono all’estero per almeno tre mesi, per motivi di studio (per esempio l’Erasmus), per lavoro o per cure mediche.
L’OSSERVATORIO ANUSCA SULLA L. 162/2014: I PRIMI DATI di S. Z.
È
innegabile che l’entrata in vigore della legge 162/2014 che ha convertito il decreto legge n. 132 dello stesso anno, introducendo la possibilità di separazione e divorzio davanti all’ufficiale di stato civile, abbia impattato in maniera significativa sull’attività degli uffici e degli operatori. In sostanza, la norma esime i cittadini, a particolari condizioni precisamente indicate, dall’adire il giudice in caso di separazione consensuale e divorzio, ma consente che la procedura venga svolta davanti all’ufficiale di stato civile, con un procedimento amministrativo. Risulta evidente una valorizzazione della professionalità dei funzionari: il Legislatore ha ritenuto di renderli a tutti gli effetti operatori del diritto, con la possibilità di incidere in maniera diretta sullo status personale dei cittadini. Il rovescio della medaglia è rappresentato dalla delicatezza di questo adempimento, che necessita, per le stesse ragioni, di una corretta applicazione della norma. Per verificare l’incidenza della norma nelle attività quotidiane negli uffici, ANUSCA ha promosso, tramite il proprio sito, una indagine: i Comuni hanno cioè avuto la possibilità di dare conto delle pratiche effettuate relative a separazioni, scioglimento del vincolo e cessazione degli effetti civili sia ai sensi dell’articolo 6 sia dell’articolo 12. Nell’analisi delle risposte si è ritenuto di suddividere i Comuni che hanno risposto al questionario per classi di abitanti: i risultati emersi sono assai interessanti e, pensiamo, restituiscono uno specchio fedele di questi primi mesi di applicazione della legge. Partendo dal primo gruppo di Comuni, quelli sotto i 1000 abitanti, non è emerso alcun caso di applicazione della norma a richiesta dei cittadini, salvo due eccezioni: una richiesta di separazione e una di cessazione, ai sensi dell’art. 12. Passando al gruppo successivo, quello
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dei Comuni fra i 1000 e i 5000 abitanti, si affacciano le prime applicazioni dell’articolo 6 della legge 162, quello della convenzione di negoziazione assistita davanti agli avvocati; un fenomeno però non frequente dato che riguarda solo il 7,6% dei Comuni intervistati e per la maggioranza dei casi relativamente a separazioni. Dati più rilevanti invece si riscontrano per quanto riguarda le richieste dei cittadini di adire l’ufficiale di stato civile, ai sensi dell’art. 12, che hanno riguardato, in varia misura, il 70% dei Comuni. Di
con prevalenza della procedura di cessazione degli effetti civili, seguita dalla separazione consensuale, con una media di oltre un procedimento per tipologia. Di questi casi, l’11% ha visto anche l’assistenza facoltativa delle parti ad opera di un legale. Aumentando le dimensioni dei Comuni, registriamo una maggiore diversificazione della casistica. Considerando il campione degli Enti fra 15.000 e 50.000 abitanti, si incrementa fino a toccare il 42%, la percentuale dei Comuni che registrano procedure ex
questi casi, la maggior parte, circa la metà, ha richiesto l’effettuazione di una procedura di cessazione degli effetti civili, a seguire separazioni, più rare le richieste di scioglimento. È interessante rilevare come in questa fascia di Comuni si sono registrati anche alcuni casi, sebbene assai sporadici (poco più del 3%) di assistenza di avvocati nonostante il cittadino abbia scelto la procedura davanti all’ufficiale di stato civile. Sale al 21% la percentuale dei Comuni fra i 5000 e i 15000 abitanti in cui si registrano casi di separazione/divorzio negoziato davanti agli avvocati; parlando di articolo 12 invece si registra che oltre l’80% degli Enti è stato coinvolto da almeno una procedura davanti all’USC, anche in questo caso
art. 6. La percentuale rasenta il 98% in relazione a fattispecie di applicazione dell’articolo 12, con una media di quasi due procedimenti a Comune per separazione e cessazione degli effetti civili. Anche in questa fascia, meno frequenti i procedimenti di scioglimento e rari i casi di assistenza facoltativa da parte di legale. Chiudendo la rassegna con i Comuni di più grandi dimensioni, dal campione degli intervistati emerge una prevedibile varietà di casi: assai frequente il ricorso alle possibilità previste dall’articolo 6 (verificatesi nel 75% degli intervistati), con un picco di casi nel Comune di Milano. Il Comune di Parma invece porta invece il numero (continua a pag. 23)
