Charles Horton Cooley
La comunicazione A cura di Giovanni Ciofalo
ARMANDO EDITORE
Sommario
Premessa di Giovanni Ciofalo La comunicazione di Charles Horton Cooley 1. L’importanza della comunicazione 2. Lo sviluppo della comunicazione 3. La comunicazione moderna: estensione e animazione 4. La comunicazione moderna: l’individualità 5. La comunicazione moderna: superficialità e tensione 6. La teoria dell’opinione pubblica
Nota bio-bibliografica
7 35 36 41 55 66 73 79 92
Premessa di Giovanni Ciofalo
Analogamente a quanto avviene in campo più propriamente sociologico con Gemeinschaft und Gesellschaft di Ferdinad Tönnies, il cui anno di pubblicazione (1887) può rappresentare l’ideale confine teorico tra la premodernità e la modernità, l’opera Social Organization di Charles Horton Cooley, edita negli Stati Uniti nel 1909, può essere considerata un fondamentale spartiacque per gli studi sulla comunicazione. In America, tra l’ultimo decennio del diciannovesimo secolo ed il primo del ventesimo, i pionieri del pensiero sociologico, tra cui Cooley, elaborano i loro costrutti teorici a partire da un comune terreno di riflessione, alimentato da una serie di profondi cambiamenti sociali e culturali, causati sia dalle vicende della Guerra Civile, che dall’innesco di un più ampio processo di innovazione. Uno scenario complesso, al cui interno significative trasformazioni coinvolgono anche l’ambito delle istituzioni formative, consentendo alle scienze sociali di acquisire uno statuto accademico1. Per cercare di comprendere come sia possibile fondare il legame sociale in un mondo nuovo in cui i vincoli comunitari, basati sul sentimento dell’intimità e della vicinanza, lasciano rapidamente il posto a inediti assetti relazionali, caratterizzati da una maggiore distanza emotiva e da una più alta densità morale, i sociologi adottano due differenti prospettive. Da un lato, sulla scia dell’organicismo di Spencer e del positivismo durkheimiano, studiano le possibilità di ricomposizione di un corpo
sociale sottoposto alle spinte centrifughe dell’individualismo; dall’altro, in un’ottica più vicina alla prospettiva della psicologia, rivolgono la loro attenzione allo studio delle relazioni e delle interazioni alla base del nuovo contratto sociale. Cooley, che dopo aver terminato gli studi economici e aver compiuto un’indagine sulle reti ferroviarie per conto della Commissione inter-statale di commercio consegue un dottorato in Economia con una tesi dal titolo The Theory of Transportation2, con il maturare della sua vocazione sociologica avverte in modo sempre più stringente la necessità di contestualizzare gli effetti delle grandi trasformazioni tecniche ed industriali in ambito sociale. Il suo pensiero si sviluppa a partire da un’esigenza condivisa anche da molti altri studiosi del suo tempo: non lasciarsi travolgere dal cambiamento incessante e totale che segna il percorso inarrestabile della modernità. Scoprire, al di là delle evidenze e dei ritmi del mutamento, ciò che può essere considerato stabile, ripetibile, comune agli individui riuniti in società. L’architettura completa della sua opera, qui in parte riportata, delinea un vasto percorso analitico ricco di spunti di riflessione e di suggestioni teoriche, che si articola in sei capitoli: – aspetti primari dell’organizzazione; – la comunicazione; – lo spirito democratico; – le classi sociali; – le istituzioni; – la volontà pubblica. L’obiettivo di Cooley consiste nell’esplicitare il profondo e reciproco legame che si instaura tra la dimen9
Premessa
sione individuale e quella sociale: la società si manifesta come un insieme organico e dinamico di individui, la cui natura umana, strutturandosi attraverso alcune modalità organizzative (i gruppi primari e gli “altri gruppi”), dà vita a una realtà superiore ed eterogenea. A suo avviso, l’indagine sociologica acquisisce centralità solo nel momento in cui si orienta ad elaborare modelli esplicativi che consentano di riscoprire la dimensione religiosa della vita associata, indebolita dall’avanzare dell’individualismo moderno. La sociologia, dunque, deve esprimere una duplice vocazione: sviluppare un percorso scientifico in grado di compiere un’analisi il più possibile articolata delle differenti prospettive di interpretazione della realtà; coltivare quello che egli stesso definisce il dono estetico, senza cui non è possibile comprendere la bellezza e il fascino del mondo nella sua interezza. L’approccio pragmatico che Cooley eredita da William James, e la missione pedagogica che egli attribuisce alla sociologia, lo inducono a individuare nuove dimensioni valoriali, svincolate dalle ideologie del passato, attraverso cui contestualizzare nuovi legami sociali. In alcuni passaggi, tuttavia, il quadro descritto dallo studioso americano, al cui interno il nuovo assetto creato dalla modernità risulta quasi del tutto privo delle asprezze sottolineate da altri autori dell’epoca, e connotato invece da una sostanziale armonia delle sue componenti, rischia di ricadere nell’idealismo a cui intende sottrarsi. Questa apparente contraddizione, tuttavia, può essere almeno in parte giustificata dalla volontà di contrapporsi al pessimismo di studiosi come Tocqueville, che nel suo lavoro più famoso, La democrazia in America, propone al lettore una visione desolante delle conseguenze del processo di modernizzazione. Nella sua critica alla società 10
