Crocetti

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Guido Crocetti

CONOSCERE L’ADOLESCENZA Il fumetto come strumento per la diagnosi e la terapia

ARMANDO EDITORE


Sommario

Introduzione: L’adolescenza

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PARTE PRIMA: LO I.A.R.T.F.: UNO STRUMENTO PER LA DIAGNOSI

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Capitolo 1: La Consegna: “Immagina l’avventura di un animale 23 e raccontala usando la tecnica del fumetto” 1.1 Immagina: fantasia e produzione grafica in adolescenza 23 1.2 L’avventura 25 1.3 L’animale 27 1.4 La narrazione 29 1.5 Il fumetto 32

Capitolo 2: Lo I.A.R.T.F. 2.1 Obiettivi del test 2.2 Somministrazione del test 2.3 Elementi di struttura della griglia d’analisi 2.3.1 2.3.2 2.3.3 2.3.4 2.3.5

Significati generali Le variabili Le interrelazioni Foglio di sintesi Un esempio di protocollo

35 35 38 39 39 42 66 68 75


PARTE SECONDA: ANIMALI: FANTASMI, SIMBOLI, ICONE E CODICI DINAMICI

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Capitolo 1: Animali ad alta frequenza di scelta (banali) 1.1 Gatto 1.2 Volpe 1.3 Lupo 1.4 Colomba 1.5 Cane 1.6 Coniglio (Lepre) 1.7 Topo 1.8 Cavallo 1.9 Serpente 1.10 Animale inventato

87 87 94 99 103 107 111 115 119 124 135

Capitolo 2: Animali a bassa frequenza di scelta (originali)

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2.1 Animali di terra 9 Agnello 9 Antilope 9 Asino 9 Camaleonte 9 Capra 9 Castoro 9 Cervo 9 Donnola 9 Dromedario (Cammello) 9 Elefante 9 Giraffa 9 Iena 9 Leone 9 Leopardo, pantera e tigre

141 142 143 143 144 144 145 146 147 148 148 149 150 150 152


9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9

Lucertola Lumaca Maiale Orso Pecora Riccio Scimmia Scoiattolo Talpa Tartaruga Tasso Toro Vacca, mucca

152 153 154 154 155 155 156 157 158 158 159 159 160

2.2 Animali di aria 9 Aquila 9 Avvoltoio 9 Cigno 9 Civetta e gufo 9 Corvo 9 Gru 9 Falco 9 Gallina 9 Gallo 9 Oca 9 Pavone 9 Pellicano 9 Picchio 9 Pipistrello 9 Rondine 9 Vampiro

161 161 164 164 166 167 168 169 170 171 172 174 175 175 177 177 178


2.3 Animali di acqua 9 Balena 9 Delfino 9 Pesce 9 Squalo o pescecane

179 180 180 181 184

2.4 Animali anfibi 9 Coccodrillo 9 Rospo (e rana)

184 184 186

2.5 Gli insetti 9 Api e vespe 9 Farfalla e bruco 9 Grillo 9 Formica 9 Cicala 9 Mosca 9 Mantide religiosa 9 Ragno 9 Scarabeo 9 Vermi 9 Zanzare

187 187 188 189 190 191 191 192 192 194 194 196

PARTE TERZA: LO I.A.R.T.F.: UNO STRUMENTO PER LA TERAPIA

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Capitolo 1: Il trattamento dell’adolescente

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Capitolo 2: La comunicazione con l’adolescente

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Capitolo 3: Casi clinici

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Sofia Tavella 9 Edo e la storia del pesce Mario 9 Iury e la storia del gatto Birillo 9 Mariasole e la risurrezione della tartaruga

211 223 229

Giovanni Pallaoro 9 Dal caso di Adele

233

Appendice

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Bibliografia

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Introduzione

L’adolescenza

«L’essenziale dell’esperienza è in ciò che aggiungiamo a quello che vediamo e senza un contributo da parte nostra noi non vediamo nulla»1. L’adolescente è maestro in quest’arte. Completa e compendia la realtà con la fantasia, più spesso con le proiezioni difensive. Quello che il ragazzo o la ragazza aggiunge ad un oggetto dell’esperienza per completarlo può essere così esteso, sostanziale e radicato nel convincimento, che l’oggetto stesso può essere scomposto e ricomposto nell’immaginario allucinato dalle proiezioni difensive. Di qui le conclusioni frettolose di quegli autori che hanno considerato l’adolescenza una fase dello sviluppo evidentemente psicotica. Una ragazza un giorno mi disse che suo padre era un tiranno. Incontrai, qualche tempo dopo, un uomo timido, impacciato, introverso; tiranneggiato, semmai, dalla moglie. Questo padre, da qualche tempo, proibiva a sua figlia di incontrare uno sconosciuto. La proibizione, sperimentata dalla ragazza come castrazione di un suo desiderio, aveva trasformato un uomo timido in un tiranno. L’azione comunque di completare l’oggetto della propria conoscenza penetrandone il mistero che l’avvolge ed i paradossi che lo accompagnano è propria di ogni essere umano. Lo ha portato ad erigere, nel corso della sua storia, monumenti fisici e mentali adibiti a questo scopo. 1 M.

