Ogra XIII / Numero Verde

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Quando da bambino e poi da adolescente ho vissuto intere stagioni in campagna, nelle Marche, vicino all’Appennino, i contadini chiamavano “natura” [...] l’organo sessuale femminile sia delle donne che degli animali, quando volevano riferirsi a quell’organo con una coscienza ferma, in pubblico, materialmente e culturalmente precisi ed esatti, per esempio per riferire su un incidente, su una ferita, su un parto, su una stima mercantile. Allora dicevano “la natura” con grande compunzione, serietà, impegnati davvero come di fronte alla grandezza dell’universo

Marina Abramovic, Balkan Erotic Epic | © Milan Dakov | courtesy Marina Abramovic / Galleria Lia Rumma Napoli / Milano

Paolo Volponi, Natura e animale

numero verde contatta la natura



itinerario

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enrico ghezzi Il set della natura Daniel Agami Dopo la Storia Al(l) so Gore or Another inconvenient truth di Johnson&co. Johnson&co. L’ambiente è una sfida industriale Daniel Agami ... La Natura, Naturalmente! (articolo a episodi) – Episodio 3 Ingegneria Senza Frontiere Bologna L’acqua sorgente della vita Vincenzo Allegri Cancro, chi sei? Chi ti ha mandato? Giuseppe Colomasi Siracusa e il suo petrolio tossico Fabio Orecchini Brevettare la vita Divieto di uguaglianza! di Olga Patti Samuel Manzoni NaturalCultura Musica per bambini di Andrea Marcellino Dai semi abusivi agli orti urbani di Lorenzo Franceschini Valerio Cuccaroni Il Principe e il Vulcano ovvero le Origini del Potere Giampaolo Milzi Il comune virtuoso Il girasole sportivo di Valerio Cuccaroni Jan Heberlein Per la tutela del cuculo germanico Daniel Agami Eden Come nascono le discariche di Gennaro Febbraro Lou Del Bello Il paesaggio, i suoi simboli e la necessità di costruire – Intervista a Sami Rintala Daniel Agami Come Rose che crescon nell’asfalto Giacomo Bottà L’araba fenice della storia tedesca: il nudismo Barnaba Maj Il ruolo della natura nell’ideologia nazista Enrico Brizzi & Maurizio Manfredi C’era un gatto Michela Murgia Il vizio Daniela Shalom Vagata La via della natura – Dialogo con un gruppo di studenti giapponesi Bestie di S. Dazieri (Velia Ivaldi) Filippo Brunamonti Natural-mente, Malick Silvia Righini C’era una volta la natura Igor Tchehoff Il sistema della natura: un’invenzione svedese Giuseppe Merico Il legame Filippo Furri Il Robot sapiens sostituirà l’Homo sapiens? Marco Benedettelli La natura nell’epoca dei 29 miliardi di colori (digitali) Il colore giallo. The Simpson – Il film di Giulia Ferrandi Daniel Agami ... La Natura, Naturalmente! (articolo a episodi) – Episodio 2 Andrea Marcellino Le cose mute Giovanni Tuzet Intrecci Se la poesia attraversa la Natura. Dall’haiku alla prosa poetica Versi di Masao e Ciaki Kunishi, Alessandro De Francesco, Luigi Di Ruscio, Fausto Renzi, Annamaria Ferramosca, Andrea Gibellini, Sabrina Foschini Fabio Pusterla Prospect Hill (con una nota di Salvatore Ritrovato) Quaderno della prima estate di F. Renzi (Rossella Renzi) Stefania Piras “È, per tutto il tempo, il vento nelle foglie così vero così mutevole” Michele Pedrazzi Maternità musicali Daniel Agami ... La Natura, Naturalmente! (articolo a episodi) – Episodio 1 Rossella Renzi Come una Stella variabile: la poesia di Vittorio Sereni Augusto Illuminati La Sostanza Lorenzo Franceschini Un insospettabile inquieto – Al telefono con Angelo Branduardi Diario di bordo – L’editoriale

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Il Set della Natura

Trascrizione, fuori sincrono, di un discorso oracolare

Quando dico tutta la televisione, non voglio banalizzare, riconoscendo nella teleSe c’è una cosa che mi hanno insegnato visione lo stesso movente: la televisione cinema e televisione è non arrendermi, in sé, voglio dire, tutta la televisione in non accontentarmi rispetto al concetto di quanto luogo che riformula il Tutto, è ciò Natura. Credo che qualunque filmaggio, che assomiglia di più all’idea di totalità non dico debba, ma possa e potrebbe nella storia del mondo, una totalità risifar balenare un dubbio sul senso stesso bile. Ho citato Dick, Pinchon e Ballard, della definizione di Natura, sul nome. ma potrei citare Malick, Kubrick, se voQuelli che hanno visto potentemente lete Cronenberg, in realtà il cinema in sé, la televisione, gli autori di fantascienza, tutto, è un’operazione in cui assisti a un Dick, Ballard, Pinchon, ci hanno inse- rinaturarsi, un riformularsi della Natura, gnato che, se c’è deformazione, è in tutta molto più che filmare il naturale, tanto la televisione, in sé. In modo un po’ più che il dubbio ti viene proprio sul senso ideologico, freddo, ossificato, apparente- delle distinzioni, fra natura e non-natura, mente non comprendente, non compren- naturale e innaturale, tra umano e nonsivo, è lo stesso discorso che sviluppò la umano. Su queste distinzioni aveva già Scuola di Francoforte – Adorno, Horkei- detto molto Nietzsche. La televisione è mer, meno Benjamin. potentemente, o risibilmente, nietzscheana, come è potente e risibile Nietzsche: non è sublime, è grandiosa e subito dopo banale.

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mattia santini

di enrico ghezzi: ghezzi@rai.it

Quello che si chiama natura e naturale è un’ossessione del cinema, da sempre: il filmarsi del naturale, il filmarsi dell’umano. Nello stesso tempo questa operazione del filmare artificializza tutto ciò che filma, giusto? È molto semplice. Il naturale filmato viene mostrato nella sua artificialità a priori. Il filmabile e il televisibile del Tutto, il Tutto come televisibile, tenendo conto dei fuoricampo, delle cose che sfuggono, quindi, direi, l’estensione del visibile, l’enormità del visibile, questa rete di satelliti, non dico i satelliti fisici ma le orbite intorno al visibile, tutto quello che possiamo immaginare di visibile è ampiamente coperto. Un po’ meno l’in-


paranoico, lo spostamento, la revisione terno, della Terra, dei corpi, però anche lì del reale, della vita individuale e sociale, c’è un lavorìo sordo, un progresso... secondo un meccanismo simile a quello situazione, una relazione di potere, in cui Natura è proprio quello che viene consi- cinematografico, del proiettore, dell’in- il giardiniere, il tiranno è costantemente derato il filmabile: gli animali filmati sono tervallo dei fotogrammi. Tutto questo c’è fuori campo. Questo è ciò che chiamiaun tema favorito che rende domestico il già in Bergson, in Heidegger. Si tratta mo Natura. Se invece queste cose sono naturale; è finita la distinzione fra animali di una metafora, una figura che ormai visibili, è la società umana in quello che domestici e selvaggi, anzi, gli animali in sul piano interpretativo il Novecento ha ha di artificiale… televisione più sono selvaggi, più sono ampiamente prodotto, anche dal punto L’ebetudine della Natura ormai, starei per domestici – il massimo del domestico è di vista filosofico. Addirittura a livello di dire, “esiste solo in televisione”. Se c’è vedere un leone che fa a pezzi una gaz- stereotipi, di luoghi comuni, si sente dire un inganno che la televisione e la cultura zella, che se la mangia. È pornografico, “come in un film”, “come al cinema”, il di massa perpetrano è proprio quello di ma lì c’è un rovesciamento dei discorsi termine americano è il più interessante proporre il massimo della finzione come assodati fino a qualche decennio fa sulla perché non nomina il cinema: began then fuga da se stessa: ti presento la Natura life, che ha un doppio significato, come come porta o finestra d’uscita dalla situaNatura. La Natura è diventata naturalmente sappiamo, vuol dire anche “risibile”, “ridi- zione artificiale che Io, la televisione, e tu artificiale: questo ossimoro è ormai au- colo”, “guascone”, “eccessivo”, non vuol stesso, in quanto televisto e televedente, tomatico – è naturale che la pensiamo dire “straordinario”, più della vita, indica sei. Invece la Natura è uno dei soggetti artificiale. Questo ha molto a che vedere l’eccesso, un po’ incredibile, un po’ buffo, privilegiati, non è certo una lama, un baluginare… con alcune ipotesi di lettura del cinema, sgraziato. basti citare L’isola del dottor Moreau, tut- Dov’è la Natura in questo? La Natura a te visioni che ipotizzano, a volte in modo me pare sempre più un set, che non si è ancora scoperto come set, un testo di cui non si sono ancora visti i bordi, una

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mattia santini


XIII Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo

KAIROS La nostra Diversità Creativa PUGLIA 22 – 31 maggio 2008 L’Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Ancona sostiene la creatività giovanile inviando alla prossima Biennale le opere degli artisti Giovanni Gaggia e Andrea Nacciarriti (arti visive) e Ugo Coppari (immagini in movimento) Info: Comune di Ancona Servizio Politiche Giovanili 071 2222453 e-mail brumar@comune.ancona.it Informagiovani 071 54954 e-mail giovaniartisti@coopres.it


Marco Ferreri

Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza in questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie. Italo Svevo

Dopo la Storia

L’Apocalisse al Naturale (come il tonno) di Marco Ferreri: Il Seme dell’Uomo di Daniel Agami: Altrove@argonline.it

Predisporsi al micidiale. Il titolo dello spettacolo dilaniato da Alessandro Bergonzoni è un sintagma che riassume, crudamente, la snervante attesa silente in ogni coscienza individuale, per una Natura apparentemente armonica e “naturale” che pare sul punto di esplodere e fare male, un’apocalisse al naturale che completa e precisa il celebre slogan dei pelati Cirio, “Come Natura Crea” [Così Distrugge]. Un memento mori aleggia nelle inquietudini umane, noùmeniche1, una segreta paura della Natura circostante implode nell’oscurità della ragione, in un antro probabilmente sconosciuto nella corteccia cerebrale. Una natura bella ma vendicativa, dolce e spietata, incombe fin dalle origini, nei culti animisti e amerindi, nel Manicheismo, nella Bibbia: sono ricorrenti le manifestazioni di una Natura apocalittica, dal Diluvio universale di Genesi, nel Primo Testamento, fino al Giudizio universale del Vangelo secondo Matteo e all’Apocalisse di Giovanni nel Secondo Testamento, passando per le nove piaghe d’Egitto nell’Esodo e le visioni annunciate (d)a Daniel, nell’omonimo libro apocalittico. Il conflitto Uomo/Natura diventa soggetto per poemi, romanzi, la letteratura si fa foriera del senso di colpa che l’uomo adamitico ha, provocando la nascita di correnti (lo Sturm und Drang, fin dal nome, “tempesta e assalto”, apocalitticamente naturale) e movimenti [il (Pre)Romanticismo], e i topoi biblici riemergono dal mare magnum letterario creando romanzi come Moby Dick (1851)

di Herman Melville2, infarcito fin dagli estratti iniziali di citazioni veterotestamentarie sulla forza scatenata/nte della Natura. Poche sono, invece, le occasioni in cui il cinema sviluppa in poesia filmata il tema dell’Apocalisse al Naturale: un capolavoro è Il Seme dell’Uomo 3, apologo dolce e crudele sull’impossibile connubio tra uomo e ambiente, del genialmente creativo Marco Ferreri. Il film inizia dove tutte le letterature apocalittiche finiscono, dalla fine del Mondo, in un’era dopo la Storia: Cino e Dora Doria, due giovani sposi ingenui, dotati di una trascendente purezza, tornano dalle vacanze, e in autogrill assistono, alla televisione, a chiari segnali di una misteriosa e preoccupante epidemia pestilenziale (forse nucleare). Ma non se ne curano e viaggiano in un’assolata e deserta autostrada italiana, con un’allegra canzone di Lucio Dalla in autoradio. Il tempo di una galleria, il segnale radiofonico che scatta, Dalla che canta la Fine che poi Cino e Dora faranno («.. Sparire là nell’immensità..» 4), e oltre il tunnel un’anemica aria malatamente bianca (ben rappresentata nel film, dove sbiadisce ogni colore) annuncia la Fine: uno scuolabus abbandonato in carreggiata, infettato dalla misteriosa Peste (da radiazioni atomiche?) e, dentro, un ossimoro, i bambini morti. Poi un posto di blocco, militari spiegano che la Catastrofe è avvenuta, ordinano di ripararsi nella prima casa che trovano, di bruciare tutti i morti che incontrano. Un cumulo di corpi improvvisamente morti radunato e bruciato all’istante, non è cattiveria,

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dopo la Storia, funziona paradossalmente il televisore, in cui passano necrofile immagini di genocidi naturali, il rogo di Londra, un’escatologica Roma, buia, irriconoscibile nelle sue stesse ceneri, in polvere e pezzi, e poi, l’orrenda blasfemia, la Pietà di Michelangelo Buonarroti orrendamente mutilata: il Cristo morto giace tra le braccia di una Madonna decapitata, simbolo di una Natura che distrugge tutto, anche la religione (la Madre di Dio amputata), fin dalle origini (Maria decapitata), l’Arte e l’Uomo

Riferite a un Noùmeno che può essere solo pensato ma non dimostrabile. 2 H. Melville, Moby Dick o la Balena, trad. di Cesare Pavese, Adelphi, Milano, 2002. 3 Il Seme dell’Uomo (1969) di M. Ferreri con M. Margine, A. Girardot, A. Waizemsky, R. Rassimov, M. Ferreri, soggetto di Marco Ferreri, sceneggiatura di M. Ferreri e S. Bazzini. Il film è edito sia in videocassetta VHS che in Dvd. 4 È Per fare un uomo basta una ragazza (1969) testo di S. Bardotti e G. F. Baldazzi, musica di L. Dalla e M. Vicari, mai pubblicato in Lp o Cd, ma uscito solo in un 45 giri, sul Lato A, abbinato a …E invece no. 5 A proposito di Chiesa e Apocalisse, viene alla mente dell’appassionato letterario la poesia di

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Marco Ferreri, Il seme dell’uomo

preciserà il milite, ma l’obbligo di disinfestazione, per eliminare ogni contagio. I due si sistemano in una casa sul mare, in una bianca, (in?)contaminata spiaggia anonima, davanti a cui giace, infetto nel sonno, il corpo morto del proprietario, interpretato dallo stesso Ferreri, quasi a sottolineare che pure lui è deceduto dal suo stesso incubo, che dall’Apocalisse naturale (la Morte, silente, pacifica, misteriosamente epidemica) non (si) salva neppure l’Arte (Ferreri, cioè il cinema). In un mondo morto,

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ecensire un film dovrebbe voler dire esprimere una valutazione pertinente ed “intelligente” su un prodotto cinematografico, sulla ANOTHER INCONVENIENT TRUTH… realizzazione di una sequenza di di johnson&co. : johnsonico@yahoo.it immagini, su “qualcosa”: ma come sfuggire alla tentazione di recensire anche il personaggio, “qualcuno”, osservando come Emmy, Oscar e Nobel per la Pace sono diventati tutt’uno in qualche mese, fagocitati da questo ex vice-presidente, riapparso dopo qualche anno di clausura per salvare il mondo? Bastonato alle presidenziali del 2000 dalla Famiglia Bush e soci, Albert Arnold Gore si rilancia come ecologista, come uomo d’affari e come politico. Con un film. Film che denuncia, esibendo dati e materiali scientificamente garantiti dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’imminente catastrofe ambientale che ci minaccia se non ci decidiamo a dare ascolto a chi ci dirà cosa fare (Al, le Nazioni Unite, qualcuno…): si potrebbe entrare nel merito delle contestazioni indirizzate al documentario da una parte della comunità scientifica in ragione di alcune omissioni, di alcuni dati non chiari, di alcune proiezioni sensazionalistiche; oppure si potrebbe analizzare l’impatto che questo documentario per altro di pregevole fattura (è il documntario che ha vinto 2 Oscar, non Al) ha avuto sul pubblico US e nel mondo. Johnson ad esempio ha visto il film in aereo tra l’Europa e il Nord-America: a 11.000 metri sull’oceano atlantico, pensare ad altro fa bene, anche se la distrazione è l’immagine ben delineata del collasso planetario venturo. Ci è stata chiesta una recensione sul film di Al Gore, The Inconvenient truth: tecnicamente però il film non è di Al, è con Al Gore, il film è di un certo Davis Guggenheim, facile da ricordare solamente se lo associate alla catena di musei d’arte. Al Gore, il protagonista, è uno spirito ecologico da sempre, recitano i suoi CV aggiornati ad oggi, almeno da quando ha tenuto banco in occasione della stesura del protocollo di Kyoto, che poi nessuno negli Stati Uniti ha mai osato sottoscrivere, o perchè è un grande bluff o perchè disturba solo i piani lungimiranti di sviluppo industriale. Al adesso è un cittadino, non un possibile ri-candidato democratico alle presidenziali US del 2012 come sussurrano dei maliziosi. Al è un cittadino modello, non un uomo d’affari che investe nel film, e sul suo cable/satellite channel Current TV. Non è una pop star, con il suo inquinante Live Earth e con il suo cachet di conferenziere da 20.000$ negoziabili l’ora, Al è il cittadino americano perfetto, che si è meritato il Nobel per la Pace e che tutti dovremmo volere come presidente. Il documentario è da vedere almeno per sapere di che morte moriremo. L’apologia che il buon cittadino Al fa di se stesso è patetica e incarna lo spirito strafottente del neoliberalismo dei buoni sentimenti.