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statunitense, Tocqueville, infatti, delinea uno scenario caratterizzato da individualismo, egoismo, conformismo, e prende atto dell’impossibilità di coniugare libertà ed uguaglianza, a meno di assumere le necessarie misure volte a scongiurare la tirannia della maggioranza. In aperto contrasto con le teorie che alimentano un atteggiamento centrato sull’individualismo e sulla competizione sociale, Cooley adotta una prospettiva teorica tendenzialmente conciliatoria, volta a valorizzare le dimensioni della solidarietà e della cooperazione. Sebbene la sua visione non sia scevra da una certa ingenuità, che traspare soprattutto dalle conclusioni cui talvolta giunge, va sottolineato come per argomentare in modo adeguato l’ipotesi di una ricomposizione armoniosa del corpo sociale, Cooley parta da un dato estremamente interessante: la critica alla falsa dicotomia individuo-società. La tendenza, esplicita o implicita, a operare una contrapposizione tra aspetti concepiti come separati ha segnato profondamente il carattere di gran parte della cultura occidentale, ostacolando spesso una visione più articolata e complessa dei fenomeni sociali. È sulla base della rigida distinzione cartesiana tra “soggetto pensante” e “mondo esterno” che il pensiero moderno nasce e si sviluppa, nutrendosi della convinzione della superiorità dell’Io, razionale e pensante, nei confronti del mondo delle cose, inanimato e soggetto al dominio dell’uomo. Da questo sostrato teorico prendono forma le prime elaborazioni sociologiche, che, partendo dal positivismo e passando per il funzionalismo, formulano teorie, ipotesi e concetti facendo riferimento a una distinzione concepita come data, naturale, inevitabile. Il percorso volto al superamento di queste contrapposizioni concettuali non ha seguito un andamento linea11
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re, ed è plausibile ritenere che una propensione implicita a ricorrere ad un certo pensiero disgiuntivo sia ancora in parte rintracciabile in quella tradizionale difficoltà di considerare congiuntamente termini come individuo e società, soggetto e oggetto, natura e cultura. L’attualità di Cooley, soprattutto dal punto di vista epistemologico, si manifesta quindi anche nello sforzo di maturare un quadro teorico in cui, in contrasto con quanto sostenuto dal comportamentismo, gli individui non agiscono in reazione a stimoli esterni, ma fondano piuttosto il loro agire sociale sulla creazione di simboli e significati condivisi, a partire dal primo mezzo di espressione: il linguaggio. Ponendosi in contrasto con il dualismo cartesiano, Cooley sostiene che le azioni degli attori sociali non sono determinate né dalle condizioni ambientali né dalle caratteristiche biologiche. Non è attraverso l’introspezione solipsistica o la contemplazione della realtà che si acquisiscono forme adeguate di comprensione: il metodo scientifico che si basa sull’osservazione deve fondarsi su un atteggiamento di introspezione simpatetica3, in qualche modo accostabile al Verstehen weberiano. La formulazione di ipotesi e interpretazioni sui fenomeni umani e sociali non può che basarsi sulla condivisione di esperienze simili e sull’individuazione di un comune terreno di evoluzione. La possibilità di capire il senso degli atteggiamenti e dei comportamenti umani non risiede in spiegazioni totalizzanti e neppure soltanto nelle rappresentazioni statistiche, pur attendibili nella individuazione di alcune tendenze: il punto fondamentale diventa allora cogliere l’imprescindibile valore relazionale che orienta l’agire individuale e collettivo, svuotando completamente di significato l’ipotesi di un’ideale linea di separazione tra individuo e società. 12
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Nel tracciare queste coordinate teoriche, Cooley propende per un modello per alcuni versi assimilabile a quello che Elias, successivamente, descriverà in termini di figurazioni sociali (reti di individui soggette a mutamenti costanti in grado di determinare la geometria variabile dello spazio sociale) e racchiuderà nella formula ossimorica di società degli individui. Nel testo omonimo4, il sociologo tedesco, criticando le teorie prevalenti di interpretazione della realtà, svilupperà efficacemente l’idea che non esistono un soggetto indipendente, slegato dalla struttura sociale e una società che vi si contrappone. Per Elias, come per Cooley, il linguaggio si rivela uno strumento fondamentale per la messa in discussione dei modelli dominanti e per il ripensamento delle categorie concettuali che hanno coltivato l’immagine di un individuo separato dagli altri, ignorando l’evidenza che il sistema sociale esiste dal momento in cui gli individui entrano in relazione. È soprattutto attraverso il linguaggio che diventa possibile sperimentare la percezione di far parte di un’umanità che attraversa i tempi e i luoghi, che si trasforma e allo stesso tempo mantiene immutate certe caratteristiche. Precorrendo l’ipotesi Sapir-Whorf, secondo cui il linguaggio non è un semplice strumento per la descrizione dei fatti, ma ne costituisce piuttosto il presupposto creativo5, Cooley afferma che «la parola è un veicolo, una nave che scende dal passato carica del pensiero di uomini che non abbiamo mai visto; e giungendo a comprenderla penetriamo non soltanto nello spirito dei nostri contemporanei, ma nello spirito generale dell’umanità che si prolunga nel tempo»6. Una considerazione che sembra risentire dell’influsso derivante dalle analisi di Simmel che, alla ricerca di uno statuto disciplinare compiuto per la sociologia, ne iden13
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tifica uno nelle forme di associazione che gli individui stabiliscono allo scopo di soddisfare i loro bisogni ed interessi: la società “esiste là dove più individui entrano in azione reciproca”7, non come realtà statica, ma in quanto costrutto intersoggettivo generato dalle costanti forme di interazione sociale. In sintonia con la sociologia figurazionale di Elias8 e con l’approccio formale di Simmel, quindi, l’autore di Social Organization concentra la sua analisi sull’importanza delle relazioni, osservando come alla base della costruzione sociale del mondo vi sia la tendenza dell’essere umano ad unirsi ai propri simili, partendo dai gruppi primari, per arrivare alla creazione di unità più ampie, fino a comprendere l’umanità intera. La sociologia a cui pensa Cooley non si propone come antidoto al pessimismo semplicemente profetizzando magnifiche sorti e progressive, ma è impegnata a far comprendere quanto ciascun individuo sia indissolubilmente legato all’altro, all’interno di una realtà globale molto più ampia da cui è impossibile prescindere. La parziale cessione di sovranità da parte del soggetto moderno in favore di un progetto che travalichi i singoli egoismi è prospettata da Cooley non come sacrificio in nome di un’entità superiore, ma piuttosto come un’azione sociale volta al conseguimento del bene comune, all’insegna di un individualismo sociale molto diverso da quello superomistico postulato dalla modernità eroica, che fonda, invece, il proprio valore sulla distinzione dalla massa. L’immagine di società che emerge dalle sue riflessioni è piuttosto distante dal sistema sociale a cui fa riferimento Durkheim, un’entità autonoma che è qualcosa di più dell’unione degli individui che la compongono, così come si distacca dall’idea concepita da Spencer, 14
