Domenici

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Gaetano Domenici – Giovanni Moretti (a cura di)

LEADERSHIP EDUCATIVA E AUTONOMIA SCOLASTICA Il governo dei processi formativi e gestionali nella scuola di oggi

ARMANDO EDITORE


Sommario

Introduzione GAETANO DOMENICI

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- GIOVANNI MORETTI

PARTE PRIMA: CULTURE E TEORIE

1. Leadership educativa, cultura dell’autonomia e della valutazione come contributi per il risanamento del sistema formativo GAETANO DOMENICI 1. Contro il declino della scuola pubblica 2. Formazione, valutazione, riorientamento delle attività e leadership educativa 3. Leadership e contesti educativi 4. Formare un uomo nuovo 5. Complessità sociale e gestione strategica della scuola. Quale qualità 6. Centralità della cultura e della professionalità docente e dirigente 2. Dirigenza scolastica e competenze di leadership GIOVANNI MORETTI 1. Leadership e management 2. Leadership educativa diffusa 3. Dirigenza e dimensioni organizzative 4. Coordinamento e leadership diffusa 5. Tra dirigenza e docenza: i ruoli intermedi 6. Clima interno alla scuola 7. Sviluppo della cultura di rete 8. Dirigenza e autovalutazione di istituto 9. Autonomia e indipendenza professionale del dirigente scolastico Riferimenti bibliografici

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3. La leadership educativa tra le culture GIOVANNA BARZANÒ 1. Introduzione 2. L’orizzonte globale 3. Leadership educativa e globalizzazione 4. La cultura e le culture: le ricerche di Geert Hofstede 5. Diversi livelli di cultura 6. I macrolivelli della cultura 7. I paradigmi attraverso le culture 8. Osservazioni conclusive Riferimenti bibliografici

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4. Lo sviluppo di leader con capacità di leadership in campo 95 educativo e centrati sull’apprendimento PETER EARLEY 1. Introduzione 95 2. La leadership centrata sull’apprendimento 97 2.1. Definizioni e teorie sulla leadership 97 2.2. Un discorso che sta cambiando: dal management 99 alla leadership dell’apprendimento 3. Organizzazioni centrate sull’apprendimento o comunità 104 in apprendimento 3.1. Introduzione 104 3.2. Le opportunità di sviluppo della leadership e lo sviluppo 105 delle capacità di leadership 3.3. Comunità in apprendimento 107 3.4. La leadership delle comunità in apprendimento 110 3.5. Reti di comunità in apprendimento 112 3.6. Caratteristiche delle comunità centrate sull’apprendimento – 113 una sintesi 4. Conclusione 114 Riferimenti bibliografici 117 5. Dinamiche conflittuali e leadership in ambito educativo: effetti sui processi di apprendimento VALERIA BIASI 1. Introduzione 2. La gestione delle dinamiche conflittuali e i problemi relativi alla leadership 2.1. Lo studio del conflitto psichico attraverso la ricerca sperimentale. Rilevanza di un modello interpretativo del “sovraccarico del conflitto” per le applicazioni in campo educativo

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2.2. Influenze del contesto socio-culturale ed economico 127 Variabili psicologiche rilevanti per la formazione di una efficace funzione dirigenziale in ambito educativo 130 3.1. La conoscenza degli atteggiamenti del docente funzionali all’ottimizzazione dei processi formativi (in particolare, 130 abilità relazionali e stili educativi adottati) 3.2. La conoscenza dei principali lineamenti dello sviluppo della 133 personalità del discente 3.3. L’abilità del dirigente scolastico nella promozione dei processi di mediazione attraverso l’attribuzione di significato, la presa in carico delle esigenze dell’utenza e la condivisione 138 dei valori dell’organizzazione educativa 3.4. Note di psicologia dell’apprendimento per la previsione degli effetti diretti e indiretti di una leadership responsabile 142 4. Linee di intervento e prospettive di sviluppo 143 Riferimenti bibliografici 144

3.

PARTE SECONDA: IL QUADRO ISTITUZIONALE

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6. Scuola e dirigenza nei nuovi assetti istituzionali ALFONSO RUBINACCI 1. I nuovi assetti istituzionali 1.1. Premessa 1.2. Verso il federalismo amministrativo 1.3. La riforma della Pubblica Amministrazione 1.4. La nuova organizzazione dell’Amministrazione 1.5. La riconfigurazione dei rapporti Stato e Regioni 1.6. Il decentramento costituzionale 1.7. La collaborazione interistituzionale 2. La scuola e la dirigenza 2.1. Il sistema scolastico nell’assetto costituzionale 2.2. L’autonomia delle istituzioni scolastiche 2.3. Il ruolo della dirigenza nell’attuazione delle politiche pubbliche 2.4. La riforma della dirigenza 2.5. La formazione della dirigenza 2.6. La valutazione delle politiche pubbliche 3. Il Titolo V della Costituzione e il settore istruzione 3.1. Una “rivoluzione” tuttora incompiuta 3.2. Il federalismo fiscale 3.3. Le competenze legislative e i mezzi di finanziamento 3.4. I livelli essenziali delle prestazioni

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3.5. Il finanziamento dei livelli essenziali del sistema educativo 3.6. Le iniziative di attuazione del Titolo V 3.7. L’Accordo Quadro Stato-Regioni ed Autonomie locali Riferimenti bibliografici Risorse normative Risorse documentali