Milner, 1952, Disegno e creatività, La Nuova Italia, Firenze, 1968.

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In molti luoghi della Grecia antica era possibile rivolgersi agli dei e chiedere un responso per i turbamenti dell’anima o un consiglio per affrontare un problema della vita quotidiana. Questi luoghi, immersi in un’aura di sacralità, erano gli oracoli. Il dolore, la sofferenza, il lutto, lo smarrimento, la catastrofe, ecc. sono esperienze che si radicano nell’essenza dell’essere umano e richiedono un rispetto profondo. Un rispetto che assume, pertanto, caratteristiche pre-etiche che solo un luogo sacro può garantire. Il più famoso era l’oracolo di Delfi, considerata dai greci, per questo motivo, l’ombelico del mondo. La storia degli oracoli si perde nella notte dei tempi. Ogni civiltà ha avuto ed ha un luogo oracolare fisico e mentale: il tempio, la chiesa, l’altare, il totem, lo stregone, il vecchio saggio, il sacerdote o il “santone” di turno. Non c’è mai stato, dunque un popolo o una comunità umana che in un momento di difficoltà o di dolore non abbia avuto bisogno di chiedere aiuto a qualcuno ritenuto capace di sondare il mistero ed il paradosso della sofferenza soprattutto. L’essere umano, pertanto, ha sempre cercato di conoscere se stesso ed i motivi profondi dei suoi problemi attraverso la parola dell’altro. Non una parola qualunque, ma una parola che, per essere oracolare, doveva avere caratteristiche specifiche. Anzitutto gli oracoli erano espressi in “versi”, in un linguaggio, comunque, poietico così da indurre il consultante a cercare, attraverso uno sforzo interpretativo, la propria verità. Il responso, in fondo, non era altro che una metafora la quale ha come suo specifico due caratteristiche basilari: la prima è quella di contenere in sé gli opposti e l’altra è quella di tollerare in sé il dubbio, attivando in tal modo la ricerca e l’esplorazione. Nella comunicazione oracolare non c’è posto per la risoluzione di un problema; al contrario della comunicazione religiosa che non ha passato né futuro, ma pone il dogma nel presente. E il dogma non prevede interpretazioni, non prevede ricerca ed esplorazione del proprio mistero; il dogma risolve in sé l’intera esperienza umana. Allo stesso modo la logica del pensiero adulto, la logica razionale, è piena di pregiudizi, di valori come pietre, di dogmi scientifici o più semplicemente difensivi. 14


L’adolescente si avvicina all’adulto con l’esigenza di trovare la parola oracolare che, pertanto, non sia esplicativa di una sofferenza, non sia dogmatica, non sia carica di consigli, non sia chiara e definita, ma lasci lo spazio all’interpretazione personale, alla ricerca soggettiva della propria verità. L’adulto per l’adolescente non è colui cha sa, ma è il depositario di quella maturità e saggezza che non prevede il dogma, la conoscenza “oggettiva”, il consiglio assertivo. Ogni adulto. Soprattutto l’adulto terapeuta. L’adolescente, per arrivare a conoscere se stesso, oltre la sofferenza attuale ed i dubbi, chiede di essere guidato nella sua ricerca personale; chiede una guida presente e silente. Qualora questi prerequisiti dell’ascolto terapeutico siano rispettati, facilmente l’adulto significativo di riferimento (il terapeuta ad esempio) diventa, per l’adolescente, un ideale dell’Io o un Io ideale. Scrive M. Khan: «In principio vi sono l’atto e il gesto. Fantasia, pensieri, immaginazione e parole vengono dopo. La nostra realtà psichica ha come suo fondamento l’atto e il gesto che determinano il destino della parola»2. In adolescenza non c’è parola che rappresenti l’atto o il gesto, giacché è essa stesso atto. Il simbolo è “puro” nel suo significato radicalmente soggettivo; non ha ancora acquisito la valenza della convenzionalità radicata nella tradizione e nella cultura di quella particolare comunità umana di cui l’adolescente è parte. Convenzionalità garantita, anche nel linguaggio “adulto” scientifico, filosofico, letterario, dalla metafora: è il “come se” il prerequisito della comunicazione simbolica. L’adulto di riferimento (genitore, educatore, psicoterapeuta) deve fornire all’adolescente il corretto uso della metafora in modo che la parola adolescenziale possa svincolarsi dall’atto e muoversi verso il simbolo. Verso cioè la mentalizzazione dell’esperienza che, in ultima analisi, come l’agito (l’attività lavorativa, il fare) e la “follia personale” serve a mettere in gioco, gestire, controllare e familiarizzare il proprio 2 M.

