Apitalia 10/2021

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Foto © National Geographic, Dan Winters Photo

Apitalia - Corso Vittorio Emanuele II, 101- 00186 - Roma - ITALY - UE - ISSN: 0391 - 5522 - ANNO XXXXVI • n. 10 • Ottobre 2021 •- 718 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1 Comma 1 – Roma Aut. C/RM/18/2016

| Testata giornalistica fondata nel 1974 | Direttore Raffaele Cirone |

SPLENDIDE CREATURE





EDITORIALE

MODALITÀ “LAZISE”

COSA PORTIAMO A CASA DOPO I GIORNI DEL MIELE di Raffaele Cirone

TANTE SCELTE INDOVINATE CON L’ALVEARE

Foto Archivio Apitalia

DIFFUSO

L

a tre giorni lazicense (si dice così quando ci si riferisce a Lazise) ha dato prova di cosa significhi, per un vivacissimo Comune affacciato sul Lago di Garda, mantenere l’impegno di ospitare una manifestazione che con i suoi 42 anni ha trovato la formula più matura e azzeccata. Ci voleva la pandemia da Covid-19, per quanto possa apparire strano, a spingere quest’Amministrazione verso l’adozione di scelte indovinate. Già nell’edizione passata fu atto di vero coraggio la conferma dell’appuntamento: senza spostare date storiche, evitando interferenze con altri eventi, lasciando integri i programmi di attività, aperta la splendida Dogana Veneta come sede dei Convegni (con posti assegnati) e, qui la più felice delle scelte, facendo di Lazise un Alveare diffuso. Ospitali casette in legno all’aperto, invece che espositori e pubblico costipati in un capannone. Il modo migliore per far sciamare la gente, camminar mangiando, assaggiando miele e altri prodotti tipici, attraverso un itinerario che si snoda sul lungolago tra i più belli del mondo. Cornice straordinaria per la promozione di api e miele. Ed è così che in piena sicurezza questa Fiera Nazionale dell’Apicoltura per l’Agricoltura è stata capace di richiamare decine di migliaia di consumatori, molti dei quali stranieri, insieme ad apicoltori e convegnisti giunti da tutta Italia. Ogni cosa si è svolta in un clima favorevole, con discussioni pacate, nel ragionare convinto di autorità e relatori cui non pareva vero, come al folto pubblico, di esser tornati in presenza: pronti finalmente a superare una pandemia, accettando anche la nuova sfida del cambiamento climatico. Questo portiamo a casa da Lazise: l’esempio di grande serietà e attenzione al nostro mondo. Raffaele Cirone

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SOMMARIO

Apitalia N. 718 | 10/2021| gli articoli 5 EDITORIALE Modalità “Lazise”

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Raffaele Cirone

8 PRIMO PIANO A Lazise 2021,

scenari da cambiamento climatico

Claudio Costantino

12 AGENDA LAVORI. NORD-OVEST Due parole sul miele pensando all’inverno

Alberto Guernier

15 AGENDA LAVORI. NORD Dobbiamo preservare la forza degli alveari

Maurizio Ghezzi

19 AGENDA LAVORI. NORD-EST Un’altra annata con anomalie drammatiche

Giacomo Perretta

22 AGENDA LAVORI. CENTRO Efficientare l’apiario

12

Matteo Giusti

26 AGENDA LAVORI. ISOLE Fame e varroa: nemici di questo tempo

Vincenzo Stampa

44 DALLA PARTE DEL CONSUMATORE Centrifugato o pressato?

Ezio Pace

47 LEGISLAZIONE Regolamento (UE) 2019/06

44 6 | Apitalia | 10/2021

Giulio Loglio

e Gianluigi Bressan

SPECIALE - Parte III 29 Apicoltura logica e razionale

Michele Campero


Foto © National Geographic, Dan Winters Photo

i nostri recapiti

Angelina Jolie è splendida a prescindere, con o senza api. Ma questa foto di Dan Winters - pubblicata nella Giornata Mondiale delle Api 2021 per conto del National Geographic ha qualcosa di speciale. Si ispira all’opera del grande fotografo statunitense Richard Avedon, che per la prima volta nel 1981 fece uno scatto simile: The Beekeeper, con un vero Apicoltore. La cosa che più colpisce i nostri occhi, però, è che quelle usate per questo scatto sono api di chiara origine italiana. Resta lo stupore dei non addetti ai lavori per l’accostamento così temerario tra due splendide creature: mentre noi Apicoltori siamo abituati a vedere queste cose da sempre. Ed è ammirevole l’iniziativa del National Geographic che in questo modo riempie d’orgoglio ogni apicoltore del Pianeta Terra e che ringraziamo per aver dato, con questa immagine, un senso speciale alla nostra scelta di vita.

i nostri riferimenti: per pagare

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hanno collaborato a questo numero

1 anno (10 numeri carta) € 30,00 2 anni (20 numeri carta) € 54,00 Italia, una copia/arretrati € 5,00 Estero: costo variabile per area geografica, richiedere preventivo

Alberto Guernier, Maurizio Ghezzi, Giacomo Perretta, Matteo Giusti, Vincenzo Stampa, Michele Campero, Giulio Loglio, Gianluigi Bressan, Ezio Pace, Fabrizio Piacentini, Patrizia Milione, Alessandro Patierno.

marcatura dell’ape regina Secondo un codice standardizzato, le regine sono marcate con un colore (tabella a lato) per permettere all’apicoltore di riconoscerne l’anno di nascita

azzurro

bianco

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verde

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(ultimo numero dell’anno di allevamento, esempio “2021”)

i nostri VALORI “Il mio non sol, ma l’altrui ben procuro” è il motto che accompagna le firme storiche dell’editoria apistica italiana da cui Apitalia trae origine.

Una Giuria internazionale ci ha premiati come miglior rivista di apicoltura, per i contenuti tecnico-scientifici e la qualità fotografica.

La moneta di Efeso, con l’ape come simbolo riconosciuto a livello internazionale già 500 anni prima di Cristo.

Abbiamo sottoscritto “Il Manifesto di Assisi”, per un’economia a misura d’uomo. Come apicoltori ci riconosciamo nel Tau.

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PRIMO PIANO

A LAZISE 2021, SCENARI DA CAMBIAMENTO CLIMATICO

CONVEGNO NAZIONALE FAI: CI SARÀ UN’ALTRA APICOLTURA di Claudio Costantino

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rmai stanno tutti dalla parte delle api, ma la ricetta per salvarle in concreto non può essere improvvisata e il futuro del più importante impollinatore del Pianeta è e resterà nelle mani degli apicoltori. In estrema sintesi potrebbe essere questo il succo del convegno nazionale che ogni anno si celebra a Lazise, sulla sponda veronese del Lago di Garda, in occasione della Fiera nazionale dell’apicoltura per l’agricoltura che quest’anno ha celebrato la sua 42a edizione.

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Luca Sebastiano, Sindaco, ed Elena Buio, Assessore all’Agricoltura e Stefano Dal Colle, presidente degli Apicoltori in Veneto, hanno aperto il Convegno dedicato quest’anno al tema “L’alveare Italia e il cambiamento climatico”, che data la peggiore annata di sempre per l’apicoltura nazionale, non poteva ispirarsi ad altro argomento. Primo comune d’Italia, quello di Lazise, e prima manifestazione apistica nazionale, con una forte vocazione internazionale: non meraviglia che sia da questo territorio che ogni anno gli addetti ai lavori - apicoltori, agricoltori, veterinari, consumatori, ricercatori e rappresentanti delle Istituzioni - si ritro-

MINORE PRODUTTIVITÀ E PIÙ SERVIZI ECOSISTEMICI

Sotto, da sinistra: Elena Buio, Stefano Dal Colle, Luca Sebastiano, Raffaele Cirone.


vino con l’intento di fare il punto di una situazione che, come un precisissimo barometro, misura la condizione in cui si trova l’apicoltura e l’andamento verso cui tende. Non ci sono dubbi, infatti, che sia l’ape il più versatile, sensibile e preciso strumento di misurazione di tutti i grandi fenomeni che chiamiamo “cambiamento climatico”. E se un’ape è così sensibile di suo, immaginatevi un intero “alveare Italia”, composto di circa 80 miliardi di api che ispezionano ogni giorno ciascuna 10 milioni di fiori per la raccolta delle diverse risorse di cui ha bisogno: aria, acqua, nettare, polline, propoli. Si capisce già così, senza essere dei grandi specialisti, che dentro l’arnia c’è un meccanismo molto più sofisticato di un computer, un superorganismo complesso la cui sopravvivenza è legata a precise condizioni: nel variare di una di queste varia tutto il resto. E questo gli allevatori

di api, quale che sia la dimensione aziendale nella quale si collocano, lo sanno benissimo e lo sperimentano ogni giorno. Quando un apicoltore professionale del taglio di Pier Antonio Belletti, già agronomo con una spiccata propensione alla ricerca, arriva a dire che ormai “l’allevamento delle api dipende dalle nutrizioni supplementari cui occorre sottoporre gli alveari in precisi periodi dell’anno”, ci vuole poco altro per comprendere di come un equilibrio naturale sia già stato completamente destabilizzato. “L’apicoltura di questo tempo - ha sottolineato Belletti non è più vocata alle grandi produzioni di un tempo, mancano adeguate fioriture per le produzioni di nettare che poi le api tramutano in miele, ma soprattutto manca l’apporto di polline nell’alveare. Il che significa api meno resistenti, con un sistema immunitario inadeguato, incapaci di resistere a fattori di

stress sempre crescenti”. È in effetti lo scenario di complesse e numerose problematicità cui gli apicoltori da anni stanno assistendo: malattie, predatori, pressione chimica nelle città e nelle campagne. “Oggi un allevatore che vuole fare impresa con le api deve sapere che si parte da qui: le api vanno nutrite, quindi aiutate a preservare le condizioni di salute basilari per la sopravvivenza, prima ancora che per la produzione di grandi quantità di miele”, conclude deciso il relatore. Allora viene spontaneo chiedersi di cosa ci sia bisogno per restaurare un ambiente - naturale, rurale o urbano che sia - e farne un habitat adeguato alle api mellifere e agli altri impollinatori. Antonella Canini, botanica di fama internazionale, professore ordinario all’Università di Roma Tor Vergata, smorza gli entusiasmi di coloro - tanti in questi tempi - che pensano sia tutto risolvibile piantando alberi. Pre10/2021 | Apitalia | 9


PRIMO PIANO si come siamo dalla bulimia della CO2, di fatto costretti ad assorbire carbonio per compensare le emissioni in eccesso, i piani che stanno per essere varati prevedono la piantagione di milioni, anzi miliardi di piante: il cosiddetto “verde verticale”. È una risposta coerente con il devastante impatto del disboscamento, della perdita del suolo, del riscaldamento globale. “Poco si calcola, però - ha evidenziato la prof. Canini - che le piante hanno bisogno di tempo per crescere e per assorbire la necessaria quantità di anidride carbonica, che tali impianti del verde nel crescere richiedono costante manutenzione e, soprattutto, che le specie arboree prescelte non sempre sono utili alle api, specie quando non offrono fiori capaci di offrire nettare e polline”. Meglio allora, lo certificano studi recenti pubblicati sulla prestigiosa testata Nature, il “verde orizzontale”, che specie quando si tratta di piante foraggere, officinali, perenni, è un intervento in grado di far tornare velocemente gli agroecosistemi produttivi quanto basta per rendere felici anche le api. Non c’è dunque restauro ambientale che tenga se non si appronta un lavoro di pianificazione del verde che veda coordinati i soggetti pubblici, quelli privati, i governi, i territori, gli agricoltori, gli ambientalisti e gli apicoltori. C’è infine da mettere in conto la perdita di biodiversità, ambito di competenza di Marino Quaranta, tassonomo, entomologo, specialista delle relazioni impollinatori-ambiente per conto del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura (CREA). 10 | Apitalia | 10/2021

Sopra, da sinistra: Stefano Dal Colle, Gianpaolo Vallardi, Raffaele Cirone. Sotto: Convegno seguitissimo, tutto esaurito alla Dogana Veneta.