7. Responsabilità e azioni della dirigenza scolastica nella scuola dell’autonomia PAOLA GALLEGATI 1. Compiti, poteri e responsabilità del dirigente scolastico 1.1. Contenuti della qualifica dirigenziale scolastica 1.2. Competenze dei dirigenti scolastici tra funzioni e poteri 1.3. Sistema delle responsabilità 2. Gli ambiti di azione della dirigenza scolastica 2.1. Direzione e coordinamento dell’attività formativa, organizzativa e amministrativa 2.2. Relazioni interne ed esterne 2.3. Ricerca, sperimentazione e sviluppo 2.4. Valorizzazione delle risorse umane 2.5. Gestione risorse finanziarie e strumentali e controllo di gestione 3. Un ruolo professionale per lo sviluppo della scuola dell’autonomia 3.1. Valutazione dei dirigenti scolastici e valutazione di sistema 3.2. Valutazione dei dirigenti: una questione europea 3.3. Obiettivi, risultati e leve di governo 3.4. Management e leadership educativa Riferimenti bibliografici Riferimenti normativi Contratti dirigenza scolastica 8. Leadership e organizzazione scolastica EVA PASQUALINI 1. La specificità delle organizzazioni scolastiche 2. Le strategie di integrazione e di coordinamento nell’organizzazione 3. Il coordinamento e il monitoraggio dei processi organizzativi 4. I sistemi organizzati e la leadership 5. Il ruolo, le funzioni del leader e della leadership nell’organizzazione della scuola 6. Decisioni e costruzione del senso di appartenenza

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7. 8.

Le fasi del processo decisionale I gruppi di lavoro: team, gruppi di progetto, dipartimenti disciplinari, commissioni di lavoro Riferimenti bibliografici 9. La riforma della scuola secondaria superiore nel contesto europeo LILIANA BORRELLO Premessa 1. Documenti europei fondamentali per la riforma della secondaria superiore 1.1. Competenze chiave per l’apprendimento permanente 1.2. Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (european qualification framework/eqf) 1.2.1. Un sistema di riferimento per le qualifiche europee 1.2.2. Uno strumento per la trasparenza delle qualifiche 1.2.3. Un riferimento per i percorsi formativi

2.

1.3. Quadro comunitario unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze (EUROPASS) 1.4. Sistema europeo di crediti per l’istruzione e la formazione professionale (ECVET) 1.5. Quadro europeo di riferimento per la qualità dell’istruzione e della formazione professionale (EQARF) Connessioni tra la riforma della scuola secondaria superiore e le indicazioni europee 2.1. Elementi comuni per il secondo ciclo 2.2. Il passaggio dall’apprendimento per discipline all’apprendimento per competenze 2.2.1. Licei 2.2.2. Tecnici e Professionali

3. 4.

Istruzione e Formazione Professionale Dagli obiettivi di Lisbona al quadro strategico per la cooperazione europea nell’ambito dell’istruzione e della formazione (Istruzione e Formazione 2020) 4.1. Competenze chiave per un mondo in trasformazione 4.2. Istruzione e Formazione 2020 4.3. Italia 2020 Riferimenti bibliografici Documenti fondamentali (italiani, europei, internazionali)

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PARTE TERZA: LA LEADERSHIP IN AZIONE

10. Cultura del progetto e progettazione nella scuola dell’autonomia ANTONIO VALENTINO 1. Un po’ di storia 2. La progettazione nel Regolamento dell’autonomia 3. Qualche punto per orientarsi 4. Cultura del progetto e funzione della scuola 5. Rischi e derive 6. Riprecisiamo i significati 6.1. Pianificazione e programmazione 6.2. Cos’è progettazione 6.3. Progetto, progetti 6.4. Progetto e pedagogia del progetto 7. Project Management: altri fanno così 8. La progettazione nel Riordino dell’Istruzione Tecnica e Professionale 8.1. La progettazione didattica 8.2. Progettazione formativa e Dipartimenti 8.3. Ancora sui Dipartimenti 8.4. Esemplificazioni 9. POF e progetto di scuola. Superare le ambiguità 10. Progetto, gestione unitaria e funzione del dirigente scolastico Riferimenti bibliografici 11. Indicatori educativi JAAP SCHEERENS 1. Definizione degli indicatori 2. Sviluppo storico 3. I sistemi di indicatori a livello di sistema 4. Sistemi globali di indicatori che comprendono indicatori di processo del funzionamento scolastico 4.1. Indicatori della funzione di processo 4.2. Ricerca sulla scuola efficace e identificazione degli indicatori di processo 4.3. Esempi 5. Conclusioni: uso e interpretazione degli indicatori educativi Riferimenti bibliografici

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12. Fundraising e finanziamenti comunitari: i nuovi scenari della scuola dell’autonomia MARCELLO SALERNO 1. Il fundraising negli istituti scolastici: oltre le risorse locali 2. L’autonomia finanziaria degli istituti scolastici nel processo di integrazione europea 3. Le politiche europee di coesione e i fondi strutturali 4. I programmi comunitari: Leonardo, Comenius, eTwinning, Erasmus, Jean Monnet, Lifelong Learning Programme 5. L’ottica europea del finanziamento all’istruzione: strategie e best practice Riferimenti bibliografici Nota sugli Autori

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Introduzione GAETANO DOMENICI - GIOVANNI MORETTI