Masud, R. Khan, 1974, Lo spazio privato del sé, Boringhieri, Torino, 1979.

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mondo interiore: di questo, soprattutto, il disagio e la sofferenza. In questo processo un ruolo fondamentale è svolto dall’allegoria (vedi il paragrafo sul “fumetto”). La comunicazione simbolica è, dunque una delle aree di conquista dell’adolescente. Si accompagna alla definitiva acquisizione del pensiero formale; quel tipo di pensiero, fatto di parole governate dalla logica razionale (finiamo tutti, nella nostra cultura, col pensare parole, a detrimento del pensiero creativo, immaginativo, musicale, emozionale, ecc.). Un pensiero che consente ad ognuno di parlare di sé con l’altro, senza parlare di sé, ma dell’altro da sé. Questa modalità comunicativa è una via straordinaria di canalizzazione delle angosce, dei disagi e delle sofferenze soggettive. Il simbolo (dal greco sym-bolé: metto insieme), infatti, proprio in quanto unisce in sé la convenzionalità formale del segno (elemento “oggettivo”) con il valore personale che quel segno assume per la persona che lo usa (elemento “soggettivo”), consente l’espressione del proprio mondo interno, in particolare delle proprie sofferenze attraverso la mediazione, filtrante ed elaborativa della cultura, quella di appartenenza con i suoi luoghi comuni, i suoi riti, i suoi miti. È la tanta celebrata “mentalizzazione” delle angosce come difesa dalle pericolose somatizzazioni delle stesse. Tra l’altro, qualora il simbolo non tenga in sé il convenzionale ed il soggettivo, si produce la scissione. Così, ad esempio, lo schizofrenico paranoico non riesce a mettere insieme il significato soggettivo di un segno con il suo corrispettivo convenzionale, producendo, in tal modo, un linguaggio talmente personale da essere incomprensibile ai più. Il simbolo (sym-ballo, metto insieme) è rotto e diventa “diavolo” (diaballo, separo), una esperienza cioè dominata dal diverso e dall’estraneo. Un’altra via irrinunciabile di messa in gioco delle proprie realtà interne, soprattutto conflittuali, è quella dell’attività fisica, del fare qualcosa con le mani ed i piedi, dell’agire con il corpo e sul corpo. Gli ado16


lescenti fanno ampio uso di questa modalità, esasperandola. Gli agiti a rischio suicidale ne sono una conseguenza. In questi casi, il recupero di un adeguato esame di realtà e la mentalizzazione critica dell’esperienza diventano esigenze evolutive. Accennavo infine ad una terza via. Quella della “follia personale”. Il riferimento è a quell’insieme di modalità comportamentali che appartengono al rapporto più esclusivo e privato che ognuno ha con se stesso. Si tratta di quei gesti talmente soggettivi che non possono essere condivisi neppure con il proprio compagno o la propria compagna. La condivisione, costretta o scoperta, si accompagna alla vergogna. La “follia personale” può andare dal collezionare qualcosa di particolare, o dall’attribuire un potere scaramantico ad un qualunque oggetto, a forme di perversioni masochistiche agite, ad esempio, contro i propri genitali. In letteratura Pirandello ha eretto un monumento alle follie personali. Non ho alcun dubbio nell’affermare che in adolescenza è la follia personale a tenere la pazzia vera fuori della propria casa. Forse è sufficiente pensare al diario personale, una sorta di condensato di deliri, di depressioni drammatiche, di perversioni sadiche e masochistiche, ecc., spesso espresse nelle forme e nei linguaggi della creatività poietica. Piccoli capolavori che finiscono inesorabilmente nella spazzatura. Così sono convinto che i musei più ricchi del mondo di opere d’arte che mai saranno visionate sono le discariche ove gli adolescenti espongono. Dunque l’adolescente ha bisogno certamente della parola, del simbolo, ma per esprimere il proprio mondo interno ha bisogno del corpo reale ed immaginato ed ha bisogno della follia personale espressa spesso nelle forme proprie dell’arte. Perché tutto ciò sia possibile è necessario che l’adulto (genitore, educatore, psicologo, psicoterapeuta) garantisca un ambiente, uno spazio ed un tempo di disponibilità autentica e non mediata. Uno spazio ed un tempo d’ascolto.