“Intanto un mito da sfatare: la biodiversità italiana non è compromessa, anzi il nostro è un Paese dove il patrimonio di impollinatori è ancora in buona parte preservato”. La popolazione di api mellifere, in effetti, è in costante aumento, sia in Italia, sia in Europa. “La consistenza di alveari - spiega l’esperto - è sul punto da farne l’impollinatore per eccellenza e con percentuali che toccano il 95% rispetto agli altri insetti utili”. Ma va anche maturata la consapevolezza, aggiunge il dr. Quaranta, che “non esistono motivo di conflitto tra api e altri impollinatori, anzi in questo mondo vige la cooperazione e noi tutti, a partire dagli apicoltori, abbiamo tutto l’interesse affinché un ambiente accogliente per gli impollinatori lo sia al tempo stesso anche per le api mellifere”. Gianpaolo Vallardi, presidente della Commissione Agricoltura del Senato della Repubblica, ma anche Federico Caner, Assessore all’Agricoltura della Regione Veneto, hanno seguito i lavori di questo convegno esortando gli apicoltori, i primi ad esser colpiti dalle avversità climati-

che ma anche dalle complicazioni burocratiche, a proseguire l’opera meritoria svolta nel tenere in vita alveari. C’è un fronte istituzionale ampio e attento al comparto apistico nazionale, c’è capacità di comprensione dei temi molto tecnici che stanno a cuore agli apicoltori e c’è una grande volontà di risolvere le questioni fondamentali e assegnare le risorse finanziarie che Unione Europea, Stato e Regioni mettono a disposizione del comparto. Pare chiaro, dal convegno organiz-

zato dalla Federazione Apicoltori Italiani (FAI), il cui presidente Raffaele Cirone ha coordinato i lavori, che “il dramma ambientale di cui si parla sui media non sia lo specchio di una realtà italiana, così come pare chiaro che sono gli apicoltori coloro che hanno finora tenuto in vita un patrimonio di alveari di tutto rispetto, che per essere offerto in dote alle future generazioni ha bisogno di apicoltori più impegnati sul fronte ecosistemico che non su quello produttivo”. Saranno gli atti del convegno a far onore, anche in questa edizione del 2021, all’appuntamento di Lazise che si conferma luogo dove “le energie di tutti si concentrano affinché l’Alveare Italia sopravviva e prosegua la sua insostituibile opera a favore dell’agricoltura e dell’ambiente”, ha detto il presidente nazionale della FAI. È il volto dell’apicoltura che verrà, logica conseguenza del cambiamento climatico. Claudio Costantino

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AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

DUE PAROLE SUL MIELE… PENSANDO ALL’INVERNO

RIDURRE LE ENTRATE, SOPPESARE GLI ALVEARI di Alberto Guernier

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Foto Dario Porcelli

desso che “abbiamo appoggiato la coperta in fondo al letto”, consci del fatto che nonostante le belle giornate, nel nord del Paese, poco è bastato a far precipitare le temperature in special modo quelle notturne... ed allora la coperta sarà lì, solo da distendere sul letto: ecco, è questo che dovremmo aver fatto anche con le api. Nel caso in cui non ci avessimo già pensato, allora, rammentiamoci di inserire le portine metalliche all’ingresso dell’alveare: serviranno a

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non far entrare topolini all’interno con l’arrivo dei primi freddi: non è raro altrimenti trovare negli alveari veri e propri nidi con favi laterali distrutti! Se lo abbiamo provato e ci siamo trovati bene non aspettiamo oltre ed iniziamo a mettere anche il telo di polietilene tra coprifavo e favi, questo ci consentirà di controllare le api anche in pieno inverno senza arrecare loro disturbo: farà da guarnizione per il freddo ed all’occorrenza ci consentirà di introdurre al di sotto il candito, girando il

IL RACCOLTO È PREZIOSO, MA DEV’ESSERE ATTRAENTE


copri-favo, ma senza dispersioni di calore; allo stesso modo, qualora dovessimo ancora nutrire con sciroppo, utilizzando nutritori a tasca, il telo di polietilene, ci consentirà di intervenire senza fumo, basterà sollevare una piccola porzione di lembo, cosa che ci consentirà di operare più celermente. Nel fare queste ultime operazioni, alziamo sistematicamente ancora una volta un favo centrale e valutiamo lo stato della covata, se vediamo situazioni poco convincenti non esitiamo a visitare la colonia per bene onde accertarci delle sue reali condizioni (siamo ancora in tempo per effettuare riunioni). Soppesiamo le arnie con il classico metodo della mano dal didie-

tro, siamo ancora in tempo a porre rimedio se qualche alveare fosse ancora sottopeso; ponendo attenzione a non sommergere i favi di sciroppo, eccedere non serve a nulla e provoca disagio alle colonie; inoltre, anche se priva di fondamento scientifico, è di mia personale idea che non sia corretto indurre le api a mettere il nettare nelle cellette della covata; normalmente esse non lo fanno. Nel pulire i cassetti di fondo, se ancora non l’abbiamo fatto, poniamo all’interno di essi un feltrino, fermerà il freddo e gli spifferi, impedendo alle api di andare a rovistare nei detriti di fondo. Adesso le nostre bestiole potranno “dormire sonni tranquilli” dedi-

candosi ai preparativi per l’inverno senza andare incontro ad inutili situazioni di stress; così noi d’ora in avanti potremo dedicarci al lavoro in laboratorio. Valutare il miele presente nei maturatori e la sua propensione a cristallizzare; soprattutto andando con il pensiero a quando esso sarà venduto e per quanto tempo dovrà rimanere nel vasetto prima di essere acquistato. Quante volte ci sarà capitato di vedere in negozio o più spesso sugli scaffali della grande distribuzione, del miele cristallizzato e spesso cristallizzato male? Ci siamo dunque domandati, come fosse possibile mettere in commercio del miele così poco attraente?

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Il fatto è, che con ogni probabilità, quando quel prodotto è stato inviato al commercio, non versava ancora in quelle condizioni! Un bravo produttore di miele, deve quindi tenere conto anche di questo e prevenire per quanto possibile l’insorgere di queste situazioni; spesso d’ora in poi, il vasetto di miele, sarà la componente di confezioni e cesti natalizi, e non ci si può permettere un miele “brutto ma buono”; la sua bontà non sarebbe valorizzata da un cattivo aspetto! Il miele, inoltre, nelle sue “naturali” separazioni e retrazioni, può andare incontro a fermentazione, rendendo il prodotto non più commerciabile. Se si suppone che tutto ciò possa avvenire ad un nostro miele, possiamo passare per qualche ora i vasetti in camera calda a meno di quaranta gradi, in genere per queste operazioni si può rimanere sui trentotto gradi, per un tempo di ventiquattro ore. Questo metodo, consentirà al nostro prodotto di rimanere per ancora molto tempo nelle condizioni ottimali. Ovviamente queste operazioni vanno registrate, ed è bene, mantenere un campione di partita; servirà per avere dei parametri di conservazione in futuro od eventuali analisi di laboratorio. Se si usano pompe per trasferire il miele ed invasettatrici con pompe ad ingranaggi, oppure macchine a dischi per la deumidificazione del miele, bisogna a maggior ragione porre attenzione, sia alla formazione di cristalli, che di schiuma 14 | Apitalia | 10/2021

di “seconda generazione”, dovuta al rimescolamento, che favorisce l’inglobamento di aria e la possibile formazione successiva all’invasettamento, di antiestetici “collarini di schiuma”. Ovviamente il nostro miele non dovrebbe avere un’umidità tale da consentirgli di fermentare, ma i fattori in gioco possono essere più di uno, per esempio la quantità di lieviti presenti. Se nonostante i nostri sforzi, ci trovassimo con del miele con un valore di umidità “rischioso”, possiamo ancora optare per una deumidificazione forzata con un deumidificatore a dischi. Queste macchine oggi sono disponibili in diverse dimensioni, quindi anche prezzi, se l’eccessiva umidità fosse costante negli anni per alcuni

Foto Alberto Guernier

AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

tipi di miele, oppure se la deumidificazione in melario fosse per noi troppo dispendiosa in ordine di tempo e costi, possiamo prendere in considerazione l’acquisto di un simile macchinario, che spesso è dotato di ruote e si può alloggiare facilmente in ogni angolo. Ci sono poi aziende che svolgono questa procedura conto terzi, dando la possibilità di deumidificare il miele a chi non è provvisto di apposito macchinario. Questo periodo, grazie alla presenza diurna, di temperature ancora miti all’interno dei laboratori di smielatura, consente di poter lavorare senza riscaldare l’ambiente; approfittiamone dunque: Al lavoro! E che sia un ottimo lavoro. Alberto Guernier


AGENDA LAVORI. NORD

DOBBIAMO PRESERVARE LA FORZA DEGLI ALVEARI

APICOLTORI ALLE PRESE CON FATTORI CATASTROFICI di Maurizio Ghezzi

AUTUNNO EQUIVALE A DIRE BUON

Foto www.apicolturasala.com

INVERNAMENTO

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i stiamo lasciando alle spalle un’altra annata consapevoli, comunque, che ci porteremo appresso anche per il tempo a venire i soliti problemi: l’instabilità di un clima ormai sempre più condizionato dal cambiamento climatico che compromette il normale sviluppo della flora e delle fioriture stagionali; l’inquinamento da fitofarmaci (diserbanti, antiparassitari, etc.), che

danneggiano seriamente la salute delle nostre api; la riduzione della biodiversità dovuta al sempre più crescente numero di terreni sottratti alla propria vegetazione e destinati alle monocolture e alle colture intensive cosa, quest’ultima, responsabile fra l’altro, anche di un impoverimento dei pascoli. Di fronte a uno scenario così catastrofico come può comportarsi l’apicoltore? Penso che la cosa più

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importante che ci rimanga da fare, per fronteggiare codesta situazione, sia indubbiamente quella di preservare, nel migliore dei modi, il nostro capitale: le api, la nostra vera forza lavoro! Perciò direi che giunti a questo punto, per raggiungere tale scopo, come prima cosa bisognerebbe proprio cominciare a pensare d’invernare nel modo migliore le nostre instancabili operose operaie. L’autunno è il periodo propizio nel quale sia le api che il loro custode devono provvedere in maniera attiva a creare le condizioni migliori per garantire e garantirsi un ottimo invernamento. In questo momento della stagione le temperature iniziano progressivamente e gradualmente a diminuire, mentre la vegetazione beneficia delle ultime belle e tiepide giornate anche se le ore di luce si riducono sensibilmente. Le api riescono ancora a rafforzare le loro scorte bottinando sulle ultime fioriture quali edera, trifoglio, calluna, erica e poco altro ancora. L’apicoltore attento dovrà comunque monitorare lo stato di provviste accumulate dalle proprie colonie e, nel caso in cui dovesse ritenerlo insufficiente, deve provvedere a somministrare loro un’alimentazione di sostegno elargendo sciroppo ad alta concentrazione zuccherina (un litro d’acqua per due chili di zucchero). Per un buon invernamento è necessario che vi sia una quantità di provviste di almeno 20/25 kg. Portare a svernare una famiglia forte è una condizione favorevole perché in essa il glomere sarà comunque in grado di spostarsi da 16 | Apitalia | 10/2021

un lato all’altro dell’alveare per raggiungere le riserve di cibo. Non di rado capita, infatti, di trovare alla primavera famiglie morte per fame con ancora la presenza di tanto miele all’interno del nido. In linea generale penso che sia sempre meglio portare a far passare l’inverno una famiglia forte piuttosto che due deboli, una colonia forte, infatti, consuma meno miele rispetto a due deboli. Se nelle nostre visite in apiario dovessimo notare alcune famiglie non in grado di “convincerci” saremo autorizzati a una rapida e veloce ispezione da effettuarsi sicuramente in una giornata soleggiata con clima ancora dolce. In questo caso controlleremo lo stato sanitario della colonia, ispezionando quadro per quadro, per osservare la qualità della covata, ricercare la regina, valutare la presenza di riserve sia di polline sia di miele. Se durante l’ispezione do-

Foto www.facebook.com iduemagi

AGENDA LAVO RI. NORD

vessimo trovare favi privi di scorte e non presidiati potremo rimuoverli riducendo, così, il volume dell’alveare grazie all’introduzione di un diaframma; questa pratica consentirà alle api di risparmiare energia, quindi di aver esigenza di un minor consumo di cibo per riscaldare il nido. L’apicoltura, infatti, è un esercizio di costante “modulazione” del volume dell’alveare perché questo si adatti a quello della colonia in esso ospitata, per far sì che le api si trovino sempre in uno spazio contenuto e al caldo. E’ importante che i favi siano più pieni possibile, con un’abbondante superficie di miele, così da permettere al glomere di rimanere nello stesso spazio se il clima è freddo e l’inverno è duro. È giunto anche il momento, se ancora non l’avessimo fatto, di ridurre la porticina d’ingresso con l’apposita rastrelliera metallica per impedire l’intrusione nel nido da


parte di lucertole e/o topolini di campagna in cerca di un tiepido rifugio in cui trascorrere l’inverno e al contempo per ridurre i flussi di aria fredda all’interno del nido. Proteggiamo l’alveare dalle dispersioni di calore che avvengono in modo particolare nella sua parte più alta, mettendo all’interno del coprifavo del tessuto non tessuto o dei panni di pile o altro materiale con potere coibentante. Qualcuno a questo scopo utilizza anche composti coibentanti con fogli di alluminio così da riflettere, verso l’alveare, i raggi di calore infrarossi prodotti dalla contrazione muscolare delle api in glomere. Dobbiamo pensare però che il vero nemico delle nostre api non

è tanto il freddo quanto piuttosto l’umidità per cui sinceriamoci che intorno ai nostri alveari non vi siano sterpaglie in grado di alterare la circolazione dell’aria provocando le condizioni per un ristagno e la formazione di umidità. Un altro nemico da cui difendere le nostre api è il vento, particolarmente il vento freddo che scende dal nord, per cui se non avessimo provveduto per tempo alla protezione delle nostre casette predisponendo delle siepi perimetrali pensiamo di farlo ora posizionando delle utili barriere frangivento a loro protezione. Nei territori a clima meno temperato, se si dovesse osservare assenza di covata all’interno dell’alveare, è bene pensare ad effettuare i

trattamenti, di fine autunno, per il contrasto alla varroa. Purtroppo la situazione attuale ci spinge a pensare con diffidenza e con sospetto al futuro che verrà, ma se la buona pratica apistica ci avrà permesso di preservare al meglio la nostra vera “forza lavoro” allora potremo pensare alla ripresa stagionale con un pizzico di ottimismo in più e le forti famiglie che saremo riusciti a portare a primavera sicuramente, ancora per una volta, ci permetteranno di partire in pole position e di sperare che la nuova stagione apistica sia finalmente e veramente quella buona e piena di successo! Maurizio Ghezzi