Il presente volume, che si articola in tre parti intimamente connesse tra loro, tratta di alcuni temi specifici tra quelli che strutturano il complesso concetto di leadership educativa, ritenuti rilevanti sul piano della riflessione teorica e della ricerca nel quadro di riferimento italiano e internazionale. Come si sa, tra le variabili che condeterminano la qualità dei processi e degli esiti educativi va sempre più configurandosi come particolarmente significativa quella che si può ormai definire leadership per l’educazione. La gestione strategica, o più semplicemente il governo dei processi formativi, soprattutto di quelli che hanno luogo in contesti formali, in particolare nella scuola, costituisce, infatti, e soprattutto nelle società complesse, uno dei più importanti fattori che spiegano l’apprendimento insegnato, ovvero la produzione culturale di questa insostituibile istituzione formativa. Anche in Italia, dopo il non facile avvio dell’autonomia scolastica, va crescendo la consapevolezza della funzione fondamentale della leadership esercitata e promossa dai docenti e dai dirigenti scolastici nel governo della scuola. Così, nella prima parte del volume, Culture e teorie, a partire dalla riflessione sui processi di globalizzazione e internazionalizzazione che negli ultimi decenni hanno impresso una crescente accelerazione nel cambiamento dei contesti sociali organizzati, sono trattate alcune questioni ritenute strategiche per il cambiamento dei sistemi formativi. La diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione nonché la globalizzazione dei mercati hanno prodotto infatti uno stravolgimento degli assetti scolastico-formativi di gran parte dei Paesi del pianeta per far fronte al quale solo ultimamente stanno emergendo ipotesi praticabili di nuovi e più efficaci progetti educativi. La praticabilità di questi ultimi sembra essere sempre più determinata dalla diffusione della cultura della leadership e dalla capacità dei dirigenti scolastici di essere leader come anche gli altri attori che curano i processi di formazione e istruzione nei sistemi istituzionali organizzati. Attraverso la presentazione di diversi approcci teorici, sono descritti gli elementi che caratterizzano le capacità di leadership centrate sull’apprendimento in ambito educativo. La leadership diffusa, piuttosto 13


diffusa, piuttosto che il management, centrato più sugli aspetti di gestione che di governo, permettono alle comunità che apprendono ed in particolare al dirigente scolastico di promuovere processi di condivisione dei significati e dei valori dell’organizzazione educativa tra i suoi attori. Nella seconda parte del volume, Il quadro istituzionale, i contributi dedicano attenzione ai nuovi assetti istituzionali che a partire dalla modifica del Titolo V, parte seconda della Costituzione, hanno introdotto e avviato il passaggio del Sistema nazionale di istruzione dal tradizionale modello gerarchico e centralistico a quello autonomistico, che vede sempre più protagoniste le Istituzioni scolastiche, le Autonomie locali e le Regioni. In questa parte, inoltre, sono approfonditi i legami tra il federalismo amministrativo e la riforma della pubblica amministrazione, ai quali si accompagna una profonda ridefinizione del ruolo e delle funzioni della dirigenza scolastica. Il nuovo scenario modifica i compiti, i poteri e le responsabilità del Dirigente, che è chiamato sia a dirigere e coordinare le attività formative, organizzative e amministrative, sia a gestire le risorse finanziarie e strumentali, oltre che a promuovere lo sviluppo della scuola autonoma attraverso la valorizzazione delle risorse umane e delle relazioni interne ed esterne. L’unità scolastica è descritta in particolare nella sua dimensione organizzativa complessa e il dirigente scolastico è individuato quale leader educativo in grado di favorire processi decisionali partecipati e inclusivi capaci sia di giungere a scelte efficaci e pertinenti, sia di costruire il senso di appartenenza dei diversi attori della scuola. Particolare attenzione è altresì dedicata, nel nuovo assetto istituzionale, alla Riforma della scuola secondaria superiore, con particolare riguardo alle competenze chiave di cittadinanza per l’apprendimento permanente, stabilite e condivise nel quadro comune europeo dell’istruzione e della formazione. In tale prospettiva sono esplicitati e problematizzati gli elementi di riferimento per la progettazione di percorsi di studio tali da garantire la trasparenza delle competenze e delle qualifiche sia nell’ambito dell’istruzione che della formazione professionale. Nella terza parte del volume La leadership in azione, è sviluppato il tema della cultura del progetto ed è presentato insieme a due importanti questioni che lo caratterizzano: il riferimento a sistemi di indicatori indispensabili per monitorare e valutare l’efficacia delle azioni progettuali delle scuole autonome, nonché le opportunità di accesso alle risorse sia locali che comunitarie sempre più indispensabili anche per il venir meno nel contesto italiano delle risorse direttamente assegnate alle scuole dai decisori delle politiche nazionali di istruzione e formazione. 14


La gestione unitaria del Progetto di scuola che si realizza nelle azioni del POF, affidata al dirigente scolastico e alla sua leadership, è trattata con precisi riferimenti alle criticità che le scuole autonome spesso incontrano relativamente alla progettazione didattica, formativa ed alla loro pianificazione nella prospettiva della cultura del progetto. Quest’ultima si concretizza ulteriormente quando fa proprie e si misura con le ricerche e le riflessioni condotte in ambito internazionale e comparativo con il sistema degli indicatori che monitorano i processi di istruzione e formazione oltre che le competenze sviluppate negli allievi, nei diversi sistemi. Lo sviluppo delle buone pratiche è presentato come una delle logiche entro le quali vengono favoriti i finanziamenti europei nell’ambito dei programmi promossi dal Lifelong Learning Programme. Il volume raccoglie alcuni contributi sviluppati per il Master di secondo livello dell’Università degli Studi Roma Tre in Leadership, management in educazione. Dirigenza scolastica e governo della scuola, del quale gli autori sono docenti e che hanno contribuito a definirne il senso della formazione scientifica su alcuni dei molti temi e dei problemi che il dirigente scolastico, ma anche i docenti, le famiglie e i soggetti territoriali interessati sono chiamati ad affrontare nel governo dei processi educativi, organizzativi e gestionali nella scuola di oggi.