AL(L) SO GORE or


Pier Paolo Pasolini Pietro II (in Poesia in forma di rosa, 1964, ora raccolta in Poesie e in Bestemmia, Garzanti, Milano, 1999), dedicata all’avvento dell’ultimo papa, romano, che sceglierà per sé, blasfemamente, il nome del primo papa, con cui si chiuderà il Cristianesimo, la Chiesa e il mondo, per la catastrofe apocalittica in cui si parla dell’«inizio della Nuova Preistoria»: Pasolini riprende la profezia di Malachia, taumaturgo arcivescovo irlandese del XII secolo, autore di una Lista dei 113 papi della Storia della Chiesa, da Celestino V all’ultimo papa, Pietro II, con cui finirà il mondo (l’attuale Benedetto XVI sarebbe il penultimo). Sull’ultimo apocalittico papa Pietro II si legga anche S. Quinzio, Mysterium iniquitatis, Adelphi, Milano, 1995, ma soprattutto l’ec-

Marco Ferreri, Il seme dell’uomo

(la Pietà michelangiolesca distrutta). E il ucciderla, cucinarla, e sfamare l’involontapapa, morente, che si pente di tutti i pec- riamente cannibale 6 Cino; e a nulla l’arrivo cati commessi di fronte a Dio, il fallimento sulla spiaggia desolata del cadavere di una stesso della Chiesa fondata dal primo balena, prefigurazione di morte, necroforipapa, Pietro I5, di fronte all’Apocalisse pe- ca nella lenta decomposizione (divorata da stilenziale, atomica, lucifèrica. uccelli, ne rimarrà un gigantesco, felliniano A poco serve l’istituzione di un Museo scheletro), ma anche del divieto di tracotandella Memoria sull’Umanità, memorandum za (Cino ne scatta una foto con la Polaroid, della Storia, allestito nella casa e che com- pensa sia Moby Dick e si crede il capitano prende i relitti umani ritrovati; quello che Achab, che non a caso prende il nome da emerge fin da subito, dentro l’umanità di un empio ebreo): Cino, finita l’Apocalisse, Cino, è l’esigenza di un figlio, la necessità droga Dora, e feconda l’ovulo. di fare un figlio che, dopo la Storia, finita l’Apocalisse, divenga un nuovo Adamo, per una nuova umanità; il figlio dell’ultima coppia della Storia, una Nuova Storia dunque, nata dopo l’Apocalisse, un’umanità arabafenice dunque, che rinasca dalle sue stesse ceneri. Cino e Dora, archetipi finali, si scontrano sull’esigenza o meno del concepimento, in uno scontro tra istinto (la procreazione) e ragione (il divieto), tra naturale e divino, tra immanente e trascendente, tra laico e religioso, tra totem e tabù, tra Bene e Male, dove la fecondazione è un Bene, dove la fecondazione è un Male, e il tutto dipende dall’(in?)esistenza di (un?) Dio. A poco serve l’arrivo del Servizio Amministrativo, funzionari statali Cavalieri Nell’ultimo indomani, Cino gioisce urlando Neri (d’altronde, dopo la fine della Storia, «Il seme dell’Uomo ha germogliato! Mille si è in un primitivo Evo Medio, e durante la figli, diecimila milioni di figli!» saltando fine di un’Apocalisse), accolti con varie do- attorno a un’impietrita Dora, che, in lacrimande sugli eventuali altri salvati, sfuggiti me, obietta «Non avevamo il diritto di farall’Epidemia (Peste, Lebbra, Tifo): nessuno lo»: sembra l’inizio di una nuova umanità risponderà, e a nulla servirà l’ordine impo- salvata, della Nuova Storia, ma la coppia sto alla coppia (e in particolare, a Dora) di salta letteralmente in aria, sulla spiaggia, procreare; Dora sa che non possono. ritornando sabbia, punizione divina7 del Il tempo passa e sembra non passare mai, sacrilegio dell’Uomo, ribelle contro l’Apoun’eterna pacem in terris in un luogo che calisse di un Dio vendicativo, e soprattutto, luogo non è, in un tempo che tempo non della Natura. La nascita di un figlio diventa ha: nemmeno l’avvistamento di un dirigibi- dunque la Morte, un coito equivale a morile rompe l’acronia/atopia: non è un dirigi- re8: come dieci anni dopo, quando Ferreri bile, ma è una terribile bottiglia gonfiabile gira il finale di Chiedo Asilo (1979), dove, Pepsi Cola, Merry Christmas vi è scritto, il maestro Roberto (Benigni), anche lui in relitto aereo di una civiltà del consumo spiaggia, torna nel Mare-Mamma, mentre annientata per sua stessa mano, dal suo il sole tramonta, e, a pochi metri, nasce stesso consumismo («Ma allora, esiste an- suo figlio; tra i gemiti del suo figlio neonacora New York?», si domanda speranzoso to Benigni padre muore, suicidandosi nel Cino), la natura che si rimpossessa di se mare, mentre sulla spiaggia, l’unico girinostessa distruggendo tutto ciò che è umano, spermatozoo sopravvissuto nella vasca, è civile, ma che natura non è. A nulla serve diventato rana-figlio, il cerchio della vita la rivalità di Dora per una misteriosa signo- che si chiude aprendosi, vagina dilatata e rina francese sopraggiunta nella spiaggia, chiusa, la Natura, naturalmente. contro cui lotterà per amore, finendo per

cellente articolo del poligrafico corsivista Filippo Ceccarelli, Il fosco presagio di Pietro il Romano, ne «La Repubblica» del 5/4/2005. 6 Sarcastico il dialogo di Ferreri, in cui Lui, mangiando la carne dell’ospite cucinata da Lei, le domanda che carne sia, gustandone la bontà, mentre Dora risponde “tu mangia”, proprio mentre si domanda che fine avrà fatto la signorina: il cannibalismo è un topos nel cinema di Ferreri, che ritorna protagonista nel satirico Come sono buoni i bianchi! (1987), fino alla conclusione della storia d’amore tra un Lui e una Lei ne La Carne (1991), dove Lei verrà orrendamente congelata nel freezer e mangiata perché non lo abbandoni mai. 7 Anche prendendo per buona l’ipotesi del giornalista Tullio Masoni, che ne motiva l’annientamento deducendo che Cino sia saltato su una mina, si può obiettare che sia comunque frutto di una volontà punitiva divina: noi si dissente però da siffatta interpretazione, in quanto, durante un’apocalisse nucleare, nulla giustificherebbe una mina vagante in spiaggia, e poiché Cino calpesta più volte il terreno dove esploderà (e davanti a cui vive da quasi un anno) sarebbe dovuto già esplodere prima. Se non vi convince l’ipotesi metafisica e siete terra terra, si veda il comunque valido T. Masoni, Marco Ferreri, Gremese, Roma, 1998. 8 «Non c’è procreazione senza morte», sentenzia il giovane filmologo Alberto Scandola nel suo Marco Ferreri, Editrice Il Castoro, Milano, 2004.

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L’ambiente è una sfida industriale* La catastrofe ecologica manifesta un disastroso rapporto con il mondo di Johnson&co. : johnsonico@yahoo.it

L’ecologia è la scoperta dell’anno. Per trent’anni è stata lasciata ai Verdi, se ne poteva ridere grassamente la domenica, per prendere l’aria interessata il lunedì. Ed ecco che ci raggiunge, che invade le onde come una hit dell’estate, perché a dicembre ci sono venti gradi. Un quarto delle specie di pesci è scomparso dagli oceani, il resto non ne ha per molto. Allarme influenza aviaria: si promette di abbattere al volo gli uccelli migratori, a centinaia di migliaia. Il tasso di mercurio nel latte materno è dieci volte superiore a quello autorizzato per il latte delle vacche. E queste labbra che si gonfiano quando

mordo una mela – e sì che l’ho presa al mercato. I gesti più semplici sono divenuti tossici. Si muore a trentacinque anni “di una lunga malattia” che si gestirà come si è gestito tutto il resto. Sarebbe stato necessario arrivare alle conclusioni prima che ci portassero là, al reparto 35 del centro di cure palliative. Bisogna confessarlo: tutta questa catastrofe, con cui ci intrattengono fragorosamente, non ci tocca. Almeno, non prima di averci colpito con una delle sue prevedibili conseguenze. Ci concerne forse, ma non ci tocca. Ed è qui la catastrofe. Non c’è una catastrofe ambientale, c’è questa catastrofe che è l’ambiente. L’ambiente è ciò che resta all’uomo quando ha

perso tutto. Chi abita un quartiere, una strada, una vallata, una guerra, un atelier, non ha ambiente, evolve in un mondo popolato di presenze, di pericoli, di amici, di nemici, di punti di vita e punti di morte, di ogni genere di esseri. Questo mondo ha la sua consistenza, che varia con l’intensità e la qualità delle relazioni che ci legano a questi esseri, a tutti questi luoghi. Non ci siamo che noi, figli della depossessione finale, esiliati dell’ultima ora – che veniamo al mondo in cubi di cemento, che raccogliamo frutti nei supermercati, che spiamo l’eco del mondo alla televisione – per avere un ambiente. Non ci siamo che noi per assistere al nostro proprio annientamento come se si trattasse di un semplice


cambio d’aria. Per indignarci delle ultime evoluzioni del disastro, per redigerne pazientemente l’enciclopedia. Quello che si è fissato in un “ambiente” è un rapporto al mondo fondato sulla gestione, ovvero sull’estraneità. Un rapporto al mondo per cui noi non siamo costituiti anche dal fruscio degli alberi, dagli odori di fritto nel palazzo, dallo scorrere dell’acqua, dal vocio delle lezioni a scuola o dell’umidità delle sere d’estate, un rapporto al mondo tale che c’è un Me e il mio ambiente, che mi circonda senza mai costituirmi. Siamo diventati “vicini” in una riunione di comproprietà planetaria. Non si immagina un inferno più completo. Nessun contesto materiale ha mai meritato il nome di environnement, a parte forse la metropoli. Voci elettroniche di annunci vocali, tram dal sibilo così “XXI secolo”, luci azzurrognole di riverbero a forma di fiammifero gigante, pedoni truccati da mannequin mancati (il termine francese mannequin significa sia manichino che indossatore, N.d.T.), rotazioni silenziose di una camera di video-sorveglianza, tintinnio lucido degli ingressi del metrò, delle casse dei supermercati, dei timbracartellini in ufficio, spazio elettronico di cybercafé, orgia di schermi al plasma, di vie rapide e di latex. Mai scenario ha fatto tanto a meno delle anime che lo attraversano. Mai spazio è stato così automatico, mai nessun contesto è stato più indifferente e ha voluto in cambio, per sopravviverci, una uguale indifferenza. L’ambiente non è che questo: il rapporto al mondo proprio della metropoli, che si proietta su tutto quello che le sfugge. La situazione è la seguente: abbiamo impiegato i nostri padri a distruggere questo mondo, ora si vorrebbe farci lavorare alla sua ricostruzione, e che sia redditizia. L’eccitazione perversa che anima ormai giornalisti e pubblicitari a ogni prova del riscaldamento climatico svela il sorriso d’acciaio del nuovo capitalismo verde, quello che si annunciava dagli anni ’70, che si aspettava e che non veniva. Eccolo, l’ecologia: è lui! Le soluzioni alternative: ancora lui! La salvezza del pianeta: sempre lui! Non c’è più dubbio, il fondo dell’aria

è verde, l’ambiente sarà il pilastro dell’economia politica del XXI secolo. A ogni pressione di catastrofismo corrisponde ormai una scarica di soluzioni industriali. L’inventore della bomba H, Edward Teller, suggerisce di polverizzare milioni di tonnellate di polvere metallica nella stratosfera per frenare il riscaldamento climatico. La Nasa, frustrata d’aver dovuto relegare la grande idea di uno scudo antimissile al museo delle fantasmagorie della guerra fredda, promette l’installazione, al di là dell’orbita lunare, di uno specchio gigante per proteggerci dagli ormai funesti raggi solari. Un’altra visione avveneristica: un’umanità motorizzata che viaggia al bioetanolo da San Paolo a Stoccolma; un sogno cerealicolo che implica ‘solo’ la conversione di tutte le terre arabili del pianeta in campi di soia o di barbabietola da zucchero. Auto ecologiche, energie pulite, consulting ambientalisti coesistono senza problemi con l’ultima pubblicità di Chanel tra le pagine patinate delle riviste d’opinione. È che l’ambiente ha questo merito incomparabile di essere, ci dicono, il primo problema globale che si presenta all’umanità. Un problema globale, cioè un problema per cui solo quelli che sono organizzati globalmente possono avere le soluzioni. E li conosciamo: sono i gruppi che da quasi un secolo sono all’avanguardia del disastro e contano bene di restarci, al minimo prezzo di un cambiamento di logo. Che EDF (Electricité de France, N.d.T.) abbia l’impudenza di ripresentarci il suo programma nucleare come nuova soluzione alla crisi energetica mondiale la dice abbastanza lunga su come le nuove soluzioni assomiglino ai vecchi problemi. Dai segretariati di Stato ai retrobottega dei caffé alternativi, le preoccupazioni si esprimono ormai con le stesse parole, che sono le stesse di sempre. Si tratta di mobilizzarsi. Non per la ricostruzione, come nel dopoguerra, non per gli Etiopi come negli anni ’80, non per il lavoro, come negli anni ’90. No, questa volta è per l’ambiente, che vi ringrazia… Al Gore, l’ecologia alla Hulot (ecologista e reporter francese, creatore nel 1990 della Fondazione Nicolas Hulot per la

natura e l’uomo, N.d.T.) e la decrescita si sistemano a lato delle eterne grandi anime della Repubblica per giocare il ruolo di rianimazione del piccolo popolo di sinistra e dell’idealismo ben noto della gioventù. Dietro lo stendardo dell’austerità volontaria, lavorano benevolmente a renderci conformi “allo stato di urgenza ecologica che viene”. La massa rotonda e viscosa della loro colpevolezza si abbatte sulle nostre spalle stanche e vorrebbe spingerci a coltivare il nostro giardino, a dividere i nostri scarti, a raccogliere e compostare “bio” i rifiuti del festino macabro nel quale e per il quale siano stati coccolati. Gestire l’uscita dal nucleare, le eccedenze di CO2 nell’atmosfera, lo scioglimento dei ghiacci, gli uragani, le epidemie, il sovrapopolamento mondiale, l’erosione dei suoli, la scomparsa delle specie viventi: ecco il nostro fardello. «A ciascuno il compito di incaricarsi dei propri comportamenti», dicono, se vogliamo salvare il nostro bel modello di civiltà. Bisogna consumare poco per poter ancora consumare, produrre “bio” per poter ancora produrre. Bisogna costringersi per poter ancora costringere. Ecco come la logica di un mondo intende sopravvivere, dandosi l’aria di una rottura storica. Ecco come si vorrebbe convincerci a partecipare alle grandi sfide industriali del secolo. Ebeti che siamo, saremmo pronti a saltare nelle braccia di quelli stessi che hanno presieduto al saccheggio, perché ci tirino fuori dai pasticci. L’ecologia non è solo la logica dell’economia totale, è anche la nuova morale del Capitale. Lo stato di crisi interna del sistema e il rigore della selezione in corso sono tali che serve di nuovo un criterio in nome del quale operare simili selezioni. L’idea di virtù non è mai stata, di epoca in epoca, che un’invenzione del vizio. Non potremmo, senza l’ecologia, giustificare l’esistenza attuale di due filiere d’alimentazione, una sana e biologica per i ricchi e i loro piccoli, l’altra notoriamente tossica per la plebe e i suoi discendenti promessi all’obesità. L’iper-borghesia planetaria non saprebbe far passare per rispettabile il suo modo di vita se i suoi ultimi capricci

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non fossero scrupolosamente rispettosi dell’ambiente. Senza l’ecologia nulla avrebbe ancora abbastanza autorità per far tacere ogni obiezione al progresso esorbitante del controllo. Tracciabilità, trasparenza, certificazione, eco-tasse, eccellenza ambientale, polizia/pulizia dell’acqua lasciano presagire lo stato d’eccezione ecologico che si annuncia. Tutto è permesso a un potere che si autorizza

in nome della Natura, della salute e del benessere. […] Finché ci saranno l’Uomo e l’Ambiente, tra di loro ci sarà la polizia. Il contributo è tratto da Comité Invisible, L’insurrection qui vient (Cercle sixième, La Fabrique, Paris, 2007) e tradotto arbitrariamente da Johnson&co., che rende, ad esempio, environnement con “ambiente”, perché si dovrebbe capire comunque di cosa si tratta. Ogni fraintendimento per estensione diventa comunque interessante. Tecnicamente, il termine environnement è specifico della prospettiva “ecologica”, del suo discorso, della sua logica.

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di Daniel Agami: Altrove@argonline.it

…La Natura, Naturalmente! (articolo a episodi) Francesco Guccini

(gl)i (s)consigli per chi (non) volesse pensare alla Natura in un rifugio antiatomico (full immersion tra libri, Cd, musicassette, videocassette, dvd e files televisivi) EPISODIO 3 (E FINISCE QUA!)

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LA CANZONE ITALIANA POPOLARE

Francesco De Gregori

Nella canzone popolare italiana sono presenti temi ambientali nel cantautorato più artistico: Francesco De Gregori realizza un disco che sa già di concept album sulla natura, Miramare 19.4.89 (1989), in cui una canzone può semplicemente descrivere il passaggio della Tramontana (Vento dal nulla), o del bosco che piano piano si riprende le strade, raccontate in un’anacronistica Lettera da un cosmodromo messicano, dove è la non-natura (il cosmodromo, che al pari dell’angiporto è tra le parole meno conosciute in lingua italiana) che ripara l’io narrante dalla Natura ritornata a prendersi spazio, ma soprattutto Miramare (di cui si consiglia il live in Bootleg, 1993), descrizione di un Olocausto naturale: Recuperarono le reti i pescatori, pieni di spazzatura, ed umiliati si ritirarono alla montagna dal mare, e avvicinarono la fiamma

alla foresta, fino a vederla bruciare, così ho visto altri uomini fare, e fare segno di tacere, fino a vederla bruciare D’altronde De Gregori aveva già realizzato, nel 1982, quel Titanic sulla sfida alla Natura del capitano Smith, concept album ispirato al poema L’Affondamento del Titanic di Enzensberger, e nel 1996 realizza la sua più bella canzone d’amore (altro che Donna Cannone), Baci da Pompei (nel disco della Rosa, Prendere e lasciare), ispirato al celebre abbraccio-amplesso immortalato dalla colata lavica del 79 d.C., dove i lapilli diventano simbolo di passione erotica, e dove Amore e Morte si fondono in un’unica allegoria, riportata qui sopra in epigrafe. Sull’incapacità dell’Uomo di vivere positivamente il proprio esistere nella Natura De Gregori scrive anche Il canto delle sirene, dal Moby Dick di Melville, nel 1987, e Le lacrime

Francesco De Gregori

Che passi il segno della Piena, su questo cuore, su questa schiena, 1 che si addormentino gli amanti, all’Ombra del Vulcano, “Possa bruciare per sempre la tua mano, nella mia mano, e consumarsi il mio destino, col tuo destino e questa pioggia ritorni vino, e questa cenere ritorni vino”

di Nemo-L’esplosione-La Fine nel 2005, dalle 20000 leghe sotto i mari di Jules Verne. Antonello Venditti prima di trasferirsi definitivamente sull’Urbe dedica forse la sua migliore canzone alL’Orso Bruno (nell’omonimo disco del 1973), Rino Gaetano rivela scorci di sensibilità inediti al Sud, tanto maltrattato dalle Politiche delle Mafie e delle democristiane Casse del Mezzogiorno, quanto provvisto di una naturalità arcaica, acronica, fatata (I tuoi occhi sono pieni di sale, Ad esempio a me piace il Sud, scritta inizialmente per Nicola Di Bari, Fontana Chiara), in un parallelo ideale con gli studi antropologici di Ernesto De Martino e con il film evangelico di Pasolini, girato in una Lucania desertica. Se Fabrizio De Andrè, con Inverno, riprende perfettamente la poetica letteraria settecentesca del Paesaggio-Stato d’Animo, non a caso nel suo disco dedicato alla Morte (Tutti morimmo a stento, 1970), Francesco Guccini con Il


Rino Gaetano

vecchio e il bambino (1972) realizza, sotto forma di favola, una canzone sulle conseguenze del Nucleare, in un amarcord di una natura che non c’è più, morta. È la stessa natura scomparsa al centro dell’Anidride Solforosa (SO2), canzone di Lucio Dalla nata dalla collaborazione tra l’istrione bolognese e il poeta Roberto Roversi: il testo poetico di Roversi, su una Tecnologia che sostituisce la Natura, narra un futuro dove «sapremo quante volte fare l’amore, o quante volte i fiumi in Italia traboccano» grazie agli elaboratori (un anticipo dei computer), da un presente dal mare con la barba tutta nera (lugubre anticipo del cormorano soffocato nel Golfo Persico inondato da macchie di petrolio, ai tempi della guerra in Kuwait del 1991) a un futuro dove l’uomo può vincere la morte solo morendo, di sua stessa mano, per una natura modificata dal vento dell’inquinamento, dal patrimonio forestale in distruzione (che aiuta la suddetta amministrazione a non amministrare più nulla), dove paradossalmente solo i cittadini di Philadelphia, l’America inquinata e male imitata, vivranno sotto un cielo tragicamente pulito. Roversi scrisse, per la musica e la voce di Dalla, anche Il motore del 2000 (1976), dove la Natura diventa Tecnica Artificiale, nel «motore dall’odore che non inquina» e che «lo potrà respirare un bambino o una bambina», Dalla proseguì, come autore unico, con Come è profondo il mare (1977). Negli stessi anni un ritorno alla Natura è scritto anche da Mogol (che non a caso prende il nome dal Gran Mogol delle Giovani Marmotte, variante disneyana dei boy-scouts) per le musiche e la voce di Lucio Battisti, cantautore da chitarra in spiaggia: i paesaggi-stati d’animo de I giardini di marzo («Fiumi azzurri, e colline, e praterie, dove scorrono dolcissime, le mie malinconie»), la gita bucolica reminiscente di un passato che non riesce a passare (l’eccezionale La luce dell’Est), la natura antropomorfizzata che dalla Pioggia nel Pineto di D’Annunzio rivive ne Il mio canto libero (1972), da La Collina dei Ciliegi (1973) alla casa-stato d’animo, che da Seneca torna, allo stato naturale brado, in Ven-

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do Casa (L’erba alta e il melo tutto da potare, 1971), fino a Dove arriva quel cespuglio (sic, 1976), dall’analogia celeberrima di Io Vorrei… non vorrei… ma se vuoi… 2 (1972) al wertmülleriano brano strumentale Seduto sotto un platano con una margherita in bocca guardando il fiume nero macchiato dalla schiuma bianca dei detersivi (1971). Se Battiato e Branduardi proseguono una ricerca teosofica, letteraria e linguistica sulla Natura a parte3, rimane Toto Cutugno, al Festival di Sanremo ’95, a chiosare ogni discorso sul conflitto Città/Natura con il tormentone bucolico-trash Voglio andare a vivere in campagna (a-ha, a-ha).