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che immagina la società simile ad un organismo vivente creato a partire da singole unità interdipendenti. Eppure il punto di partenza è il medesimo: la volontà di elaborare un modello che non solo spieghi la natura del legame sociale, ma renda possibile minimizzare il conflitto e la competizione. Anche per Cooley, la coesione, la solidarietà e l’unione tra le parti rappresentano un prerequisito fondamentale per la vita associata: la natura genuinamente democratica del suo pensiero politico non gli consente di interrogarsi sulle modalità attraverso cui è possibile imporre agli esseri umani di unirsi in nome di un principio di solidarietà e di armonia. Del resto, la consapevolezza del soggetto di far parte di un insieme più ampio non coincide necessariamente con un declino dell’individualità: «In una vita veramente organica l’individuo è autocosciente e dedito al proprio lavoro, ma avverte se stesso e quel lavoro come parte di un insieme vasto e gioioso»9. La soluzione individuata da Cooley, che sembra voler conciliare il pessimismo della ragione con l’ottimismo della speranza, si fonda su una differenziazione essenzialmente legata all’evoluzione storica: «Per risolvere questo problema, a mio avviso, si deve considerare che vi sono due specie di individualità, fondate l’una sull’isolamento e l’altra sulla scelta, e che le condizioni di vita moderne favoriscono quest’ultima ostacolando invece la prima»10. Da queste parole emerge con forza la volontà di scoprire un antidoto che neutralizzi le spinte disgregatrici provenienti dagli eccessi dell’individualismo. Un antidoto che Cooley identifica in un terzo e fondamentale elemento insito nel rapporto tra soggetto moderno e nuovo mondo: la comunicazione. 15
Premessa
Nell’introduzione alla prima edizione integrale di Social Organization, tradotta da Edda Saccomani Salvatori e pubblicata in Italia da Edizioni di Comunità nel 1963, Aldo Visalberghi, Ordinario di Pedagogia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza” dal 1962 al 1989, evidenzia come, grazie alla lezione di Cooley, la comunicazione possa essere concepita sotto forma di punto di vista privilegiato sulla realtà: «La comunicazione è un valore emergente, ma è anche l’unica fonte a nostra disposizione per riconoscere e inquadrare ogni altro valore: che il sociologo si ponga, per così dire, dal punto di vista della comunicazione non è cosa che gli possa essere rimproverata»11. Cooley, dunque, pur adottando costantemente una generale impostazione che scopre nelle dinamiche comunicative i fattori centrali del mutamento sociale e culturale, sceglie di dedicare un’intera parte del suo lavoro proprio al tema della comunicazione, proponendo di fatto un approccio di studio ed un modello interpretativo che risultano ancora estremamente attuali. In quella sezione, integralmente riportata nelle pagine del presente volume, egli sottolinea anzitutto il carattere dinamico dell’oggetto “comunicazione”, quindi ne analizza le principali modalità di sviluppo nel corso della storia e, infine, si concentra sugli effetti e sulle influenze che la comunicazione moderna ha avuto sulla dimensione individuale, sociale e culturale. Nell’arco di cinque capitoli – l’importanza della comunicazione; lo sviluppo della comunicazione; la comunicazione moderna: estensione e animazione; la comunicazione moderna: l’individualità; la comunicazione moderna: superficialità e tensione – viene così delineato un tragitto analitico, supportato da alcuni elementi di ricostruzione storica, da cui emerge chiara16
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mente quanto la comunicazione, anche se ancora lontana dal successivo exploit che avrebbe ottenuto nel corso del Novecento e fino ai nostri giorni, inizi a cambiare statuto e a incidere significativamente sulla costruzione della società. Da semplice pratica, connaturata alla vita umana, essa diviene un sistema complesso di azioni e di valori, acquisendo gradualmente un ruolo centrale e inedito, oltre a una crescente visibilità. Un risultato determinato anche dal progresso tecnologico che, avviato sin dalla prima metà dell’Ottocento, si va, via via, concretizzando attraverso un’accelerazione inarrestabile del ritmo dell’innovazione e una conseguente disseminazione dei mezzi di comunicazione nelle differenti sfere sociali. Cooley elabora quindi una sua personale concezione di comunicazione, la cui caratteristica più rilevante nasce proprio dalla consapevolezza di non poter cristallizzare e definire una volta per tutte l’essenza di un fattore inestricabilmente legato alla vita degli esseri umani e alle loro interazioni mutevoli: «Per comunicazione si intende qui il meccanismo mediante il quale le relazioni umane esistono e si sviluppano – cioè tutti i simboli dello spirito insieme ai mezzi che li trasmettono nello spazio e che li preservano nel tempo»12. Nel processo storico compiuto da questo meccanismo, i progressi materiali appaiono strettamente intrecciati con quelli immateriali, in una prospettiva di emancipazione che, evolvendo dall’istinto al significato, parte da una dimensione naturale ed evolve verso una culturale. Una comunicazione concepita come techné offre la cornice materiale all’interno della quale gli esseri umani interagiscono: la tecnologia è vista come il motore primo 17