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Durante una vacanza del 1889 Freud visse un’esperienza insolita che raccontò così: «Feci una gita in montagna per dimenticare la nevrosi; vi ero quasi riuscito, quando un giorno lasciai la strada principale per salire su un monte un poco scosceso, famoso per la vista e per il suo ben tenuto rifugio. Arrivato lassù, dopo un faticoso cammino, dopo essermi riposato e rifocillato, me ne stavo seduto immerso nella contemplazione di un incantevole panorama, talmente dimentico di me stesso da non comprendere d’essere io la persona interpellata quando udii la domanda: “Lei è un dottore?”». Si tratta del caso di Caterina, diciotto anni, dominata da un bisogno urgente d’aiuto. Freud dichiara la propria identità professionale e si accerta del modo in cui la ragazza è arrivata a lui. “Sì sono un dottore; come lo sa?”. La ragazza risponde: «Il signore si è registrato nel libro degli ospiti e allora ho pensato che il signor dottore avesse un po’ di tempo…»3. Caterina chiede un po’ di tempo ad un uomo che ha già trovato dentro di sé il tempo e lo spazio per prestare ascolto a Caterina e stabilire così un rapporto. La motivazione dell’adolescente e la disponibilità del terapeuta hanno permesso a Caterina di usufruire di un unico intervento di Freud, entrambi immersi in quell’atmosfera incantevole degli Alti Tauri. La motivazione del paziente e la disponibilità del terapeuta creano il setting e determinano il destino, non solo del transfert, ma dello stesso rapporto terapeutico. La somministrazione di un qualunque test ha le stesse caratteristiche di estemporaneità e di “fuori luogo” presenti nella richiesta di Caterina. E nella somministrazione di qualunque test è necessario avere un profondo rispetto per tutti i processi attivi nell’adolescente: dalla mentalizzazione alla follia personale, ed è altresì fondamentale la disponibilità dello spazio e del tempo interno allo psicologo-psicoterapeuta.

3 S.

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Freud, 1889, Opere, Vol. I, Boringhieri, Torino, 1967.


Ricordo, infine, che il test, qualunque test, è solo uno strumento parziale di conoscenza dell’altro, anche se validato “scientificamente”, pertanto non fornisce alcuna conoscenza “oggettiva” della personalità indagata.

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Capitolo 1

La Consegna: “Immagina l’avventura di un animale e raccontala usando la tecnica del fumetto”

1.1 Immagina: fantasia e produzione grafica in adolescenza La fase adolescenziale è caratterizzata, tra l’altro, dalla profonda connessione tra le fantasie, gli oggetti internalizzati e la produttività artistica. In adolescenza le pulsioni distruttive sono proiettate soprattutto sui genitori interni ed esterni, sperimentati come agenti di disturbo dell’onnipotenza difensiva (volitiva ed esecutiva). Le fantasie, comunque, sorgono nel momento in cui il soggetto adolescente si trova sotto il dominio dei suoi impulsi distruttivi e la libido è iperpotenziata. Per difendersi contro l’aggressività, contro l’angoscia per la colpa, contro l’angoscia di morte, per derealizzazione, per destrutturazione o per depersonalizzazione, l’adolescente, come ha mostrato Freud, dirige la tensione distruttiva o penosa all’esterno su un oggetto reale (padre o madre) o la trasforma in fantasia (in fantasticheria nelle situazioni psicopatologiche). In queste fantasie depressive o megalomaniche, eventi reali e ricordi infantili si intrecciano producendo quello stato di “informità” angosciosa da cui l’adolescente cerca di uscire attraverso l’attivazione del pensiero poietico: la produzione artistica. Una produzione solitamente distrutta. La ricerca drammatica è orientata al recupero dell’“innocenza” infantile, quello stato dell’esperienza di sé privo di colpa. Per fare questo è necessario restaurare l’esperienza di sé (il Sé) danneggiata dalla prepotenza pulsionale, aggressiva e libidica. E questo è il compito primario dell’arte adolescenziale e dell’arte in 23


genere in tutte le sue espressioni: non c’è arte, che sia ricerca poietica di sé, senza sofferenza, senza ripiegamento in sé doloroso ed ossessivo. Questa è l’adolescenza. Tuttavia, se per il bambino disegnare è giocare, per l’adolescente disegnare è assumere un rischio. L’espressione libera del mondo interno sollecitata dalla produzione grafica richiede una condizione che solitamente l’adolescente non possiede, una condizione di sicurezza ambientale, interna ed esterna. Interna soprattutto. Richiede una condizione in cui rinunciare all’autocontrollo è possibile, in quanto è possibile accettare il caos e l’urgenza dei messaggi ambigui ed ambivalenti; è possibile tollerare l’indifferenziato, l’informe e l’indefinito; è possibile affrontare la paura dell’ignoto. La condizione propria dell’adolescente ostacola non tanto il processo di creazione, ricreazione e rappresentazione, quanto piuttosto la sua esposizione, la sua definizione. L’adolescente, infatti, non è nella condizione maturativa di sopportare a lungo l’incertezza dell’indeterminato o di produrre un messaggio non definito secondo i canoni logico-razionali propri del mondo adulto. A questa produzione infatti associa l’immagine di sé, la propria autostima, il senso stesso della propria dignità. L’adolescente sa che è in suo potere trasformare l’indifferenziato che lo abita in un messaggio definito, ma sa anche che non è ancora pronto e che deve sopportare il tempo necessario perché lo stato del mondo interiore sia sufficientemente organizzato o accettato da poter essere rappresentato senza rischi. In altre parole, l’adolescente deve sanare lo iato esistente fra la logica della mente razionale e la logica degli affetti o, meglio, della mente emozionale. Fondamentale è perciò che il terapeuta o lo psicologo clinico superi l’abitudine di dare un assetto logico ad ogni atto. Attenda il tempo dell’adolescente. Fornisca quella sicurezza ambientale di cui l’adolescente è privo. Solo allora tanto lo psicologo che l’adolescente avranno la loro ricompensa: la scoperta sorprendente, che riguarda tanto la forma che il contenuto, di essere entrambi capaci di godere l’uno dell’altro. In quello spazio di proiezione grafica abitato dall’adolescente trova appagamento anche l’operatore che di quello spazio creativo gode. La creatività psichica infatti altro non è se non la capacità di ricreare simboli mediante i quali godere di sé nell’incontro 24