039.2873401 10/2021 | Apitalia | 17



AGENDA LAVORI. NORD-EST

UN’ALTRA ANNATA CON ANOMALIE DRAMMATICHE

REGINE NON FECONDATE, PRODUZIONE DIMEZZATA di Giacomo Perretta

ELIMINARE LE API FIGLIATRICI PROTEGGERE I

sciami inconsueti fino a tutto settembre. Proseguendo, poi, con l’alimentazione: in momenti nei quali si pensava che qualche fioritura potesse arrivare in soccorso, ecco che il caldo, certamente di più la siccità, bloccava ogni speranza di nettare. L’estate è stata tutto un rincorrere alla programmazione per l’alimentazione delle famiglie. Veniamo, infine, al miele e a tutte le produzioni dell’alveare che

Foto tpodereilcasale.com

FAVI DALLA TARMA

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gni anno lo stesso ritornello su quella che definiamo “annata drammatica”, ma quest’anno è stato superato ogni pessimismo, dalle regine all’alimentazione, dal raccolto alle famiglie. Andiamo con ordine, partiamo dalle regine: non conosco le altre zone d’Italia, ma nel nostro nordest sono state trovate due regine in molti alveari, altrettante regine poco feconde o mal fecondate,

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sono state dimezzate; i mieli specifici, tra quelli più richiesti come l’acacia, quest’anno difficilmente si potranno trovare sulle bancarelle o nei supermercati se parliamo di prodotto italiano. Questo incipit racchiude in poche righe la sintesi di un’annata disastrosa. Visto quello che è successo vediamo cosa dobbiamo fare. Cominciamo ad affermare che le famiglie hanno una scarsa quantità di scorte e quindi dovranno essere nutrite: l’alimentazione è un elemento importante se effettuata in questo periodo le api passeranno l’inverno sicuramente meglio, visto che devono avere una massa grassa sufficiente a garantire un’adeguata protezione immunitaria. Purtroppo la scarsa produzione di nettare quest’anno ci obbliga ad alimentare. Il mese scorso abbiamo parlato di alimentazione, in questo periodo è importante parlare di varroa, la madre di tutti i mali. Per questo problema universale e di difficile soluzione, l’unico modo 20 | Apitalia | 10/2021

per combattere l’acaro è l’utilizzo di prodotti appositamente autorizzati. Restano da farsi il continuo monitoraggio e gli opportuni interventi nell’attesa che ci possa trovare in futuro una soluzione definitiva, sebbene ci sia poco da sperare. Però non può essere solo la varroa a doverci preoccupare, sebbene sia ormai la condizione più devastante per la famiglia, in questo periodo è necessario verificare anche lo stato di salute generale, dal tipo di covata presente nel favo più o meno vecchio o rovinato. Se la covata è presente in modo compatto anche se di piccole dimensioni è sintomo di un buon andamento, se viceversa la troviamo distanziata in modo disordinato o peggio se troviamo le celle da api non quelle da fuco, con l’opercolo che ha quel caratteristico cupolino delle celle appunto da fuchi, si parlerà di celle gibbose; in queste celle di api nasceranno fuchi delle dimensioni delle api, questo ci deve preoccupare e ci richiama alla presenza di regina fucaiola o api figliatrici. Ma come si distin-

Foto XiSerge

AGENDA LAVORI. NORD-EST

guono queste due covate? Dalla forma della covata. Per riconoscere la covata gibbosa della regina fucaiola, oppure dalle api figliatrici, è necessaria l’osservazione della tipologia della deposizione: quella della regina, generalmente, è fatta di uova feconde e non feconde deposte nelle celle femminili in modo alternato ma vicine, a volte anche solo covata non feconda, però sempre in celle adiacenti. Le api figliatrici invece, depongono solo uova non feconde e in modo disordinato, le api figliatrici sono sempre più di una quindi difficilmente si comportano come la regina. In entrambi i casi il mantenimento della famiglia non risulta vantaggioso e l’unica possibilità resta quella del recupero di api bottinatrici: vediamo come farlo. L’alveare si sposta a una trentina di metri e si svuota tutta la “casetta”; se c’è la regina si elimina, poi si scrollano tutte le api a terra e si riporta la casetta nel posto dove si trova-


va: in questo modo tutte le bottinatrici ritorneranno a casa mentre api figliatrici resteranno a terra e si disperderanno. Un solo suggerimento: pulire bene l’arnia, oppure meglio, sostituirla e pulirla poi con più calma, sostituire ovviamente i telaini vecchi, qualora la quantità di api sia minimale come spesso succede, è possibile, se vi sono altri alveari affiancati come ad esempio in un apiario, potete non rimettere l’arnia, le bottinatrici dopo un poco di disorientamento entreranno in altri alveari. Il secondo intervento necessario è il controllo dei favi e il restringimento. I favi vecchi vanno sostituiti senza alcun indugio, qualora ci fosse del

miele, dopo aver stretto la covata con il diaframma si inseriscono i telaini nel lato libero dell’alveare, in questo modo le api pian piano porteranno le eventuali scorte nella parte del nido vicino alla covata e vi accorgerete dopo qualche giorno che il telaino è vuoto. Il telaino con il favo vecchio dovrebbe essere eliminato, ma se il telaino è ancora in buono stato si può conservare e questo procedimento è un altro fattore importante per una buona conduzione e per evitare di far banchettare le tarme. In Svizzera (ho abitato sul confine italiano del Canton Ticino) i nostri colleghi fanno ricorso ad acido acetico alternato ad acido formico (100 ml per 100 litri di volume per

circa 4-6 melari a condizione che non abbiano contenuto polline o covata). Questi prodotti però richiedono sempre particolari cautele nella manipolazione. Un metodo più sicuro consiste nel portate i telaini ad una temperatura di -18 °C per almeno due giorni, oppure tenerli in un frigorifero a non più di 12 °C, alcuni apicoltori professionisti hanno stanze specifiche o frigoriferi recuperati da camion frigo. Ci sono, infine, innumerevoli prodotti commerciali che possono essere usati per evitare che la tarma faccia danni importanti: vi consiglio quindi attenzione e provvedere in tempo qualora fosse necessario. Giacomo Perretta

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AGENDA LAVORI. CENTRO

EFFICIENTARE L’APIARIO

IL TARDO AUTUNNO È IL TEMPO DELL’INVERNAMENTO di Matteo Giusti

I

Foto www.apicoltoridelpiceno.it

l pieno autunno in apiario è il momento delle ultime operazioni di invernamento. Sebbene l’invernamento inizi di fatto con la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, alcune operazioni posso essere fatte anche a stagione più avanzata, soprattutto se prima la stagione era stata buona e le api continuavano ad avere una vivace attività di volo e di raccolta. I lavori necessari in questo periodo riguardano soprattutto la gestione dell’arnia e il restringimento della famiglia in base alla sua forza,

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cioè alla sua popolosità. Un volume adatto alla forza della famiglia, infatti, permette all’alveare una maggiore efficienza nella termoregolazione e nell’igroregolazione (il controllo dell’umidità interna), migliorando le condizioni e il successo dello svernamento. Quindi la prima cosa da fare è valutare la forza dell’alveare, che di solito si misura in numero di telaini coperti dalle api. Se le api ricoprono tutti o pressoché tutti i telaini dell’arnia (indipendentemente dalla grandezza dell’arnia, da 10 da 12 o da 7

CONTROLLO DELL’UMIDITÀ ANCHE A CASA DELLE API


o 8 telaini) il restringimento della famiglia non sarà necessario. Se invece le api non coprono tutti i telaini è bene procedere al restringimento utilizzando dei diaframmi. Come diaframmi possono esser utilizzati anche i nutritori a tasca, che poi potranno tornare utili a primavera, l’importante è che siano ben puliti e non ci siano api morte o tracce di muffa e altra sporcizia. Per misurare correttamente la forza è importante considerare le api come il più riunite possibile, dal momento che in glomere staranno una addosso all’altra. Quindi se il controllo viene fatto in una giornata soleggiata e mite, dove le api sono sparse per tutto l’alveare, è importante stimarle non tanto sui

telaini su cui sono, ma su quelli che ricoprirebbero se fossero in glomere. Se risultano telaini non coperti dalle api, si ridurrà lo spazio con un diaframma ai soli telai occupati o occupabili dal glomere. Se nei telaini senza api sono però presenti delle scorte, è sempre bene lasciarne almeno uno a contatto con le api. Gli altri possono essere messi di là del diaframma e spostati accanto alle api in caso di bisogno durante le visite invernali. Anche i telaini vuoti e senza scorte, se non sono da cambiare perché troppo vecchi, possono essere lasciati al di là del diaframma, evitando di portarli in magazzino e poi potranno essere riutilizzati a primavera. Durante l’inverno infatti non ci saranno

problemi di attacco da parte delle tarme della cera dal momento che le temperature sono troppo basse. E’ invece importante evitare gli attacchi di altri animali, primi tra tutti i topi, che possono introdursi nell’arnia e creare danni soprattutto ai telaini non presidiati dalle api. Per questo è sufficiente mettere le griglie di ingresso di metallo davanti alla porticina di volo. Quando si restringe la famiglia, poi, è necessario tener conto della accessibilità delle api al candito che eventualmente dovremmo dare per la nutrizione di soccorso. Il candito infatti deve essere in diretto contatto con il glomere. Per questo se la famiglia è troppo piccola e confinata su 4-5 telaini

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è opportuno metterla in un’arnia piccola o in un portasciami, in modo che il foro di alimentazione sia sopra i telaini del glomere. In alternativa può essere sistemata al centro dell’arnia utilizzando due diaframmi, uno a destra e uno a sinistra e mantenendo il glomere sotto il foro di alimentazione. Per l’alimentazione nei portasciami, se non ci sono coprifavi adatti ad alloggiare il candito, sarà necessario provvedere con delle cornici in legno di 6-8 cm di altezza da posizionare tra il bordo del portasciami e il coprifavo, in modo da lasciare uno spazio adeguato sopra i telaini per poter mettere comodamente i panetti di candito. Se si useranno delle bilance per monitorare i consumi invernali delle famiglie è ora il momento di fare anche il controllo delle scorte e del peso degli alveari, in modo da avere il polso della situazione e poter valutare quanto velocemente le api stiano consumando il miele o il candito a disposizione durante il corso dell’inverno. Oltre queste cose, è sempre bene tenere d’occhio la situazione sanitaria, in particolare la presenza di api con sintomi di virosi o la presenza di acari di varroa. Se si riscontrano questi sintomi sarà necessario tenersi pronti per realizzare il prima possibile il trattamento invernale, eventualmente realizzando un blocco artificiale di covata e confinando la regina. Il trattamento infatti può essere fatto anche a novembre, l’importante è che sia distribuito con la massima efficacia quindi usando correttamente i sublimatori e operando in condizioni 24 | Apitalia | 10/2021

di blocco di covata se si usa un presidio veterinario autorizzato, a base di acido ossalico sublimato. Un’altra cosa importante, se non la si è già fatta prima o non si fa apicoltura stanziale, è quella di portare le api nella postazione che useremo per lo svernamento. Questa postazione dovrà avere delle caratteristiche le più possibili vicine a quelle ideali per un buon svernamento e cioè deve (o almeno dovrebbe) essere ben soleggiata, riparata dai venti freddi, essere il meno possibile umida o soggetta ristagni di umidità e nebbie, ed essere facilmente accessibile con l’auto o i mezzi di trasporto usa-

Foto www.facebook.com/apicolturaticinese

AGENDA LAVORI. CENTRO

ti. L’accessibilità è fondamentale per garantire tempestivamente le visite invernali per i trattamenti o le nutrizioni di soccorso in qualsiasi condizione del terreno. Non si deve rischiare di non poter andare comodamente dalle api, trasportando tutta l’attrezzatura necessaria, perché il terreno o la strada di accesso sono allagate, o fangose o comunque impraticabili. A questo scopo anche la sistemazione del campo è importante, tagliando l’erba, rimuovendo rami o vegetazione in eccesso, e ripianando buche o dossi sul terreno. Matteo Giusti



AGENDA LAVORI. ISOLE

FAME E VARROA: NEMICI DI QUESTO TEMPO

PIOVE SEMPRE MENO, PIOVE SEMPRE PEGGIO di Vincenzo Stampa

A

limentazione e sanità sono due problematiche di stagione. Come già abbiamo avuto modo di riferire il territorio della regione Sicilia, dal punto di vista climatico, si può suddividere in zona costiera nord (tirrenica), zona centro orientale (ionica), zona sud occidentale (mediterranea); delle tre quella sud occidentale è storicamente la più siccitosa. La modifica del clima però tende a livellare verso il basso la piovosità

nelle tre zone, per cui negli ultimi anni la scarsità delle piogge e l’alterazione delle stagioni agrarie sta creando, in particolare all’apicoltura, problemi confrontabili ovunque. La forzosa pausa estiva, che ancora a fine settembre sembrava non volere terminare, ci ha costretti alla ricostituzione delle scorte, necessarie alla sopravvivenza degli alveari e indispensabili per l’avvio delle covate, nel momento in cui si renderà disponibile l’apporto di polline

SBAGLIATO FORNIRE SCIROPPI DI SACCAROSIO

Foto 1 - Ape sicula che bottina su infiorescenza di Inula viscosa.