Ma nella rarissima esecuzione live di Baci da Pompei, all’Estragon Club di Bologna, dicembre 2002, l’autore la trasforma in «Che si accarezzino gli amanti, all’ombra del Vulcano», chiaro rimando ad una masturbazione reciproca, prima della Fine Naturale). 2 «Come può lo scoglio arginare il mare, anche se non voglio, torno già a volare, le discese azzurre, e le verdi terre, le discese ardite, e le risalite, su nel cielo aperto, e poi giù il deserto…». 3 Su Angelo Branduardi si rimanda all’intervista sulla Natura nella sua musica, che «Argo» ha realizzato per questa monografia, a p. 3. 1


L’acqua sorgente della vita: una risorsa della Terra, un diritto per i popoli Dall’Italia al Brasile, passando per Ginevra, il lungo cammino di una compagnia di ingegneri per la gestione partecipata ed efficace delle risorse idriche

Andrea Annessi Mecci

85 di Ingegneria Senza Frontiere Bologna

A metà del marzo 2005 un gruppo d’intrepidi della neonata Ingegneria Senza Frontiere (ISF) Bologna, non costituitasi ancora come associazione, ma già realtà attiva all’interno della facoltà e della società civile bolognese, si avventurò in territorio svizzero, per partecipare al secondo Forum mondiale sull’acqua, meglio indicato dalla sigla FAME (Forum alternativo mondiale dell’acqua). Tra i rifugi antiatomici che hanno garantito pernottamenti sostenibili finanziariamente, tra le testimonianze internazionali di volontari, esponenti di associazioni, militanti di base e cariche istituzionali, sul significato del loro impegno per l’acqua, e un incontro improvvisato con gli ISF di Barcellona, nel bar del Forum, assediato dalle voci di tutti gli altri partecipanti, ci siamo immersi nella realtà dell’incontro, tra assemblee,

dichiarazioni ed esperienze di vita. In punta di piedi siamo entrati in questa realtà cosmopolita, assolutamente difforme per estrazione sociale, identità culturale e appartenenza associativa, ma accomunata dal desiderio di costruire altri mondi possibili, con gesti concreti di responsabilità quotidiana e lotte condivise, mossi dall’impeto dell’indignazione verso una realtà impazzita, che riconosce il disfacimento come un processo inevitabile, per cui il miliardo e quattrocento milioni di persone al mondo che non hanno accesso all’acqua è una normale devianza. Aprire gli occhi e mettersi in cammino è quasi un moto dirompente e tutto sembra immediato, ma è solo camminando che possiamo accorgerci di quanto la strada sia lunga e difficile. Durante quel fine settimana abbiamo conosciuto la realtà del Ce.V.I., Centro di Volontariato Internazionale per la Cooperazione

allo Sviluppo, con sede a Udine, con cui abbiamo iniziato a collaborare all’interno del progetto P1MC. Questo progetto si inserisce all’interno del programma “Fame Zero”, promosso dal Governo Lula, e prevede la costruzione di un milione di cisterne per il Semiarido brasiliano (un’area geografica che coinvolge più di undici stati a clima semi-arido, dove l’acqua è una risorsa tanto preziosa quanto carente, N.d.R.). Il P1MC è sostenuto dal Comitato Internazionale per un Contratto Mondiale sull’Acqua, come iniziativa volta a garantire l’accesso alle risorse idriche basata sulle modalità della cooperazione decentrata, solidale, tra i cittadini dei paesi poveri e sviluppati, che, attraverso percorsi educativi e formativi, riconoscano l’accesso all’acqua come un diritto essenziale della persona e possano sperimentare, attraverso la raccolta e la potabilizzazione dell’acqua piovana, modelli di gestione sostenibile. Tale progetto prevede


Andrea Annessi Mecci

la realizzazione di cisterne per le famiglie di contadini, per la raccolta dell’acqua, in un’area della regione brasiliana soggetta periodicamente a siccità, e a questa azione viene associata una componente strettamente educativa, volta alla responsabilizzazione dei destinatari del progetto, che prevede la mobilitazione della società civile per la partecipazione attiva al programma e la creazione di meccanismi di promozione della partecipazione di cittadini alla gestione della risorsa acqua. Il progetto di ISF Bologna, di durata triennale, consiste in un monitoraggio della qualità delle acque presenti in una specifica area del Semiarido brasiliano, la “Vale do Jequitinhonha”. In questa area vengono effettuate analisi chimiche, fisiche e batteriologiche delle acque, con lo scopo di verificare la potabilità e la presenza di possibili inquinanti, dedicando particolare attenzione a quelle raccolte in cisterna e l’eventuale degradazione, a causa

84 del lungo periodo d’immagazzinamento. Il monitoraggio è stato progettato e avviato a febbraio 2006 anche grazie ad una tesi di laurea condotta da un nostro socio e sta continuando con spedizioni di altri volontari di ISF Bologna che operano in stretta collaborazione con i partner locali. Si collabora in un’ottica di condivisione dei saperi che alla fine dei tre anni, da un lato, produrrà la totale indipendenza dei partner locali nel mantenimento e nell’estensione del monitoraggio e, dall’altro, costituirà un’esperienza arricchente di ricerca sul campo e di sperimentazione nell’ambito delle tecnologie appropriate. Tale monitoraggio inoltre ha lo scopo politico di contribuire concretamente all’acquisizione di un diritto fondamentale: il diritto all’acqua per tutti i popoli. La partecipazione all’interno del progetto, il contatto con le realtà di base brasiliane e con i comitati per il contratto mondiale

sull’acqua ci hanno reso coscienti della necessità per ISF di agire come società civile, affinché si possa effettivamente costruire e realizzare la giustizia sociale. Rispondere a delle necessità primarie, attraverso specifici progetti di sviluppo, è un’azione concreta che rappresenta la base per un approccio pedagogico attivo, allo scopo di promuovere un insieme di pratiche che hanno come obiettivo il cambiamento attraverso un lavoro strutturale, culturale e politico. Riconoscere tra i nostri principi fondanti la sostenibilità inter-generazionale, ossia la solidarietà tra le generazioni presenti e future, implica il rifiuto dell’attuale modello di mercificazione e privatizzazione della risorsa acqua che riconduce il cittadino a consumatore in competizione con gli altri: questa è la società costretta all’orgia del mercato, che disaggrega e rende i suoi partecipanti aggressivi e individualisti. Costruire un altro modello di sviluppo per


Giovanni Tagliavini

Cancro, chi sei? C

Minimo manuale diagnostico e terapeutic di Vincenzo Allegri

Tumori benigni e maligni In italiano “cancro” e “tumore” sono sempre stati sinonimi. Ma ormai nel linguaggio scientifico si tende sempre più ad utilizzare la definizione anglosassone, che distingue i due termini cancer e tumor. Con “cancro” (cancer) si parla di tumori maligni mentre il termine “tumore” (tumor) rimane per i tumori benigni. I tumori benigni sono masse di cellule a crescita tendenzialmente lenta che non infiltrano i tessuti circostanti e che non danno localizzazioni a distanza (le metastasi), anche se possono ripresentarsi dopo la loro asportazione, in una forma detta “recidiva”. I tumori maligni in genere hanno una crescita più rapida, infiltrano i tessuti vicini e danno metastasi a distanza attraverso due vie. La via linfatica, costituita dai linfonodi, cioè le ghiandole che servono per la difesa immunitaria contro le malattie. La seconda via è quella ematica, ovvero quella del flusso sanguigno che arriva a tutti gli organi. La malattia infatti si dissemina in

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la pace, la stabilità e la convivenza civile tra popoli e comunità, implica una domanda aperta e sempre presente, vero motore dell’educazione, della responsabilizzazione e della trasformazione. Riconoscere l’acqua come un diritto, e non come un bisogno che il mercato soddisfa, considerare l’acqua come bene comune, patrimonio dell’umanità, non una merce, in preda a interessi privati, vedere le persone come cittadini attivi, da coinvolgere in una gestione pubblica, solidale e partecipata dell’acqua, non come semplici consumatori, è una delle linee guida nel nostro cammino, in cui rimangono aperte altre domande. Anche in Italia si stanno promuovendo iniziative in questo campo: in particolare, il Comitato Italiano per il Contratto Mondiale sull’Acqua sta

promuovendo una Legge d’Iniziativa popolare, proprio sui temi illustrati, a cui noi, come ISF Bologna, abbiamo deciso di aderire. Essere “ingegneri senza frontiere”, al di là del senso più ovvio che rimanda al superamento dei confini geografici e culturali, significa mettere in discussione tutte le altre barriere di ordine economico, sociale e politico, che portano a creare le altre frontiere della disuguaglianza, e mettersi in gioco, in prima persona, per un’effettiva realizzazione dei diritti delle persone, attraverso il

governo partecipato dei beni comuni. info: http://isf.ing.unibo.it


co contro un mortifero scherzo di natura

Giovanni Tagliavini

Chi ti ha mandato? tutto il corpo, ma poi attecchisce solo negli organi, o nell’organo più predisposto, dove c’è un ambiente più adatto alla sua crescita. Evoluzione Il cancro deriva da uno o più mutazioni genetiche che attivano geni detti “oncogeni” o disattivano altri geni detti “antioncogeni”. Gli oncogeni sono geni normalmente attivi solo durante la vita embrionale. Essi servono, in altri termini, per lo sviluppo del feto all’interno della placenta. Quando questo è terminato gli oncogeni vengono “addormentati”. Tale stato di quiescenza è attuato o da un loro blocco diretto oppure da un blocco indiretto operato da un altro gene il quale, proprio per questa sua funzione, è detto “antioncogene”. Se nel Dna avviene la riattivazione di uno o più tipi di oncogeni, ecco che può svilupparsi un tumore. Gli oncogeni sono presenti nel Dna dall’era fetale e, ritornando attivi fuori dalla pancia materna, determinano nel corpo umano la crescita caotica delle cellule che li contengono. Le nuove cellule vanno così a danneggiare l’organo, che non riesce più a funzionare e si ammala. I fattori che predispongono allo sviluppo di un cancro sono molti. C’è, per esempio, il contatto con sostanze chimiche cancerogene o con radiazioni ionizzanti (gamma; X; ultravioletti ad alta energia), uno stato di infiammazione cronica di un organo o di un apparato, oppure l’azione di virus che danneggiano il Dna o vi inseriscono un oncogene detto V-Onc. In generale, questi fattori possono riattivare gli oncogeni, oppure eliminare gli antioncogeni determinando la mutazione cellulare descritta sopra. Un’altra condizione che predispone al cancro è l’immunosoppressione (in particolare la mancanza di linfociti). Il sistema immunitario nelle prime fasi dello sviluppo del tumore è in grado di riconoscere ed uccidere le cellule mutate. Per questo i malati di AIDS, colpiti da immunodeficienza, sviluppano più

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facilmente tumori, anche di quei tipi normalmente rarissimi. Oltre che dall’HIV l’immunosoppressione è una malattia favorita da diversi fattori, come lo stress o particolari sostanze chimiche. Abbiamo parlato di evoluzione del cancro e quindi appare doveroso descrivere almeno in parte questo processo. Numerosi modelli sono stati proposti per i diversi tumori, ma in genere il più adatto ad una spiegazione appare quello del cancro del colon nel quale si attraversano nel modo più lineare i diversi passaggi della malattia. Tali passaggi coinvolgono il polipo, una piccola massa che cresce dalla parete dell’intestino. L’evoluzione del polipo a cancro prevede una serie di fasi. Ad ognuno di questi passaggi corrisponde un tipo di tessuto leggermente diverso, dato di volta in volta da una nuova mutazione delle cellule, che si fa sempre

più maligna fino a diventare tumorale. In ogni fase c’è un inasprimento della proliferazione delle cellule malate. Prevenzione Il mezzo più efficace per difendersi dal cancro è la diagnosi precoce, proprio come dice il detto “prevenire è meglio che curare”. Oggi diverse tecniche favoriscono la individuazione del cancro ancora in uno stadio iniziale. In questa condizione la cura è limitata alla sola asportazione chirurgica, senza bisogno di chemioterapia o radioterapia. A tutt’oggi i test attuabili sulla popolazione sana sono: PAP TEST: per i tumori della cervice uterina (prelievo di cellule tramite tampone). Mammografia: per i tumori della mammella (radiografia ad elevata risoluzione). PSA del sangue: tumore della prostata


Liliya Yuryevna Brick

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(prelievo sanguigno). Valutazione genetica: si utilizza solo nel caso si abbiano famigliari di primo grado già colpiti da tumori ereditabili, come nel caso della MEN o di alcuni tumori della mammella o intestinali. Colonscopia: per i tumori del colon. Compiuti i 50 anni è raccomandabile ogni cinque anni, una volta all’anno. Ma già da prima se un parente di primo grado ne è stato colpito. RX (radiografia) e TC (tac) del torace nei forti fumatori o negli esposti a sostanze tossiche per via inalatoria. Terapia del tumore La terapia del tumore ovviamente cambia a seconda dei tipi di tumore. Le possibilità al giorno d’oggi sono molteplici: Resezione chirurgica: nei tumori solidi serve a ridurre l’effetto massa tumore e permette una corretta stadiazione della malattia. Chemioterapia e Radioterapia Neoadiuvante: precede l’intervento chirurgico ed ha come scopo la riduzione della massa tumorale per renderla operabile. Chemioterapia Adiuvante: segue l’interven-

to chirurgico e cerca di prolungare il periodo di vita del paziente (non è curativa ma “tiene a bada” la malattia). Radioterapia Intraoperatoria: si colpisce la zona operata con un fascio di elettroni accelerati che distruggono eventuali cellule tumorali residue. Radioterapia “classica”: si colpisce la zona tumorale con un fascio di raggi X, allo scopo di bonificarla dalle cellule tumorali (può essere combinata alla chemioterapia o essere usata autonomamente). Brachicourie Terapia: consiste nell’inserire nelle cavità umane (utero, prostata, vulva, gola) delle barrette radioattive che distruggono il tumore a breve distanza. Immunoterapia: si iniettano degli anticorpi che vanno a colpire il tumore ed inducono il sistema immunitario a distruggerlo; inoltre aiuta la chemioterapia nella sua azione. RadioImmunoterapia: si lega un atomo radioattivo (isotopo) ad un anticorpo che quindi lo veicola al tumore distruggendolo. Radioterapia Metabolica: si inietta un atomo radioattivo che viene assorbito prevalentemente dal tumore, provocandone la distruzione (esistono molte Radioterapie

Metaboliche, la più conosciuta utilizza l’atomo 131 Iodio nel tumore differenziato della tiroide). Terapia genica: è ancora in fase di sperimentazione e consisterebbe nell’iniettare un Virus progettato in laboratorio che entra nelle cellule e blocca gli oncogeni attivi nel tumore. In teoria sarebbe la cura definitiva per ogni tumore, tuttavia i risultati sono per il momento deludenti. Molte ricerche e sperimentazioni devono essere ancora effettuate prima di un reale utilizzo clinico della metodica. Sostegno psicologico: da non trascurare per una corretta cura del paziente è l’approccio psicologico. Questo agisce rendendo più sopportabile al paziente oncologico la sua condizione di malato cronico oltre a migliorarne la qualità della vita. La serenità e la speranza contribuiscono ad attivare il sistema immunitario contro il tumore dando un valido aiuto alle terapie mediche.


mattia santini

Siracusa e il suo petrolio tossico Nati malformati e malati di cancro. L’impatto ambientale delle raffinerie siciliane è devastante. Ma tutti tacciono, in nome del profitto più che del progresso

Giuseppe Colomasi : elved@hotmail.it

Il mio professore del ginnasio lo chiamava “il Sacco Democristiano a Siracusa”. La prima raffineria la costruirono nel 1949, grazie agli investimenti del cavaliere Angelo Moratti, in quella lingua di costa dove un tempo esisteva un piccolo borgo di pescatori chiamato Marina di Melilli e dove esistevano anche i resti archeologici, d’epoca neolitica, delle civiltà di Thapsos e di Megara Hyblea. Cogliendo al volo le prospettive imprenditoriali offerte da una zona ad alta intensità di manodopera ignorante e a basso costo, che aveva subito da poco un’invasione e dove il forte radicamento nel territorio di organizzazioni mafiose permetteva di intraprendere un’agevole politica industriale molto al di là dei vincoli sindacali ed ecologici imposti in altre parti d’Italia, dal ’49 al ’75 si costruirono nei quaranta chilometri di costa compresi tra i comuni di Augusta, Priolo Gargallo, Melilli e Siracusa (Marina di Melilli era stata semplicemente rasa al suolo) ben dieci impianti, di cui cinque raffinerie: Esso, Agip, Eni-

Chem, Isab, Sasol, seguiti da altri cinque media nazionale dell’1,54%; dal 1990 al per la lavorazione dei derivati del petrolio 2000 la media salì fino al 3,18% con un picco per l’anno 2000 del 5,6% di nati malprodotti dalle raffinerie stesse. Le analogie con quanto accade oggi con formati. A questi sono da aggiungere nel l’esportazione delle attività industriali più 2002 nove casi di sclerosi laterale amioinquinanti nei paesi sottosviluppati sa- trofica e dei casi di sindrome di Goldemar, rebbero scontate; nel frattempo i nostri una patologia abbastanza rara dovuta alle nonni, per non finire a fare i picciotti di intossicazioni da mercurio nelle gestanti. qualche boss, si arruolavano numerosi Furono oltre un centinaio le famiglie che tra le fila del colosso milanese del petro- nei primi anni novanta ricevettero dall’Erg lio Rasiom. Nasceva il polo petrolchimico somme di denaro che oscillavano fra i quindicimila e il milione di euro in base più grande d’Europa. Le ricadute furono immediate: dal 1951 alla gravità della patologia causata dagli al 1961 il reddito pro-capite della popola- inquinanti. Tutte le malformazioni furono zione locale aumentava del 12% rispetto accertate, ma per nessuna seguì un proall’8% nazionale. Attraverso l’immigrazio- cesso. Alla luce di questi dati, l’Organizzane interna s’incrementò la popolazione zione Mondiale della Sanità porta avanti dei centri attorno al polo industriale, con negli anni 1990/1994 un’indagine sul terconseguente urbanizzazione abusiva e ritorio del triangolo, riscontrando oltre alle scarsamente sostenibile. Siracusa passò malformazioni dei neonati, un eccesso di di botto da paese di pescatori e piccoli mortalità negli adulti per patologie tumorali pari al 10% rispetto alla media regionale, negozianti a centro industriale. Nel 1980 cominciarono ad Augusta le mentre per il tumore ai polmoni la media prime segnalazioni di bambini nati mal- saliva al 20%. Tumore ai polmoni. Sempre più spesso se ne sente parlare, ma il più formati. Dal 1980 al 1989 i nati malformati furono delle volte si finge di ignorarne le cause e per la città di Augusta l’1,9% contro una il significato, sia perché tra tutti regna la