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1. Leadership educativa, cultura dell’autonomia e della valutazione come contributi per il risanamento del sistema formativo GAETANO DOMENICI

1. Contro il declino della scuola pubblica - 2. Formazione, valutazione, riorientamento delle attività e leadership educativa - 3. Leadership e contesti educativi - 4. Formare un uomo nuovo - 5. Complessità sociale e gestione strategica della scuola. Quale qualità - 6. Centralità della cultura e della professionalità docente e dirigente

1. Contro il declino della scuola pubblica Il violentissimo attacco cui da noi è sottoposta ormai da qualche anno la scuola pubblica sta rendendo nitido, anche agli occhi dei più ottimisti, un vero e proprio progetto politico di delegittimazione dell’istruzione pubblica, scolastica e universitaria. Alcune affermazioni sull’azione fallimentare della scuola, fatte dai più alti esponenti del Governo, hanno creato nella parte più avvertita del Paese uno stato di diffuso scoramento, perché hanno rappresentato, e non solo emblematicamente, un duro colpo a una struttura già sofferente, inferto proprio da chi dovrebbe invece difenderla e potenziarla con maggior vigore e impegno. Per una sorta di eterogenesi dei fini, anche l’accusa alla scuola statale di “inculcare” valori non condivisibili dalle famiglie, e la contestuale esaltazione della “libertà di scelta” delle scuole non-pubbliche, hanno finito col far meglio comprendere, ai più, senso e significato reali dei tagli progressivi di bilancio apportati a scuola, ricerca, università (e cultura). Occorre ricordarsi che dopo il taglio di circa nove miliardi di euro in tre anni per la sola scuola primaria pubblica e circa due per l’università compiuti con la finanziaria varata nel 2008, su bilanci annuali della scuola e dell’università rispettivamente di circa 42 e 10 miliardi, il “Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca”, nel suo complesso, ha subìto per il solo 2011, rispetto al 2010, una diminuzione di budget pari all’8% circa. Un taglio che si posiziona per entità, al livello più alto tra le 12 Amministrazioni centrali dello Stato (i meno penalizzati risultano il ministero della Difesa e quello dell’Interno, entrambi con tagli pari a circa l’1% del loro bilancio), pur avendo, il Miur, il più basso “costo medio per anno-persona”: 38.961 euro, contro i 54.586 del 19


Ministero dell’ambiente, che occupa la posizione apicale (Fonte: Ministero dell’Economia, dicembre 2010). Scelte peraltro peggiorate dalle recente legge di sviluppo, che non hanno fatto molto scalpore solo perché gli effetti dei tagli a ricerca, cultura e istruzione sono visibili alla parte più distratta e disinformata della pubblica opinione soltanto molti anni dopo, cioè quando cominciano a incidere piuttosto platealmente anche sull’economia e sull’occupazione, e nonostante che la disoccupazione giovanile, 15-29 anni, si sia attestata per il 2010 al 29.4%. Occorrerà davvero, allora, “stringersi a coorte”, e proprio nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, per cercare di evitare che si verifichi la profezia negativa contenuta nel famoso discorso di Piero Calamandrei al III congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN) l’11 febbraio 1951, pur lontana da noi di ben 61 anni! Il grande costituente paventava infatti che attraverso continue, ma infondate, denigrazioni della scuola pubblica e dei suoi docenti, si creassero di fatto convinzioni e aspettative, “opinioni pubbliche”, favorevoli all’abbattimento dei costi sociali dell’istruzione a alla progressiva sostituzione delle strutture formative pubbliche con quelle private, certo meno costose per lo Stato, ma anche meno frequentabili da chi non dispone di molte risorse economiche. Si potranno così scongiurare, ci si augura, gli effetti esiziali di tali scelte non solo sul sistema pubblico dell’istruzione, ma anche e soprattutto sulla società nel suo complesso. Come la storia ha mostrato abbondantemente, una società che utilizzi il proprio sistema formativo per riprodurre la sua composizione sociale, nei fatti è una “società chiusa”, senza un gran futuro.

2. Formazione, valutazione, riorientamento delle attività e leadership educativa Di fatto, una certa miopia intellettuale ha impedito di far cogliere e prevedere ai decisori politici non solo le connessioni tra livello di istruzione dell’intera popolazione, investimenti in ricerca di un Paese, e la sua posizione relativa nel mercato globale – così come quella tra un’autonomia scolastica comunque rispettosa delle esigenze formative nazionali e internazionali, e l’alta qualità dei processi e dei risultati formativi –, ma anche le relazioni dirette, seppur a medio termine, tra formazione e sviluppo economico. Dati il contesto mondiale in cui si trova ad operare l’Italia, e le statistiche sui “fondamentali” della sua organizzazione socio-economico-culturale, compresi quelli che esprimono il livelli diffusi di istruzione (soprattutto delle fasce giovanili), si direbbe che ai vertici delle necessità strategiche del nostro Paese non possa non esserci l’innalzamento della cultura dell’intera popolazione. Un obiettivo che, se perseguito con successo, consentirebbe che la tanto declamata valorizzazione della diversità – in tutto il mondo considerata a ragione fattore ag20