Foto Vincenzo Stampa

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Modulo d’ordine Sigilli

dalle piante a fioritura autunnale. Un alimentatore a tasca da nido pieno di sciroppo specifico per le api - glucosio+fruttosio - fornito tal quale ci mette al riparo da brutte sorprese; uno sciame su cinque favi trasferisce in 24/48 ore il quantitativo di un alimentatore disponendolo nella posizione più conveniente all’interno della camera di covata. Fornire dello sciroppo diluito o peggio uno sciroppo preparato con saccarosio, anche se parzialmente invertito in modo artigianale, rappresenta un grave errore: così facendo, infatti, non si offre un aiuto alle api, si procura bensì un lavoro per eliminare l’acqua in eccesso ed anche, nel secondo caso, per invertire il saccarosio residuo; se poi consideriamo il costo del saccarosio, dell’energia e il lavoro aggiuntivi che procura, non c’è da vederci nessuna convenienza. Dal punto di vista sanitario il pericolo è imminente. Il prolungato mancato raccolto ha ridotto il volume di covata mentre la varroa, dal suo canto, ha continuato a crescere: nel momento in cui il rapporto “celle di covata/varroa” dovesse essere di 1/1 l’alveare sarebbe perduto (Fig. 1). Se l’alveare è ancora popoloso e la covata è ridotta, un intervento tampone per l’abbattimento della varroa circolante con un prodotto veterinario autorizzato, con acido ossalico come principio attivo, può essere la salvezza dei nostri alveari. Naturalmente da questo pericolo sono esenti, da almeno 18 anni, tutti gli alveari condotti con il metodo dello SpazioMussi®; in questi alveari

NOME ................................................................................................ ................................................................................................ INIDIRIZZO ................................................................................................ CAP ................................................................................................ LOCALITÀ ................................................................................................ PROVINCIA ................................................................................................ TELEFONO 1 ................................................................................................ TELEFONO 2 ................................................................................................ CODICE FISCALE ................................................................................................ PARTITA IVA ................................................................................................ N° ALVEARI ................................................................................................

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Autorizzo l’utilizzo dei miei dati personali ai sensi dell’art. 10 della legge n. 197/03 (Tutela della Privacy) e acconsento al loro trattamento per il perseguimento degli scopi statutari della FAI-Federazione Apicoltori Italiani. SI NO

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AGENDA LAVORI. ISOLE le api sono in grado di controllare in modo autonomo la popolazione della varroa, mantenendola ad un livello non dannoso. Provare per credere! La nostra Associazione territoriale (FAI-Sicilia, ndR) negli anni ha fornito a chiunque lo richiedeva, le istruzioni tecniche e i distanziatori idonei ad operare il passaggio dei favi distanziati da “Spazio Dadant” a SpazioMussi®. Superate le emergenze fame e varroa, cominciamo a pensare alla popolazione necessaria per affrontare l’inverno che prima o poi verrà; come obiettivo dobbiamo avere, tra novembre e dicembre, una popolazione di api adulte su quattro o cinque favi, perdurando la mancanza di fioriture non si può fare a meno di intervenire con un candito proteico, come nutrizione stimolante la deposizione, non necessariamente subito però sempre tenendo presente che per avere una popolazione sufficiente alla data stabilita occorre iniziare ad alimentare con 45 giorni di anticipo e per non meno di 30 giorni continui. Sicuramente la natura potrebbe fare meglio di noi, infatti potremmo avere, se soltanto piovesse nel momento e nel modo dovuto, diverse opportunità di pascolo con polline di qualità dalle fioriture di inula viscosa (Foto 1), edera, erica multiflora, corbezzolo, carrubo (*) (Foto 2 e 3), nespolo, ciascuna per la sua zona climatica senza dimenticare le erbacee. Conoscere il territorio è uno degli strumenti principali di cui può disporre l’apicoltore. Vincenzo Stampa 28 | Apitalia | 10/2021

Fig. 1 - La curva in rosso indica l’andamento della covata e la linea nera quello della varroa. Il cerchio arancione intercetta il pareggiamento tra il numero di celle di covata e il numero di varroe.

Foto 2 - Infiorescenza femminile di carrubo.

Foto 3 - L’infiorescenza maschile di carrubo. * Nel carrubo la pianta femminile fornisce il nettare e la pianta maschile fornisce il polline.


SPECIALE BIOTECNICA - 3

Tutti gli Apicoltori si sentono un po’ anche inventori e sono comunque portati a introdurre, nei propri alveari e nei loro laboratori, accorgimenti pratici che rappresentano spesso vere e proprie invenzioni o geniali semplificazioni. Sono pochi però coloro che, con il proprio pensiero e con il proprio operato, hanno generato un processo di innovazione tale da modificare la modalità di conduzione dell’alveare. Michele Campero è uno di quei pochi che è riuscito a trasferire la sua logica dell’apicoltura in tantissime direzioni: basti dire che il suo metodo - improntato all’uso del cosiddetto “telaino trappola” è praticato ovunque nel mondo dove, alle più diverse latitudini, è stato preso ad esempio di una biotecnica efficace nella lotta alla varroa e, più recentemente, anche come pratica biorispettosa del benessere delle api e quindi di una forma di allevamento ad elevata valenza etica. La trilogia che qui completiamo, riproducendo l’intera opera “Apicoltura Logica e Razionale”, vuole essere un tributo all’ideatore, spesso neanche ricordato dai suoi contemporanei, che ha dedicato una vita a migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle api e quindi anche di chi le alleva senza la pretesa di sfruttarle ad ogni costo. Michele Campero, da vero innovatore e divulgatore quale è stato, ci lascia questa preziosa eredità frutto di una vita trascorsa in apiario. Noi, che abbiamo avuto la fortuna di poterlo annoverare tra i più assidui collaboratori di Apitalia non potevamo che dare vita nuova ad un insegnamento utile a generazioni di nuovi apicoltori: quelli che oggi, in questo modo di fare apicoltura, ancora ci si riconoscono distinguendosi da quanti pensano che l’ape sia un “animale a perdere”.


SPECIALE BIOTECNICA - 3 TELAIO INDICATORE E LOTTA BIOMECCANICA ALLA VARROA Nella Con una semplice modifica, il normale telaio indicatore (T.I.) diventa un valido strumento di lotta contro il terribile acaro. L’efficacia di questo telaio consiste nel dare all’apicoltore la possibilità di abbattere una cospicua quantità di Varroa tramite l’asportazione della covata maschile. Moltissimi ricercatori nel campo della patologia apistica confermano che Varroa destructor. si sviluppa preferibilmente nelle rose di covata maschile ed inoltre aggiungono che, per tutto il periodo in cui c’è covata maschile ricettiva nell’alveare, le Varroe risparmiano quasi totalmente quella femminile. L’asportazione della covata maschile, con l’intento di abbattere le Varroe ivi intrappolate, non è cosa nuova: molti apicoltori l’hanno provata, ma con scarso successo. Ed è più che logico, perché il sistema da loro usato è completamente irrazionale: salassa esageratamente le colonie d’api e non tiene affatto conto dell’estrema importanza di avere continuamente nell’alveare covata maschile nello stadio ricettivo, cioè in quello stadio prossimo all’opercolatura, cercato dalla Varroa. Il loro sistema consiste nell’introdurre nell’alveare un telaio semivuoto: solo con una striscia di foglio cereo fissata sotto il portafavo. Le api costruiscono nel vuoto del telaio un favo naturale, tutto da fuchi, e la regina lo riempie ben presto di covata. Dopo 3 settimane circa il favo è totalmente o quasi opercolato e l’apicoltore lo estrae e lo distrugge; al suo posto ne introduce un altro, nuovamente semivuoto. Tra il momento in cui il primo favo-trappola viene tolto e quello in cui la nuova covata maschile sul secondo diventa ricettiva, trascorrono, come minimo, 8-10 giorni: in questo lasso di tempo le Varroe feconde non hanno più, o quasi, altra covata maschile a disposizione, per cui ripiegano su quella femminile, o su quell’altra maschile, incontrollabile, sparsa qua e la sugli altri favi, facendo così crescere l’infestazione nell’alveare. Al momento attuale, quasi tutti gli apicolto30 | Apitalia | 10/2021

Foto 1 - Larve di 5a età ormai prossime all’opercolamento che risultano attrattive nei rigu98’’’q12ardi di Varroa destructor.

ri, tramite corsi di apicoltura o letture specifiche, sono a conoscenza del ciclo di sviluppo di Varroa, per cui è superfluo rispiegarlo quasi interamente. Ritengo comunque utile ricordare, poiché in questo tipo di lotta è di estrema importanza, che le Varroa atte alla deposizione entrano nelle cellette della covata quando queste ultime sono prossime all’opercolatura: nella covata femminile tra il 7° ed il 9° giorno ed in quella maschile tra l’8° ed il 10° giorno del ciclo di sviluppo dell’ape (Foto 1). Perciò il settore fuchi, per essere continuamente attivo nei riguardi di Varroa, deve offrire ininterrottamente covata nell’8°-10° giorno di sviluppo. Col sistema di conduzione dell’alveare col “telaio indicatore semplice”, di cui fin qui si è parlato, non si ha alcuna possibilità di attuare una lotta biomeccanica contro Varroa, poiché lo stadio della covata maschile voluto dall’acaro e la sua continuità non si ottengono mai, per il semplice fatto che il settore fuchi viene ritagliato totalmente ogni 7 giorni e non permette alle larve di raggiungere l’età ricettiva. Perciò esso rimane sì un ottimo e sensibile strumento, ma solo per quel che riguarda la conduzione degli alveari; nella lotta biomeccanica esso non ha alcuna proprietà di intrappolare Varroa. Si è reso dunque necessario, all’inizio delle mie ricerche nel settore della lotta biomeccanica, apportare una modifica al T.I., affinché diventasse anche trappola, oltre che rimanere indicatore.


Tre anni di sperimentazione sono stati necessari per mettere a punto una meccanica che convalidasse le pluri-funzioni del “telaio indicatore trappola” (T.I.T.); funzioni che sono quelle di: • dare l’indicazione necessaria per poter collaborare con l’alveare; • dare la possibilità all’apicoltore di asportare periodicamente una porzione di favo maschile parassitata; • offrire in continuazione alla Varroa rose di covata maschile nello stadio recettivo; • rendere elastica la frequenza delle visite, tanto da poter seguire assiduamente lo sviluppo della colonia nei diversi periodi della stagione apistica; • rendere facili le operazioni da eseguire e poco salassanti nei riguardi dell’alveare. Il primo tentativo per ottenere un adattamento del T.I. alle nuove esigenze fu quello di introdurre contemporaneamente due T.I. nel medesimo alveare, attendere 9 giorni e quindi iniziare a ritagliare, alternativamente ogni 9 giorni, la covata maschile di un T.I. e leggere l’indicazione dell’altro. Questo metodo, in effetti, dava un esito abbastanza positivo, poiché quando su di un T.I. la covata maschile era tutta o quasi percolata e la si poteva asportare, sull’altro T.I. era già presente la covata recettiva. In pratica, ritagliavo ogni volta il favo che compiva il 18° giorno. C’era però il fatto che occorreva operare con due T.I. ed era un po’ complesso.

Per semplificare il lavoro provai ad usare un solo T.I., raddoppiai però l’ampiezza della parte vuota nel telaio; lasciai solamente nella superiore una striscia di favo o di foglio cereo, alto cm. 6,5 (Foto 2). Introduzione del T.I.T. nell’alveare ritagliai la metà del favo spontaneo che presentava la covata più giovane, ciò al fine di ottenere precocemente, nell’altra metà del favo, una covata recettiva. In seguito ritagliai la covata opercolata, e logicamente lessi le indicazioni sull’altra metà. Per rendere più distinte le due metà del T.I.T., applicai una traversa verticale al centro del telaio (Foto 3). Si era nel periodo che va da fine marzo ad inizio maggio e tutto sembrava funzionare per il meglio, ad eccezione delle visite che sembravano troppo distanziate. Giuse poi la stagione di sciamatura, che nella mia zona inizia col mese di maggio e termina nella prima metà di giugno; in questo periodo, le colonie raggiungono lo sviluppo massimo e necessitano visite ravvicinate, al fine di evitare congestionamenti e “febbri sciamatorie”. Il T.I.T. richiedeva però il taglio solamente ogni 9 giorni (se accorciavo i tempi rischiavo di non ottenere abbastanza covata recettiva), per cui dovevo effettuare sempre una visita intermedia, non per ritagliare il favo trappola, ma per leggere l’indicatore e comportarmi di conseguenza, in pratica gli alveari dovevano subire troppe visite, una ogni 4 giorni e mezzo.

Foto 2 - Telaio indicatore trappola con una sola grande finestra in Foto 3 - Telaio indicatore trappola a 2 settori divisi mediante un listello verticale. cui le api hanno già costruito un favo a cellette maschili.