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più sicula e tradizionale delle omertà, sia perché il polo petrolchimico è considerato tutt’oggi un fattore di sviluppo per la zona. Il punto della questione non è mettere in dubbio la parola “sviluppo”, ma cercare di affiancarle, anche in Sicilia, l’aggettivo “sostenibile”. In effetti, la tipologia di sviluppo che da cinquant’anni si porta avanti nella zona del siracusano non può definirsi minimamente sostenibile, per la negligenza con cui le amministrazioni industriali e politiche hanno gestito il rapporto fra industrie territorio e popolazione. Solo nel 2003 la Procura della Repubblica di Siracusa apre un’inchiesta sullo smaltimento dei rifiuti tossici da parte dello stabilimento Eni-Chem di Priolo, in seguito a una serie di strani fenomeni registrati dagli abitanti, nell’area adiacente al petrolchimico. Tali fenomeni possono essere rappresentati dalla comparsa, il 10 settembre 2001, di una gigantesca macchia rossa del diametro di svariati metri nel mare antistante lo stabilimento, dovuta all’altissima concentrazione in quelle acque di metalli pesanti industriali: mercurio, nichel, bromo, nonché di acido solforico. Conseguente moria

di pesci. Altro fenomeno alquanto sinistro si verificò il 23 febbraio 2002, quando dalla trivella sul fondo agricolo di un piccolo agricoltore, venne fuori benzina miscelata con acqua. In seguito alle indagini del 2003 furono rinvenute nelle acque di Siracusa concentrazioni di mercurio 20.000 volte superiori al normale, nonché un foro di 70 cm praticato nella vasca 401A dello stabilimento Eni-Chem che scaricava il mercurio direttamente in mare anziché convogliarlo nell’impianto di demercurizzazione. Come mai nessuno ne sapeva niente? Perché fino a qualche anno fa l’esclusiva sul monitoraggio del territorio inquinato era ad appannaggio delle industrie stesse, attraverso un ente interno e privato molto all’avanguardia chiamato CIPA. A Siracusa il cancro ammazza più degli incidenti stradali, ma in base ai rilevamenti sulla qualità dell’aria registrati dal CIPA, tali dati sarebbero del tutto inspiegabili poiché l’aria di Siracusa risulta pulita. Ebbene nonostante per il CIPA l’aria fosse pulita e la zona non a rischio, il 4 novembre 2004 una nube tossica avvolge per intero il cielo di Melilli. Si cominciano ad avvertire bruciori

agli occhi, alla trachea, vomito e cefalea. Alle 19:30 si raggiunge l’apice. L’aria diventa irrespirabile e l’intera cittadinanza è nel panico, fioccano i ricoveri in ospedale e le chiamate alla Croce Rossa. Ma non parte nessun piano d’emergenza perché la nube non viene rilevata dai sistemi di rilevamento del CIPA e quindi ufficialmente non esiste. Niente allarme, niente soccorsi, non ne parla nemmeno il telegiornale. Qualche giorno dopo il prefetto ordina un vertice con le massime autorità territoriali, in cui i dirigenti delle varie aziende dichiarano uno dopo l’altro la propria estraneità all’accaduto. Ma l’illuminazione degli astanti viene compiuta da un tecnico CIPA, il quale dichiara in assemblea che l’evento di Melilli probabilmente è da imputare a uno stato di emotività collettiva. In seguito ai fatti, a qualcuno viene l’idea di istituire un sistema di monitoraggio alternativo al CIPA e magari anche pubblico, gestito dalla Provincia Regionale di Siracusa e dall’ENEL, appoggiato a dei tecnici dell’ARPA. Chiunque può verificare l’attendibilità di quanto dico confrontando i dati sull’ambiente disponibili su www.cipasr.it,


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con quelli pubblicati nell’Annuario dei dati ambientali Sicilia 2005 dall’ARPA. Prego di prestare particolare attenzione alle tabelle riguardanti le concentrazioni nell’aria della provincia di Siracusa di benzene, biossido di zolfo, biossido di azoto, ozono e PM10. Per quanto i dati di rilevamento ARPA possano essere senza dubbio più veritieri di quelli registrati dal CIPA, è comunque da segnalare il fatto che tali rilevazioni vengono effettuate, per mancanza di sufficienti sistemi di rilevamento, non per il tempo prescritto dalla normativa ma solo per centocinquanta giorni l’anno. Pertanto è da considerare che probabilmente i valori siano piuttosto superiori a quelli registrati dallo stesso ente pubblico. Questi sono i fatti. Molti sono i politici che latrano e che si fanno eroici portavoce di prototipi di ecologia teorica, perché comunque è un tema di discussione alla moda, gettonatissimo nei salotti “buoni”, frequentati da ex- pescatori, ora parvenu prestati alla cosa pubblica. Come se non bastasse, l’industria petrolifera siciliana non pare destinata alla chiusura, anzi forma delle rigogliose metastasi anche in territori che prima erano scampati, come la valle di Noto e i suoi scrigni barocchi, di recente saccheggiati da trivelle per estrarre lo sporco greggio siculo. Per cercare di superare la sua tradizionale arretratezza la Sicilia ha avuto bisogno dell’industria petrolifera. Ma quant’è costata? Il disastro ambientale, che sta avendo luogo a Siracusa e oltre, è la dimostrazione che il territorio e la popolazione non sono in grado di sostenere l’impatto con l’industria. Oltre a un auspicabile quanto utopico smantellamento, sarebbe già qualcosa se si sensibilizzasse la cittadinanza, anche a Siracusa, sul significato della parola “ecologia”. Ma l’ecologia non interessa i siciliani, l’importante è che i rifiuti tossici non siano buttati per strada o davanti alla casa del sindaco. Ci pensa la mafia a sistemarli. Ma il fatto che esista la mafia per “sistemare” illegalmente gli scarti industriali non è già un fattore che distrugge all’origine ogni proposito di convivenza ecologica tra industria e territorio? Ciò non vuol dire forse che la Sicilia non è in grado di sostenere senza auto-distruggersi questo tipo di industria? In fine, a tutti coloro che continuano ancora oggi a pensare che l’industria petrolchimica sia una risorsa da non sottovalutare per lo sviluppo della regione, do un consiglio dal sapore sentimentaloide. Vi consiglio di dormire almeno una notte, in vita vostra, nella stessa stanza con un malato terminale di tumore al polmone e di ascoltare attentamente il suono delle sue urla e dei suoi lamenti. Ascoltatele attentamente perché quelle urla hanno un nome e dei responsabili, tutte, come gli stabilimenti.

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Brevettare la vita

La privatizzazione del DNA

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77 di Fabio Orecchini : fabio.orecchini@wanadoo.fr

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a nascita della Bio-economy me la sono sempre immaginata come uno scambio di battute tra un genetista del Massacchussets e un investitore della new economy, ubriachi di bourbon, che discutono in maniera goliardica di privatizzare la vita. Genetica e potere economico. Come fosse un gioco. In fondo l’uomo è pienamente uomo unicamente quando gioca, dicevano Schiller e Ricoeur. Ma cosa succede quando a giocare sono le banche e le multinazionali farmaceutiche e la posta in gioco è la Natura? Al giorno d’oggi un quinto dei geni del nostro corpo sono di proprietà privata. Più di venti patogeni, compresi il virus dell’influenza e quello dell’epatite C sono proprietà privata. Ma cominciamo dal principio: cosa si intende per brevetto? I brevetti sono sempre stati, e continuano ad essere, immaginati come

il diritto del singolo individuo “creatoreinventore” a vedersi riconoscere la proprietà intellettuale su di una singola invenzione. Si pone così il primo fondamentale problema: il “sapere” è un patrimonio comune che riguarda tutta la collettività, che si fonda sullo scambio, sull’interazione, sulla comunicazione all’interno della stessa e che procede, da secoli, per accumulazione. Questi processi non possono essere distinti dalla società, dal tessuto sociale in cui prendono vita. Isolare il sapere, brevettandolo, lo rende, in un sistema post-industriale neoliberista, dapprima un capitale, poi una merce ed infine uno strumento di controllo dei mercati stessi (in quanto merce può essere venduto e l’acquirente ne detiene il monopolio), rafforzando, qualora ce ne fosse ancora bisogno, posizioni di dominio e rendendo infinitamente più onerosa la possibile fruibilità di questo bene. In molti casi vitale. Ma cosa succede se si considera il viven-

te alla stregua di un’invenzione? L’evento cruciale, che risale al lontano 1988, è stata la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha attribuito all’ufficio brevetti americano (US Patent Office) la prerogativa di concedere brevetti sul vivente. Decisione ratificata politicamente nel 1992 da tutti gli organismi sovranazionali, dal Fondo Monetario Internazionale alla Banca mondiale al Wto, venendo così globalmente accettata. Ora, per citare alcuni casi emblematici, l’American Biocyte detiene il brevetto su tutte le cellule di cordone ombelicale dei feti e dei neonati, la Myriad Pharmaceuticals, dopo aver brevettato il gene contro il cancro al seno, dispone del monopolio diagnostico di questo gene brevettato (un test per i geni BRCA costa tremila dollari), la Amgen ha acquistato nel 1994 per “soli” 90 milioni di dollari il brevetto del gene dell’obesità dalla Rockfeller University (che ora credo sia diventata definitivamente degna di questo nome), ma considerando che soltanto gli americani spendono ogni anno 30 miliardi di dollari in pillole dimagranti e tenuto conto del sistema alimentare americano, possiamo immaginare di che tipo di affare stiamo parlando (mi faccio un hot dog e mi sparo un pillolone, hamburger e patatine + pillolone, Bud e Hot dog + pillolone...). Ora io credo sia assolutamente necessario distinguere, da una parte, la grande carica positiva che la genetica contemporanea è in grado di apportare al vissuto umano in termini di conoscenza e salvaguardia del nostro Io biologico (ad esempio capire in che modo l’informazione contenuta nel Dna del genoma “produca” un essere vivente;


II capitale è ora alla ricerca di nuove colonie da invadere e sfruttare per la sua accumulazione: gli spazi interni del corpo degli uomini, delle donne, le piante e gli animali: la natura, intesa nel suo senso più ampio, l’unico possibile. La rivoluzione genetica, intesa come manipolazione delle forme di vita a livello del loro patrimonio genetico, avvenuta con la nascita e lo sviluppo delle biotecnologie, e la concessione di brevetti sulla vita sono l’espressione ultima e più compiuta della mercificazione prima e della commercializzazione poi, della Natura stessa. Così mentre l’ingegneria genetica è modellata sul determinismo e sulla preve-

dibilità, I’indeterminismo e l’imprevedibilità sono le caratteristiche distintive della manipolazione umana degli organismi viventi, con tutti i rischi che non ci è dato nemmeno immaginare. Senza considerare, inoltre, che tutto questo “manipolare” non fa che assimilare l’uomo a un dio (immaginiamo Dio che mette il copyright su Adamo) con tutte le conseguenze etiche, antropologiche, filosofiche, ma soprattutto reali, naturali, che ne derivano. Conseguenze che minacciano l’esistenza stessa della natura.

David Altmejd, The Index, 2007 Venice Biennale, Canada Pavilion. Curator: Louise Déry, Galerie de l’UQAM, Montreal | Photo: Mattia Santini | Courtesy Andrea Rosen Gallery, New York and Stuart Shave | Modern Art, London | © David Altmejd

rivelarne le mutazioni, causa di alcune gravissime malattie, realizzando nuovi modi di curarle) e, dall’altra, i crimini e le oscenità che il connubio recente tra potere e biotecnologia sta generando, con impatti devastanti sull’agricoltura (Ogm, monoculture, impoverimento della terra, biopirateria e via dicendo) e sul diritto alla vita e alla salute, ovvero sull’unica eredità comune a tutti gli esseri viventi. I giocatori hanno imposto le proprie regole. La Natura – svilita – è la loro posta in gioco. L’atmosfera, la terra, le foreste, i fiumi, gli oceani sono stati tutti colonizzati, privatizzati, sfruttati e irrimediabilmente impoveriti.

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Divieto di uguaglianza! La legge fisica è uguale per tutti

di Olga Patti: olga.patti@hotmail.it ericailcane, opera tratta da blu / ericailcane, 25 disegni | Zoo, Donnabavosa, Modo Infoshop, 2004, ristampa 2007

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La Biodiversità è l’assicurazione sulla vita stipulata da Madre Natura per salvaguardare se stessa, cioè ogni essere vivente che voglia esistere e ovviamente riprodursi. La diversità biologica non riguarda soltanto gli animali che occupano i principali livelli della catena alimentare, come l’uomo, ma arriva fino ai microrganismi (basti pensare al virus dell’influenza), alcuni tanto innocui per l’uomo quanto pericolosi per gli altri animali. La Biodiversità è una caratteristica di tutto l’Ambiente: certo le piante sono autotrofe (cioè capaci di produrre sostanze nutritive a partire da materiali inorganici, N.d.R.), ma necessitano comunque di un terreno su cui affondare le radici, un substrato fertile, ricco quindi di agenti decompositori. Ed ecco che riemerge il bio-circolo: ogni livello di organizzazione superiore dipende strettamente dalla ‘plasticità’ di quello inferiore. Notare che la terra sta cambiando non vuol essere un presagio allarmistico e apocalittico, ma un invito a considerare le mutazioni che stiamo apportando, noi, una specie in grado di imporsi sulle altre. I dinosauri che oggi riempiono i musei sono il monito di come ci si possa anche non adattare all’ambiente mutevole. A differenza loro, però, noi esprimiamo comportamenti culturali e non solo genetici: insomma, siamo ancora in tempo per cambiare atteggiamento ed evitare l’estinzione. A volte si nota nell’opinione pubblica un certo dolore estetico per la natura compromessa, per i paesaggi deturpati dal cemento, per gli animali a rischio o estinti, ma qui non è più questione di disagi romantico-nostalgici, nati magari guardando le puntate di Heidi o le pecorelle al pascolo a fianco dell’autostrada. La Biodiversità è un diritto sancito dalla Convenzione Onu firmata a Rio de Janeiro nel giugno del 1992: in essa si afferma il valore intrinseco della Biodiversità e dei suoi vari componenti (ecologici, genetici, socio-economici ed estetici). Peccato che la Convenzione non abbia potere coercitivo come le regole sul mercato decise dal WTO: i trattati ambientali non possono essere indipendenti dal governo mondiale dell’economia. Tanto più

che certe scadenze e certi argomenti vengono rimandati proprio da persone, rappresentanti dell’intera Umanità, che senza aria condizionata non si siedono neanche a discutere sul perché aumentano le temperature e danno tutta la colpa a questa bischera biosfera che non vuole scendere a patti con la qualità della vita! Molti Stati si sono impegnati a ridurre in modo significativo la perdita di biodiversità entro il 2010: l’IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura) ha lanciato l’iniziativa Countdown 2010 con l’obiettivo di sensibilizzare e di ricordare ai vari governi gli impegni presi. Noi, però, non possiamo stare con le mani in mano: a questo punto si deve riflettere sul tipo di progresso da conseguire e cominciare a tracciare un saldo fra profitti e perdite, perché le seconde stanno superando ampiamente i primi.


NaturalCultura Breve cronistoria della natura umana con assaggio di Stagioni famose

Majakowskij, Sostakovic, Mejerchol’d, Rodcenko

di Samuel Manzoni : myskyiscrying@yahoo.it

C’era una volta un’astronave di nome Terra che esplorava le galassie, sotto il comando del suo coriaceo equipaggio umanoide. La convivenza non era forzata ed entrambi si ammiravano: il globo, forte di un’ottima salute, offriva cibarie, acqua e leccornie varie, mentre gli uomini si occupavano di come gestirsi tra loro, e allo stesso tempo, garantivano alla terra di comportarsi da buoni ospiti senza deturparla con tecnocrati deliri esistenzialisti. Questo sodalizio si protrasse per secoli fino a quando gli uomini, stanchi di percorrere centinaia di chilometri con mezzi di poca comodità come i propri piedi, i cavalli o le imbarcazioni traballanti, giunsero ad una conclusione: «Inventiamo qualcosa che possa limitare la nostra pigrizia!», e da quel momento tutti noi sappiamo come si

evolsero i fatti. L’acciaio delle ferrovie iniziò ad insinuarsi nella terra battuta, le industrie, colte da spasmodica ansia, volsero lo sguardo in direzione del nuovo Dio, quello monetario. Fumi iniziarono a disperdersi nell’aria e alcuni uomini iniziarono a tossire; poi arrivarono le nuove guerre tecnologiche, nacque il nucleare, le ditte di detersivi iniziarono a scaricare nei fiumi le proprie scorie e furono testate nuove bombe negli oceani. Ci fu qualcuno convinto che questo non danneggiasse la Terra mentre quella, disturbata dalla babelica confusione degli uomini, iniziò ad ammalarsi seriamente, e dal momento che nessuno sentiva il suo persistente lamento, iniziò a comportarsi in modo insolito a causa dei danni irreversibili che gli erano stati cagionati. Ora non si può più tornare indietro, e alcuni uomini stanno cercando di mettere un grosso cerotto, in modo da limitare le ferite, e un enorme termometro per monitorare la

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febbre, ma questi tentativi in extremis salvano il salvabile. C’era un tempo, invece, in cui l’uomo rese omaggio alla bellezza della Madre Terra con l’arte, dalla musica barocca alle tele dei pittori naturalisti. Nel lontano 1678 a Venezia, nacque Antonio Lucio Vivaldi, compositore capace di rivoluzionare e innovare la musica del suo tempo. Grazie all’originalità indiscussa dei suoi dodici concerti (che formano Il Cimento) e alla popolarità conquistata dai primi quattro (ovvero le famosissime Quattro stagioni) l’autore introduce un innovativo uso del costrutto sonoro, modellato dal colorismo posto agli archi. L’ingegno di Vivaldi si realizza tramite nuovi timbri e nuovi accostamenti, che vedono l’utilizzo di tutte le tecniche d’arco: dall’energia degli unisoni sprigionati per la tempesta alla sordina per indicare il canto beato degli uccelli. La struttura ritmica e formale dei concerti assume un aspetto “antiaccademico”, rivolto per lo più a una ricerca melodico-armonica in grado di sprigionare un’espressività nuova, capace di essere accolta anche dal grande pubblico (e non solo da attenti esperti). Il primo e il più celebre

dei quattro concerti è la Primavera, sia per il suo indimenticabile ritornello che per gli interventi solistici dei violini a rappresentare il cinguettio degli uccelli e lo scorrere dell’acqua, fino all’episodio dei tuoni e dei lampi, realizzato dall’uso costante di una singola nota ribattuta con esasperante violenza. A seguire il largo, che crea lo spazio sonoro di sottofondo tramite tre elementi: il mormorio prodotto dalle frasche mosse dal vento e il capraio assopito, realizzati dai violini, mentre le viole imitano il latrato del cane. Conclusa la primavera giungiamo alla tanto attesa Estate, capace di risvegliare tutta la nostra spensieratezza con i suoi odori e i suoi colori. L’autore propone accordi che sembrano soffocati dal caldo del sole, accompagnati dai canti dei cucchi, delle tortore e dei cardellini, incorniciati dai tormentosi suoni delle mosche (sempre ad opera del violino) che impediscono la quiete, per arrivare ai temporali estivi realizzati da una vera e propria tempesta strumentale realizzata da scale discendenti (fulmini) e progressioni armoniche (vento). L’Autunno sarà introdotto da un allegro iniziale, ad indicare che c’è ancora un po’ di tempo per festeggiare la fine

dell’estate. La danza e i villani, impegnati in una degustazione assidua di vino con i suoi effetti collaterali (proposti dal violino solista), portano all’adagio successivo che vedrà i contadini dormienti per l’esubero del nettare bacchico. Questo ultimo passo sarà realizzato con una calma timbrica dalla strabiliante armonia, che è uno dei più alti vertici dell’opera vivaldiana. L’opera si chiude con l’avvento dell’Inverno, tra gelo e solitudine tediante, che evocherà una serie di sentimenti che non trovano eco nelle altre stagioni, effetto cercato dall’autore poichè questo periodo dell’anno suscita, più di altri, una certa introspezione. Di notevole qualità la rappresentazione della pioggia nel largo, affidata al frenetico pizzicato dei violini. Un ultimo accenno va alla pittura dei naturalisti, capace di manifestare la piccolezza dell’uomo dinanzi alla grandezza suscitata dalle forze della natura. Presentandosi nella forma venerazione/ paura insita nel soggetto, le poetiche di autori come Turner e Friedrich si possono leggere come testimonianze, quadri di senso dell’uomo al cospetto – e già parte – degli elementi naturali. Una cascata capace di rendere nulla la nostra voce, un mare in tempesta, le urla delle onde infrante sugli scogli o l’immensità di precipizio causano uno scompenso in colui che le percepisce. Colto da un atavico sgomento, tende ad esorcizzare le sue preoccupazioni tramite la creazione di un prodotto artistico. La particolare dedizione e attenzione dei nostri antenati verso il colosso naturale, dovrebbero farci riflettere sulla spavalda rincorsa all’annientamento totale della natura, che stiamo compiendo in questi anni.