giuntivo di ricchezza in senso lato – possa aver luogo su quelle basi conoscitive comuni indispensabili, in questa fase storica, per consentire a tutti l’esercizio pieno della cittadinanza; l’essere produttori consapevoli; una pratica realmente possibile del Lifelong Learning, ossia dell’apprendimento per tutta la vita. L’alta qualità di un sistema formativo sta ormai proprio in questo, ovvero nella sua capacità di far diventare di tutti (soprattutto attraverso l’istruzione obbligatoria), i vantaggi che derivano dalle nuove conoscenze e dalla tecnologia, garantendo diffusamente la padronanza di quegli strumenti concettuali che nelle società complesse, quale è certamente la nostra, sono ormai diventati una vera e propria seconda natura; rendendo reale l’offerta di una moderna pratica di uguaglianza delle opportunità di successo attraverso quelle basi conoscitive su cui diventa più agevole la valorizzazione delle peculiarità e dei talenti individuali. D’altro canto, persino i fautori della canalizzazione e della professionalizzazione precoci convengono ormai che nelle comparazioni internazionali (dalla produttività economica al benessere sociale, eccetera), ciò che fa la differenza è la massa culturale critica di un Paese non già la cultura delle sue élite o quella delle basse professionalità. È infatti con questa dimensione quali-quantitativa che si correlano brevetti e know-how; così come alla significatività delle esperienze scolastiche si connette la capacità di apprendere per tutta la vita in forma autonoma. La più e più volte denunciata eccessiva variabilità del prodotto culturale scolastico tra aree geografiche, tra centro e periferia degli agglomerati urbani e persino tra gli allievi di un medesimo istituto, e di una stessa classe, che ancor più di oggi si profila nel prossimo futuro, a legislazione costante, così come hanno fatto registrare tutte le indagini sui risultati formativi della scuola italiana svolte fino ad oggi dalla fine degli anni Sessanta, non solo perpetua forme inaccettabili di iniquità, perché dovute non al demerito o alla casualità delle dotazioni individuali, bensì alla casualità del luogo di nascita e della scuola frequentata, ma produce effetti economici che anche i neoconservatori vorrebbero forse evitare se almeno riflettessero più distesamente sulla questione. Occorre allora irrobustire l’istruzione e la funzione insegnante – mai così socialmente, culturalmente ed economicamente svilita – affinché la scuola, intesa come ambiente specialistico della formazione formale, pur senza cadere in una solipsistica autoreferenzialità, diventi, almeno da questo punto di vista, fortemente e orgogliosamente fiera della propria funzione sociale. Un luogo artificiale, in quanto storicamente determinato e ad alta densità di competenze specialistiche – ancorché non separato, dunque –, nel quale in forma certo ludica e gratificante, ma in modo rigoroso, si fanno costruire quei saperi che è difficile, e non di rado impossibile, acquisire altrove, o dare forma consapevole a quelli fatti propri nei contesti di vita, ma che rappresentano il nuovo DNA culturale del cittadino e del produttore di oggi. 21


Tali scelte, lungi dal mettere a soqquadro il sistema, creando nuovo spaesamento, lo riorientano per il perseguimento, grazie anche all’istituto dell’autonomia, di finalità sociali, culturali e produttive che, se raggiunte, possono contribuire a bloccare la deriva quartomondista verso cui sta da anni scivolando inesorabilmente il nostro Paese, cioè da quando è stato drasticamente ridotto (sia in termini assoluti che relativi) l’investimento in istruzione, ricerca e sviluppo, che tra l’altro ha innescato quel deficit cumulativo della cultura diffusa, particolarmente allarmante in ambito scientifico. Occorre dunque praticare una autonomia intesa come mezzo che agevoli la messa in atto di quel delicato, ma decisivo processo – per quanto apparentemente contraddittorio – di valorizzazione delle diversità inter e intraindividuali; inter e intrascolastiche nonché inter e intraterritoriali per promuovere in tutti i fruitori della formazione una più elevata base conoscitiva comune (profilo socio-politico-culturale, definito e atteso, della popolazione in uscita dalla formazione) su cui solamente è possibile innestare – come si è detto – una differenziazione non più casuale, meno discriminativa sul piano sociale e perciò più equa. Una concezione dell’autonomia che presuppone e comporta tuttavia la pratica consapevole di una leadership educativo-scolastica diffusa, l’impiego di modelli di governance, di apparati procedurali di decisione, e perciò di monitoraggio e di valutazione modernissimi, cioè scientificamente fondati e democraticamente accettabili, del sistema e delle unità scolastiche. Una sorta di sistema nervoso di un sistema complesso, qual è certamente la scuola, ai suoi diversi livelli di articolazione – macro (nel suo insieme e nei suoi ordini e gradi), meso (il singolo istituto) e micro (gruppo-classe e/o di lavoro) – in grado di far esercitare ad ognuno, proprio attraverso la produzione e il “consumo”di informazioni e conoscenze, ai pur differenti livelli di responsabilità, una leadership effettiva, cioè le funzioni di indirizzo, attuazione, gestione, controllo e modifica del proprio e/o dell’altrui operato, ovvero di ognuna e delle differentissime azioni e attività che hanno luogo nella e per la struttura educativa. Il tutto, in una rete di scambi di dati e informazioni dalla cui interazione continua soprattutto scuole, dirigenti e docenti possano parametrare con dati offerti in tempo reale, per es. dall’Invalsi, la posizione relativa e lungo l’asse del tempo, delle unità (meso e micro) prese a riferimento, e al tempo stesso, far emergere le informazioni necessarie ma non disponibili per il miglioramento. In forma differenziata, ciò facilita peraltro la comunicazione tra singola scuola e il contesto, soprattutto nella componente famigliare degli allievi, di quanto l’unità scolastica ha fatto. Le azioni perciò indispensabili di “portare a conoscenza di”, “dar conto di” quanto è stato fatto, e simili, sono però azioni che rimandano, nella scuola dell’autonomia, alla responsabilità individuale e/o collettiva, “politica” delle scelte compiute. In presenza di una responsabilità consapevole, l’attività valutativa rimanda infatti alla necessità di far conoscere ai principali attori 22