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SPECIALE BIOTECNICA - 3 Mi accorsi, allora, che questo sistema non era sufficientemente funzionale: era troppo rigido. Occorreva trovare un qualcosa di più elastico, adattabile sia all’indicatore che alla trappola, e che nello stesso tempo permettesse di abbreviare o di allungare il periodo tra una visita e l’altra, secondo le esigenze del momento. Dopo lunghe riflessioni e parecchi tentativi approdai al T.I.T. dalle 3 finestre, ossia ad un telaio diviso verticalmente in 3 settori (Foto 4). Ogni settore, o finestra, corrisponde ad un terzo della luce del telaio ed è uguale, in quanto grandezza, alla finestra del T.I. semplice. Non è più necessaria la striscia di favi o di foglio cereo nella parte superiore, perciò il telaio è meno difficile da preparare. La divisione dei settori si può ottenere tramite l’applicazione di 2 listelli di legno, spessi 10 mm circa, oppure, di 2 lamine di alluminio; queste occupano meno spazio e sono di più facile applicazione. Quest’ultima versione del T.I.T. mi ha finalmente permesso di ottenere la massima funzionalità del metodo di cui mi ero messo alla ricerca. Il T.I.T. a 3 settori, oltre che essere un ottimo indicatore ed una semplice ed efficace trappola, offre anche una mirabile elasticità di adattamento ai diversi periodi della stazione apistica ed alle differenti altitudini e latitudini. La sua elasticità dipende dal fatto che i 24 giorni del ciclo di sviluppo della covata da fuchi possono essere divisi in 3 periodi, con o senza margine di sicurezza. In altre parole, si può variare l’intervallo di tempo che intercorre tra una visita e l’altra, servendosi di 4 frequenze diverse: ogni 8 giorni, ogni 7 giorni, ogni 6 e ogni 5 giorni, senza per

Foto 4 - Telaino indicatore trappola a 3 settori separati mediante 2 listelli verticali.

questo diminuire l’efficacia delle 5 funzioni del T.I.T.: indicazione, ricezione, intrappolamento, adattabilità e facilità. Visitando, per esempio, ad intervalli di 8 giorni si riscontra, ogni volta, la medesima situazione cioè: un settore col favo di 8 giorni che funge da indicatore; un settore col favo di 16 giorni che serve da recettore; un settore col favo di 24 giorni che funge da trappola. Si ha il medesimo risultato anche quando si visita ogni 7 giorni, ogni 6 e ogni 5 giorni (Tabella 5). L’intervallo di 5 giorni rappresenta la frequenza massima contenuta nella funzionalità; se si scende a 4 giorni si rischia di non avere più la continuità della covata maschile nello stadio recettivo. Le visite ogni 8 giorni non presentano, in teoria, alcun margine di sicurezza, poiché dopo 24 giorni i fuchi sfarfallano; in realtà, invece, si verifica spessissime volte un margine di uno o più giorni; ciò è determinato dal momento della deposizione da parte della regina in quel setto-

Tabella 5 - Età dei settori e margini di sicurezza in rapporto alle frequenze di visita utilizzabili con l’impegno del telaio indicatore trappola a tre settori. INTERVALLI VISITA | GG

ETÀ INDICATORE | GG

ETÀ RECETTORE | GG

ETÀ TRAPPOLA | GG

MARGINE SICUREZZA | GG

8

8

16

24

0

7

7

14

21

3

6

6

12

18

6

5

5

10

15

9

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SPECIALE BIOTECNICA - 3 re: più la deposizione ritarda, più il margine di sicurezza si allunga. Anche negli altri casi, con visite ogni 7, 6 e 5 giorni, può variare il margine di sicurezza, sempre in seguito al ritardo della deposizione nel T.I.T. Più si intensifica la frequenza delle visite però, più la probabilità del ritardo diminuisce, ed è naturale, perché quando si ritiene utile riavvicinare le visite, vuol dire che lo sviluppo della colonia è esplosivo e difficilmente si verifica il ritardo della deposizione nel T.I.T. Comunque, se durante la visita prestabilita, si notasse che la covata del settore recettivo non ha ancora raggiunto lo stadio desiderato da Varroa, è bene rinviare l’operazione di ritaglio del favo trappola, poiché quest’ultimo, oltre alla covata opercolata, dispone ancora di larve recettive, capaci di continuare l’intrappolamento. Dopo il ritaglio del favo trappola ogni settore passa alla funzione successiva: l’indicatore diventa recettore, il recettore diventa trappola e la trappola diventa indicatore. Questo scambio di funzioni continua fin tanto che la colonia alleva fuchi. QUANDO INTRODURRE IL T.I.T. NELL’ALVEARE Il T.I.T., dovendo essere completamente costru-

ito a celle da fuchi dalle api ed avendo come fine l’intrappolamento della Varroa e l’indicazione dello stato in cui si trova l’alveare, deve essere inserito, anche se solo con cera vecchia, non appena l’ambiente esterno stimola la famiglia ad allevare fuchi e a costruire favi; in tal modo si ottiene, nel T.I.T., la concentrazione della covata maschile fin dall’inizio. Riferendoci al nord Italia e ad altitudini inferiori a 500 m s.l.m., può andare bene, per l’inserimento del T.I.T., la seconda metà di marzo, sempre che l’andamento stagionale sia favorevole. La posizione appropriata del T.I.T. nell’alveare è al centro della covata: tale e quale a quella del telaio indicatore semplice. LA PRIMA VISITA ED IL PRIMO RITAGLIO All’inizio della stagione apistica lo sviluppo della colonia va a rilento, le api costruiscono nel T.I.T. molto lentamente e le uova appaiono solo dopo alcuni giorni, per cui la prima visita si può benissimo effettuare dopo 10-12 giorni dall’inserimento del T.I.T. Questa visita non si fa con la ferma intenzione di voler ritagliare il favo di uno dei 3 settori, bensì per verificare se lo stadio della covata è già ricettivo, ossia nell’8°-10° giorno. Se esso non lo è ancora, si fa un calcolo approssimativo per sapere di quanti

Foto 5 - Impiego del T.I.T.3 nella lotta a Varroa destructor. A sinistra. Situazione al 10° giorno dell’introduzione del T.I.T.3 nell’alveare: le api hanno costruito contemporaneamente i 3 favetti; se la covata è recettiva, viene ritagliato il favetto più piccolo. A destra. Situazione al 18° giorno: le api hanno costruito il favetto di sinistra, che ora funge da indicatore; gli altri due sono ancora in parte recettivi e in parte trappola.

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Foto 6 - Impiego del T.I.T.3 nella lotta a Varroa destructor. A sinistra. Situazione al 18° giorno: è stato effettuato il secondo ritaglio, asportando il settore che ha maggior covata opercolata. A destra. Situazione al 26° giorno: i tre favetti sono ora costruiti scalarmente; il favetto cebtrale è indicatore, quello di sinistra recettivo, quello di destra funge da trappola e viene ritagliato.

giorni occorre rinviare la visita. Se invece la covata è già nello stadio giusto, si ritaglia uno dei 3 favi: in questo caso quello più piccolo o con la covata più giovane. Alla prossima visita, che si farà dopo altri 7-8 giorni si avrà l’indicatore del settore svuotato durante la prima visita; gli altri 2 settori, nel frattempo, saranno diventati trappola e parzialmente ancora recettivi. Si svuota, allora il settore che presenta la maggior quantità di covata opercolata. Da questo momento in poi, ad ogni visita si ritaglia sempre e solo il settore con la covata opercolata, ossia il settore trappola. COMPORTAMENTO DELLA REGINA Durante l’uso del telaio indicatore trappola a 3 settori (T.I.T.3) la regina ha un comportamento alquanto curioso. Le rose di covata che essa depone in questi settori non hanno contorno circolare o ellittico come nei normali favi, ma hanno forma di cuore o, più precisamente, di triangolo capovolto, ossia con il vertice verso il basso. Inoltre, quando essa incomincia a deporre in un settore, non riempie il favetto in una sola volta, ma a più riprese e, spesso, ad intervalli di 1-2 giorni. Ad ogni ripresa essa depone le uova lungo i 2 lati inferiori del triangolo di covata già esistente (Foto 5 sinistra). Per occupare con covata tutto un settore, la regina interviene nor-

malmente 4-5 volte e impiega 5-6 giorni. AI fini della lotta biomeccanica contro la Varroa, il comportamento appena descritto è sorprendentemente positivo poiché, proprio in virtù di questa deposizione scalare, la covata di ogni settore risulta recettiva per parecchi giorni consecutivi e garantisce un intrappolamento continuo del parassita. IMPIEGO DELL’ELASTICO DI SICUREZZA Spesse volte, al momento del taglio del favotrappola, può avvenire che, nel maneggiare il telaio, si possano incrinare o anche rompere i delicati favetti del T.I.T.3, i quali non sono ancora sufficientemente ancorati ai lati. Per evitare che ciò succeda, occorre appendere, per un attimo, il T.I.T.3 ad un cavalletto reggi-favo e tendere un elastico attorno alla parte inferiore del telaio (Foto 5 destra). In questo modo, si previene ogni eventuale cedimento dei favi durante la fase di capovolgimento e di ritaglio. È bene che l’elastico non sia di colore verde, altrimenti si rischia di perderlo nell’erba (analoga osservazione vale anche per altri piccoli attrezzi di lavoro). Per eseguire il taglio, risulta comodo capovolgere il T.I.T.3 e appoggiarlo sul nido, liberare dalle api il settore-trappola e ritagliarlo completamente, riportare il T.I.T.3 nella posizione 10/2021 | Apitalia | 35


SPECIALE BIOTECNICA - 3 normale ed infine togliergli l’elastico prima di rimetterlo nel nido. È necessario che il settore trappola risulti completamente vuoto dopo il taglio. ROTAZIONE DEL T.I.T.3 DI 180° Quando le condizioni atmosferiche ed ambientali all’inizio della stagione sono sfavorevoli, le colonie, specialmente quelle più piccole, stentano ad avviare lo sviluppo “B” (cioè lo sviluppo del secondo anno) ed è pertanto frequente la costruzione di un settore a celle da operaia, senza che venga però occupato immediatamente da covata. Di norma è il settore posteriore ad essere interessato. Alla prima visita occorre svuotare completamente tale settore e rimettere nell’alveare il T.I.T.3, ruotandolo però di 180°. In questo modo, il settore vuoto verrà a trovarsi nell’area in cui le api costruiscono più facilmente le celle da fuchi, facilitando senza intoppi e ritardi, l’avviamento del ciclo normale. INTERRUZIONE DEL CICLO DEL T.I.T.3 Dal punto di vista pratico, è opportuno segnalare che vi è incompatibilità tra la tecnica del T.I.T.3 e il periodo di grande raccolto. Si tratta di un rapporto critico, poiché da un lato ci sono le funzioni e le scadenze del T.I.T.3 da rispettare, dall’altro, vi è intensa importazione di nettare che causa l’intasamento

Foto 7 - Il T.I.T.3 modificato.

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del nido, rendendo difficile le visite e i ritagli. La soluzione a questo problema si trova analizzando ciò che succede all’interno dell’alveare durante il forte afflusso nettarifero. In questo periodo si verifica quasi sempre un blocco della covata, blocco che interessa, logicamente, anche il T.I.T.3; diminuendo o addirittura cessando la deposizione, diminuisce automaticamente anche la funzionalità del T.I.T.3; a questo punto, data la difficoltà di intervento causata dal miele fresco, viene quasi spontaneo trascurare il nido, T.I.T.3 compreso. Ciò sarebbe negativo, perché si permetterebbe a gran parte della covata parassitata del T.I.T.3 di sfarfallare, favorendo così l’aumento dell’infestazione. Il problema può essere risolto interrompendo, all’inizio di ogni raccolto, il ciclo del T.I.T.3 e riprendendolo non appena il consistente flusso nettarifero sia terminato. Si consiglia perciò di togliere prontamente il T.I.T.3 dall’alveare, avvicinare i favi e mettere un diaframma contro una parete. In seguito, con tutta calma, si può ritagliare completamente il T.I.T.3 e riporlo in magazzino pronto per essere reintrodotto nell’alveare subito dopo il raccolto. Per avere un’alternativa alla soluzione sopra esposta, è stata sperimentata una interessante e positiva variante; invece di togliere il T.I.T.3 dall’alveare, si ritaglia tutta la covata esistente nei suoi 3 settori (a meno che non si ritenga

Foto 8 - Il T.I.T.3 con i due pannelli inseriti, pronto per essere introdotto nell’alveare.