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della storia. In contrasto con la nostalgia di stampo toennesiano per la comunità, Cooley sottolinea le opportunità di democratizzazione offerte dalla società moderna anche grazie alla diffusione dei mezzi di comunicazione13, pur rischiando di cadere in una forma primordiale di determinismo tecnologico, la cui più compiuta espressione verrà poi attribuita agli esponenti della Scuola di Toronto. Ciò che interessa all’autore, però, è sottolineare le dinamiche attraverso cui la comunicazione si affranca da una dimensione spontanea e acquisisce un carattere convenzionale e arbitrario, prerequisito fondamentale per la creazione di scambi simbolici. Così, ad esempio, attraverso le espressioni del volto, la voce, i movimenti, i bambini esprimono emozioni e sentimenti, in maniera istintiva, prima ancora di imparare a parlare: «Ho udito una bambina di diciassette mesi usare la voce in modo così espressivo, sebbene inarticolato, da sembrare quasi impegnata in un’animata conversazione»14. La comunicazione pre-verbale, seguendo un percorso complesso che Cooley si limita a ipotizzare, si trasforma in un apparato convenzionale di simboli e parole, attraverso cui diviene possibile associare le parole alle cose e dunque dare vita a sistemi di idee. In questo senso, la comunicazione rappresenta per Cooley il più importante fattore di sviluppo della natura umana, per mezzo di cui ciascuno giunge al più alto livello di maturazione e consapevolezza. La citazione del caso di Helen Keller, la cui storia sarà poi fonte di ispirazione per opere teatrali e cinematografiche15, risulta emblematica, mostrando come la comunicazione rappresenti un bisogno così profondamente avvertito dall’essere umano da consentirgli persino di superare ostacoli apparentemente insormontabili, come la cecità e la sordità. 18
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Ciò che si verifica sul piano del singolo, acquisisce un valore addirittura superiore se ci si rende conto del suo impatto a livello collettivo e di quanto queste due sfere risultino fortemente interconnesse: ogni atto comunicativo individuale è contemporaneamente causa ed effetto del contesto sociale in cui si verifica. Il soggetto, infatti, attraverso la comunicazione è inserito all’interno di una struttura più ampia (la famiglia, il lavoro, le amicizie, etc.), ma allo stesso tempo, sulla base degli orientamenti e dei valori che esprime e attraverso le proprie azioni, contribuisce a modificarla. Lo stesso si può dire se si attiva una linea di lettura inversa, secondo cui il sistema sociale modella ed è, allo stesso tempo, modellato dagli individui che lo compongono. Attraverso le differenti modalità assunte dalle relazioni tra gli individui è possibile produrre un accrescimento del sapere, in grado di rimodellare, progressivamente, la stessa organizzazione sociale. Grazie a un continuo flusso di interazioni, che si estende nel tempo e nello spazio, ogni essere umano coltiva la propria mente individuale e contribuisce ad arricchire di senso parole, segni, simboli, alimentando un bacino collettivo: «Come i versi di Dante sono “sentieri obbligati per la comprensione del pensiero italiano”, così i successi faticosamente conseguiti dallo spirito in ogni campo sono conservati dai loro simboli e diventano sentieri attraverso i quali altri spiriti possono raggiungere lo stesso punto»16. Una simile sensibilità estetica sembra quasi volersi porre come antidoto all’impatto della modernizzazione sullo spirito umano: è soltanto grazie ai prodotti dell’arte, della letteratura, delle istituzioni e alla condivisione di simboli, riti, tradizioni, che ne rappresentano il contenuto immateriale, che gli individui entrano a far parte 19
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di una struttura materiale che costituisce il tessuto vitale della società. Anticipando implicitamente la distinzione tra comunicazione analogica e digitale, alla base di uno degli assiomi elaborati dagli studiosi della Scuola di Palo Alto17, Cooley sottolinea come, grazie ai diversi registri della comunicazione non verbale e di quella verbale, l’umanità accumuli due differenti patrimoni, egualmente importanti, costituiti dal pensiero e dal sentimento. L’arte, la letteratura e le istituzioni rappresentano le fondamenta su cui si erge la società nel suo complesso e influenzano il modo di pensare e di agire di coloro che si trovano a vivere al suo interno in una determinata epoca. In un’ottica che tende a cogliere la complessità delle relazioni tra individuo e società, tra pensiero e sentimento, tra parola ed azione, lo studio dei passaggi che vanno dal particolare al generale, e il percorso inverso, che dalla dimensione collettiva risale alle sue forme singolari, rappresentano dunque un efficace metodo di osservazione scientifica. L’empatia che guida alla comprensione di esperienze affini compiute da soggetti diversi si integra con la possibilità di formulare ipotesi più generali, nell’ottica di immaginare un unico sviluppo che comprenda l’umanità nella sua estensione storico-geografica. In questa sua ricognizione relativa alle modalità attraverso cui lo spirito umano si arricchisce, Cooley riesce anche ad evidenziare come il ruolo della sfera espressiva sia profondamente mutato nel tempo. In una fase premoderna i prodotti dell’arte svolgevano essenzialmente due compiti principali: «la funzione di semplice imitazione o trascrizione di immagini che serve a comunicare idee che potrebbero benissimo essere trasmesse con le parole (seppure con qualche differenza), e la funzione di 20