dei processi formativi (primariamente allievi, docenti e dirigenti medesimi e famiglie) nonché all’opinione pubblica i processi attivati e gli esiti conseguiti, i problemi aperti e le possibili soluzioni; far conoscere le scelte compiute e i vincoli entro i quali sono state fatte, in forme comunicative diverse – a seconda del pubblico cui la comunicazione è destinata –, ma sempre leggibili e utilizzabili per il giudizio e l’azione, e perciò in modi differenziati non contraddittori. È necessario tuttavia che i dati valutativi siano affidabili, capaci cioè di rispecchiare di fatto la situazione che vogliono rappresentare, e che non mutino di significato complessivo in funzione di chi li abbia raccolti o li diffonda. Solo così diventa possibile, anzi abbastanza agevole permettere a tutti di leggere e interpretare con più dati informativi a propria disposizione gli eventi educativi scolastici, offrendo maggiori strumenti di analisi e di intervento. Utilità, praticabilità, appropriatezza, accuratezza della valutazione; condivisione degli scopi e degli usi che di essa si faranno, così come la condivisione delle procedure, dei criteri e degli strumenti che verranno impiegati, sono elementi costitutivi di un sistema o modello valutativo che non può essere assolutamente sottostimato o non considerato senza che ne venga compromessa la sua affidabilità e credibilità (come purtroppo è già avvenuto e sta avvenendo, con i visibili effetti di burocratizzazione di funzioni e procedure che, a causa di una fortuita o voluta eterogenesi dei fini, stanno finendo purtroppo col premiare i peggiori).

3. Leadership e contesti educativi Con il presente contributo si vogliono perciò affrontare alcune delle questioni relative alle caratteristiche indispensabili per realizzare un “governo” efficace delle singole istituzioni formative, reso oggi ancor più problematico da contesti economico-politico-culturali non certo ottimali. Assodato che al responsabile di una leadership educativa non è richiesta una sorta di tuttologia in ambito disciplinare – i professionisti di ciascuna disciplina sono e restano i docenti – occorre considerare che dovendo egli valorizzare e gestire tutte le risorse disponibili, è necessario che disponga di specifiche conoscenze e competenze di carattere metodologico-procedurale, giuridico, organizzativo e psicosociologico tali da affrontare, con buone probabilità di successo, il compito non facile di coordinare le attività dell’istituzione formativa in un contesto particolarmente complesso qual è quello odierno, anche per la pletora di norme che dovrebbero regolamentarlo. È noto, infatti, che la normativa – e non solo quella che interessa la scuola e la formazione in generale – si presta spesso a interpretazioni diverse, parziali e/o contrastanti. Circa la funzione e la responsabilità della leadership di un 23


capo d’istituto – tuttavia – non sembrano permanere dubbi o interpretazioni diverse, contrastanti o ambigue. Il Decreto Legislativo 165 del 30 marzo 2001 al secondo comma dell’ art. 25, recita infatti, testualmente, che il capo d’istituto “assicura la gestione unitaria dell’istituto, è responsabile delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio…” a lui affidato e definito con chiarezza dall’art. 1 del D.P.R. 275/99, cioè quello di “garantire il successo formativo dell’alunno”. Il D.P.R. 275/99, cioè il Decreto che regolamenta l’autonomia scolastica, è, a mio avviso, il provvedimento di gran lunga più importante e innovativo (dopo la L. 1859 del lontano 1962) nel panorama scolastico, che non brilla affatto per linearità e lungimiranza. Ad esso si fa riferimento per tutte le possibili innovazioni da apportare in ambito formativo. Restando nell’ambito della scuola, il discorso si sposta su alcuni elementi che ne caratterizzano l’essenza: il periodo storico; l’ambiente, il clima politico e culturale; i protagonisti della formazione, cioè i formatori a tutti i livelli e i fruitori del servizio. È doveroso, pertanto, riflettere su quale, degli elementi sopra indicati, si può e si deve intervenire, se realmente s’intende modificare il sistema. Appare inutile, in questo specifico contesto, l’ennesimo “cahier des doléances” sui mali della scuola e lamentare, ancora una volta e a torto, se si è incapaci di agire di conseguenza, la nostra non brillante collocazione nelle indagini internazionali sul prodotto scolastico, o le posizioni di coda del mezzogiorno d’Italia: dal Rapporto sulla scuola in Italia 2010 della Fondazione Agnelli (Roma-Bari, Laterza) si ricavano dati che in qualche modo parlano da soli (anche se occorre pur sempre saperli interpretare): spesa dell’Italia per l’istruzione 4.5% del Pil (pari al 9% della spesa pubblica) contro il 5.7% medio dei Paesi OCSE (pari al 13.3% della spesa pubblica); per 1 PC per ogni 5 studenti a Bolzano ve ne è 1 per “soli” 27 studenti a Napoli, e da Napoli in giù; contro una spesa annua complessiva per studente in Trentino di circa 10.000 euro, corrisponde, in Puglia, una spesa di 5.800 euro! Al tutto si aggiunga la beffa, per gli italiani, dei maggiori costi di certi prodotti di alta tecnologia brevettati da, o grazie al contributo di, laureati del nostro Paese, spesso i migliori, che dopo essere costati alla comunità nazionale 140.000 dollari (101.000 fino alla maturità e altri 39.000 per gli anni dell’università) sono costretti, per lavorare, ad andare all’estero. È preferibile, semmai, esplorare se e quali strategie siano da porre in atto per uscire da uno stallo che non vogliamo considerare irreversibile. Per meglio chiarire le difficoltà in cui si opera e le eventuali azioni da esperire, ritengo opportuno premettere alcune considerazioni di carattere generale e introduttive all’intero volume.