utile conservarne una rosa per ottenere i fuchi necessari alla fecondazione) e lo si sposta contro una parete. Le api lo ricostruiscono e lo riempiono di miele. Nel frattempo, si prepara un nuovo T.I.T.3 e, appena il raccolto è terminato, si estrae il primo e si inserisce il secondo. Nell’ambiente in cui sono state fatte le prove, l’intenso flusso nettarifero è di norma quello della Robinia pseudoacacia L. Esso dura 2-3 settimane e determina un’interruzione del ciclo del T.I.T.3 di pari durata. Terminato questo raccolto, gli alveari vengono trasportati nei castagneti o in alta montagna. Nello stesso periodo, riprende nuovamente l’espansione della covata ed occorre reinserire il T.I.T.3 al centro del nido. È l’apicoltore che deve decidere se rimetterlo primo o dopo lo spostamento, secondo le sue possibilità ed esigenze di conduzione e di lotta contro la Varroa. TERMINE DEL CICLO In collina e in pianura, nelle regioni dell’Italia settentrionale, l’allevamento dei fuchi cessa normalmente in giugno; in montagna, invece, continua fino ad agosto; ciò permette al T.I.T.3 di esplicare le sue funzioni per altri 2 mesi circa. Sia in pianura che in montagna, quando le regine non depongono più le uova maschili, occorre spostare il T.I.T.3 contro una parete dell’arnia e toglierlo poi al momento dell’invernamento. Anche in questo caso esiste un’alternativa ed è quella di lasciare il T.I.T.3 per tutto l’inverno al centro del nido. In questo modo si può iniziare, in primavera, il ciclo del T.I.T.3 con l’asportazione della primissima covata di fuchi. Questo metodo è però ostacolato dalla frequente presenza di miele nel settore posteriore del T.I.T.3. REGINE DELL’ANNATA E COVATA MASCHILE Le regine, nate a bassa quota nel periodo primaverile, possono, con l’uso del T.I.T.3, dare covata maschile già nel primo anno di vita. Occorre però, a metà giugno, trasferire le colonie oltre i 1.000 metri di altitudine e fare in modo

che siano molto popolose. Questo comportamento fa ritenere che esse, essendo nate presto (ad esempio in aprile), vivano in pianura la loro prima stagione, cioè buona parte dello sviluppo “A” (sviluppo del primo anno), e, quando a metà giugno vengono portate in montagna, si comportino come se si trattasse di una seconda primavera, la quale ha per esse già un po’ dell’atmosfera dello sviluppo “B”. Infatti, trovando il T.I.T.3 al centro della covata, depongono prematuramente uova maschili. Questo fatto consente di iniziare la lotta biomeccanica contro la Varroa già durante il primo anno di vita delle regine. DUPLICE UTILITÀ DEI FUCHI In natura, i fuchi servono quasi esclusivamente per la fecondazione delle regine; nella lotta biomeccanica, essi servono anche come esca per la Varroa. Se si eliminasse con continuità tutta la covata maschile, non avverrebbe più la fecondazione delle regine: come al solito, tutto ciò che è unilaterale causa prima o poi un problema. Per ottenere l’abbattimento delle Varroe e la fecondazione delle regine, occorre dunque scegliere una via di mezzo, quella del compromesso. Questa scelta non deve essere fatta immediatamente, perché fin tanto che l’asportazione totale della covata maschile verrà effettuata in uno o in pochi apiari di una determinata zona, non sussisteranno grossi problemi: i fuchi degli altri apiari garantiranno la fecondazione in tutto il circondario. Invece, se il metodo del T.I.T.3 venisse praticato in tutti gli alveari di una vasta zona, i fuchi si ridurrebbero ad un numero troppo esiguo, proveniente, per lo più dalle sempre più rare colonie villiche. Le conseguenze sono facili da immaginare: regine fucaiole e degenerazione delle famiglie. Se ciò avvenisse sarebbe un fatto oltremodo grave, non solo per le api e gli apicoltori, ma anche per l’ambiente. Ogni allevatore di api che adotta il metodo del T.I.T.3 dovrà permettere, col tempo, a una ben dosata quantità di fuchi non solo di raggiungere 10/2021 | Apitalia | 37


SPECIALE BIOTECNICA - 3

Foto 9 - Particolare del fissaggio superiore dei pannelli.

lo stadio di adulto, ma dovrà anche attuare la loro selezione. Se i fuchi saranno ottenuti affidandosi al caso, si rischierà di favorire la varroasi, poiché la covata potrebbe essere altamente infestata. Sarà allora necessario programmare un allevamento di fuchi derivante da covata scarsamente infestata: quella derivante dal primo ritaglio del favo-trappola sarà sicuramente da escludere, poiché molto parassitata. Il programma dovrà anche prevedere la scolarità dell’allevamento, essendo utile disporre di fuchi per un periodo di alcuni mesi. Il piano di lavoro potrebbe essere organizzato nel modo seguente: durante il primo ritaglio del settore-trappola verrà individuato un certo numero di colonie idonee all’allevamento dei fuchi, le quali dovranno essere sane, mansuete, produttive e presentare celle da fuchi palesemente grandi. Indicativamente verranno scelte 15 famiglie su 50 e saranno suddivise in 3 gruppi di 5. Al momento del secondo ritaglio del favotrappola, verrà lasciata in ogni colonia del primo gruppo, una piccola rosa di covata maschile opercolata (5x5 cm), a cui si permetterà lo sfarfallamento. Nel secondo gruppo, la rosa di covata verrà conservata a partire dal quarto ritaglio del favo trappola. La stessa cosa verrà fatta nel terzo gruppo durante il sesto ritaglio. Con l’ottavo ritaglio si ricomincerà dal primo gruppo e così via. 38 | Apitalia | 10/2021

Foto 10 - Particolare del fissaggio inferiore dei pannelli.

L’esperienza ed il tempo dimostreranno se questo metodo di allevare e selezionare i fuchi sarà effettivamente adeguato. T.I.T. OPPURE T.I.? Il telaio indicatore trappola è stato ideato e sperimentato ai fini di poter attuare la lotta biomeccanica e, contemporaneamente, la conduzione degli alveari con il metodo del telaio indicatore semplice. Chi intendesse però praticare solamente la lotta biomeccanica senza seguire il sistema del telaio indicatore, deve semplicemente trascurare la lettura e l’interpretazione del settore indicatore. Egli dovrà però eseguire scrupolosamente il ritaglio del favo-trappola e, prima di asportare la covata percolata, dovrà accertarsi che in uno degli altri settori ci siano larve nello stadio recettivo. Per contro, chi intendesse condurre gli alveari solamente col telaio indicatore semplice, non ha la necessità di procurarsi il telaio a 3 settori, in quanto utilizzerà metodi diversi per la lotta alla Varroa. T.I.T.3 E MESSA A SCIAME Quando una colonia viene ridotta a sciame in seguito a “febbre sciamatoria”, la sua entità globale risulta divisa in due parti: l’una formata dallo sciame vero e proprio, l’altra da tutti i favi di covata coperti da giovani api. Il T.I.T., essendo anche un favo di covata, va messo con


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SPECIALE BIOTECNICA - 3 questi ultimi e deve subire il ritaglio man mano che la sua covata viene opercolata; dopo l’ultimo ritaglio è bene toglierlo dal nido: è quindi opportuno introdurre subito un nuovo T.I.T.3 vuoto. Esso può essere messo al centro contro il diaframma. Nel primo caso, è necessario controllare dopo 2 giorni se lo sciame costruisce celle da fuchi o da operaie; se sono da fuchi la lotta biomeccanica può continuare, se sono da operaie, conviene togliere il T.I.T.3 e rimpiazzarlo con un foglio cereo o con un favo. Invece, se il T.I.T.3 viene messo contro il diaframma, è sufficiente effettuare il primo controllo dopo una settimana. CONCLUSIONI La lotta biomeccanica può dare la speranza di convivere con la Varroa. Può darsi però che da sola essa non sia sufficiente a risolvere il problema. Tuttavia, se è vero che la varroa si riproduce in prevalenza nella covata maschile, il metodo descritto sarà di grande aiuto, con l’apporto di modeste quantità di prodotti biologici ad azione acaricida, sarà possibile raggiungere l’esito desiderato, senza dover ricordare a metodi pericolosi ed inquinanti. EVOLUZIONE DEL T.I.T.3 Durante i primi anni di esperienza col T.I.T.3, dagli inizi del 1986 fino alla fine del 1988, si sono riscontrati alcuni fenomeni fastidiosi e li-

Foto 11 - Come si ouò presentare il T.I.T.3 alla prima visita.

mitanti l’uso di questo strumento: la formazione di protuberanze, o gobbe di cera e miele, sui due favi adiacenti al T.I.T.3, quindi: difficoltà di estrarre il T.I.T.3 dal nido; impossibilità di girare e di mettere il T.I.T.3 col settore vuoto davanti; scomodità di ritaglio dei favetti a causa del miele presente nella loro parte superiore; esagerata quantità di miele nel settore posteriore del T.I.T.3; maggior spreco di cera e di miele; impossibilità di avvicinare i due favi adiacenti al T.I.T.3, dopo la stagione dell’allevamento fuchi. Un altro inconveniente era anche quello dello spreco di favo con covata durante i primi due ritagli che si effettuavano per ottenere le tre età differenti dei favetti. Ciò causava l’impossibilità

Foto 12 - Dopo aver estratto il primo pannello si reintroduce il T.I.T.3 nell’alveare.

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Foto 13 - Ciò che può risultare alla seconda visita. A questo punto si asporta il secondo pannello e si ritorna il T.I.T.3 all’alveare, mettendo però il settore vuoto nella parte anteriore del nido (vedi Foto 14).

Foto 14 - Il T.I.T.3 dopo l’asportazione del secondo pannello.

Foto 15 - Alla terza visita, ogni favetto risulta di età diversa; quindi si asporta il più vecchio e si riposizione anteriormente il settore vuoto.

Foto 16 - Il T.I.T.3 se munito di 3 pannelli, può anche servire da diaframma.

Foto 17 - Il T.I.T.3 OR (a settori orizzontali).

di usare totalmente come esca la covata maschile deposta nel T.I.T.3. Quindi per colmare queste lacune, era necessario ottimizzare la struttura del T.I.T.3. Furono prese in considerazione e sperimentate diverse modifiche e messe tra loro a confronto. Quella che si dimostrò essere la migliore, sia come semplicità di realizzo e di impiego che come elasticità di adattamento alle svariate situazione e all’efficacia nella lotta biomeccanica alla Varroa, consiste nell’applicazione, tramite inchiodatura o avvitatura, di una tavoletta di legno sotto il portafavo del T.I.T.3. Le dimensioni di detta tavoletta sono: 10/2021 | Apitalia | 41


SPECIALE BIOTECNICA - 3 LUNGHEZZA: pari alla luce orizzontale del telaino; ALTEZZA: 6 cm; SPESSORE: 2,8 cm INSERIRE “Fig. 8, Fig. 9” (Foglio Guida) La quantità e la disposizione dei tre settori non variarono. Furono aggiunti due pannelli riempitivi e mobili, da inserirsi in due dei tre settori; le loro dimensioni sono: SUPERFICIE: 5 mm più piccola rispetto a quella di ogni settore, ossia con un po’ di gioco, in modo tale da poter mettere e togliere i pannelli con facilità; SPESSORE: 2,8 cm, ossia uguale a quella della tavoletta superiore. Ogni pannello è munito di sei chiodi, quattro nella base, sporgenti, a mo’ di piedini, con funzione di tenere il pannello a cavallo della stecca inferiore del T.I.T.3. Gli altri due, piantati e piegati a 90 gradi vicino ai bordi superiori del pannello, servono, tramite la loro rotazione, per fissarle alla sopra citata tavoletta. Questi due ultimi chiodi fungono in pratica da girandole. COME USARE IL T.I.T.3 MODIFICATO I due pannelli vengono montati nel T.I.T.3, uno nel settore posteriore e l’altro in quello centrale. La posizione e la data in cui il T.I.T.3 deve essere inserito nell’alveare sono identiche a quelle del T.I.T.3 non modificato. Si fa notare che il settore vuoto, cioè quello senza pannello, va obbligatoriamente messo davanti. Dopo circa sette giorni dall’inserimento del T.I.T.3, si effettua la prima visita. Se le api hanno costruito celle maschili nel settore vuoto, si toglie il pannello centrale e si ri42 | Apitalia | 10/2021

mette il T.I.T.3 nel nido, senza effettuare alcun ritaglio di cera. Nel caso in cui il favetto fosse femminile, lo si ritaglia e non si libera il settore centrale, ma si ricomincia da capo. Se alla seconda visita il settore centrale risulterà costruito, si libererà quello posteriore, levando l’ultimo pannello. A questo punto si farà ruotare il T.I.T.3 di 180 gradi, rimettendolo nell’alveare col settore vuoto davanti. Di lì in poi, ogni settimana, si ritaglierà il favetto opercolato, ossia il favo trappola. E tutte le volte che il favo posteriore verrà ritagliato, sarà utile, vantaggioso e funzionale mettere il settore vuoto nella parte anteriore del nido. Il T.I.T.3 modificato è stato sperimentato e collaudato su 50 alveari, a partire da giugno ‘89 fino ad agosto ‘90. La sua funzionalità si è dimostrata ottima: le fastidiose sporgenze di cera e miele sui favi adiacenti al T.I.T.3 non si sono più avute, di conseguenza anche le difficoltà tecniche sopra elencate non sono state più osservate. L’uso dei pannelli poi, oltre che aver semplificato enormemente l’entrata in ciclo del T.I.T.3, ha evitato lo spreco dei due primi favetti ed ottimizzato lo sfruttamento della covata maschile come esca. Il “critico” apistico, analizzando queste innovazioni tecniche, potrebbe tuttavia obiettare sul fatto delle diminuite dimensioni dei tre settori. Anche questo particolare è stato preso in considerazione e, dalle osservazioni fatte in campo, si è notato che le attuali dimensioni dei settori, per ciò che riguarda la capacità di contenere lo


sfogo dell’alveare, sono sufficientemente grandi. Lo spazio di ogni settore, naturalmente, viene sfruttato dalle api con maggior rapidità (ed è quello che si vuole). NOTA Ad iniziare dalla mia uscita col T.I.T.3 nel campo apistico sino a tuttora, parecchi apicoltori appassionati hanno tentato di modificare questo strumento con la buonissima intenzione di ottimizzarlo. Alcuni lo hanno fatto senza però chiedermi prima se tale loro idea miglioratrice era già stata da me sperimentata oppure no. Purtroppo o per fortuna devo dire di sì e aggiungo che ne ho sperimentate altre ancora, ma poi la scelta è caduta definitivamente sul T.I.T.3 descritto qui sopra. Tutte le altre versioni sperimentate personalmente sono state tralasciate poiché meno funzionali, più complicate e poco proponibili. Tuttavia sono molto, molto riconoscente verso questi Signori, poiché col loro impegno nel tentativo di migliorare questo strumento apistico, hanno dimostrato la loro alta considerazione della lotta biomeccanica con l’uso del T.I.T.3. Li ringrazio vivamente e do loro un sincero abbraccio apistico. ALTRO MODELLO DI T.I.T.3 - T.I.T.3 OR (ORIZZONTALE) È un T.I.T.3 a settori orizzontali e senza pannelli riempitivi. Si tratta di un comune telaio da nido al quale si applica la solita tavoletta, alta 6 cm, sotto il portafavo, come descritto nel capitolo precedente. Il vuoto restante, dalla tavoletta alla traversa inferiore, viene diviso in tre settori orizzontali tramite l’applicazione di due listarelle di legno, spesse 8 oppure 10 mm e larghe 25 mm. In questo caso, le lamine di alluminio, citate nei capitoli precedenti, non risulterebbero appropriate poiché tenderebbero ad inarcarsi verso il basso. L’entrata in ciclo di quest’altro modello di T.I.T.3 è quasi automatica e ciò è dovuto al fatto che le api iniziano, normalmente, a costruire dall’alto. Pertanto, quando terminano la costruzione del