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veicolo di fasi particolari di sentimento altrimenti incomunicabili»18. Nella società attuale, tuttavia, anche in virtù di un più elevato livello di istruzione, la prima funzione dell’opera d’arte, essenzialmente descrittiva e informativa, ha perso rilevanza a favore di una dedicata a diffondere e mantenere nel tempo i sentimenti che incorpora. Sono questi ultimi che, proprio grazie alle forme d’arte, trattengono quello che di più nobile ed elevato appartiene all’essenza di una particolare epoca, per poi trasmetterlo, nel corso del tempo, ad altri uomini che così riescono a coltivare il medesimo sentire. Accanto alle caratteristiche più propriamente decorative delle opere d’arte, dunque, che si identificano con la bellezza del colore, della forma, del movimento, esistono aspetti che invece possono essere definiti illustrativi. In questo senso, le forme d’arte riescono a esprimere sentimenti, emozioni, passioni che altrimenti sarebbero difficilmente comunicabili, rivestendo, dunque, il ruolo fondamentale di conservare e diffondere quello che poi Morin definirà lo “spirito del tempo”19. Contestualmente, Cooley si orienta anche a studiare le modalità tecniche ed industriali di sviluppo della società, come ad esempio, nel caso dell’evoluzione del sistema ferroviario, per comprenderne le ripercussioni sull’organizzazione sociale, a testimonianza di una grande immaginazione sociologica, attraverso cui, da un punto di osservazione che è quello del primo decennio del Novecento, sembra quasi intuire perfino l’inevitabilità dei processi di globalizzazione. In questo, tuttavia, l’ottimismo che permea gran parte del suo lavoro teorico risulta probabilmente uno dei limiti della sua impostazione: se paragonato a quella dialettica dell’illuminismo20 che, a distanza di quasi qua21
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rant’anni, verrà formulata da altri intellettuali, testimoni del fallimento esplicito delle istanze di modernizzazione occidentali culminato negli orrori della Seconda Guerra mondiale, ciò che Cooley propone potrebbe apparire quasi come un’ingenua apologia dell’illuminismo. La sua, in ogni caso, non può essere interpretata semplicisticamente come una fiducia cieca ed incrollabile nel progresso tecnologico spersonalizzato ed anonimo. Al contrario, si tratta più che altro di un’aspirazione, certamente condizionata dal contesto privilegiato in cui viene maturata: affinché possa finalmente realizzarsi una fase di un nuovo umanesimo, opportunamente ribadito anche nel sottotitolo di Social Organization, che recita: “A Study of the Larger Mind”. Nel suo tentativo di elaborare un costrutto teorico capace di interpretare la realtà e di intervenire su di essa, Cooley individua nella comunicazione il collante ideale per conciliare i movimenti centrifughi derivanti dalle istanze democratiche con le spinte centripete necessarie al mantenimento della coesione sociale. La visione del sociologo statunitense non è scevra da considerazioni critiche: sebbene non siano ancora del tutto palesi, egli riesce già a prefigurare i potenziali effetti collaterali che la complessificazione della vita sociale contiene al proprio interno, sotto la spinta del progresso. Per questo, dal punto di vista storico, Cooley definisce la comunicazione come un’invenzione progressiva: essa infatti si pone certamente come il mezzo più efficace a disposizione dell’uomo per procedere ad una acculturazione della natura stessa, secondo esiti che tuttavia sono sempre incerti e solo in parte prevedibili. Assumendo una posizione decisamente moderna nei confronti del mondo nuovo che sta emergendo anche in 22
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seguito alla diffusione dei mezzi di comunicazione nella vita quotidiana, Cooley prende in considerazione due differenti aspetti di questo mutamento complessivo: da un lato fa riferimento alla attività comunicativa tout court, dall’altro si sofferma sul ruolo esercitato dai mass media nell’ambito del sistema sociale. Sul primo versante, egli attribuisce alla comunicazione un ruolo fondativo, che nasce dalla percezione di ciascun individuo di far parte di un insieme più ampio che lo trascende: una sorta di inconscio comunicativo condiviso, universale e mutevole, per mezzo di cui la realtà si conserva e, nel contempo, si modifica. Lo spirito individuale, grazie alla propensione alla sociabilità21, che è propria degli esseri umani di ogni tempo e luogo, attraverso gli scambi simbolici che nascono nell’ambito della catena interminabile delle interazioni, acquisisce la consapevolezza di far parte di uno spirito collettivo. Le emozioni e i sentimenti suscitati dalla condivisione di informazioni, immagini, linguaggi agiscono come catalizzatori di creatività, anticipando l’idea di una ipotetica intelligenza collettiva. Cooley insiste sulla rilevanza delle pratiche comunicative nella vita quotidiana dei soggetti e sulle forme storicamente assunte dai mezzi di comunicazione, che, a prescindere dai contenuti trasmessi, attivano nuove dinamiche di aggregazione in sintonia con il mutare della società e in grado, a loro volta, di innescare ulteriori trasformazioni. Ponendo l’accento sulla centralità dei processi alla base della costruzione simbolica del mondo sociale, viene sottolineata la rilevanza della sfera culturale a discapito di una spiegazione meccanicamente evoluzionistica, che tende a privilegiare la necessità in luogo della volontarietà. Tra i costrutti teorici più significativi elaborati da Cooley, il concetto di Io riflesso (looking-glass self) preve23
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de che l’identità di ciascun individuo si plasmi attraverso un articolato processo di scambi cognitivi ed emotivi, fondati sul riconoscimento delle idee dell’altro, delle sue percezioni e dei sentimenti suscitati da questa consapevolezza. L’ipotesi dell’Io riflesso, nel suo riferimento all’attività di rispecchiamento del Sé nell’altro, è affine a quella dell’altro generalizzato elaborata da George Herbert Mead22. Tuttavia, se in Cooley il Sé costituisce una identità unitaria, Mead distingue tra un “me” e un “io” che, nella loro complessa interazione, contribuiscono ad una realizzazione di questa categoria ben più dinamica. Muovendo dal pragmatismo che teorizza la mente come un organismo vivente in relazione con l’ambiente circostante e il Sé come il riflesso di noi stessi che proviene da altri23, Mead concepisce l’“io” nei termini di un’entità fluttuante relazionalmente connessa ai comportamenti altrui. Mentre il “me”, che si riferisce alle norme sociali attraverso cui l’individuo sperimenta la propria identità definita per ruolo e confini, viene pensato come una pluralità (direttamente proporzionale al numero dei ruoli che il soggetto si trova a ricoprire nel proprio vissuto quotidiano) organizzata dall’“io” in quanto componente creativa che agisce in risposta alle aspettative altrui. In questo senso, la dimensione simbolica, che si esprime anzitutto attraverso il linguaggio, e quella dell’interazione, che rappresenta il sostrato necessario e “naturale” della storia secolare dell’umanità, costituiscono un importante presupposto tanto nella prospettiva di Cooley, quanto in quella di Mead. Il secondo, pur condividendo alcune delle posizioni espresse dal primo, ne critica l’impressionismo delle intuizioni, che, a suo parere, non sarebbero fondate su un metodo che spieghi in modo esauriente l’evoluzione dell’umanità da una situazione 24