con l’altro da sé. Nell’arte questa capacità si esprime con il simbolismo dei sentimenti; nella scienza con il simbolismo della conoscenza; in adolescenza con il simbolismo dei sentimenti di sé e con il simbolismo della conoscenza di sé. La dinamica tra i processi di non integrazione e quelli di integrazione è governata dalla creatività. Ecco perché, negli stati di non integrazione, di sofferenza e confusione, il lasciarsi andare può significare rinunciare a qualsiasi capacità discriminativa, perdere il controllo sulle parti di sé rifiutate o ammantate di vergogna e colpa. Ogni barriera è infranta e la follia personale è sperimentata come pazzia dell’io cosciente. Una esperienza di morte che può essere rappresentata se è garantita quella condizione di sicurezza ambientale (buona alleanza terapeutica) di cui l’adolescente è privo.

1.2 L’avventura L’adolescenza è una impresa rischiosa, attraente, piena di fascino per ciò che vi è in essa di ignoto, di incerto, di casuale o di inaspettato e per come le diverse esperienze sono affrontate dai protagonisti. Prevale l’onnipotenza volitiva (se io voglio posso) ed esecutiva (l’esperienza è mia e di nessun altro); prevale la sfida alla vita ed alla morte, la sfida al corpo ed alla mente, la sfida alle convenzioni, alle istituzioni, alle norme ed ai valori; prevale l’avventatezza, il rischio, l’azzardo. L’adolescenza è una avventura e l’adolescente è un “Don Chisciotte”. E come Don Chisciotte1, l’ultimo romanzo cavalleresco ed il primo romanzo moderno, l’adolescente è, in sé, l’ultimo bambino ed il primo adulto. Le due attribuzioni si limitano, si arricchiscono e definiscono reciprocamente, così come la dialettica tra realtà e fantasia caratterizza e definisce l’adolescente Don Chisciotte. Indimenticabile è la figura di Sancho Panza, il grassoccio, sensato e pratico scudiero del macilento e allucinato Cavaliere dalla triste figura. Il padrone, folle e mite sognatore, che vuole semplicemente ripristinare la giustizia nel mondo; il 1 M.

de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, 1605, 1615.

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servo, rozzo contadino senza ideali, goloso ed interessato, galantuomo e giusto, si integrano mirabilmente, componendo un equilibrio perfetto, metafora straordinaria dell’equilibrio dinamico, instabile e mai raggiunto nella fase adolescenziale. Così, dalle amare esperienze della vita, il buon senso trae motivo per ammonire l’ostinato idealismo. E come ha osservato Heine2, il contrasto, non a caso, si estende alle due cavalcature e all’uso del pensiero e della parola: maestoso, ciceroniano il fraseggiare del cavaliere; breve, rude, tutto proverbi popolari, il dire del fedele compagno. Questa dialettica è stata variamente intesa ed interpretata. Chi ha scorto in essa il simbolo dello scontro tra l’ideale ed il reale nella natura umana; chi una immagine del conflitto tra l’eroe (che per essere tale non può che essere trasgressivo) e la società in cui vive; chi ha visto satira politica; chi provocazione rivoluzionaria dei costumi, ecc. La dialettica degli opposti è il campo di lavoro dell’adolescente. Per concludere voglio richiamare l’attenzione sul contenuto umano dell’opera di Cervantes. In particolare su come le immaginarie e mirabolanti avventure del Cavaliere della Mancha, avvolte da tanta naturalezza, da tanta umanità e da tanto umorismo, finiscano per sembrare “reali”. L’umorismo soprattutto. Un umorismo, tra l’altro, così fine, raffinato, armonico da sopravvivere ad ogni mutamento dei gusti culturali. Si tratta dunque di un racconto che nasconde l’intento di conoscere e spiegare il mondo delle cose e dei dinamismi interni al singolo individuo. Non c’è azione, infatti, che non si risolva nel mondo interiore, che non evochi le avventure adolescenziali di chi partecipa all’azione stessa. E l’avventura è separazione, separazione come vita che è amore della vita, rapporto con contenuti quali: pensare, mangiare, dormire, leggere, lavorare, scaldarsi al sole. Luoghi certi per l’adulto, luoghi di esplorazione e di avventura per l’adolescente. La realtà della vita, da sempre, è nella tensione verso la felicità, che non è un accidente, un attributo della propria realtà sostanziale, ma è la realtà sostanziale stessa, dato che ogni essere umano rischia ogni giorno per 2