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CAMPI SALENTINA, DAI MENHIR A FEDERICO II
C
ampi Salentina, centro di oltre 10.000 abitanti a 15 Km da Lecce sorge in un’ampia conca naturale delimitata dalle serre di Sant’Elia e dalla Madonna dell’Alto. Si fregia del titolo di Città dal Settembre del 1998, per il ruolo svolto da sempre nel corso della storia e che oggi svolge nei confronti del circondario. La piana di Campi era popolata già nell’età del bronzo, come testimoniano i numerosi menhir diffusi in tutto il territorio comunale: fra di essi il Menhir denominato “Sperti”, oggetto di studio di molti esperti. Successivamente queste terre vengono colonizzate dai Messapi, popolazione di origine illirica, che dal 266 a.C. vengono assoggettati dalla dominazione romana. Nell’alto Medioevo, i piccoli borghi di Afra, Bagnara, Firmigliano e Terenzano, che sorgevano intorno a Campi Salentina furono invasi e distrutti dai Saraceni nel 926; le origini dell’attuale centro urbano si fanno risalire a questo evento, quando i profughi trovarono le condizioni ideali per la sopravvivenza e la difesa tra le aree boscose della conca. Nell’XI secolo, con la conquista normanna, Campi entrò a far parte della Contea di Lecce, dopo l’epoca normanna passò sotto il dominio degli Svevi e nel 1220 l’Imperatore Federico II vi fece costruire un castello che scelse come residenza estiva, insieme al notaio Pier della Vigna, noto per il racconto che ne fa Dante Alighieri nella sua Commedia. L’antico castello federiciano, fu interessato da opere di rifacimenti in stile tardo-gotico e successivamente da modifiche di
Prof. Egidio Zacheo Sindaco di Campi Salentina
A cura della Redazione
gusto rinascimentale. Successivamente il castello fu trasformato in Palazzo Marchesale. Fu per volontà di Giovanni che nel marzo del 1629 fu istituito a campi il Convento degli Scolopi insieme ad una sede delle Scuole Pie: la prima scuola in Puglia aperta al popolo. Da allora e per diversi secoli l’Istituto Calasanzio ha rappresentato una nobile palestra di cultura per l’intero mezzogiorno d’Italia. Lo stemma civico di Campi raffigura un covone, simbolo di fertilità e di abbondanza di grano che ne hanno fatto il granaio di Terra d’Otranto. Campi ha dato i natali a Carmelo Bene, genio del teatro contemporaneo e regista cinematografico di fama internazionale. A lui sarà intitolato a breve il Teatro Excelsior, riportato recentemente all’antico splendore. La ridente cittadina organizza ogni anno nel mese di dicembre, a cura della “Fondazione Città del Libro” la “Rassegna Nazionale degli Autori e degli Editori”, un appuntamento che richiama nel Salento le più importanti case editrici, esaltando pure le piccole realtà locali e che costituisce ormai un evento culturale fra i piu importanti e qualificati dell’intero Mezzogiorno. Tra le strutture culturali, da segnalare la Biblioteca Calasanziano che ha sede presso il Convento degli Scolopi. Consta di oltre ventimila volumi, tra cui manoscritti in pergamena, incunaboli e cinquecentine. Di pregio anche la Chiesa Madre Santa Maria delle Grazie, risalente al 1579, ma costruita probabilmente su un impianto precedente. La chiesa contiene
apprezzabili elementi di epoca barocca. Nel settembre del 1998 il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, con apposito decreto concesse al Comune di Campi Salentina il titolo di Città “…per il ruolo che Campi ha sempre svolto nel corso della storia, per il ruolo che oggi svolge nei confronti del circondario, per la concentrazione di tutti gli uffici e gli enti, per la storia, per la sua cultura”. Da alcuni anni il Comune è socio ANUSCA e ha ospitato diverse iniziative dell’Associazione in terra salentina. Sindaco della Città è il prof. Egidio Zacheo, già docente presso l’Università del Salento. Consapevole della grande importanza che riveste il comparto dei Servizi Demografici nel funzionamento della macchina amministrativa, il primo cittadino ha inteso associare il Comune di Campi ad ANUSCA, ritenendola insostituibile punto di riferimento per i servizi innovativi messi in atto dalla Pubblica Amministrazione. Il sindaco Zacheo ha sempre tenuto nella massima considerazione gli operatori addetti ai servizi demografici e apprezzato la preziosa opera di formazione che l’Associazione persegue da decenni per un più efficace e puntuale funzionamento del settore in questione, che nel corso del tempo ha subito profonde trasformazioni per meglio rispondere alle istanze dell’utenza. Ringraziamo la dr.ssa Annamaria Poso per le informazioni sulla città di Campi e la disponibilità con cui segue l’attività di ANUSCA sul territorio.