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MusicaPerBambini di Andrea Marcellino: andrea.marcellino@argonline.it

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ranea. Lavoriamo per vivere e il frutto del nostro lavoro riduce le possibilità di avere un futuro sulla terra. A un secondo ascolto i testi ci donano una fresca visuale sulla realtà che, pur non negando testimonianza di un contemporaneo disturbante, lo sanno fare con splendida ironia. Il cambiamento climatico è trattato nella prima canzone che termina con l’invocazione «Temperaci il clima. Amen». La seconda canzone Tanto Tonto descrive la tecnica nella sua pretesa di fondare l’esistenza delle cose sulla loro stessa misurabilità. La glaciazione Ciò che esiste è misurabile e ciò Provoca, o Dio delle Nevi, che non è misurabile non esiste Varia l’angolo d’asse della rotazione perché non è logico. Pare che Con questa strofa della canzone Pre- nella nostra cultura scientifica non ci sia ghiera delle palle di neve inizia M_ _SICA, posto per i fenomeni creativi. Misurabil’ultimo album di Manuel Bongiorni. lità del tempo e dello spazio che finisce per rendere l’esistenza una prigione L’impatto iniziale è forte, per essere una razionale che genera rabbia, rabbia che preghiera contiene una buona dose di in questo caso trova il suo sfogo nella furia, d’altra parte come essere tranquilli creatività musicale. vivendo un cambiamento climatico da La sofferenza, la solitudine, la morte noi stessi prodotto? sono trattate dal punto di vista di un Per chi non è affine ai ritmi forsennati del metal, dell’hardcore e alle sperimen- masochista ridicolo in Tagliami la Testa, di cui il verso «Faccio male a stare tazioni elettroniche e vocali l’ascolto bene» esprime il punto centrale. Una termina qui. Per i bambini curiosi ci sarà società che supera il problema della una dolce sorpresa. La peculiarità di quest’album è parados- sopravvivenza immediata si trova a fare i conti con il senso di colpa, generato salmente quella di fondarsi su musiche dall’informazione, nato dal confronto tra antiche, le ballate medioevali giocano il nostro benessere e la miseria della con lo spartito contemporaneo. Manuel maggioranza della popolazione monprende fiato da un passato idealizzato e romantico per evocare sentimenti in- diale. La Mia Prima Grattugia chiede un tributo in carne umana per dispensare il tensi e lo fa creando delle aperture nella formaggio. È forse la rabbia di chi lavora fitta trama ritmica dell’elettronica, come sfruttato e senza diritti per produrre ciò piacevoli momenti di pace e chiarezza che consumiamo nei paesi sviluppati? nella frenesia quotidiana. Lord Hamilton di Warlthunn è interamenCerto non è un ascolto facile per un orecchio viziato da note ovattate e ras- te una ballata medioevale, un’apertura che ironizza fortemente su temi quali sicuranti, non è per tutti. Non è per chi è abituato a essere sedotto dalla pub- l’amore romantico, l’innocente imprigionato dal re, e altri cliché di molte canzoni blicità, dalle sue canzoni orecchiabili e del genere. da tutto ciò che è reso innocuo per non In Di quella Pera viene sfruttato il salto spaventare i possibili acquirenti. Questa dallo spartito medioevale a quello conè musica imprevedibile che non sarà temporaneo per mettere in risalto la difmai trasmessa da radio commerciali nel ferenza tra la coltivazione antica e quella contesto pop perché è sorprendente e disturbata come la società contempo- intensiva dove vigono ritmi frenetici che

richiedono l’uso di sostanze chimiche per accelerare i processi. Processi che accelerati sfuggono al controllo umano con esiti catastrofici che rendono auspicabile la possibilità di vivere su altri pianeti, C’è un Topo sulla Luna. Le Monete Libere interpreta in modo umano le transizioni economiche, collega i sentimenti a un contesto che pare lontano da qualsiasi etica. Un’unione magica e spero profetica che riesce a vedere il denaro subordinato alle persone che lo usano e non viceversa. Infine Per Costruire un Universo mette in luce il potere della creatività che immagina e si costituisce in realtà. Un esempio. Occhio però, non è un disco serio o moraleggiante, la sua forza di persuasione sta nell’ironia e nello scherzo. Il fascino di quest’album sta proprio nell’emergere dell’irrazionalità. Questa è creatività gioiosa, è gioco! E quando finalmente le cose vengono nominate a parole e descritte musicalmente il risultato non può che provocare godimento. La musica per bambini tratta temi urgenti, mette in luce spaventose contraddizioni della nostra vita e lo fa divertendo. Tanto di cappello a Manuel Bongiorni e alla sua favolosa creatività, o meglio tanto di cappio come potrete vedere nel curioso sito www.musicaperbambini.com dove molte canzoni della discografia sono liberamente scaricabili.


Dai semi abusivi agli orti urbani La resistenza dei Critical Garden di Lorenzo Franceschini : france.lorenzo@argonline.it

Reflecsa, Critical Garden / Crepe Urbane

«Piantiamo semi e piante in ogni angolo abbandonato di suolo pubblico, senza permessi né autorizzazioni. Unitevi a noi e riempiamo la città di natura!». Questo si legge nella home page del sito www.criticalgarden.com, il sito ufficiale di Critical Garden, un movimento nato per sensibilizzare l’opinione pubblica verso i problemi del verde cittadino. Critical Garden si propone di valorizzare quelle zone di verde urbano che non sono state pianificate dai Comuni, né appartengono a privati, ma sono nate spontaneamente nei campi abbandonati e nei lacerti di terra che l’asfalto ha concesso alle erbacce. Proprio queste “erbacce” Critical Garden ci insegna ad apprezzare, mostrandocene l’utilità (in cucina) e la bellezza. Una bellezza difficile, ma pur sempre bellezza, un’armonia che di primo acchito ci sfugge, per la sua complessità, ma che in qualche modo percepiamo come tale. Sul sito internet è possibile trovare le istruzioni per creare un proprio giardino abusivo: bisogna guardarsi intorno sulla strada che si percorre più spesso, e vedere se ci sono delle zone dove una pianta possa mettere radici. Poi bisogna trovare un giorno in cui di solito ci sono poche persone, pochi sguardi indiscreti che possano disturbarci, segnarlo sull’agenda e pianificare così l’intervento di “giardinaggio selvaggio”. Infine, ci vorrà tanta pazienza per curare il proprio orto, e tanta costanza, come per tutti gli orti, questo con in più il brivido del rischio… In Italia diverse manifestazioni sono state (e saranno) organizzate per parlare di questo movimento ancora ai suoi primi passi qui da noi ma già presente in America (New York’s Green Guerrillas). Durante il primo Festival della Biodiversità di Milano si è data una dimostrazione di un esperimento di giardinaggio “critical”. A Roma e Bologna sono state allestite delle mostre fotografiche volte a educare l’occhio umano a esperire esteticamente questi vegetali, ad apprezzare le verdi intercapedini del calcestruzzo: la mostra della capitale era Loisaida, New York community gardens: gli orti urbani del Lower East Side, di Michela Pasquali, quella bolognese (esposta durante il Critical Garden / Crepe Urbane) era Insorti – crepe fertili del gruppo fotografico Reflecsa. Solitamente, in queste occasioni, si possono gustare ottimi piatti di “erbacce”, prima fra tutte la deliziosa ortica!

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Il Principe e il Vulcano ovvero le Origini del Potere Catastrofi mediatiche e geologiche: un fondatore di città e le voci della Terra a confronto

di Valerio Cuccaroni : valerio.cuccaroni@argonline.it Il moto istantaneo della terra che genera il terremoto rilascia energia sotto forma di onde elastiche che si propagano in tutte le direzioni, all’interno e all’esterno. Il cosiddetto “treno d’onda” che noi avvertiamo è costituito da onde P (Primary Waves) e onde S (Secondary Waves): queste ultime provocano i danni maggiori Milano 3, la seconda “città” di Silvio Berlusconi, sorge sul territorio del comune di Basiglio

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l terremoto di Lisbona (1755) provocò un’onda anomala di oltre 10 metri che insieme al sisma contribuì a uccidere circa 60.000 persone e i cui effetti si ripercossero anche su Madeira, al nord dell’Inghilterra, a sud dell’Africa (le città di Fez e Meknes furono gravemente danneggiate), fino al Nord America e ai Caraibi. La strage provocata dal terremoto fu interpretata come una punizione divina1. La Madre Terra parla a noi, suoi figli, con voci soavi, canti, mormorii di vento, ma urla anche e si agita, come una Baccante, scossa da un impeto sotterraneo, erutta e investe con violente spallate d’acqua le città, le tane umane. E allora i palazzi, le strade, le dighe, tutti i nostri argini al Caos, crollano e l’Uomo si trova spaurito, muto, morto, di fronte al volto feroce della Natura. Quando la Terra si scuote dal suo apparente torpore quotidiano, l’Uomo sente tutta la propria impotenza e per un attimo si desta dall’illusione di onnipotenza. In molti casi soccombe, ma in altri resiste, radicandosi alla Terra, come la ginestra alle pendici del Vulcano. Una «finta colata lavica nel parco di Villa Certosa ha creato allarme, poco dopo l’una del mattino, a Porto Rotondo», Pompieri a Villa Certosa per finto vulcano, «Corriere della Sera», 16/08/2006: martedì 15 agosto del 2006 i pompieri fecero irruzione nella reggia sarda di Silvio Berlusconi per spegnere quello che credevano fosse un incendio. La studiata capacità dal lavico Berlusconi di trasformare in burla, in farsa, in finzione ogni azione, ogni affermazione, non vi inganni: non era una trovata da buontempone quel vulcano, ma emblema di potenza, specchio dell’essenza del potere. È mostrando la sua ferocia che la Natura ha spaventato e continuare a spaventare l’Uomo: è sventolando un simulacro di Natura selvaggia – si pensi a bandiere e stemmi in cui

Silvio Berlusconi

E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce Giovanni, III, 19

campeggia un’aquila con gli artigli sguainati – che il potere terrorizza, inconsciamente o meno, i cittadini. Berlusconi conosce gli uomini, i loro bisogni, i loro desideri e le loro paure, ed è per questo, non per goliardia, che si è fatto costruire un vulcano artificiale nella sua reggia in Sardegna: è un altro dei suoi marchi, assieme al biscione (in realtà basilisco, animale mitologico, capace di uccidere con lo sguardo, simbolo di Telemilano 58, primo network berlusconiano, poi di Canale 5, Fininvest e Mediolanum, già stemma dei Visconti), fino al diavolo rossonero (mascotte del Milan) e alla Medusa (logo della casa di distribuzione cinematografica indipendente acquistata da Berlusconi). Tutta simbologia satanica, ipogea. Ma come possono aiutarci le scienze della Terra, la geofisica, la vulcanologia a comprendere la società e i suoi governanti, le loro tecniche di dominio e le strategie per contrastarle? La superficie terrestre è divisa in placche, le quali si muovono una contro l’altra, accumulando tensione: quando essa supera la resistenza dei materiali alla frattura, si verifica un moto istantaneo, la sorgente del terremoto. I terremoti e i maremoti sono un’espressione dei moti interni della Terra. Potrebbe la società, sia quella italiana che quella globale, essere paragonata a un sistema di placche in movimento, in collisione fra loro? Se paragonassimo le classi sociali alle placche terrestri, constateremmo che per l’aumento del dinamismo sociale esse sono mutate, confliggendo e slittando


Silvio Berlusconi, Bettino Craxi

le une sulle altre: la borghesia si è proletarizzata ed è nata una specie di sottoproletariato imborghesito, con i desideri e le paure indotte dalle eruzioni mediatiche ma con le tasche vuote. Conoscere i vulcani, è utile per imparare a difendersi dai loro effetti, ma ci permette anche di analizzare la composizione della Terra: lo studio delle onde elastiche emesse da un terremoto è l’unico modo per acquisire informazioni sul nostro pianeta, in profondità. Studiare il terremoto e gli altri cataclismi mediatici provocati dal principe Berlusconi, come da altri magnati delle telecomunicazioni, ci permette di capire la composizione della società italiana, e non solo. Ora, questa è la visione che si può trarre da una simile associazione libera: dal contatto fra la placca della Borghesia e quella del Proletariato, lungo la faglia del Capitale, è nato il terremoto degli anni sessanta e settanta, che ha provocato morti cerebrali e fisiche, carte dei diritti e nuove conformazioni geopolitiche. Lungo la zona italiana della faglia del Capitale sorse allora un vulcano: Silvio Berlusconi. Questo terribile ammasso igneo, prima ha provocato le colate di cemento di Milano 2 (1968-1979) e Milano 3 (1979-1990), poi con uno scossone, eruttando dai canali televisivi, ha generato il maremoto, lo tsunami Mediaset. Gli show e i telefilm trasmessi, ricodificati e proiettati dai tubi catodici si sono abbattuti sugli occhi della popolazione, compiendo una strage. Il bilancio delle anime ferite e disperse non

è ancora stato stilato, perché il maremoto ha spazzato via milioni di coscienze, distrutto secolari abitudini, come quella di dialogare di sentimenti e politica nelle piazze, invece di guardare altri farlo in tv. Il principe Berlusconi non subisce il mercato, lo fa. Come costruì città con le sue colate di cemento così con eruzioni e tsunami elettromagnetici ha riconfigurato l’immaginario collettivo. Come prevenire un’ulteriore devastazione? I maremoti vengono generati dalle deformazioni dei fondali, prodotte da terremoti e frane sottomarine. Per certi tsunami è possibile sapere con un certo anticipo, grazie a speciali apparecchiature che registrano i movimenti dei fondali, l’onda di maremoto e correre ai ripari. L’essenziale, quindi, sia nel caso dei cataclismi naturali che di quelli mediatici, è predisporre adeguati sistemi di rilevazione, allarme e soccorso. È ora compito della società civile trarre le conclusioni, applicandole al controllo dei massmedia, prendendo coscienza del pericolo e costringendo il governo ad agire di conseguenza, il più velocemente possibile.

Nel romanzo filosofico satirico Candide, pubblicato tre anni dopo il cataclisma, Voltaire cita proprio il terremoto di Lisbona come prova contro la teoria di Leibniz secondo cui il mondo in cui ci troviamo è il migliore dei mondi possibili.

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Il comune virtuoso

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Lorenzo Franceschini

L’incredibile storia di un borgo marchigiano che va ad olio di colza

di Giampaolo Milzi : urloline@libero.it

Esiste davvero la famiglia dello spot della felicità? Quella del Mulino Bianco? Sì. Abita sulla verde collina di Monsano, paesino di tremila anime a due passi da Jesi, in provincia di Ancona. Ma con qualche virtuosa eco-differenza rispetto alla pubblicità: i ragazzini, al mattino, non fagocitano merendine fresche di fabbrica, ma pane, burro e marmellata, frutto di coltivazioni biologiche; li ha acquistati la mamma da una cooperativa, la stessa che le ha fornito il computer a prezzo scontato che usano i figli e il marito; il quale, finita la sana colazione, raggiungerà il posto di lavoro al volante di un’auto che non inquina, perché brucia olio di colza; la casetta del nucleo familiare è costruita con criteri di bioarchitettura, le pareti sono spesse e trattengono il calore, sono tinteggiate con vernici ottenute da sostanze naturali, i rubinetti dell’acqua sono dotati di un filtro anti-spreco idrico (come in un migliaio di altre abitazioni), le lampadine sono high power (settecento tra quelle montate in edifici pubblici e distribuite a cittadini a basso reddito) e alimentate dall’energia prodotta dal pannello solare installato sul tetto. Insomma, la famiglia di Monsano è felice perché consuma criticamente e consapevolmente, ricicla, non offende l’ambiente che la circonda e, soprattutto, risparmia.