H. Heine, 1840, Prefazione a Don Chisciotte, trad. di B. Gamba, Istituto Editoriale Italiano, Milano, 1913.

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essa. La felicità è integrazione, è pienezza di sé; è tensione verso quelle esperienze che superano la morte, la disgregazione, e restituiscono il senso della propria integrità, della propria interezza. In questo senso la vita è rischio, è avventura. E la fase della vita in cui il rischio e l’avventura sono protagonisti assoluti è proprio l’adolescenza per la forte tendenza alla disgregazione operata dall’azione costante delle angosce di morte.

1.3 L’animale L’animale anzitutto è l’uomo: “O animal grazioso e benigno”3. Poi ogni organismo vivente dotato di moto e di sensibilità nel quale l’essere umano cerca e ritrova se stesso, come cerca e ritrova se stesso nella natura affidandosi, per conoscerla, più che alla scienza all’arte. Così, ad esempio, Dante4 recita: “l’aere bruno toglieva gli animai che sono in terra da le fatiche loro” e Foscolo5 dichiara: “questa bella d’erbe famiglia e d’animali”. Dunque l’animale, per l’essere umano, è un compagno di vita, ed è, nello stesso tempo, un luogo proiettivo di esigenze profonde, arcaiche, soggettive ed archetipiche. Un luogo della creatività personale e collettiva. Ogni animale ha trovato così nell’immaginario dei popoli una collocazione simbolica, metaforica ed allegorica. È sufficiente esplorare uno qualunque dei contesti culturali, religiosi e tradizionali di un popolo per incontrare un animale che ne riassume i significati profondi attuali. È sufficiente ascoltare il sogno di un paziente per incontrare un animale. Molti illustri autori, soprattutto artisti, hanno esplorato questi contesti, evidenziando i significati specifici attribuiti ai singoli animali dalle esigenze antropologiche, religiose e dinamiche proprie di quel popolo o di quel paziente. Tra i tanti ricordo Jung e il suo monumentale lavoro di ricerca sui simboli. Dunque 3 Dante Alighieri,

1313, Inferno, Canto V. Canto II. 5 U. Foscolo, 1806, I sepolcri; Id., 1812, Frammenti delle Grazie in un solo inno, in Id., Poesie, a cura di G. Chiarini, Raffaello Giusti, Livorno, 1904. 4 Ivi,

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non aggiungerò altro materiale all’esistente, non è questo l’obiettivo del contributo che vorrei dare alla clinica dell’adolescente. Sottolineo soltanto un aspetto. L’animale è chiuso nel suo ambiente che l’avvolge come fosse la sua pelle. L’ambiente naturale è parte dell’essenza stessa dell’animale che in esso vive. Così per l’uomo. L’esperienza di sé risulta non solo dal complesso delle condizioni sociali, culturali e morali, dallo spazio fisico che lo circonda e in cui vive, ma anche dal rapporto instaurato con la natura ed i suoi fenomeni, con l’universo ed il suo ordine, inteso come una realtà oggettiva che l’uomo contempla, studia, modifica. “Una diva scorrea lungo il creato a fecondarlo e di Natura avea l’austero nome”6; “O natura, o natura, perché non rendi poi quel che prometti allor?”7. La natura è per l’essere umano la sua prima pelle, il suo ambiente originario il cui equilibrio non può essere alterato senza danno per se stesso e per la vita in genere. Alla nascita il bambino è accolto dalla natura, dall’ambiente così come i genitori sono stati capaci di organizzarlo. Non è un caso che “natura” derivi dalla radice latina “gna” che significa “generazione”, donde “nasci”, “venire ed essere per generazione”; analogamente la parola greca corrispondente “physis” appartiene alla radice “phyo”, “genero”. La madre, pur essendo parte di quell’ambiente, si aggiunge. La ricerca, pertanto, della natura come rifugio regressivo dalle fatiche egoiche e superegoiche è la ricerca della prima esperienza di sé, una esperienza di integrazione, di pienezza, di libertà dai condizionamenti. È la ricerca della propria essenza, la quale essenza (che in quanto tale è ciò in cui, colui che cerca, consiste) è natura, da intendere come principio di azione e di comportamento. Dunque il rapporto con l’animale e le sue connotazioni reali e simboliche è espressione del rapporto con la natura. Due entità, animale e ambiente naturale, che si risolvono in un’unica esperienza: la ricerca di sé, della propria essenza o, come spesso si dice, della propria sostanza. E questa ricerca è l’adolescenza.

6 U. 7 G.

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Foscolo, 1812, Frammenti delle Grazie in un solo inno, cit. Leopardi, Canti, Piatti, Firenze, 1831.