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Il cofanetto contiene le seguenti guide: • L’IDENTIFICAZIONE DEI CITTADINI COMUNITARI E STRANIERI • IL CONTROLLO DEI CONDUCENTI COMUNITARI E STRANIERI • IL CONTROLLO DEI VEICOLI COMUNITARI E STRANIERI • IL CONTROLLO DEI TRASPORTI INTERNAZIONALI DI MERCI E VIAGGIATORI
Pag. 22
Cofanetto con 4 volumi - complessivamente di circa 1000 pag. - stampa a colori - cod. C1849
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Pag. 23 (continua da pag. 20: L’Osservatorio...)
più consistente di procedimenti ex articolo 12. In ogni caso, la media dei procedimenti svolti, sempre con riferimento al periodo dell’indagine, è di 7 per le separazioni, 4 per lo scioglimento e 6 casi per le cessazioni di effetti civili. Scorrendo rapidamente i dati, la percezione qualitativa è che gli operatori demografici siano stati chiamati da subito sugli scudi. I cittadini hanno accolto favorevolmente la finalità della norma, deflattiva dei procedimenti giudiziali, ricorrendo, in parte minore, agli avvocati e più frequentemente, anche nei Comuni più piccoli, all’ufficiale di stato civile. Emerge come sia chiamata sempre più in causa la professionalità degli operatori e diventi di valore fondante l’aggiornamento professionale. ANUSCA, ben conscia di questa necessità, fin dall’entrata in vigore del decreto legge ha (continua da pag. 17: Gli incarichi...)
svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo; incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita; attività di formazione diretta ai dipendenti della Pubblica Amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica. Lo stesso art. 53 distingue tra gli incarichi retribuiti e quelli svolti a titolo gratuito. La deroga all’obbligo di ottenere l’autorizzazione non significa che l’incarico possa essere liberamente assunto; è sempre necessaria una comunicazione preventiva in quanto l’Amministrazione di appartenenza deve essere messa nelle condizioni
varato un programma di formazione sull’intero territorio nazionale che ha accompagnato l’evoluzione normativa, fino alla recente circolare interpretativa 6/2015 e che naturalmente continuerà per un aggiornamento continuo sulle varie casistiche che man mano si presenteranno. Anticipiamo che nei prossimi mesi il questionario verrà riproposto, al fine di raccogliere dati ulteriori che saranno presentati al 35° Convegno Nazionale.
(continua da pag. 18: La perdita...)
che comporta per un cittadino iscritto la perdita della capacità elettorale, si dovrà procedere alla sua cancellazione dalle liste elettorali con la prima revisione dinamica utile e, salvo ulteriori notizie che pervengano nel frattempo, si effettuerà la reiscrizione alla scadenza prevista. Si ribadisce comunque che l’Ufficiale elettorale deve provvedere alle variazioni conseguenti alla perdita o al riacquisto della capacità elettorale, attenendosi strettamente a quanto risulta dall’insieme della documentazione che gli è pervenuta; è tuttavia tenuto a effettuare ogni ulteriore verifica che ritenga necessaria, nel caso in cui la documentazione stessa contenga dati incompleti o incongruenze.
NOVITÀ SUL SITO ANUSCA di valutare la sussistenza di cause preclusive e situazioni di conflitto d’interesse allo svolgimento del compito e tale valutazione non può essere rimessa allo stesso dipendente che aspira a svolgere l’incarico. Inoltre, l’Amministrazione deve poter valutare se l’incarico, pur rientrando in una ipotesi di deroga, possa interferire con l´attività ordinaria svolta dal dipendente per il tempo, durata e impegno richiesto. Si ritiene pertanto necessaria e opportuna, anche se non obbligatoria, una comunicazione preventiva anche nel caso di incarico gratuito, se si tratta di un incarico che il dipendente è chiamato a svolgere in considerazione della professionalità che lo caratterizza all’interno dell’Amministrazione di appartenenza.
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