L’aria di felicità che si respira a Monsano non è frutto di un miracolo della natura. Ma del connubio altrettanto felice instauratosi a partire da parecchi anni fa, in modo pionieristico, tra natura, Comune e cittadini. Un connubio rafforzato dall’attuale giunta municipale guidata dal sindaco Gianluca Fioretti e dall’assessore all’ambiente Mauro Tomassoni, il cui verdissimo pollice continua a promuovere manifestazioni, convegni, conferenze, incontri pubblici, anche nelle scuole. Una campagna di sensibilizzazione accompagnata da una serie di incentivi a favore di privati e aziende, a sostegno di sviluppo e servizi eco ed equo sostenibili e capace di far entrare la filosofia ecologica in tutte le case. È il Comune che ha sfruttato l’introduzione del contributo nazionale in conto energia per la produzione da impianti fotovoltaici. Va “a solare” la scuola materna, mentre sono una ventina i privati che hanno installato i pannelli in abitazioni e aziende – molte le domande di chi vuole emularli. E così, nel rapporto Comuni Rinnovabili 2007 di Legambiente, Monsano si piazza al 32° posto nella classifica di quelli con meno di 5000 abitanti che hanno installato il solare fotovoltaico nelle proprie strutture. In estate, l’energia solare prodotta dai tre lampioni pubblici garantisce l’illuminazione notturna. Ultimi arrivati i rivoluzionari lampioni eolici che gli uffici tecnici hanno posizionato in zone di campagna non


servite dall’Enel. Non producono inquinamento indiretto e sono a costo zero. L’odore di patatine fritte è indi Valerio Cuccaroni: valerio.cuccaroni@argonline.it vece tutto ciò che producono le marmitte dei sei automezzi Massimiliano Mazzoni, marchigiano classe 1975, laureato in Agraria, ha avuto un’idea. Per pubblici del Comune e delle realizzarla qualche mese fa, assieme a un gruppo di industriali e agricoltori locali, ha fondato auto di un numero crescente la Komaros Agro-Energie, di cui è vice-presidente. Così, alla fine del 2007 l’idea dovrebbe di abitanti. Merito dell’olio di diventare realtà: se tutto andrà bene, il Palarossini, il palazzo dello sport di Ancona (5.000 colza. Il Comune, ogni due posti), sarà alimentato da un cogeneratore a biomasse, un impianto in grado di produrre mesi, spedisce furgoni alla energia elettrica e termica bruciando olio di girasole. Il cogeneratore, acquistato da una Fox Petroli di Rimini, che rafditta di Padova, che ne ha già prodotto uno per l’ospedale cittadino, sostituirà il vecchio imfina questo olio. Stocca 500 pianto del Palarossini, alimentato a btz, il più inquinante dei combustibili derivati dal petrolio. litri di olio di colza a viaggio. Il «L’olio di girasole è un combustibile rinnovabile – ci spiega Mazzoni – che produce il 50% di costo del biodisel è di circa di emissioni di anidride carbonica in meno rispetto al gasolio e non produce zolfo». 1 euro al litro, il 10% in meno Progetti simili sono stati già realizzati in Emilia Romagna, regione leader nella produzione di del normale diesel. Ma con il agro-energie. «L’agricoltura – conclude Mazzoni – può dare una mano a risolvere i problemi grande vantaggio di non conclimatici e altre questioni ambientali, ma non è la panacea, perché il suo obiettivo principale taminare l’aria. resta l’alimentazione. Anche l’industria e gli altri settori della società devono darsi da fare». L’olio come il sole, dunque, In attesa, però, che l’industria si muova, l’agricoltura si è già incamminata a piccoli passi fonte rinnovabile. Riciclaggio nella strada dell’ecosostenibilità. Buon viaggio! è una parola d’ordine a Monsano. La raccolta dei rifiuti funziona col metodo porta a porta e a trecentosessanta gradi. Nelle collaborazione con Jacopo Fo – che di utenti della coop? Appena 25 euro. abitazioni vengono prelevate tutte le fra- Monsano è ormai un po’ cittadino ono- Il colore verde, nella brillante sfumatura zioni di materiale: organico; carta; plastica rario – e del suo verdeggiante Ateneo Monsano, fa parte di una rosa di tonalità e metalli; vetro; rifiuto non differenziabile. di Alcatraz. Sono centocinquanta le fa- impregnate da un virtuoso impegno sinerLa percentuale di raccolta differenziata miglie (un record nazionale) che si sono gico di tipo etico tra i cittadini e un Comu(compreso lo spezzamento stradale e il dotate di un computer acquisendolo a ne che sentono davvero vicino. Una rosa contributo di un supermercato) è stabile prezzo equo-solidale da Monsanoinfor- arcobaleno, come la bandiera della pace. Puliti gli affari di Palazzo del popolo, a quota 70%, ben più dell’obiettivo del ma. La tessera perché nel vero interesse di tutti 50% che l’Unione Europea impone di per divengli amministrati. Puliti perché raggiungere entro il 2010. t a r e sono banditi i tanti affari Coronata da successo anche la conso- soci sporchi foraggiati da ciazione degli acquisti, intrapresa nel e multinazionali e ban2000 sotto l’impulso di Monsanoinforche. Un esempio? Il ma. È una cooperativa che promuove servizio municipale soprattutto l’acquisto di alimenti biologidi tesoreria è affici dal catalogo Merci Dolci della Libera dato ad un istituto Università di Alcatraz. Fornisce anche di credito che ha grembiulini e materiale didattico per gli dichiarato formalscolari, elettrodomestici, cibo per animamente di non avere li, mobili. Organizza corsi di informatica, effettuato nel biennio yoga, lingue straniere, fotografia, regia, 2004/2005, e di non musicoterapia. Offre servizi di babyintrattenere nel periodo sitterraggio. Ed è la principale artefice di affidamento del servizio di dell’ulteriore primato di cui può fregiarsi Tesoreria, transazioni bancarie il comune più riciclone d’Italia, quello di in materia di esportazione-imComune informatizzato. La coop lavora portazione e transito di materiain tandem con sindaco e assessori, e le di armamento, come definito su quell’onda di entusiasmo cresciuta dall’art. 2 della legge 185/90. anche grazie al rapporto di amicizia e

Il girasole sportivo

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Ernst Haeckel

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Per la tutela del cuculo germanico Le contraddittorie origini dell’ecologia tedesca. Gli hippy del ’68, con il loro ortodosso rispetto dei fiori, furono preceduti da ben altri padri: in Germania le leggi fondamentali dell’ecologismo sono una eredità del Nazionalsocialismo di Jan Heberlein : janheberlein@gmail.com

La Germania, paese del rispetto per i principi e delle contraddizioni. Anche in ambito ecologico. Grandi paladini delle leggi tedesche per la tutela dell’ambiente, diventate un esempio in tutto il mondo, furono i capelloni e gli agitatori del movimento del ’68, allergici a qualsiasi forma di autorità. Ma l’ecologismo in Germania è nato dagli anni della contestazione? Veramente no. La tutela dell’ambiente e degli animali ha origine in Germania nel periodo nazistanazionalista. E una eredità di quel periodo è forse anche il tipo di educazione particolarmente rigida attraverso cui noi tedeschi, già da bambini, veniamo integrati nel sistema della società ambientalista. Fin dall’infanzia la raccolta differenziata ci

viene insegnata come un imperativo etico. guai. Le pene possono essere molto seCi viene insegnato a risparmiare elettricità vere. In casi estremi è contemplata anche e ad utilizzare per lo scarico del gabinetto la prigione. La tutela dell’ambiente rasenta l’acqua raccolta nelle cisterne. Durante la l’ossessione. Ma almeno viviamo e vivrescuola elementare, nelle mense si impara mo ancora una vita idilliaca. a cucinare cibo ecologico e addirittura ven- La cultura ecologista tedesca è una stragono imbastite delle autentiche gare di cu- na miscela di modernità e rigidità benpencina fra istituti. Vince chi riesce a preparare sante, che rispecchia in un certo senso la il miglior maxi menù biologico. Alle scuole personalità del tedesco medio, considerasuperiori ci si può iscrivere a gruppi ecolo- to un po’ in tutto il mondo pignolo e pegici e partecipare a una gran gamma di se- dante. Uno dei motivi di questa peculiarità minari ed escursioni in mezzo alla natura. ha origini politiche. La tutela dell’ambiente Chi non rispetta l’ambiente, nonostante la non fu, in principio, un cavallo di battaglia generosa e incalzante educazione orga- della sinistra, ma dei partiti di destra, che nizzata dallo Stato, deve scontare i suoi dettero al sistema di leggi una organizzapeccati. La raccolta differenziata dei rifiuti zione severa e meticolosa. viene controllata con apposite calamite All’inizio del Novecento in Germania i primi e se tra il bidone della plastica vengono seguaci dell’Ecologismo si ispiravano ai trovati dei pezzetti di metallo, allora sono principi della tutela del paesaggio e della


commando ecologista Nazionalsocialista

patria, opponendosi al dilagare dell’industrializzazione che stava danneggiando il paesaggio incontaminato tedesco (v. in questa monografia di «Argo» l’articolo a pag. 51, N.d.R.). Uno dei padri dell’ecologia tedesca intesa come scienza fu Ernst Haeckel, importantissimo biologo di reputazione mondiale, anticipatore di molte formule che ritroviamo nella terminologia nazista. Igiene delle razze (Rassenhygiene) e allevamento degli esemplari migliori (Zuchtauswahl) sono concetti su cui si fonda la sua teoria, così come un darvinismo sociale rigoroso e la tutela dell’elemento forte rispetto al più debole. Anche il Nazionalsocialismo si basava sulla tutela della vita dei più forti e sul mantenimento del Volkstum (l’anima del popolo tedesco). Persino il contadino tedesco veniva protetto, insieme con le specie di animali e di piante considerate puramente tedesche. I nazisti integrarono nel loro sistema di potere gruppi per la tutela del ambiente che erano nati nell’ambito delle idee di Spengler e Klages (la cosiddetta Lebensphilosophie). E questi gruppi si lasciarono assorbire senza opporre resistenza o contestare l’ideologia nazionalsocialista.

La legge per la tutela degli animali, che tutto il mondo invidia alla Germania, risale al 1933 ed è stata istaurata dal Nazionalsocialismo. Essa stabilisce che è illegale forzare gli animali a lavori eccessivi, pena due anni di reclusione. Assai probabilmente questo stato di diritto sancito per gli animali era molto invidiato, durante il nazismo, dalle persone recluse nei campi di concentramento, alle quali simili cautele erano decisamente precluse. La Germania nazista tanto zoofila contava quattrocento associazioni per la tutela degli animali, alle quali era offerto uno spazio verde per l’allevamento di fauna e flora puramente tedeschi. Questi parchi raggiungevano in superficie abbondantemente il doppio di quello riservato ai prigionieri nei campi di concentramento, dove, d’altro canto, si badò bene a manifestare un po’ di zoofilia. Heinrich Himmler stabilì che in alcuni lager venissero coltivati degli allevamenti di miele biodinamico. Ma non finisce qui: anche il ReichsNaturschutzgesetz (legge per la tutela dell’ambiente nel Reich) dell’anno 1935 e la Naturschutzverordnung del 1936 (il decreto

per la tutela dell’ambiente), a parte piccole correzioni, sono ancora in vigore nella Germania di oggi. Senza queste difficilmente gli uccellini e le foreste tedesche sarebbero sopravvissuti dall’inquinamento portato dopo la guerra dall’industrializzazione del boom economico nella Repubblica Federale Tedesca. E la raccolta differenziata delle immondizie? Non vi illudete, neanche qui abbiamo a che fare con un’iniziativa antifascista. Già negli anni che seguivano l’ascesa al potere i nazisti lanciavano un progetto per la diffusione della raccolta differenziata in tutto il Reich. I nazisti non hanno, però più potuto raccogliere il frutto del loro sforzo. La sconfitta mandò in rovina tutti i loro grandiosi progetti. La generazione successiva si ritrovò in mano le leggi in materia ambientale stabilite dai nazionalsocialisti, e così la Germania pacifista divenne un paese ambientalista, dai principi fortemente radicati, al di là delle sue contraddizioni. (Per maggiori informazioni: http://www.pawek.de/Schutz.htm)

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scritto il 9/12/2003 «Venezia è un albergo, San Marco dev’esser anche il nome di una pizzeria…» Francesco Guccini

63 Francesco Casolari

Daniel Agami presenta

EDEN

Ritrovarono gli archeologi del cemento che vi fossero zone cosiddette a traffico asfaltato, sotto chilometri di polvere e di limitato, o addirittura, sulla carta, vietate rosso terriccio, una pasta di sassi, ghiaia al transito motorizzato, con un criterio e catrame che si usava anticamente per scientifico alla base che dovrebbe esserealizzare il sostrato. Scoprirono poi an- re stato definito “Pedonalizzazione”1 (o tichissime infrastrutture che riempivano “Pedonalità” secondo Arriano). lo spazio di sovrapassaggi e sottopas- Il susseguirsi dei fatti smentì la tesi di saggi perché anticamente si riteneva queste fantomatiche pedonalizzazioni, che esse avrebbero, paradossalmente, teorie che risultarono indubbiamente giovato al traffico dunque alla natura, anacronistiche per l’epoca considerata. poiché allora il traffico era naturale, e la Nel NeoMedioEvo – concetto storionatura molto trafficata. grafico che vede l’acme negli anni tra I massimalisti come al solito esageraro- il 1982 e il 2082, con il Duemila come no, nella tavola calda e rotonda con i fogli spartiacque tra l’era dello Sbando e unti, bisunti e presunti per gli interventi e l’era dello Squallore illuminato – la città le patatine fritte, sostenendo addirittura era difatti un nucleo esistente, su cui si

basava ciò che allora si definiva “civiltà”, con un’accezione diversa da quella caratterizzante fino ai tempi nostri. Esistevano cittadine, paesini, frazioni, comuni, città, capoluoghi, metropoli, capitali (un centinaio solo in Italia, durante i Mille anni di [R]Esistenza). Ma erano emanazioni della Speculazione edilizia, della Nuvola di Smog e dell’abusivismo depenalizzato e defiscalizzato, e le formiche argentine ridevano fra i bond, e piangevano al tempo stesso. Che ridere pensare che allora forse si credeva davvero che la convivenza fosse possibile, che il Progresso fosse l’Affollamento e il Lavoro, e l’Urbanesimo


un’Arte Matematica, e il traffico un male insolubile, e i Giardini aree destinate al verde, che è come dire che a Dio è riservata la sfera teologica e intimista, e il Cervello è un’area destinata all’attività emozionale e psichica. (Cioè assurdità). Gli antichisti si stupirono quando vennero poi a conoscenza che nel 2032 le città ®esistevano ancora, esistendo, alla progredente apocalisse che gli stessi abitanti andavan creando, abbattendo campagne per costruire alberghi con giardini all’inglese per turisti e tornisti americani, ed asciugando i fiumi per creare piscine all’americana, per tornisti e turisti inglesi, prosciugando nascondigli amorosi antiatomici all’ora del coprifuoco per costruire luce, per accendere metropolitane, per luminare orpelli e transatlantici sotterranei, e treni ad alta velocità della luce (fioca, attorno ai quali costruirono muri per poter scrivere adeguatamente la conclusione di cento anni di Femminismo, a quasi cent’anni dalla morte di Hannah Arendt, su cui conversero i maschi e le femmine ridendo e mangiando: “W la Fica”). Gli urbanisti di allora facevano costruire parcheggi a strisce color Puffo (come il gelato) a dismisura, cosicché le industrie automobilistiche, in accordo con i governi di centro-trattino-Centro-CENTRO/Storico, e in ottemperanza alle normative Cee dell’EuroMinistero della Salute, producevano automobili a dismisura, e tutti con gli ecoincentivi OP(pi) A(cei) privatizzati (già statali), dovevano comperare l’automobile (nelle famiglie almeno due per quasiVergine) e dunque i parcheggi diventavano sempre più rari, e quindi aumentavano e il ciclo del benessere riprendeva circolazione, il denaro era liquido, e l’amore, secco. I successivi governi di Centro-trattinocentro-commerciale depenalizzarono, su suggerimento del papa, i reati di difesa dell’ambiente e istigazione allo stato di natura, e caddero in prescrizione i reati di Erofasia ed Erosofia, sub condicione, sine qua non, e chiavi in mano. Conseguentemente, la Chiesa si rinnovò e col Concilio Vaticano XIX fu promul-

gato un Documento del Sant’Uffizio con cui si dichiarò tra l’altro, la liceità delle tecniche amatorie antifecondative (solo se dotati di fibra ottica, e comunque con finalità onanistiche autocertificate), la fine del Paradiso e l’inesistenza di Dio, che, come noto, cadde in prescrizione: e fu proprio l’inesistenza di Dio ad incrementare considerevolmente il novero degli iscritti al Cattolicesimo. L’elettricità si dice che non dovesse esser utilizzata né per i trasporti pubblici, di proprietà delle radio locali, né per le automobili a vapore, comperate nei supermercati a nolo, ma solo ed esclusivamente per riscaldare il pollo con piccole onde elettromagnetiche, per il soldato in divisa che tornava a casa, oppure per saturare la carica perennemente scarica (più si caricava, più era scarica) dei telefoni radiomobili senza fili senza antenna, senza pile senza cavi senza display senza pulsanti senza niente, e soprattutto per alimentare le luci artificiali informatiche, per poi catturare nella Rete Globale e Planetaria i celeberrimi uomini a metà senza una meta. I tubi di scarico creavano quella che a Mediolanum I veniva definita “Nebbia”, ed a Mediolanum II “Effetto speciale”, ed a Mediolanum III “Nuvola”. La rete fognaria era nascosta dentro l’asfalto nero come la pece, nero come la pace, perché il fetore si esal(t)asse altrove, come nei laghetti artificiali dei centri commerciali, lì tra i cadaveri ittici, pesci morti prim’ancor di essere nati, o in discariche nascoste da fronde di mirtilli e ciliege. E frutti di bosco. I pali e i ripetitori per l’ultima generazione di blackberry venivano camuffati con giardini pensili costruiti da plastica e metano, o con alberi comprati all’ingrosso nell’Amazzonia all’Ikea®, dove le Amazzoni caricavano semi, gameti, pistilli e risorse idriche nei muletti, in quella foresta già conosciuta probabilmente come il paradiso della Bistecca, la terra dei carciofi sott’Olio, il bosco delle vongole e dei canguri. Le comunità rurali chiamate Città rallegravano gente sull’orlo del suicidio

allegro e spensierato nel giorno della festa dei venditori di feste, il Natale, con felliniani alberi che erano braciole, torri come altre (o alte come torri?) o grattacieli con enormi palle appese, che quando poi cadevano uccidevano una settantina di persone mediamente sane di salute; altre salivano invece sui grattacieli talebani e aspettavano la penetrazione aeronautica per rivivere un arcaico rito collettivo di cui si sono perse le origini. Vi era la tendenza all’horror vacui, con il conseguente horror horroris, il primo la paura per cui si doveva riempire lo spazio di effimeri insediamenti, il secondo il terrore che si ebbe quando le generazioni successive si cimentarono nell’affrontare le morti per soffocamento ambientale (allora le prime pagine dei giornali erano sui bambini e i vecchi, cioè la stessa categoria di persone, che morivano soffocati per mancanza d’aria quando uscivano dalle case con i condizionatori e le macchine d’aria artificiale; per assenza di ossigeno cadevano al suolo, già occupato dalle isole pedonali isolate nel nulla, da nulla). Le generazioni si susseguirono nascendo, vedendo con disattenzione l’ultrametropolitano circo circostante, dimenticando poi quanto vedevano giorno dopo giorno, distratti dall’Amore e dal Senso di Morte e da Altre Figure Retoriche, per poi invecchiare spacciando le rughe per la storia della propria vita, decedendo decadenti o crepando crepuscolari, e poi rinascere, rinati, proprio l’attimo prima di morir. Ma nella fase precedente, quella senile, le generazioni conservatrici, oltranziste e antiche, ormai da ammazzare, per ragioni d’età, con quel gusto retrò poi, si mettevano a far gli aedi cantando di giovinezze verginee smarrite, narrando che un tempo era tutta campagna nonostante le autostrade e i parcheggi degli ipermercatini e il fango cementato, e il cemento infangato, chiacchiere che le generazioni successive dimenticheranno puntualmente, abituati a crescere e a cercare problemi che impediscano la

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Francesco Casolari

61 naturale predisposizione al diritto di felicità umano ed animale (che è la stessa cosa). E venne la Morte, le fu attaccato un patacchino, e fu distribuita scontata all’Esselunga2 [solo per i possessori della Carta Fidaty P(l?)us]. Esisteva all’epoca, secondo Plutarco, Isocrate e Plinio il giovane, una città chiamata Venezia (nota anche come Atlantide), non ancora sommersa dalle acque dell’Oceano Pacifico. Era il gpl all’occhiello dell’Italica Poeninsula, in cui vi erano opere d’arte visiva notevoli come la Pizzeria San Marco (secondo la leggenda popolare, riportata da Svetonio, Marco Polo, scrittore, fantasista, evangelista e santo, trovò nel deserto amerindio un tipo di pasta che a Neapolis fu battezzata “pizza”, suono onomatopeico dei pomidori che cuociono sul fuoco con l’impasto), l’Hotel del

Lido, grandiosa opera architettonica al focolare del turista, il cinema Rialto (dove si teneva il Festival di Sanremo, popolare festa pagana e partigiana). A quell’epoca Berlino era l’Araba Fenice, che in quanto araba distrugge e si (fa) distrugge(re), e in quanto fenice rinasce dalle proprie ceneri nazicomuniste, ovverosia un enorme cantiere in fase di ricostruzione. Roma non comprendeva ancora tutta l’Italia centrale, e Mediolanum I, II, III, IV e V erano anche un centro abitato. Barcellona era una discoteca celeberrima grandissima e grandiosa, Parigi era considerata una Bari senza il mare, Stoccolma non era ancora stata chiusa per troppa efficacia nell’amore e conseguente tendenza al suicidio degli abitanti. Firenze era un Museo celeberrimo in cui si mangiavano succulente carni servite dai comici, Vienna una noiosa pinacoteca boschiva,

Amsterdam un arsenale pacifico di cannoni lungo il fiume, Londra un popolare svincolo autostradale, Bratislava era la sola sincera, nella sua consumazione lenta e disincantata, silenziosa e spietata. E Roma, il palindromo di Amor. Le città erano in fieri, i viali di circonvallazione erano luoghi istituiti dal Ministero della Prostituzione e delle attività onaniste sotto l’egida dell’UNESCO, i colli erano luoghi controllati dalla Ristorazione e dagli innamorati nostalgici e poveri, che si amavano sopra un albero o sotto un campo di grano, la piazza era una sala televisiva e mediatica (a Mediolanum una storica piazza di epoca rinascimentale fu Piazza Affari, così chiamata perché sede del mercato ortofrutticolo locale). Le periferie erano l’oppio dei poveri e dei popoli, e tutto sembrava funzionare davvero. Si stupì il bambino quando lesse che


successivamente a questa epoca tutto si distrusse da sé, l’apocalisse urbana, e ci fu un’era del black-out di circa due glaciazioni. Il paesaggio ora è così diverso, le città ora si trovano solo nei libri di PreStoria, così come tutte queste belle cose, che qui si descrivono, con molta fantasia forse3. Il paesaggio è bellissimo, desertico nel deserto con l’acqua artificiale, il vino e la marmellata con il pane, si vive ormai soli nelle calotte e si ama nelle caverne post-nucleari e ci si riproduce nei rifugi post-atomici. Il verde è da secoli ritornato a popolare il deserto, inizialmente giallino, poi fronzuto e fresco. Sugli alberi vivono i Dendriti, quelli che hanno fatto dell’Amore una scelta di vita (non più confinato dai semafori), e sotto al fango vivono i demoni, quelli che vorrebbero un ritorno all’Era dell’Acronia. Le uniche aree definibili come città sono forse Sodoma, città dell’arte amorosa, Nuova Babilonia, città del sapere, Cuccagna, paese della creattività, e Dite, la città di Dio. I dinosauri si sono impossessati da tempo dell’uso dell’elettricità per uccidersi tra di loro, e prima o poi si estingueranno tutti, così, per sempre. E la Politica non esiste più da secoli. Atlantide è riemersa. Eldorado ritornata. Eden, ed Amen.