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4. Formare un uomo nuovo Ho già sottolineato come1 le stagioni più feconde della riflessione e dell’azione educativa coincidono spesso, storicamente, in particolare nel mondo occidentale, con i periodi che seguono i grandi processi rivoluzionari. Ogni rivoluzione (sia essa a carattere prevalentemente politico, culturale o industriale), proprio in quanto cambiamento radicale, repentino e in buona parte irreversibile dell’assetto organizzativo di tutta o di una parte della società, nasce e produce nuove visioni del mondo che hanno un peso non trascurabile nei progetti di formazione delle nuove generazioni. Anche la rivoluzione informatica e telematica degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, la diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione e la conseguente globalizzazione dei mercati, hanno prodotto uno stravolgimento degli assetti scolastico-formativi in quasi tutti i Paesi del nostro pianeta, e solo ora, finalmente, stanno emergendo ipotesi praticabili di progetti educativi nuovi e più accettabili. Per il loro successo, soprattutto nei processi formali di istruzione, la variabile che rinvia a quella che si può ormai definire leadership per l’educazione, sta assumendo un peso sempre maggiore. Quando si parla di “progetti formativi nuovi e più accettabili” si coglie in pieno la difficoltà di definirne gli obiettivi e la prassi. Eppure sarebbe sufficiente ripensare, in concreto, il secondo comma dell’art. 3 della nostra Carta Costituzionale, laddove, senza infingimenti interpretativi, si definisce “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli… che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. I nostri padri costituenti non potevano prevedere, più di 60 anni fa, la trasformazione vertiginosa che avrebbe subito la società, e non solo in ambito europeo; né potevano prevedere l’attuale livello di complessità, di globalizzazione, di multiculturalità, o concetti come “glocalizzazione”. Pure, sono stati capaci di enunciare, con chiarezza assoluta, l’essenza dell’autentico cittadino del mondo, a qualsiasi livello di civiltà e di evoluzione; e questo come compito di una “Scuola aperta a tutti”. Oggi ci si può riferire all’utopia negativa di Orwell, che immagina (ne “Il grande Fratello”) il dittatore tecnologico; oppure si può dibattere sull’utopia più realistica, perché più vicina all’esperienza reale, ipotizzata da A. Huxley nel suo “Ritorno al mondo nuovo”; un mondo nel quale il potere è affidato – e proprio per delega dal “basso”, cioè dal popolo – a pochi che pensano per tutti, mentre gli altri pensano solo a “divertirsi da morire”. 1 Questo concetto, come alcuni altri riportati nell’intervento, li ho esposti nell’Introduzione e nella Prefazione di due interessanti lavori di G. Barzanò: il primo, Leadership per l’educazione (Roma, Armando, 2008); l’altro, una curatela, dal titolo, Imparare e insegnare (Milano, Bruno Mondadori, 2009).

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Si tratta, sì, di utopie, ma che ben rappresentano le angustie che condizionano la ricerca di una soluzione non utopica e possibilmente ottimale del problema educativo. E tuttavia, il processo di formazione dell’”uomo nuovo” che gli intellettuali più sensibili e consapevoli auspicano per un futuro democratico e di maggiore benessere, sta sempre più assumendo, almeno rispetto alle prevalenti tendenze omologatrici e omogeneizzanti in basso, in auge qualche anno fa, caratteri più connotati e influenzati dalle tradizioni culturali dei singoli Paesi e, all’interno di ognuno di essi, dalla difesa, per così dire, anche della biodiversità umana, ovvero delle differenze inter e intraindividuali, nonché della multiculturalità. Questo elemento, assieme a quello di cittadinanza, sta diventando il discrimine classificatorio della qualità formativa delle nuove generazioni. Laddove si vuole promuovere lo sviluppo economico senza compromettere la struttura democratica della società e dei rapporti internazionali, si assiste al delinearsi di un progetto di uomo nuovo, di un uomo cioè capace di essere assieme produttore partecipante ma anche critico; cittadino consapevole del mondo ma anche della comunità civile in cui opera; fruitore, almeno, della tradizione artistico-culturale non solo locale. Ma compiere tali operazioni non è affatto semplice.

5. Complessità sociale e gestione strategica della scuola. Quale qualità Un’alta qualità dei processi e degli esiti educativi si avrà perciò quando la proposta di istruzione, cioè di esperienze significative di apprendimento, risulti ben calibrata rispetto alle caratteristiche peculiari – cognitive, culturali, ed emotive – di chi deve apprendere, dei contesti appositamente allestiti e dei traguardi esplicitamente desiderati che includano, quanto meno, quelli sopra accennati. Tutti dovrebbero possedere, grazie all’azione della scuola, quel patrimonio comune di conoscenza indispensabile per differenziazioni eque di attitudini, interessi e talenti. Si comprende allora come l’Autonomia scolastica dentro i vincoli nazionali e, se si vuole, sopranazionali, fissati e condivisi; la libertà e la professionalità docente e dirigente; il monitoraggio dei processi e dei prodotti intermedi e finali a livello di micro, meso e macrosistema educativi, si pongano, tra poche altre, come variabili cruciali nella codeterminazione della qualità e dell’efficacia formativa formale. Di queste variabili, così preminenti e cruciali, si occupano gli operatori più seri e responsabili, a vario titolo impegnati nella “difficile scommessa” educativa, consapevoli che ci si trova ad operare in presenza di una complessità che non può più esser semplificata oltre una certa soglia, sia per la natura stessa dei problemi di oggi, sia perché la realtà sulla quale interveniamo muta essa 26