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dominata dai fattori naturali ad una in cui l’elemento culturale è divenuto dominante24. Come già anticipato, infatti, l’idea di società elaborata da Cooley si fonda su una teoria della comunicazione caratterizzata da un notevole pragmatismo, che si propone di spiegare il processo di sviluppo degli esseri umani, a partire dai sentimenti di comprensione e simpatia resi possibili dagli scambi simbolici e dalle relazioni che essi instaurano25. Il villaggio globale ante litteram che così viene descritto è costruito su un’architettura armoniosa, che partendo dalla cellula fondamentale, incarnata nel gruppo primario, si irradia nel corpo sociale, vivificandolo attraverso la costruzione di significati condivisi. La diffusione delle idee tra gli esseri umani avviene grazie a una sorta di contagio mentale, un progressivo avvicinamento che, eliminando i particolarismi, prefigura una forma di globalizzazione alternativa. Tutto questo nasce dall’esigenza di trovare solide fondamenta per un nuovo patto sociale: seppure i gruppi primari, che si formano attraverso relazioni intime e affettive, ne costituiscono l’architrave principale, già all’inizio del Novecento i mezzi di comunicazione rivestono ormai una grande rilevanza. Consentendo allo spirito di assumere una natura autenticamente umana, la comunicazione favorisce l’inserimento dell’individuo in un insieme progressivamente più ampio. Accelerando i contatti sociali nello spazio e nel tempo, i mass media arricchiscono e risvegliano l’unità mentale che comprende l’umanità intera, creando le premesse per combattere le spinte centrifughe della solidarietà meccanica. Anticipando le riflessioni di autori contemporanei26, Cooley attribuisce un forte valore aggregativo alla condivisione di emozioni, simboli, immagini e sembra an25
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che nutrire una grande fiducia nel potenziale offerto dai nuovi strumenti del comunicare. Dedicando un capitolo alla comunicazione moderna, Cooley cita nel titolo due variabili centrali, rappresentate dall’estensione e dalla animazione e rivolge la sua analisi al nuovo mondo che si sta rapidamente formando, elaborando una mappa teorica volutamente estesa. La comunicazione cui egli si riferisce, dunque, è sia quella fisica, che ha luogo attraverso gli scambi materiali e consente di percorrere le vie di comunicazione reali, come appunto le reti stradali e ferroviarie, sia quella spirituale, un insieme variegato di linguaggio e significati, di relazioni, simboli e sentimenti. Soltanto congiungendo le dimensioni fondative e complementari di tale concetto, si può tentare di intuire la portata della rivoluzione comunicativa ed i suoi effetti. Le nuove scoperte della scienza, i progressi compiuti dalla tecnologia, pertanto, non hanno fatto altro che amplificare quello che in realtà è un bisogno umano elementare e congenito, integrandolo all’interno di un lungo e continuo processo che coincide con la storia dell’evoluzione umana. Tra le conseguenze positive derivanti dalla diffusione dei mezzi di comunicazione, un posto importante è occupato dalla nascita dell’opinione pubblica, cui viene dedicato un intero capitolo, integralmente riportato in queste pagine: la teoria dell’opinione pubblica. Tratteggiando ancora una volta uno scenario che intende conciliare la forza della tradizione con la dinamicità dell’innovazione, lo studioso americano ripercorre le fasi del percorso storico compiuto dall’opinione pubblica, individuandone una forma ancestrale nelle tribù premoderne in cui, in attesa che la scrittura potesse consentire l’accumulazione delle conoscenza, lo sviluppo della scienza e la fon26
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dazione della storia, essa si fondava sullo scambio e la trasmissione di proverbi popolari. Il punto di svolta è costituito dalla invenzione della stampa, che ha reso possibile una maggiore diffusione di simboli e significati e un’intensificazione degli scambi comunicativi. Lo sviluppo di questa tecnica ha fatto sì che le relazioni sociali subissero un’accelerazione spaziotemporale e ha reso possibile un progressivo ampliamento delle reti di relazione. Prima di Habermas27, Cooley intuisce che l’attualità e la celerità delle informazioni costituiscono un mezzo indispensabile per l’educazione e la formazione di un’opinione collettiva aggiornata e consapevole. Soffermandosi in particolare sul ruolo svolto dal giornale, egli vi attribuisce una valenza positiva e una apparentemente negativa. La prima si identifica con la capacità di questo strumento di diffusione delle informazioni di organizzare lo spirito collettivo, contribuendo a coltivare sentimenti di socievolezza e di comunità; la seconda invece riguarda la sostanziale superficialità con cui nel giornale vengono trattate le notizie. Una modalità di affrontare il rapporto tra realtà e pensiero che tende a diffondere le informazioni in modo tale da trasformarle quasi in una forma di pettegolezzo, rivelando perciò un lato oscuro e contrario al fine ultimo della comunicazione, individuato nel progresso spirituale. Nonostante non si possa ignorare questo aspetto deteriore della cultura veicolata dalla stampa, ancora una volta, ad essere determinanti, più che i contenuti diffusi, sono le conseguenze complessive in termini di vantaggi relazionali. Il circuito di scambio che può essere innescato dalla lettura e discussione del giornale consente infatti di attivare un importante processo di transizione dai sen27