Atto concepito, secondo Aristofane di Bisanzio, addirittura a metà del XX secolo dopo Cristo, attorno al 1968, come dimostrano alcuni documenti iconografici disponibili al Museo Archeologico delle Multimedialità. 2 Civiltà dei Balocchi. 3 La celeberrima disputa tra gli AnteStorici, sostenitori che tutto ciò è esistito, tra cui Callimaco, Omero, Galileo, Cartesio, Tertulliano, Persio, e i FantaStorici, coloro che si immaginano che sia quasi tutta immaginazione, come Senofane, Agostino, Evemero, Catullo, Ovidio, Angiolieri, Apuleio, Giovanni Boccaccio, Iovannis.

Come nascono le discariche Favola “edificante”, tratta da una storia realmente accaduta (e che sta ancora accadendo, ahinoi!) Qualche anno fa, in un verde comune, non verde d’invidia, vivevano uomini di sani principi, contadini e laboriosi. La saggezza popolare aveva la meglio sulle puntate di Domenica In e i centri commerciali distavano ancora duecento chilometri. L’amore vinceva omnia si potrebbe dire, ma poi arrivarono i signori Soldi Facili. L’annuncio recitava: «Ottima remunerazione per smaltimento rifiuti tossici, cercasi cuore impavido che se ne voglia incaricare. No perditempo né ambientalisti». Così qualcuno pensò: «È uno sporco lavoro (certo, sono rifiuti…), ma qualcuno dovrà pur farlo…. Only the brave, come dice Gerry Scotti!» e così Braveheart si rimboccò le maniche e cominciò a lavorare per il mandato che gli dei gli avevano assegnato. Ma i rifiuti erano tanti, e posti dove adagiarli non ce n’erano. Da qui il colpo di genio: «Quasi quasi li lascio dove mi pare» e li lasciò in un campo, nel paese, ammucchiandone ogni giorno di più: una splendida, gradevole e odorosa discarica a cielo aperto. Dopo qualche tempo un po’ di vegetazione s’iniziava a intravedere sulla montagna di rifiuti e, Braveheart, reputando la cosa interessante, pensò di far passare quei rifiuti per fertilizzante, vendendone gran quantità ad aziende agricole locali. Ma anche chi non comprava verdura proveniente da queste aziende aveva diritto ad assaporare il sapore gustoso dei rifiuti mangiando i vegetali del proprio orticello! Fortunatamente all’espansione del materiale tossico contribuirono gli agenti atmosferici… Tutto procedeva a meraviglia nel verde comune, unica nota stonata l’aumento dei tumori tra la popolazione. Bambini soprattutto. Ma sicuramente ciò non ha nulla a che fare con i rifiuti. Infatti sia l’Agenzia Regionale Protezione Ambiente, sia le istituzioni comunali, hanno sempre dichiarato l’assenza di correlazione inquinamento-tumori… ?!! Braveheart è stato poi arrestato ma per poco tempo, fortunatamente. I rifiuti sono ancora lì che ci ammiccano e anche noi ormai gli vogliamo bene.

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Gennaro Febbraro

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Sami Rintala, Forest Observatory

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Il paesaggio, i suoi simboli e la necessità di costruire: «Sperimentiamounnuovoequilibrio» Intervista all’architetto Sami Rintala. ritorio in cui nasce. natura che nella vita moderna è veLe installazioni di Sami Rintala appaio- nuto a mancare. È un’interpretazione Del contributo originale, profondo eppu- no come degli “osservatòri della natura”, corretta? re incisivo, che Sami Rintala ha dato al nella maggior parte dei casi situati in Non si può propriamente dire che l’uomo discorso sulla natura, la cosa che più zone incontaminate come laghi, pianu- abbia “perso qualcosa”: semplicemente, spesso ci concentriamo sulle cose più sorprende è proprio la radice artistica. re, foreste o lande ghiacciate. L’impronta di una disciplina che mai Nell’essenzialità delle forme, dei ma- insignificanti, perché capita che in un come oggi appare tanto “artificiale”, teriali e del colore, che realizzano dato momento storico siano considerache, dopo aver superato l’indagine della una nuova armonia paesaggistica te importanti. In questo modo le nostre natura e infine anche quella sull’uomo, con l’ambiente circostante, si esprime risposte diventano sbagliate proprio sembra sempre più risolversi in se stes- un’idea artistica forte e allo stesso perché sono legate a bisogni che nestempo semplicissima: gli osservatòri di suno ha davvero. Direi che la mia è più sa. Architetto finlandese assai conosciuto Rintala propongono un nuovo punto di una reazione personale allo stato delle in Europa e in Asia, Rintala suscita oggi vista, invitano ad un contatto immediato cose, non c’è un intento esclusivamente interesse sempre maggiore anche nel e profondo con la natura. Ci ricordano artistico alla base di questa attività. Ciò panorama italiano. E proprio dalle pagi- che per comprenderla non dobbiamo che mi interessa è scoprire un “modo ne di «Argo», per la prima volta in Italia, far altro che recuperare il linguaggio architettonico” per indagare la relazione ha voluto raccontare il significato della silenzioso nascosto in noi dall’inizio dei tra la natura e l’ambiente articolato cresua arte, un nuovo modo di intendere tempi. ato dall’uomo: un’architettura raffinata può valorizzare la natura incornicianl’architettura: l’edificio, espressione artificiale, coopera con l’ambiente cir- Spesso la sua opera viene intesa dola, creando un contrasto con essa, costante creando un artificio di natura come la rappresentazione artistica facendole da sfondo. diversa, figlio dell’uomo quanto del ter- di un equilibrio tra artificio umano e In fondo, anche l’ambiente creato di Lou Del Bello : loudelbello@argonline.it


dall’uomo è costituito da elementi reperibili in natura, semplicemente possiede un ciclo vitale diverso. Se riuscissimo ad avere il giusto controllo su questo ciclo vitale, prevedendone l’impatto sulla vita delle altre specie, saremmo già un passo avanti verso la soluzione. Non possiamo ricreare la natura, e nemmeno produrne un’imitazione: creiamo qualcosa d’altro. Credo che ci siano una

o meno, significati ben più complessi di quelli che apparentemente sono alla base della loro produzione. Nel creare architetture o qualsiasi altra infrastruttura, abbiamo quindi la responsabilità di considerare anche questi flebili, primitivi segni. Questo è sicuramente difficile, accecati come siamo dalla velocità, dal guadagno immediato e anche dall’egoismo. La storia non si ferma qui, saremo giudicati

perché non far sì che la risposta a questo sia di volta in volta differente, in base al carattere del territorio e alle attuali possibilità tecniche? Questo è l’approccio che credo dovrebbe essere applicato nel progettare qualsiasi costruzione. La questione, dunque, non è se costruire un muro o no, ma come farlo: potrebbe ad esempio risultarne un equilibrio significativo tra ciò che è stato tolto e ciò che Sami Rintala, Forest Observatory

58 quantità di modi per vivere su questa terra che devono ancora essere sperimentati, data la nostra tecnologia, creatività e la possibilità di imparare dalla storia, cioè dai tentativi precedenti. Crede che la modificazione estrema del paesaggio da parte dell’uomo possa avere delle conseguenze psicologiche, anche a lungo termine, sulla stessa società umana o sul singolo individuo? L’ambiente che ci circonda ha un preciso effetto su di noi, sia esso naturale o costruito dall’uomo. Sin dagli albori della sua storia, l’uomo ha assegnato dei significati simbolici alle forme peculiari del paesaggio naturale e ad un certo punto queste forme simboliche si sono evolute in alcune delle nostre costruzioni. Queste costruzioni possiedono ancora le stesse radici ed esprimono la stessa concezione del mondo, veicolando, volutamente

da coloro che verranno dopo, lo sarà la nostra filosofia, la nostra comprensione di ciò che è importante e bello nell’esistenza umana. Le sue installazioni appaiono come luoghi privilegiati dove osservare la natura, ritornare in contatto con essa. Qual è la funzione della mediazione architettonica tra uomo e natura, la necessità di un muro che interrompa il contatto diretto? Io aspiro a realizzare opere particolari che includano un progetto originale ma anche un’espressione e una speranza universali: non ricerco una forma espressiva esclusiva, o rivoluzionaria, ma qualcosa che semplicemente esuli dal luogo comune, sia una lettura alternativa della realtà. Mi spiego: se il progetto fosse un palazzo residenziale o di uffici, l’idea di base sarebbe la stessa. Se la necessità da soddisfare è la protezione, un riparo,

è stato “restituito” al paesaggio. Il “muro” non dovrebbe rappresentare una barriera tra la natura e l’uomo, ma piuttosto incoraggiarlo ad un contatto diretto con il mondo reale. Le sensazioni suscitate dalle sue opere coinvolgono i sensi di chi le esplora: non solo la vista, ma anche l’udito, e forse l’olfatto, il tatto. Ciò che viene attivato da questa esperienza può essere definito, oltre che un contatto con la natura intesa come ambiente, anche con la natura umana più profonda, con le sensazioni più antiche che risiedono nell’animale-uomo? Siamo creature ben più complicate di quel che crediamo, dispositivi sensibilissimi che scandagliano costantemente l’ambiente circostante. Misuriamo lo spazio e il tempo attraverso tutti i nostri sensi (che probabilmente sono ben più di cinque) e coerentemente stabiliamo


Sami Rintala, Forest Observatory

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il nostro agire. Un contesto naturale innesca sicuramente risposte forti nel nostro sistema, se ci apriamo a questo tipo di relazione. Lo stesso può fare l’architettura. La natura si presenta in costante mutamento, nelle sue mille impalpabili sfumature, nella sua vitalità che cresce. L’uomo è una creatura evolutasi in questo contesto alla ricerca di nutrimento e riparo, e quindi è geneticamente predisposto a interpretare il mondo naturale: esso stimola maggiormente i nostri sensi, con messaggi che il corpo riconosce come “interessanti”. Tuttavia, avvicinandomi all’architettura ho scoperto che essa è in grado di farmi respirare il silenzio di un’aria vibrante di luce e ombra, cogliere il senso d’attesa, ascoltare gli echi dell’attività che l’ha creata, comprendere i livelli profondi di significato che essa cela. Tutto questo sfugge all’espressione del linguaggio, esattamente come avviene con un’esperienza forte di comunione con la natura. Sono percorsi interiori molto simili, alla fine dei quali incontriamo noi stessi.

Per finire, presentiamo una delle sue opere, Forest Observatory (2004). Come racconterebbe a parole quest’opera per chi abbia la possibilità di vederla solamente in fotografia, ma non di viverla, farne esperienza diretta? Quando mi addentrai per la prima volta nella fitta foresta, iniziai istintivamente a camminare in silenzio e ad ascoltare attentamente. Non era possibile vedere chiaramente per più di venti metri, e si percepiva molto più di quanto fosse possibile sentire. Quella piccola foresta era ricca di suoni che diventano misteriosi dal momento che la loro sorgente era nascosta; strani uccelli, il crepitio degli animali fra i cespugli, il vento sulle cime degli alberi. La nebbia, spesso presente, rafforza questa esperienza. Se si rimane immobili per un po’, diventa un universo che si vorrebbe capire più in profondità. Forse, se si ascolta abbastanza pazientemente, esso si rivela. In silenzio e in allerta, si diventa ancora parzialmente animali. Questo strumento architettonico, il Forest Observatory, costruito dentro gli

alberi, è pensato per aiutare le persone a capire la natura. Raccoglie e ospita i suoni e offre ricoveri mirati alla percezione. La corte interna è una stanza acustica articolata, chiusa, che stimola una conversazione silenziosa. Come vedi, anche qui non c’è nulla di eccezionale o straordinario, ho solo incorniciato questi due fenomeni del tutto ordinari: gli affascinanti suoni nascosti della natura e le voci dei visitatori.


Come Rose che crescon nell’asfalto

Ovvero, è possibile conciliare in un’unica soluzione continua i fiori, un inceneritore comunale, l’erba, l’arte e una periferia austera & austriaca? Sì! La Bioarchitettura di Friedensreich Hundertwasser di Daniel Agami : Altrove@argonline.it Ama e ridi se Amor risponde, piangi forte se non ti sente, dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i Fior Fabrizio De Andrè

Polvere siamo, e in polvere ritorniamo. Poi si pensa che non esistono foreste impolverate, né boschi pieni di polvere: dunque la Polvere è collegabile all’Uomo. Lo ricorda, del resto, anche l’incipit ecclesiale1 del mercoledì delle ceneri. Cenere. Provocata dalla combustione, quindi dal Fuoco, scoperta dell’Uomo. Sì ritorna sempre lì. Fuoco che non

serve solo a cuocere la carne, a riscaldare gli inverni, a illuminare la stanza o a metaforizzare la passione, ma anche a bruciare i rifiuti, emanazioni dell’Uomo, che attraverso varie peripezie chimiche lo allontanano sempre più dall’originario (e quasi leggendario) Stato di Natura. La maggior parte delle lotte ambientaliste nostrane vede nello smaltimento dei rifiuti un eccidio della natura, e nell’Inceneritore il nemico contro cui combattere: l’Italia meridionale è il risiko delle lotte tra asses-

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Friedensreich Hundertwasser, Fernheizwerk Spittelau


sori all’ambiente, cittadini, ingegneri civili, come l’attuale impegno del sacerdote Alex Zanotelli contro gli inceneritori campani2. Eppure, non sempre Inceneritore e Natura sono antitetici: basta una notte di treno (in movimento, e in direzione giusta) e si arriva a Vienna, dove Inceneritore e Natura si fondono in modo artificiale e in modo naturale al tempo stesso. Non solo: l’inceneritore viennese è anche l’unico al mondo (fino a prova contraria) che sia pure un’opera d’arte, al punto tale da essere menzionato in una guida turistica al pari del Museo di Storia dell’Arte e della Sachertorte. Il merito va

do a disegnare innocui fiori. Al termine, studia all’Accademia di Belle Arti, in cui perfeziona il disegno, influenzato dalle avanguardie austriache (Klimt, Schiele, Kampmann) e da Klee: i suoi dipinti trovano nella Natura il soggetto principale e più importante – evidente fin dal titolo, in Gente (Complemento agli alberi), 1950, Vienna, Kunsthauswien. Tra il 1950 e il 1961 viaggia ed espone acquerelli in Marocco, Francia, Tunisia, Italia, soggiorna per molti anni in Nuova Zelanda, e guadagna spesso emolumenti naturali. Ma è in Giappone 4 il viaggio decisivo: influenzato dal rinascente Giapponismo,

dando talvolta quasi più importanza alla formulazione di una teoria artistica che alla pratica. Prendendo spunto dagli spigoli e dalle linee spezzate in natura, uccide la linea retta prima in teoria 6, poi in pratica, concependo palazzi spigolosi, dai perimetri irregolari (i cui pavimenti, a detta di Fritz Hundertwasser, «riportano all’uomo le vibrazioni naturali»), come la HunderstwasserHaus (1979-1986, Vienna): lo stile ricorda Gaudì, il palazzo è pieno di rientranze improvvise e insolite sporgenze, frammentato nei materiali utilizzati, in modo irregolare, e persino nei colori, e a questa entropia edile