1.4 La narrazione La narrazione in terapia è, in sé, un’esperienza compiuta, complessa e completa. Certamente veicola la sofferenza, il disagio nel dialogo terapeutico, ma nello stesso tempo organizza uno spazio mentale nel quale gli eventi sono fruiti con la stessa adesione esperienziale attivata nello spazio reale. È, tuttavia, lo spazio della metafora, del simbolo e, in adolescenza, dell’allegoria. Gli eventi narrati dall’adolescente veicolano, infatti, molteplici ed improbabili messaggi per chi lo ascolta. Lo scopo non è tanto quello di comunicare, ma di raccontarsi all’altro, socializzare affetti, tensioni e sofferenza, sperimentare la conoscenza di sé attraverso l’altro. L’adolescente persegue questo scopo in molti modi, tra questi il più evidente è lo stile narrativo. L’insieme cioè delle connessioni logico-semantiche improntate su toni emozionali esplicitati attraverso le parole e, soprattutto, l’articolazione delle frasi. Gli adolescenti possono utilizzare pertanto, diversi stili comunicativi. Indicherò, richiamando il contributo di Liberman8, i più frequenti. Lo stile lirico, preferito dai pazienti molto dipendenti dal terapeuta, con importanti difficoltà comunicative per uno scarso controllo delle emozioni, è caratterizzato dalle sospensioni semantiche. L’adolescente accenna a qualcosa, lascia sospesa la frase e pretende che l’adulto che lo ascolta capisca quello che vuol dire; non completa pertanto il discorso; si mangia le parole; è impaziente e la sua impazienza rientra nella costellazione orale, invasa dai tratti orale-cannibalici. Frequentemente questo stile comunicativo è usato da adolescenti con nevrosi d’organo (ipocondriaci o affetti da dismorfofobie) o da adolescenti con personalità immatura; da soggetti cioè che canalizzano le emozioni sul corpo, non riuscendo a socializzarle in modo soddisfacente nella relazione. I temi principali, trattati in seduta, vertono sulle relazioni oggettuali, sull’amore, sull’amicizia, sui sentimenti e sul bisogno di essere perdonato, accolto, accettato. Mentre lo stile lirico è quello preferito dai 8 R.

Liberman, in R.H. Etchegoyen, Fondamenti della tecnica psicoanalitica, Astrolabio Ubaldini, Roma, 1990.

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pazienti dipendenti, lo stile epico è quello preferito dagli adolescenti che tendono all’agito. Sappiamo che l’agito è un pensiero che non è riuscito ad essere pensato. E questa è una condizione “normale” in adolescenza. È facile pertanto incontrare pazienti che usano questo stile di comunicazione. Si tratta di adolescenti che presentano una marcata incapacità nell’uso delle parole; si basano sulle azioni e sui gesti. La comunicazione tra l’altro non è tesa allo scambio di esperienze, ma piuttosto al dominio sull’altro. È disturbata la possibilità di dipendere, a meno che non si tratti di dipendere da una personalità narcisistica ed infantile. In altre parole questo stile comunicativo, fatto di gesti e di atteggiamenti arroganti, di presunzioni megalomaniche più che di parole, è proprio dell’adolescente nella fase dell’onnipotenza volitiva ed esecutiva. I temi principali vertono sulla esibizione di sé, della propria forza e della propria prestanza fisica e sessuale. È lo stile della difesa maniacale. Interessante è poi lo stile estetico. È lo stile del perfezionista. Lo spazio, il tempo, le pause, gli oggetti ed i personaggi del racconto sono ordinati in sequenze logiche e delineati nelle loro caratteristiche sostanziali e nei loro particolari. È lo stile che armonizza perfettamente i codici comunicativi verbali con quelli paraverbali e con i codici non verbali. Si tratta di pazienti che trovano godimento nella cura del linguaggio verbale, nella ricerca di termini particolari, di metafore originali; pazienti che sfoggiano una cultura verbale e linguistica molto investita. La parola è concretizzata dagli investimenti pulsionali aggressivi e libidici. Questi adolescenti non amano il silenzio. I temi principali si riferiscono a contenuti erotici, quasi mai esplicitati in modo chiaro, ma allusi mediante continui richiami ai temi della bellezza e del fascino. Questo stile normalmente nasconde un profondo senso di vergogna, di inadeguatezza della propria immagine corporea, di ridicolo. Altri adolescenti possono usare, per narrarsi, lo stile riflessivo. È lo stile dell’adolescente che assume la postura mentale del pensatore che esplora gli enigmi della vita, della morte, dell’amore per il prossimo e dell’amore di coppia, ecc., ritenendo, tra l’altro, che la psicoterapia sia il luogo in cui possa speculare sui grandi temi della vita, esibendo le proprie intuizioni e trovando risposte mai 30