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timenti intimi e privati alla formazione di una coscienza collettiva, fondata sugli ideali democratici. Lo sviluppo della stampa e il graduale contenimento dei suoi costi consentono la progressiva evoluzione dell’opinione pubblica e, contestualmente, l’affermazione dei principi democratici di partecipazione, all’insegna di una trasformazione sociale complessiva. Scrive Cooley: «La riduzione del prezzo della stampa, che ha permesso una grande diffusione di libri, di riviste e di giornali popolari, è stata completata dal sorgere del sistema postale moderno e dalla conquista della distanza per mezzo delle ferrovie, del telegrafo e del telefono»28. L’opinione pubblica che si forma grazie agli scambi di notizie e informazioni che circolano tra il popolo può organizzarsi, chiedere rappresentanza presso le istituzioni e contribuire al mantenimento della democrazia. L’ampliamento e la diffusione di conoscenze condivise è alla base della costruzione di un’umanità globale che comprenda le nazioni, le razze e le classi. Cooley sottolinea con grande efficacia il ruolo assunto dalla stampa nel descrivere situazioni, fatti, eventi la cui semplice conoscenza in termini di cifre lascerebbe altrimenti indifferenti. La stampa ha il merito di mostrare che nessun problema umano ci è estraneo se soltanto esso ci viene reso comprensibile: «Leggiamo – è vero – statistiche sulla vita miserabile degli Italiani e degli Ebrei di New York o di Chicago, delle loro misere abitazioni, delle fabbriche malsane e della tubercolosi; ma il nostro interesse per loro non è superiore a quello per coloro che sono colpiti dalla peste, finché la loro vita non ci appare sotto un aspetto umano, sia attraverso contatti personali che attraverso quadri o descrizioni che parlano alla nostra immaginazione»29. 28
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Nel momento in cui si accinge ad illustrare nel dettaglio il suo concetto di opinione pubblica, Cooley esordisce affermando che essa: «non è un semplice aggregato di giudizi individuali separati, ma costituisce un’organizzazione, un prodotto cooperativo della comunicazione e dell’influenza reciproca»30. Prendendo come base la sua architettura sociale a più livelli, sostiene che a partire dal singolo, passando per il gruppo, fino alla nazione, è indispensabile per ciascun soggetto elaborare idee e sentimenti allo scopo di costruire il proprio spirito. Pertanto, è indispensabile che si attui la massima circolazione di ciò che di più appropriato esiste nella propria mente e in quella degli altri. Non è importante che si arrivi a un “pensiero unico” organico e omogeneo, affinché le differenti posizioni siano rese disponibili, valutate ed, eventualmente, valorizzate nella formazione delle idee più generali e delle decisioni pubbliche. All’interno dell’opinione pubblica, infatti, possono coesistere visioni particolari legate ad appartenenze di gruppo e di classe, poiché un’organizzazione sociale complessa è composta da più unità e soggetti. Su questo tema, Cooley opera un’interessante distinzione proprio tra opinione pubblica e impressione popolare. Mentre per giungere alla prima è indispensabile un lungo lavoro di riflessione, la seconda è il frutto che proviene dal lato più superficiale e transitorio dello spirito popolare. Le più aspre critiche dello studioso sono rivolte, però, nei confronti di coloro che tendono a far coincidere la democrazia con una sorta di “medietà” delle opinioni: «Secondo un’idea molto diffusa – ma a mio parere errata – il pensiero o l’azione pubblica dovrebbe esprimere in qualche modo l’attività di uno spirito medio, o 29
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comune, e rappresentare una specie di livello intermediario tra le intelligenze superiori e quelle inferiori che compongono un gruppo. Sarebbe però più corretto dire che esso è rappresentativo, cioè che il modo di sentire dominante del gruppo cerca un’espressione definita ed effettiva attraverso individui particolarmente competenti a fornirla»31. Si tratta in effetti di una critica al modello di uomo medio, così come concepito dalla modernità nella sua prima fase, e di un’esaltazione delle forme di differenziazione che possono decretare il corretto funzionamento del corpo sociale. Offrendo ciò che di più opportuno, efficace, idoneo, i gruppi e gli individui “migliori” possiedono, essi possono agire nell’interesse della collettività, che in questo modo verrà alleggerita da un’eccessiva richiesta di pareri e scelte su temi in merito ai quali non è sufficientemente competente, venendo chiamata a pronunciarsi soltanto in caso di decisioni essenziali: «per quale magia dovremmo privarci del nostro antico privilegio di agire attraverso gli individui più capaci?»32. Osservando la società agli albori del XX secolo, appare evidente che oltre a un notevole ampliamento delle possibilità di espressione di contenuti e sentimenti, si assiste a un’intensificazione della velocità di diffusione dei messaggi, anche grazie alle tecniche che favoriscono la riproduzione dei prodotti culturali e dunque un accesso più ampio ad essi da parte degli individui. Prefigurando uno scenario sempre più dominato da una molteplicità di mezzi, idee, significati, Cooley sembra incline a una visione sostanzialmente positiva dell’impatto che i media hanno sulla società e sullo spirito degli esseri umani. La possibilità di aumentare e intensificare gli scambi relazio30