settore inferiore, si ha una considerevole scolarità, sia di età dei favetti che di covata ivi contenuta. ACCORGIMENTI UTILI (DA NON TRASCURARE) Poiché al momento dell’introduzione del T.I.T.3 l’alveare è in fase di sviluppo, può darsi che la sfericità dell’insieme della covata si trovi addossata alla parete anteriore del nido, lasciando priva di covata la parte posteriore; (questo caso si può presentare frequentemente nell’arnia DadantBlatt; nella DU-CA è una rarità) quindi le api costruiscono per primo nella parte anteriore del T.I.T.3 OR, lasciando momentaneamente vuota la parte posteriore. Per ovviare, o per ridurre al minimo questo inconveniente, è utile cercare di inserire il T.I.T.3 OR tra i due favi con le più ampie rose di covata e/o ruotare il T.I.T.3 di 180 gradi dopo tre o quattro giorni dalla sua introduzione. Un altro particolare da tenersi sotto controllo è quello che si può presentare durante il periodo di un eventuale blocco di covata, causato da una improvvisa ed intensa raccolta di nettare. Se in quel momento i tre settori del T.I.T.3 OR non sono completamente costruiti e i due favi adiacenti al T.I.T. hanno, all’altezza dei settori, grosse aree di miele, le api allungano le celle di tali zone creando grosse gobbe che avanzano nel vuoto del T.I.T., cosicché ci si troverà, in seguito, alcune difficoltà a maneggiare sia il T.I.T. che i due favi in questione. Anche qui, per ovviare e/o limitare al minimo il “danno”, occorre intervenire tempestivamente asportando il T.I.T., per reintrodurlo più tardi, non appena cessato il blocco di covata. Tale inconveniente però non può presentarsi se il T.I.T. si trova tra due favi con covata molto estesa; più che altro si avrà il T.I.T. con chiazze di miele. Michele Campero

Fine terza e ultima parte. La prima e la seconda parte sono state pubblicate, rispettivamente, nei numeri 7-8 e 9/2021 di Apitalia

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DALLA PARTE DEL CONSUMATORE

CENTRIFUGATO O PRESSATO?

CONSUMATORI CONFUSI DAI TANTI VOLTI DEL MIELE di Ezio Pace

I

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ta di svilupparsi. Le api regolano puntigliosamente la temperatura dell’arnia. Quando prendiamo i favi opercolati dall’arnia per smielare, ci curiamo che la temperatura del nostro contenitore o del nostro locale non scenda al di sotto dei 20 °C in modo da facilitare l’estrazione del miele dai favi. Fino a questo punto il processo è comune a tutti i produttori, agiscono tutti allo stesso modo; ma da quando il miele viene estratto, a quando viene confezionato in vasi c’è la differenza. La maggior parte dei mieli che si trovano sugli scaffali dei supermercati sono stati riscaldati prima di arrivare nei negozi dove possono

PRODOTTO GENUINO SUSCETTIBILE AL TRUCCO

Foto Steve Buissinne

l tuo miele è centrifugato o è pressato a freddo? Questa domanda ci è stata posta più volte negli ultimi tempi, segno che i consumatori non hanno le idee chiare e che le etichette non aiutano a capire come stanno le cose. La risposta che diamo come apicoltori è “certamente sì”, ma ad onor del vero dobbiamo aggiungere che lo è anche tutto l’altro miele, perché non esiste miele centrifugato e pressato a caldo. La questione dovrebbe essere invece posta sul fatto che il miele sia un prodotto che è stato o non è stato riscaldato. Il miele dei supermercati è stato riscaldato. La dicitura centrifugato a freddo/ pressato a freddo, descrive esattamente il processo di estrazione dell’olio d’oliva, di semi vari. L’olio pressato a freddo è il risultato della prima torchiatura, nella fase prima che la massa di olive frantumata venga riscaldata ed aggiunta di solventi che spremono le ultime gocce d’olio dai semi. Con il miele la cosa è molto differente. Nell’arnia la temperatura è tra i 30-35 °C, mai più alta, perché altrimenti la cera comincerebbe ad ammorbidirsi ed i favi collasserebbero. Né sarà mai più fredda, perché ciò impedirebbe alla cova-


restare invenduti anche per lunghi periodi. Questo accade anche per i grandi confezionatori in Italia e per il miele di provenienza estera (sull’etichetta figurano nomi di rinomate aziende italiane, anche se la provenienza del miele è velata da strane diciture per essere in regola con le norme europee). Dopo la smielatura il miele, per motivi pratici, viene posto in grandi contenitori di plastica o in fusti di metallo per lo stoccaggio e per il trasporto. Il miele comincia a cristallizzare, partendo da cristalli piccoli, che legandosi fra loro terminano poi in enormi cristalli, più o meno duri a seconda della composizione zuccherina del miele, cioè dei fiori sui quali le api hanno bottinato. Ciò accade per la maggior parte dei mieli non lavorati. Quando l’azienda confezionatrice deve porzionare ed invasettare questa partita di miele, comincia il processo di riscaldamento della massa fino a che il legame tra i cristalli si rompa: a questo punto il miele fonde

e ridiventa fluido a tal punto che può essere lavorato come se fosse “nuovo”, cioè appena uscito dall’alveare. Ma non lo è. Il prodotto di questo processo di riscaldamento viene invasettato ed inviato ai grossisti, ed infine ai supermercati per la vendita al dettaglio. Generalmente tutto il miele dei grossisti subisce questo processo di trattamento termico o di pastorizzazione, a volte anche il cosiddetto “miele biologico”. Lo si fa per ragioni pratiche, per ragioni plausibili e razionali, ma il procedimento ha le sue conseguenze negative e alcuni dei valori essenziali e particolari del miele vanno comunque persi. Gli aromi vaporizzano e si trasformano o abbandonano il prodotto. Gli enzimi (con la glucosi-ossidasi ed invertasi) si degradano rapidamente a temperature sopra i 40 °C e persino il fruttosio si trasforma. Questo viene misurato con l’indice diastasico e tenore di idrossimetilfurfurale (HMF), che aumenta nel tempo e con la temperatura.

Il miele che è stato surriscaldato o è troppo vecchio, ha il sapore dello sciroppo di acero o dello zucchero in sacchetti e anche questo accade, purtroppo, per la maggior parte dei mieli, sia convenzionali sia biologici. Gli apicoltori più accorti, dopo la raccolta, passano il miele in appositi filtri a freddo e a volte controllano la cristallizzazione naturale mescolandolo per impedire che i microcristalli si leghino fra loro ed il miele indurisca. Questo prodotto non viene mai riscaldato, in nessuna fase di lavorazione, e finisce direttamente nei vasi per il consumatore. In tal modo il miele conserva enzimi, antiossidanti e aromi naturali, oltre ad un basso valore dell’indice diastasico HMF. Per molti apicoltori è una questione di onore il fatto di aver venduto, già a fine anno, tutto il raccolto, senza lavorazioni termiche e svuotando l’intero magazzino. Ezio Pace

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Rin per

nov a il 2 022


LEGISLAZIONE

REGOLAMENTO (UE) 2019/6

PREVISTE DIFFICOLTÀ APPLICATIVE PER LE FILIERE APISTICHE NAZIONALI di Giulio Loglio e Gianluigi Bressan

L’ITALIA E ALTRI STATI EUROPEI DISINFORMATI

Foto Bernd Hildebrandt

E IMPREPARATI

NOTA DEL DIRETTORE

Pubblichiamo volentieri questa disamina sulla prossima entrata in vigore del Regolamento comunitario n. 2019/6 del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018 relativo ai medicinali veterinari e che abroga la Direttiva 2001/82/CE. L’informativa reca le firme di due medici veterinari ben noti alla comunità apistica nazionale e quindi anche ai lettori di Apitalia: entrambi sono stati dipendenti della Sanità Pubblica Veterinaria e hanno retto incarichi presso Aziende Sanitarie particolarmente attente all’apicoltura. Ci è parso quindi doveroso riservare loro uno spazio al fine di mettere nella dovuta evidenza un tema che in questi ultimi mesi è stato oggetto di dibattito tra medici veterinari - pubblici e liberi professionisti - ma che senza dubbio richiamerà presto anche l’attenzione di ciascun apicoltore italiano ed europeo. Questo Regolamento comunitario, infatti, giace tra le pagine della Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea da ormai tre anni, entrerà però in vigore tra tre mesi (il 28 gennaio 2022) e pare chiaro che né l’Italia, né gli altri paesi dell’Europa siano pronti a farvi fronte: almeno quando parliamo di apicoltura. Proviamo brevemente a chiarire perché e lo facciamo nella consapevolezza di quanto i lettori di Apitalia siano attenti a queste nostre valutazioni. Il Reg. UE 2019/6 è un Testo rilevante ai sensi del SEE, lo Spazio Economico Europeo, un’area che oltre ad uniformare le legislazioni e i mercati dei 27 Stati membri dell’Unione Europea, aggrega altri tre Paesi: l’Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia. Parliamo quindi di un provvedimento che interesserà oltre 650.000 apicoltori e che rischia di vedere l’Italia - caso unico in Europa - il solo Paese orientato a prevedere un complicato sistema di registrazione dell’uso di farmaci veterinari (per gran parte a base di acidi organici, comunque di principi attivi a basso dosaggio e pressoché innocui per la salute pubblica e per l’ambiente) di cui la norma europea non fa esplicita prescrizione. Esprimiamo pertanto l’auspicio che i pareri che seguono valgano come prima occasione di richiamo dell’attenzione degli Apicoltori e di sensibilizzazione di tutta la filiera apistica nazionale verso un provvedimento che si annuncia quantomeno discutibile. L’ospitalità che Apitalia riserva agli Autori, quindi, non deve intendersi come validazione delle proposte avanzate che restano un punto di vista - pur sempre autorevole che non ci esime dall’assunzione di future posizioni alternative o contrarie.

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Foto Caballero Cristal

LEGISLAZIONE

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li operatori del settore alimentare e gli allevatori di “animali destinati alla produzione di alimenti” sono tenuti a rispettare le normative che disciplinano la produzione primaria. Sono direttive e regolamenti adottati in tutti gli Stati dell’Unione europea che hanno lo scopo di uniformare quelle regole che devono essere rispettate da chi produce alimenti in modo da garantire a tutti i consumatori la sicurezza alimentare. Produrre alimenti sani e genuini significa gestire in modo corretto tutta la filiera agro-alimentare partendo dal campo per giungere, dopo una serie di trasformazioni, alla tavola del consumatore finale. TRACCIABILITÀ DEL TRATTAMENTO La normativa prevede che l’operatore del settore alimentare (OSA) lavori in locali idonei, in modo igienico ed impieghi attrezzatura idonea destinata a venire a contatto con alimenti. Non solo: l’OSA deve utilizzare procedure scritte indicando tutte le modalità operative adottate nella produzione e manipolazione degli alimenti per evitare qualsiasi forma di contaminazione chimica e batteriologica garantendo nello stesso tempo la tracciabilità del prodotto. È in questo contesto che si inserisce il registro dei trattamenti che, nell’ottica del legislatore, aveva lo scopo di regolamentare il corretto uso dei farmaci veterinari in modo da evitare qualsiasi forma di contaminazione dei prodotti alimentari con farmaci e loro metaboliti. Attraverso la registrazione dei far48 | Apitalia | 10/2021

maci acquistati, la data della loro somministrazione, il numero degli animali trattati, ecc. l’allevatore doveva poter dimostrare in qualsiasi momento, agli organi di controllo e di vigilanza, il corretto impiego del farmaco acquistato ed il rispetto delle indicazioni contenute nel foglietto illustrativo. Si deve tener presente che alcuni apicoltori non solo apportano di loro iniziativa modifiche ai dosaggi, ai tempi di somministrazione e alla durata dei trattamenti ma addirittura utilizzano principi attivi contenuti in agrofarmaci adducendo come giustificazione la riduzione dei costi pur sapendo di contravvenire alla normativa che impone esclusivamente l’uso di farmaci che abbiano l’A.I.C. (autorizzazione immissione in commercio). Sono apicoltori che spesso fanno di facebook la loro bibbia apistica adottando, an-

che in buona fede, quanto suggerito dai soliti apprendisti stregoni. UN PASSATO CAOTICO Per quanto riguarda l’obbligo per gli apicoltori di possedere un registro vidimato dei trattamenti farmacologici le note ministeriali hanno lasciato spazio a differenti modalità interpretative tanto che a livello nazionale esiste una notevole difformità di comportamento: ci sono regioni e/o provincie autonome che ne prevedono l’obbligo per tutti gli apicoltori (che producono per autoconsumo, imprenditori apistici e apicoltori professionisti), altre che lo ritengono obbligatorio solo per gli imprenditori apistici e gli apicoltori professionisti e non per chi produce per autoconsumo mentre altre regioni non lo ritengono obbligatorio purché gli apicoltori utilizzino registri non vidi-


zione di medicinali veterinari, le seguenti indicazioni: a) data; b) identificazione del medicinale veterinario; c) quantità; d) nome e indirizzo del fornitore del medicinale; e) identificazione degli animali sottoposti a trattamento; f ) data di inizio e di fine del trattamento. 2. Il registro di cui al comma 1, a pagine prenumerate e vidimato dalla ASL, unitamente alle copie delle prescrizioni medico-veterinarie di cui all’articolo 76, comma 1, ed alla documentazione di acquisto, è conservato per 5 anni dall’ultima registrazione anche in caso di abbattimento degli animali prima della scadenza di tale periodo ed è esibito a richie-

mati che garantiscano una corretta rintracciabilità di farmaci / alimenti / integratori / materiali. D. LGS N. 193/2006 ART. 79 Questa norma prevede il “Registro dei trattamenti di animali destinati alla produzione di alimenti”. Più precisamente, il decreto legislativo in questione stabilisce che: 1. Fatti salvi gli obblighi di registrazione da parte del veterinario, di cui all’articolo 15 del decreto legislativo 16 marzo 2006, n. 158, i proprietari e i responsabili di animali destinati alla produzione di alimenti devono tenere un registro in cui riportare, relativamente all’acquisto, alla detenzione e alla somministra-