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all’austriaco Friedenshreich Hundertwa- collabora con vari xilografi nipponici. contribuisce anche l’uso ossessivo delle sser, nome d’arte parlante (in tedesco Mentre in America (e in buona parte piastrelle cromatiche, che interrompono significa “Impero di pace Cento Acque”) dell’Europa) l’Arte si appassiona a temi qualunque armonia razionale. Il palazzo adottato nel 1949 da un poliedrico e ge- più industriali, come la riproducibilità sembra interrotto e ripreso nel corso niale rivoluzionario: architetto in primis, dell’opera d’arte, la Pop Art o il razio- degli anni da diversi stili e architetti, ma anche ecologo, teorico dell’arte e nalismo architettonico, Hundertwasser come la Sagrada Familia barcellonese, artista, docente, arredatore e polemista. avvicina la ricerca non ai movimenti arti- quasi fosse non statico, ma diacronico, Hundertwasser (1928-2000) fa i conti stici statunitensi, da cui si tiene lontano, soprattutto, coi suoi abitanti7. Eppure, con l’allontanamento della Storia dallo bensì ai movimenti politici e culturali, l’eccentrico pittore “vegetativo metroStato di Natura già durante gli anni del agli ideali degli Hippy: dagli acquerelli politano” (come si definiva), non si limita nazionalsocialismo hitleriano, che na- passa ad occuparsi di edifici, targhe a una mimesis naturale, ma arriva ad scondendosi dietro una degenerazione automobilistiche, bandiere, e a scrivere utilizzare il naturale assoluto nella codel darwinismo era totalmente opposto numerosi manifesti5 che poi, da manife- struzione del palazzo: la flora. Al pari dei alla Natura. Nel 1943 Hundertwasser sti artistici, diventano manifesti etici, di materiali edili, sia nel progetto che nella deve arruolarsi nella Gioventù Nazista vita, mentre la sua opera, percepito il realizzazione, grandi spazi dell’edificio 8 per sopravvivere, nonostante sia ebreo; progressivo allontanamento dell’Uomo sono occupati da piante, alberi che interl’Arte è l’unico linguaggio per riavvicinarsi dallo Stato di Natura, tende a reintegra- rompono la superficie del palazzo con alla Natura, e non ancora ventenne resi- re l’Uomo in Natura, e, soprattutto, la appositi balconi arborei, fino all’apoteosi ste alla Bufera nazista (con la suggestiva Natura nell’Umano. Elabora una parti- (in tutti i sensi), un giardino pensile, che immagine di Eugenio Montale3) imparan- colare, sovversiva e apodittica poetica, censura ogni possibile spazio per man-


sarde o attici. Ma perché? Hundertwas- comunque armonizzino il più possibile ser è convinto (e convince) che l’uomo con l’ambiente naturale circostante e debba concepire le espressioni arboree siano ecocompatibili. della Natura come legittime coinquiline Ma il capolavoro di Hundertwasser ridomestiche, che ricambierebbero poi mane l’Inceneritore comunale di Vienna, l’ospitalità con ossigeno e benessere. costruito nel 1969, in funzione dal 1971, Via via il pensiero di Hundertwasser si e riaperto definitivamente nel 1992. L’edifa sempre più ascetico e radicale, arri- ficazione dell’Inceneritore gli è commisvando alla Teoria dei Tre Scudi, secondo sionata dall’amministrazione comunale cui l’uomo si è allontanato dallo Stato di viennese: è l’occasione per la sua estreNatura mediante tre scudi: case, città e ma provocazione. Hundertwasser realizindumenti. All’artista spetta l’eliminazio- za un’opera architettonica, in cui le piante, ne, parziale o totale, dei primi due. Ma pensili, graminacee e statiche, s’intrecnon s’accontenta di intervenire su edifici ciano e intrecciano la cilindrica struttura e nuclei urbani, sostiene pure l’elimi- dell’impianto fortemente ecologico9, con

Friedensreich Hundertwasser

nazione dei vestiti (in piena linea con i una ciminiera alta 160 metri, culminante raduni hippy): l’uomo dovrebbe vivere in un imprevisto bulbo di ceramica colonudo, così com’è nato, egli stesso parte- rata, e trasgredisce persino l’ultimo tabù cipa a conferenze pubbliche in costume per le piante, ora armonicamente inseri(?) adamitico, e successivamente, dopo te nelle edicole e nelle rientranze di un che, nel 1981, gli viene assegnata una inceneritore comunale. L’Inceneritore di cattedra all’Accademia, terrà le lezioni Spittelau, a pochi chilometri dalla stazioagli studenti liberamente ignudo. ne ferroviaria viennese, nella seconda, Alberi nei palazzi, fronde e giardini trafficata, periferia di Wien, è diventata pensili edificati, docenze col pene al una vera attrazione artistica per i turisti vento, c’è n’è abbastanza per confinare in Austria: coerentemente con la capitale, Hundertwasser ai margini dell’Architet- la più verde d’Europa10. E rappresenta tura contemporanea, per eliminare ogni la summa dell’opera di Hundertwasser, riferimento alle sue opere e idee nei dove l’inconciliabile è conciliato, ossimocorsi di Architettura e Ingegneria edile: ro architettonico che fonde in sé la Nanon migliora la sua posizione l’adesione tura (nella sua espressione più alta) con alla Bioarchitettura, discussa branca ar- l’Uomo (nella sua espressione più bassa: chitettonica che tiene in considerazione il rifiuto, la cenere), che aggiorna e rinnoper l’edificazione solo materiali naturali, va una sempreverde verità: talvolta, nel o di chiara derivazione naturale, e che letame, crescono i fior.

1 Memento homo, qui pulvis es, et in pulverem reverteris, che tradotto fa pressappoco: ricordati, oh umano!, che polvere sei, e alla polvere ritornerai! Così recita la litania della messa del mercoledì delle ceneri, nel culto cristiano. 2 Alex Zanotelli, padre missionario in Africa e in Sudamerica, già direttore della rivista comboniana «Nigrizia», è tornato nel 2006 in Italia a fare una missione nell’«Africa Italiana» (F. De Gregori), Napoli, in coerenza con l’emergenza criminalità nel capoluogo campano dichiarata dal Ministro degli Affari Interni Giuliano Amato. Ospite dell’infotainment di Raitre Che tempo che fa di Fabio Fazio del 28/4/2007, ha pronunciato un forte J’accuse contro l’amministrazione campana riguardo i danni ambientali e igienici provocati dall’edificazione di nuovi inceneritori, che favorirebbero le camorre. La sola possibilità per risolvere il problema rifiuti è la raccolta differenziata, associata a processi biologici “a freddo” di smaltimento quali la biossidazione. Scrive Zanotelli in una lettera aperta inviata al quotidiano «La Repubblica» (pagine locali di Napoli, 14/11/2006): «Gli impianti di smaltimento a caldo quali inceneritori e gassificatori sono estremamente dannosi per l’ambiente e per la salute delle popolazioni esposte direttamente ma anche indirettamente tramite la catena alimentare». 3 Il riferimento va al titolo della terza raccolta poetica di Eugenio Montale, La Bufera ed altro (1956), in gran parte dedicata ai totalitarismi italiani e tedeschi, come la struggente La primavera hitleriana. 4 Sul rapporto tra Giappone, Arte e Natura, si vedano anche gli haiku in questo «Argo», pubblicati a pag. 20, e l’articolo a pag. 44. 5 Dal Manifesto per il Boicottaggio dell’Architettura (1968) passa ai Diritti della Finestra e Doveri dell’Albero (1972), fino a Che tutto sia ricoperto di vegetazione (1980) e all’Albero Inquilino (1981). 6 «La linea retta è senza Dio [...] Al giorno d’oggi viviamo in un kaos di linee rette, in una jungla di immorali linee rette. La livella e il metro dovrebbero essere vietati, sono il simbolo dell’ignoranza e il sintomo della disintegrazione della nostra civilizzazione». 7 «Purtroppo il processo della costruzione cessa al momento stesso in cui l’uomo prende la residenza nel suo domicilio; idealmente, il processo della costruzione dovrebbe cominciare soltanto quando l’uomo si muove dentro. Solo quando architetto, muratore e occupante formano una trinità come Padre- Figlio- Spirito Santo si può parlare di architettura». 8 Ora di proprietà del Comune di Vienna e utilizzabile sono in affitto. 9 Bruciando i rifiuti l’Inceneritore produce le emissioni meno nocive al mondo, e fornisce energia termica pulita a un terzo della popolazione cittadina, diventando dunque anche un efficiente termovalorizzatore. 10 Il 52 % del territorio municipale di Vienna è costituito da boschi, prati e parchi: 1500 giardinieri comunali si occupano dei parchi e dei giardini pubblici, che nel centro arrivano a confinare l’uno con l’altro in un’unica strada.

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L’araba fenice della storia tedesca: il nudismo

Contro il caos moderno e la vergogna irrisa dalla ragione, contro l’inquinamento e contro le spie della Stasi. Sul piacere di sollazzarsi ignudi in Germania, tra spiagge baltiche e olimpiadi naziste ficazione culturale, che caratterizzava la fermare che “il re è nudo”, proprio quando, zona del lago di Como e di tutta l’area alpi- letteralmente, il re è nudo. Una delle espressioni preferite del mio na confinante con la Svizzera. Verso la fine La pratica del nudismo nasce in Germania dialetto (lombardo di montagna) è balabiot. dell’Ottocento, le ville e le aree termali della in concomitanza con il los von Berlin (via da Balabiot significa “colui che danza ignudo”. zona erano frequentate da ricchi tedeschi, Berlino), un movimento culturale che voleMia nonna mi chiamava balabiot quando fieri di una pratica sconosciuta ai locali: il va allontanarsi dall’urbanizzazione e dalla me ne stavo appisolato in un prato a far nudismo. I contadini lombardi lavoravano la modernizzazione, dall’incubo delle città niente, oppure quando mi rincorreva per terra, vendemmiavano, falciavano il fieno, contemporanee e ritirarsi in una Germania costringermi a mangiare la bistecca. Se pascolavano le vacche, facevano il burro pastorale e neo-classica, lontana dal caos mia nonna fosse ancora in vita e mi ve- e il formaggio, sellavano i cavalli, pulivano i delle folle di proletari. Il nudismo si sviluppa desse passare tutto il giorno davanti allo pavimenti, cucinavano, cacciavano cervi e quindi come culto della natura e del passaschermo di un computer, perso tra un arti- lavavano piatti per questi ricchi signori mit- to germanico, in chiave anti-urbana. La pricolo accademico da finire, aggiornare il mio teleuropei, che si divertivano a girare per ma associazione nudista, la FKK (FreiKörblog o lasciare un commento sul myspace casa e nel giardino indolentemente ignudi. perKultur) nasce nella regione dell’Essen di peter hook, direbbe: «sarà mica lavorare I contadini commentavano con balabiot il nel 1898. Freikörperkultur significa “cultura nudismo in uso tra i ricchi tenutari teutonici, del corpo libero”. Nell’accezione tedesca sta roba, sei diventato un balabiot». Il termine nasce da una particolare strati- è una rivalsa del popolo, un modo di af- del termine, “cultura” designa tutto ciò che di Giacomo Bottà : giacbot@hotmail.com

Marina Abramovic, Balkan Erotic Epic | © Alessia Bulgari | courtesy Marina Abramovic / Galleria Lia Rumma Napoli / Milano

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trollabili di nudisti, dove la Stasi (la polizia nobilita la condizione umana attraverso la biodegradabile, tetrapak e grüne punkt. ragione. Nel caso della FKK la ragione si Nella Repubblica Democratica Tedesca segreta) difficilmente riesce a infiltrarsi: pone lo scopo di favorire il contatto con la il bagno textilfrei (senza tessuto tessile) provate a nascondere un registratore a bonatura e con l’aria aperta, combattendo la diventa simbolo dell’egualitarismo socia- bine o un blok notes, quando siete in tenuta lista. Il direttore della fabbrica è uguale adamitica. vergogna nell’esibizione del corpo. Sotto il nazismo il nudismo sopravvive, all’addetto alle macchine, l’autista di tram Oggi il nudismo è praticato sia in spiagge e diventando culto superomistico del corpo, è uguale al pittore realista, tutti sono uguali zone di campagna, sia in città. Molto spescome celebrato in Olympia. Fest der Völ- e, ignudi, sono ancora più uguali. Contem- so, avventurandosi in parchi e aree verdi ker (Olimpia. Festa del popolo) e Olympia. poraneamente però il nudismo nella RDT nel centro di Monaco, come in altre città Fest der Schönheit (Olimpia. Festa della diventa anche strumento di ribellione al di tutta la Germania, è facile imbattersi in bellezza), i due film di Leni Riefenstahl sistema. Se alcune libertà fondamentali qualcuno che passeggia tranquillamente o sulle olimpiadi berlinesi del 1938. Special- sono vietate (raggruppamento, movimen- prende il sole nudo. Le spiagge per nudisti mente all’inizio del primo film, nelle scene to, associazione...), allora non resta che nella Germania occidentale sono indicate ambientate nell’antica Grecia, i corpi degli esercitare l’unica libertà possibile, quella con un cartello con la scritta FKK. L’asatleti sono nudi e le pose traggono ispira- individuale: spogliarsi, liberarsi della tuta sociazione raccoglie numerosi iscritti in blu da lavoratore, dell’uniforme da poliziot- tutta la Germania. In Germania orientale il zione dalla scultura classica. Dopo la fine della seconda guerra to, della camicia della FDJ (Freie Deutsche nudismo è ancora oggi praticato ovunque, mondiale, nella Repubblica Federale Jugend, l’organizzazione giovanile del par- senza nessun tipo di controllo e costituTedesca, il nudismo è praticato in chiave tito) significa liberarsi dell’oppressione che isce una componente molto importante ecologista, assieme all’uso smodato del- lo stato e il partito esercitano sull’individuo. dell’identità post-RDT. la bicicletta e all’ossessiva divisione dei Le spiagge dell’Ostsee, il mar Baltico, si rifiuti domestici in carta, vetro, materiale trasformano in oasi incontrollate e incon-

L’autore di questo articolo non pratica il nudismo e mantiene un atteggiamento abbastanza vittoriano nei confronti della nudità. Il suo interesse nei confronti dell’argomento è puramente culturale-antropologico.

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Ljubisa Georgievski, Mountain of Rage


Il ruolo della natura nell’ideologia nazista

Tra mitologia e razionalizzazione, la croce uncinata sognava di plasmare il paesaggio secondo l’archetipo della purezza biologica. Storia e matrici di un incubo

giorno della Gioventù Hitleriana, Norimberga, 1937

di Barnaba Maj: barnaba.maj@unibo.it

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N

ell’enorme letteratura sul nazismo che, grazie a Ian Kershaw, siamo ormai in grado di classificare in differenti filoni, si legge spesso che l’ideologia nazista aveva una visione tragica e cupa della vita, del mondo e della storia. Si prenda ad esempio il caso eclatante di Fritz Lang che, in collaborazione con Thea von Harbou, nel 1924 aveva realizzato Die Nibelungen (I Nibelunghi), in due parti: Siegfrieds Tod (La morte di Sigfrido) e Kriemhilds Rache (La vendetta di Crimilde). Ispirato all’antico poema germanico, questo film era piaciuto a Hitler e ai dirigenti nazisti. Pur sapendo che poi Lang aveva diretto M (1931) e Das Testament des Dr. Mabuse (Il testamento del dottor Mabuse, 1933) – film chiaramente antinazisti –, all’indomani della conquista del potere, Joseph Goebbels gli offrì a nome di Hitler la direzione del cinema tedesco. Lang la ritenne una trappola e fuggì. Ma anche Die Nibelungen mostra che la tesi dell’ideologia nazista come visione tragica è solo un luogo comune, irritante e basato su un fraintendimento. Tuttavia

in esso cade ancora, per esempio, Emilio Gentile, uno degli interpreti più accreditati del fascismo e delle dottrine totalitarie. L’ideologia nazista non è affatto tragica, al contrario è una terribile deformazione del tragico, più esattamente un wagnerismo una “epicizzazione” mitologica del tragico. L’equivoco nasce dal concetto tipicamente tedesco di Schicksalsdrama (dramma legato al destino). In effetti, il concetto di Schicksal (destino) ha un ruolo importante nel nazismo. Ma vediamo come. In Wesen und Gestalt des Nationalsozialismus (Essenza e forma del nazionalsocialismo), un importante scritto del 1934, il Reichsminister für Propaganda und Aufklärung (Ministro della propaganda e dell’educazione) Goebbels scrive che il nazismo è una rivoluzione ideologica, un mutamento nella concezione del mondo, che corrisponde alla Schicksalfrage della nazione tedesca. Alla lettera, Schicksalfrage significa “questione del destino”, ma il suo senso fondamentale


è “questione vitale”. È un condensato di brutale ideologia architettonica che parte protagonista ritorna nel villaggio natale filosofia della storia (a ragione Marrou dalla natura e mira a plasmare la natu- (Dorf), nel territorio dell’Hunsrück. Il sostiene che i totalitarismi sono filoso- ra, compresa la natura umana in senso nazismo è partito proprio da qui, dal fie della storia), una sorta di piano nella biologico. Come ha magistralmente spie- cuore emotivo del paesaggio tedesco, storia del mondo, che ad ogni nazione gato Mosse, l’impulso primario viene dal per proporre un piano architettonico che assegna un compito specifico. Rispetto concetto tardo-romantico di Landschaft voleva riplasmare le città e il mondo seal compito storico della nazione tede- (paesaggio). In nessun’altra concezione condo l’archetipo della purezza razziale sca, alla questione/richiesta di primato nazionalistica del paesaggio è presente tedesca. Il nucleo mitologico della natura che il destino le impone, finalmente c’è una componente völkisch (popolare) così interpretata come paesaggio permetteva un’ideologia e un movimento che rispon- radicale e aggressiva come in quella te- di offrire una via speciale (Sonderweg) dono: il nazismo, appunto. In tal modo, il desca. Questa componente è mitologica, di costruzione del moderno, apparennazismo riprende e potenzia il nucleo più non storica. Il paesaggio è molto di più temente non lacerata e anzi emotivaaggressivo del nazionalismo tedesco. La che una fusione di natura e lavoro umano: mente così forte da eliminare ogni freno cornice storica è duplice: la prima guer- è impregnato di sangue tedesco, è terra inibitorio rispetto ai suoi micidiali esiti ra mondiale è collocata nella categoria etnicamente connotata. La sua funzione razzisti. A questo proposito, occorre della vittoria tradita, di cui la Repubblica è potente, poiché è in grado di agire sugli però essere più precisi: ciò che andava Democratica di Weimar diventa il frutto strati profondi dell’emotività popolare. annientato con una guerra di sterminio velenoso e deviante; il filo della continu- Con ciò è possibile liberare finalmente il (Vernichtungskrieg) era il mondo slavoità storica con il nazionalismo ottocente- campo dagli equivoci interpretativi legati giudaico-bolscevico, il mondo degli Unsco viene riannodato. A questo proposito, non solo all’idea grottesca della visione termenschen (Subumani). Non è un caso in campo storiografico è ormai pratica tragica, ma anche e soprattutto dell’irra- che la soluzione finale (Endlösung) sia corrente riferire la formula “nazionaliz- zionalismo ideologico. Questa interpre- maturata nell’autunno del 1941, durante

50 Paul Blobel

Josef Mengele

Reinhardt Heydrich

zazione delle masse” a tutto l’Ottocento tazione canonica, infatti, che va da Lueuropeo. Ma in George Mosse, che ne kács a Bracher e che ha profondamente è l’autore, è riferita innanzitutto al caso influenzato la storiografia, ha finito per tedesco e forma uno stretto binomio con collocare nel mistero inesplicabile la relaciò che lui stesso ha definito the crisis of zione fra Hitler e il popolo tedesco. Essa the German ideology. Partendo da altre non tiene conto della funzione razionapremesse, in The German Conception of lizzatrice della mitologia, che si cristalHistory (1967) George G. Iggers sostiene lizza e stilizza in progetto architettonico. che la storiografia tedesca e le correnti L’ideologia nazista non è semplicemente dello storicismo arrivarono al terribile conservatrice, si presenta invece come snodo storico della guerra mondiale in profondamente innovatrice e a suo modo uno stato di incomprensione totale della lo è. Vuole plasmare il mondo secondo gli archetipi mitologici di cui il paesaggio modernità. Questo è un punto-chiave. È alla luce tedesco fornisce l’esemplare. dell’interpretazione della modernità, in- Questo aspetto è visibile nel primo epifatti, che si capisce il ruolo della natura sodio di Heimat (1984) di Edgar Reitz, in nell’ideologia nazista. Il nazismo è una cui alla fine della guerra (1918) il giovane

la campagna militare contro l’URSS. Nei discorsi che a partire da questo periodo Heinrich Himmler ha tenuto agli ufficiali delle SS e della Wehrmacht la “riduzione” non poteva essere più brutale: eliminare il sangue giudaico-slavo-bolscevico per liberare lo spazio al sangue tedesco. Discorso da ex-allevatore di polli, che il nazismo aveva collocato al vertice del potere. Pensare che la spiritualità jiddisch include una certa pietà creaturale anche per gli animali destinati alla macellazione! Che Dio ci guardi anche attraverso lo sguardo di una gallina o di un vitellino dovrebbe essere più che un dubbio teologico, per dirci umani.


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