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nali contribuisce a risvegliare la coscienza, favorendo la formazione di un assetto sociale sempre più fondato sulla libertà e sempre meno sull’autorità. Nonostante Cooley sembri orientato a sostenere una visione evolutiva, in cui l’attività relazionale e simbolica guidano l’umanità verso un progressivo ampliamento e arricchimento dello spirito, dalle sue parole emerge anche una preoccupazione per la dimensione più massificante e superficiale derivante dall’eccesso di suggestioni, che sembra costituire il lato d’ombra della comunicazione moderna. Un nuovo mondo sta rapidamente prendendo forma, mutando la sostanza delle relazioni e gli assetti sociali, una coscienza cui lo studioso attribuisce un’estensione internazionale, che promette grandi progressi in direzione di una maggiore giustizia e solidarietà, ma in cui, allo stesso tempo, lo spirito rischia anche di allontanarsi dalla verità e dalla profondità. Le grandi metropoli, in particolare, vivono una fase compulsiva caratterizzata da un caos paralizzante, che contribuisce all’incremento di fenomeni patologici, che vanno dalla nevrastenia al suicidio. Nel descrivere la nuova società, Cooley arriva quasi ad identificare i rischi dell’overload informativo, sottolineando come l’individuo venga messo a contatto con una crescente quantità di informazioni e problemi su cui riflettere, che non fanno che aumentare la tensione. D’altra parte, sembra anche anticipare la progressiva specializzazione funzionale della società, quando individua un secondo effetto del mutamento nell’intensità connessa alla necessità di acquisire ruoli sempre più differenziati. Mentre la stimolazione mentale ed emotiva prodotta dalla comunicazione può dirsi essenzialmente positiva, la tendenza a volersi occupare contemporaneamente di più cose rischia di coincidere con atteggiamenti 31
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di leggerezza. Cooley richiama l’attenzione sul pericolo di restare sommersi da una mole di suggestioni, che non fanno che generare insicurezza e ansia, prefigurando alcuni tratti tipici del “presentismo” della nostra epoca, in cui spesso proprio i media sono i primi responsabili di un ripiegamento sull’oggi, alimentato anche dall’assunzione di ritmi di vita compulsivi. Ad avviso di Cooley, però, l’aumento delle responsabilità, delle opportunità di scelta, della ricchezza di esperienze costituisce senza dubbio un vantaggio. Non solo, pure nell’instabilità tipica di questa fase tumultuosa di grandi trasformazioni, un elemento positivo è costituito dal fatto che la maggior parte degli individui è in grado di orientarsi e di trarre profitto dal vortice del cambiamento: «La tensione mentale, a dispetto delle opinioni allarmanti talvolta espresse, non è affatto una condizione generale nella società moderna, né sembra prossima a diventare tale; essa è limitata a un piccolo numero di persone a cui la debolezza personale o la fatica insolita, o entrambe le cose, hanno reso la vita troppo pesante per essere sopportabile»33. Sulla base della consapevolezza che il cuore e la coscienza dell’uomo, limitati soltanto da difficoltà di organizzazione, sono gli arbitri delle istituzioni future, è lecito sperare che la facilità di rapporto sociale costituisca il punto di partenza di un’era di progresso morale. Per questo, nella visione che Cooley elabora, sia del suo presente che del nostro futuro, le preoccupazioni per il rapido mutare della società assumono un valore contingente e circoscritto, mentre molto più solida e argomentata appare la fiducia riposta nella società e soprattutto nella comunicazione. 32
Giovanni Ciofalo NOTE 1 R.C. Hinkle, Founding Theory of American Sociology, 1881-1915, Routledge & Kegan Paul, Boston, 1980, p. 15. 2 C.H. Cooley, The Theory of Transportation, in «American Economic Association», 9, 1894. 3 H.-J. Schubert, The Foundation of Pragmatic Sociology: Charles Horton Cooley and George Herbert Mead, in «Journal of Classical Sociology», 6, 2006, p. 57. 4 N. Elias, La società degli individui, il Mulino, Bologna, 1990. 5 B.L. Whorf, Linguaggio, pensiero e realtà, Bollati Boringhieri, Torino, 1970; E. Sapir, Cultura, linguaggio e personalità, Einaudi, Torino, 1972. 6 C.H. Cooley, L’organizzazione sociale, Edizioni di Comunità, Milano, 1963, p. 57. 7 G. Simmel, Sociologia, Edizioni di Comunità, Torino, 1998, p. 8. 8 N. Elias, Che cos’è la sociologia?, Rosenberg & Sellier, Torino, 1990. 9 C.H. Cooley, L’organizzazione sociale, cit., p. 77. 10 Ivi, p. 74. 11 A. Visalberghi, Introduzione, in C.H. Cooley, L’organizzazione sociale, cit., p. XXVIII. 12 C.H. Cooley, L’organizzazione sociale, cit., p. 51. 13 Ivi, p. 53. 14 Ivi, p. 55. 15 Helen Keller (1880-1968) è stata una scrittrice e un’attivista americana, afflitta dalla sordità e dalla cecità sin dall’età di 19 mesi. La sua vicenda ha rappresentato un esempio di speranza per molte altre persone a rischio di emarginazione a causa dei loro handicap. La Keller, infatti, grazie al sostegno di Anne Sullivan, che le aveva insegnato il linguaggio dei segni, ha imparato a parlare a 10 anni, divenendo successivamente una delle più importanti attiviste impegnate in numerose cau-
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Premessa se per i diritti dei disabili. La sua storia è stata oggetto, tra gli altri, di una rappresentazione teatrale (The miracle worker, 1960) di William Gibson e di un film (Anna dei miracoli, 1962) diretto da Arthur Penn. 16 C.H. Cooley, L’organizzazione sociale, cit., p. 58. 17 P. Watzlawick, J.H. Beavin, D.D. Jackson, La pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971. 18 Ivi, p. 62. 19 E. Morin, Lo spirito del tempo, Meltemi, Roma, 2002. 20 M. Horkheimer, T.W. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, Einaudi, Torino, 1997. 21 G. Simmel, op. cit. 22 G.H. Mead, Mente, sé e società. Dal punto di vista di uno psicologo comportamentista, Giunti-Barbera, Firenze, 1966. 23 W. James, Principi di psicologia, Principato Editore, Messina, 1965. 24 H.-J. Schubert, op. cit., p. 53. 25 Ivi, p. 54. 26 Vedi in particolare D. Dayan, E. Katz, Le grandi cerimonie dei media, Baskerville, Bologna, 1995. 27 Cfr. J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Roma-Bari, 1971. 28 C.H. Cooley, L’organizzazione sociale, cit., p. 65. 29 Ivi, p. 71. 30 Ivi, p. 95. 31 Ivi, p. 96. 32 Ivi, p. 98. 33 Ivi, p. 80.
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