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sta della ASL per i controlli. 3. Almeno una volta l’anno la ASL esegue una ispezione nel corso della quale accerta anche la tenuta del registro di cui al comma 1 e la sua regolarità. COMMERCIO E AUTOCONSUMO Dal 2006 gli apicoltori, per poter acquistare i farmaci per il controllo della varroa e per i quali inizialmente era prevista la ricetta veterinaria (Api-Bioxal, Apivar, Perizin) avevano dovuto dotarsi di un registro vidimato dal Servizio Veterinario dell’ASL, come previsto dall’art. 79 del d.lgs. n. 193/2006. L’art. 79 sembrava estendere l’obbligo del registro vidimato anche

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agli apicoltori che producono per autoconsumo, ma l’articolo 65 del medesimo decreto legislativo recitava: “Le disposizioni del presente titolo si applicano ai soggetti … titolari degli impianti in cui vengono curati, allevati, e custoditi professionalmente animali”. Quindi l’apicoltore che produce per autoconsumo, per il tipo di attività che non prevede la vendita di alcun prodotto ma il consumo solo nell’ambito familiare, non poteva essere considerato un “professionista” e quindi non aveva l’obbligo di dotarsi di un registro vidimato. L’emanazione della nota esplicativa 0016388 del 22-6-2015 da parte del Ministero della Salute ha generato ulteriore confusione fra i Servizi Veterinari, le Associazioni degli Apicoltori e gli stessi Apicoltori per quanto riguarda l’obbligo di tenere un registro farmacologico vidimato. “I medicinali veterinari per la cura della varroatosi, autorizzati nel 50 | Apitalia | 10/2021

Foto Mopsgesicht

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territorio nazionale, ad oggi non hanno obbligo di prescrizione medico-veterinaria e possono essere venduti all’ingrosso e al dettaglio negli esercizi commerciali rientranti nella relativa tabella merceologica. (Omissis). Si ritiene pertanto, considerata l’esenzione della ricetta e l’assenza di rischi per l’utilizzo dei suddetti medicinali, che non sussista per essi l’obbligo di registrazione dei trattamenti, come stabilito dall’art. 79 del d.lgs. n. 193/2006”. IL REGISTRO DEI TRATTAMENTI Molti apicoltori si sono convinti che il registro dei trattamenti non fosse più necessario in base alla seguente deduzione logica: “Se come apicoltore non devo più registrare nessun farmaco su un registro vidimato che senso ha che me lo procuri per poi mantenerlo inutilizzato presso la mia azienda? Provvederò a registrare tutte le informazioni in un

registro non vidimato, conservando le pezze giustificative di acquisto (scontrini di acquisto, fatture, ricevute) in base a quanto previsto dal Regolamento 852/2004, allegato 1, parte A, capo III “tenuta delle registrazioni”. Inoltre, se l’apicoltore fosse obbligato alla tenuta del registro vidimato, il Servizio Veterinario, in base al d.lgs. 193/2006, dovrebbe effettuare almeno una volta all’anno un’ispezione per accertare la tenuta del registro e la sua regolarità: se non lo facesse sarebbe a sua volta inadempiente e giustamente denunciabile. Chi è veterinario pubblico ufficiale sa che sarebbe difficilissimo programmare ogni anno l’ispezione di tutti gli apicoltori professionisti; impensabile se lo si dovesse prevedere anche per gli apicoltori amatoriali. Bisogna cercare di essere obiettivi e credibili: i tutori dell’ordine non possono applicare la normativa a seconda della convenienza.



LEGISLAZIONE DUBBI INTERPRETATIVI E MANCATI CHIARIMENTI In sintesi: in base alla nota ministeriale l’apicoltore che produce alimenti destinati alla vendita non è tenuto a registrare i trattamenti farmacologici in base all’art. 79 del d.lgs. 193/2006 (legge sanitaria) ma, per problemi di sicurezza alimentare, li deve comunque registrare in base al Reg. CE 178/2002 (Legge sulla rintracciabilità), in un registro non necessariamente vidimato dall’Azienda sanitaria, conservando le pezze giustificative di acquisto (scontrini, fatture, ecc.). Chi produce per autoconsumo deve registrare nella BDN ogni anno il numero di alveari posseduti e conservare esclusivamente la documentazione di acquisto dei farmaci (scontrini) senza procedere ad alcuna registrazione. Il Servizio Veterinario deve effettuare verifiche a campione. Spiace constatare che, nonostante le numerose richieste di chiarimento, il Ministero della Salute non abbia mai provveduto a risolvere con una sua nota i vari dubbi interpretativi. A pagare per queste differenti interpretazioni normative sono stati alcuni apicoltori sanzionati dagli organi di controllo. Ad esempio, un apicoltore residente in provincia di Bergamo (Lombardia), che non aveva il registro dei trattamenti vidimato, aveva ricevuto gli elogi dal NAS per le modalità adottate per la registrazione e l’utilizzo dei farmaci. Questo stesso apicoltore è stato sanzionato pesantemente dallo stesso organo di vigilanza per la mancanza del registro vidimato quando ha trasferito la sua residen52 | Apitalia | 10/2021

COSA PRESCRIVE LA NORMA EUROPEA Regolamento (UE) 2019/6 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 - Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 4/105 - 7.1.2019 Articolo 108 Conservazione delle registrazioni da parte dei proprietari e dei detentori di animali destinati alla produzione di alimenti 1. I proprietari o, qualora gli animali non siano tenuti dai proprietari, i detentori di animali destinati alla produzione di alimenti, conservano registrazioni sui medicinali che utilizzano e, se applicabile, una copia della prescrizione veterinaria. 2. Le registrazioni di cui al paragrafo 1 includono: a) la data della prima somministrazione del medicinale agli animali; b) la denominazione del medicinale; c) la quantità del medicinale somministrato; d) il nome o la ragione sociale nonché il domicilio o la sede sociale permanente del fornitore; e) la prova dell’acquisizione dei medicinali che utilizzano; f) l’identificazione dell’animale o del gruppo di animali trattati; g) il nome e i contatti del veterinario che prescrive il medicinale, se pertinente; h) il tempo di attesa anche se pari a zero; i) la durata del trattamento.

za in provincia di Piacenza (Emi- utilizzatori di medicinali veterinari. lia-Romagna). Sarebbe bello che in In altre parole, la registrazione dei trattamenti farmacologici, in forItalia si parlasse la stessa lingua! mato elettronico (questa è la novità fondamentale) sarà obbligatoria LA SVOLTA FUTURA per tutti gli allevatori e detentori E LE INCERTEZZE RESIDUE Questo descritto sopra fa parte del di animali produttori di alimenti, passato: ormai siamo alla vigilia compresi gli apicoltori che produdi un cambiamento che dovrebbe cono per autoconsumo. cancellare gli errori interpretativi Sembrerebbe tutto chiaro e semdel passato. Tale situazione con- plice ma il Regolamento (UE) n. traddittoria si dovrebbe risolvere il 2019/6, scritto per regolarizzare 28 gennaio 2022 con l’applicazione l’impiego dei farmaci soprattutto del Regolamento UE 2019/6 che per gli allevamenti di suini, boviabroga definitivamente il termine ni, equini, avicoli, non solo sembra “professionale“ che in passato è inadeguato ma lacunoso per il setstato responsabile di notevole con- tore apistico. fusione suddividendo gli apicoltori Si sperava che l’applicazione di in tre categorie con obblighi molto questo regolamento portasse all’elidiversi: apicoltori che producono minazione di quelle incertezze che per autoconsumo, gli imprenditori si erano create negli ultimi quindiapistici e gli apicoltori professioni- ci anni: invece ne ha generate altre sti. Il Regolamento (UE) n. 2019/6 che devono essere urgentemente mette sullo stesso piano tutti gli risolte.


L’INFORMATIZZAZIONE DEI TRATTAMENTI Il legislatore è molto chiaro quando recita che chiunque allevi animali produttori di alimenti (compresi gli apicoltori che producono per autoconsumo oltre che per gli imprenditori apistici e gli apicoltori professionisti) è obbligato a registrare i trattamenti farmacologici. Il Decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 27 stabilisce che per assicurare il completamento del sistema informatico di tracciabilità dei medicinali veterinari, dei mangimi medicati e dei prodotti intermedi le registrazioni dei trattamenti di cui all’articolo 79 del decreto legislativo n. 193 del 2006 e di cui agli articoli 4 e 15 del decreto legislativo n. 158 del 2006 devono avvenire

esclusivamente in formato elettronico (ricetta elettronica). Infatti, dal 16 aprile 2019 la prescrizione digitale ha sostituito quella cartacea sull’intero territorio nazionale. Purtroppo, il settore apistico, in base alle norme attualmente in vigore, è un’attività che si differenzia da tutte le altre attività zootecniche. Infatti, per tutti i farmaci utilizzati in apicoltura non è prevista alcuna ricetta veterinaria elettronica e quindi non è applicabile quanto stabilito dal Regolamento (UE) 2019/6. Con urgenza il Ministero della Salute dovrà studiare e mettere a disposizione di tutti gli apicoltori (apicoltori che producono per autoconsumo, gli imprenditori apistici e gli apicoltori professionisti) un programma informatizzato

dove accedere per poter registrare tutte le informazioni previste dal Regolamento comunitario. I tempi sono strettissimi. Non è sufficiente predisporre il programma informatizzato entro il 28 gennaio 2022. Devono essere previsti anche i tempi tecnici indispensabili per: 1) informare tutti gli apicoltori e i Servizi Veterinari sugli obblighi normativi; 2) organizzare corsi per insegnare come utilizzare correttamente il sistema informatizzato agli apicoltori e ai loro enti delegati. SERVONO INTEGRAZIONI NORMATIVE Ci si chiede perché in tre anni il legislatore non abbia apportato al Regolamento (UE) 2019/6, che

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è entrato in vigore il 28 gennaio 2019, le integrazioni e le modifiche che interessano il settore apistico. Un ritardo che costringerà il legislatore ad apportare modifiche ad una legge già adottata. Si è convinti che gli obiettivi che si prefigge il Regolamento (UE) 2019/6 siano corretti: • promuovere un uso più consapevole dei medicinali veterinari; • garantire il massimo livello di protezione della salute pubblica, della sanità animale e dell’ambiente. Ma, come si è già detto, devono essere dettate norme specifiche da adattare al settore apistico. Il tutto con un programma informatizzato facile da utilizzare e pratico da gestire in modo che il tutto non venga visto dall’apicoltore come un aggravio del carico burocratico. È importante che il Ministero della Salute si confronti tempestivamente con i Servizi Veterinari delle varie Regioni per definire le disposizioni normative che devo-

no essere adottate a livello nazionale in modo da evitare spiacevoli situazioni contraddittorie. Ad esempio, la Regione Lombardia, a pochi mesi dell’applicazione del Regolamento UE 2019/6, ha pubblicato sul suo Bollettino Ufficiale il documento «Linee guida per il settore apistico» (D.d.u.o. 13 luglio 2021 - n. 9528) dove a pag. 75 viene precisato che chi produce per autoconsumo non è obbligato ad avere il registro dei trattamenti vidimato. Ci si chiede se questa disposizione escluda gli apicoltori lombardi che producono per autoconsumo dalla registrazione su un portale elettronico predisposto dal Ministero. Si rileva quindi l’importanza di un corretto coordinamento nazionale e la ricerca di una soluzione semplice e non onerosa per gli apicoltori. Questa problematica è stata oggetto di discussione ad un recente convegno svoltosi a Mantova al quale ha partecipato il dott. Salvatore Macrì, dirigente veteri-

nario del Ministero della Salute, Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari, Ufficio 4, che ha confermato l’interesse del Ministero a cercare una soluzione rapida che probabilmente sfrutterà la creazione di una applicazione specifica per la registrazione e l’utilizzo dei farmaci venduti senza prescrizione, sul registro elettronico. Tutto questo risolverà alla base le problematiche sopra ricordate e consentirà ai veterinari ufficiali un controllo più approfondito e semplificato rispetto alla situazione attuale. L’esperienza dei veterinari “apistici” potrà essere, in fase propositiva, un aiuto per risolvere molti problemi del settore e il colloquio con il Ministero della Salute un importante “trade union” con le realtà territoriali. Giulio Loglio e Gianluigi Bressan medici veterinari

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