pensate a domande mai poste. Il quotidiano è il luogo del banale insignificante; le emozioni e la vitalità sono riservate alle speculazioni “intellettuali”. Questi adolescenti parlano a voce bassa, “da dentro”; tendono a farsi idealizzare e spesso ci riescono idealizzando il terapeuta, che cade nella trappola narcisistica. Sono adolescenti insicuri, sfiduciati ed indifferenti. La tendenza psicopatologica in atto è orientata verso lo scoramento. Uno stile a parte è quello dell’adolescente che assume la postura propria del narratore. È l’adolescente che ha paura di essere frainteso o di fraintendere (pertanto fa ripetere più volte la stessa frase o lo stesso concetto). Siamo nel pieno della compiacenza. Quest’adolescente ubbidiente, accomodante, buon alunno, buon figlio, non può che essere un buon paziente. È questa la sua difesa; è questa la sua ossessione. Non c’è creatività, non c’è fantasia. La parola narrata occupa tutto lo spazio del rapporto, a volte soffoca il rapporto stesso, lo esaspera o esaspera il terapeuta. Un accenno infine allo stile “suspense” caratterizzato soprattutto dal clima creato; un clima di attesa, di meraviglia, di paura e di ricerca. I temi trattati vertono infatti soprattutto sul rischio, sull’avventura, sulla scoperta in netta contrapposizione con il conformismo e con la tranquillità. Sono adolescenti curiosi, mai soddisfatti. Si evidenzia nel loro atteggiamento un contrasto tra il linguaggio verbale ed il linguaggio non verbale e paraverbale (alle parole spesso non si accompagnano il tono, l’intensità ed ritmo del linguaggio adeguati ai contenuti trattati): la postura, la gestualità, lo sguardo, la micro-mimica facciale, ecc. mostrano i reali vissuti del paziente adolescente. In conclusione forse è superfluo sottolineare che tutti questi stili spesso si sovrappongono, a volte si contrappongono nello stesso paziente adolescente. Molto dipende dal tipo di interazione che l’adolescente stabilisce con l’adulto di riferimento, detentore a sua volta di un particolare stile comunicativo che influenza lo stile proprio dell’adolescente. Il registro comunicativo del terapeuta dovrebbe essere quello espositivo, dialogico (e non necessariamente interpretativo) di cui l’adolescente è carente, uno stile che richiede controllo, familiarità e gestione del mondo interno. 31


1.5 Il fumetto “Fumetto” (balloon, in inglese) designa sia la nuvoletta dai contorni frastagliati o arrotondati contenenti frasi o battute di un dialogo attribuito a personaggi disegnati in sequenza, che i disegni stessi. Il fumetto, dunque, mediante la figurazione pittorica, per lo più antropomorfica e la plasticità del linguaggio, narra una storia che deve essere interpretata diversamente dal suo significato apparente. La realtà, a cui comunque fa riferimento, è trasfigurata. La realtà esperienziale è presente nei suoi ingredienti di base, modificati dalla tensione trasformativa che fa dell’essere umano un “creatore” o il creatore di sé, e dei propri spazi e dei propri tempi. Non si tratta di una fantasia sulla condizione umana o un suo aspetto, ma di una parabola nella quale il racconto acquista le sembianze del reale, così ad esempio la vita e la morte dialogano percorrendo la stessa strada; la fragilità di un pulcino e la forza del falco banchettano nella stessa ciotola. La narrazione non è sostenuta dalla mente razionale ma dalla mente emozionale che recupera la magia del pensiero infantile. Ogni oggetto dell’universo umano e naturale trova la sua anima sostanziale e dialogica e dunque può raccontarsi e muoversi in uno spazio-tempo in cui tutto è possibile. Questo modo di raccontarsi domina la fase adolescenziale. L’adolescente è esso stesso un fumetto, un insieme cioè di parole agite e di raffigurazione confusa, ambivalente, idealizzata ed animata di elementi di irrealtà proiettiva dell’immagine di sé. Nel fumetto l’adolescente ritrova se stesso, i suoi miti. Il sogno diurno diventa realtà e trasfigurazione della realtà. Trasfigurazione di quella realtà temuta e cercata, evitata e trovata, trasparente e densa. In altre parole, c’è un luogo della mente da tutti noi frequentato ove agiscono la metafora e l’allegoria: è il luogo del racconto, della narrazione, della fiaba, della parabola e del fumetto come parabola. Il fumetto è parabola. La parabola è gioco. È rappresentazione presentata. Arriva al cuore ed alla mente; al pensiero magico del bambino, al pensiero concreto del preadolescente, al pensiero simbolico dell’adolescente, al pensiero concreto e razionale dell’adulto. Non esclude nessuno. Include tutti. La parabola, inoltre, 32


come il fumetto, include l’immaginario ove ognuno completa la conoscenza di sé e dell’altro; dunque stimola l’introspezione, il pensiero critico, il movimento verso il nucleo stesso del messaggio che si vuole trasmettere. Il fumetto, come la parabola, coglie i significati profondi ed universali della vita personale semplicemente narrandoli mediante la figurazione grafica e la parola.

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