stessa quasi continuamente. Sono, in altri termini, diventati così complessi i rapporti tra i differenti fattori che entrano in gioco nei processi formativi, da rendere sempre nuovo lo sforzo di controllarli in vista di scopi e traguardi desiderati. Si comprende allora come il governo di sistemi non solo complessi, ma anche mutevoli e non del tutto prevedibili – quali certamente sono quelli scolastici – presupponga e comporti l’accentuazione del rilievo del momento decisionale individuale e di gruppo o collettivo – nella sua dimensione qualiquantitativa –, cui non può non conseguire una più netta assunzione di responsabilità, pur distribuita per ruoli e funzioni. La gestione strategica, o più semplicemente il governo dei processi formativi, soprattutto di quelli che hanno luogo in contesti formali, in particolare nella scuola, costituisce ormai una delle più importanti variabili che spiegano, per così dire, l’apprendimento insegnato, ovvero, la produzione culturale di questa insostituibile istituzione educativa. In estrema sintesi si può certamente dire che la complessità comporta di necessità l’incremento dell’autonomia individuale e delle unità scolastiche, del numero e del peso delle decisioni, quindi delle responsabilità individuali e collettive, oltre che una più chiara consapevolezza degli effetti probabili o possibili delle differenti scelte. In Italia come in tantissimi altri Paesi, va sempre più emergendo il convincimento che, per rendere praticabile il percorso che faciliti il perseguimento degli scopi sopra accennati, il ruolo e la funzione dei docenti e dei dirigenti scolastici, ovvero la leadership educativa di fatto esercitata da essi, risultano fondamentali, anzi decisivi. Ritengo opportuno, a questo punto del discorso, enucleare le caratteristiche e le azioni di leadership – peraltro ampiamente analizzate nel presente volume – che si auspicano per i Dirigenti, chiamati a svolgere compiti estremamente complessi e gravidi di conseguenze, positive o negative, a seconda dei comportamenti e delle decisioni assunte. La Scuola – com’è noto – è stata oggetto di molti (troppi) stravolgimenti. Non c’è stato Ministro dell’Istruzione (emblematico il fatto che l’aggettivo “pubblica”, presente per decenni, sia prima scomparso, poi riapparso, poi scomparso di nuovo) che non abbia almeno tentato una propria riforma, non tanto e non solo nel settore primario e secondario di 1° grado, quanto, e soprattutto, nel settore secondario di 2° grado. Alcune di dette riforme non sono mai decollate (Berlinguer) altre (Moratti; Fioroni; Gelmini) sono state applicate solo in parte e sopravvivono, spesso anche in contrasto tra loro. Medesima sorte hanno subito le modalità di valutazione. A parte il dispendio – anche fisico – di energie per comprendere e applicare tante disposizioni, più grave è stato il disorientamento, che molto spesso ha estenuato gli operatori scolastici, generando immobilismo pericoloso. 27


Si hanno buoni motivi per affermare, e nel presente volume l’argomento viene affrontato in maniera diffusa ed articolata, che fra le qualità irrinunciabili di chi esercita la leadership ai vari livelli, sia decisiva – insieme ad una solida cultura critica generale e professionale – una grande capacità comunicativa e organizzativa. Per favorire un quadro più completo delle problematiche da affrontare ritengo utile proporre alcune riflessioni circa la causa – a mio avviso prioritaria – che ha determinato la gravità degli insuccessi denunciati dalle diverse indagini sul prodotto culturale scolastico. E questo proprio mentre è ancora acceso il dibattito sulla “qualità” dell’istruzione e mentre i Responsabili del Dicastero a ciò preposto, si affannano ad emanare decreti; ordinanze; direttive e quant’altro ancora.

6. Centralità della cultura e della professionalità docente e dirigente La verità dimostrata, peraltro, dall’esperienza di moltissimi Paesi, è che, troppo spesso, le riforme scolastiche non prendono in seria considerazione le caratteristiche e/o il punto di vista della componente docente e dirigenziale: eppure ogni vera innovazione formativa può aversi solo attraverso l’opera degli insegnanti e dei dirigenti scolastici. Ciò che ovunque emerge, infatti, talvolta in modo diretto e prorompente, più spesso, soprattutto in questi ultimissimi anni, in forma tanto mediata quanto poco “visibile” ai più, è che nonostante tutto siano soprattutto i docenti, nel bene e nel male, a “fare scuola” in senso forte, cioè a creare o meno nelle nuove generazioni quelle condizioni cognitive e affettive necessarie, ancorché non sufficienti, per l’apprendimento critico per tutta la vita e per l’esercizio attivo della cittadinanza, e che siano i dirigenti scolastici a contribuire non poco alla codeterminazione del “clima di scuola” che si correla con il successo formativo. Si potrebbe anzi affermare che nella società della conoscenza, satura com’è di merci, linguaggi e interscambi simbolici, l’uomo diventi umano se acquisisce quella dotazione culturale e critico-conoscitiva che gli permette un adattamento dinamico e una capacità modificativa del mondo in cui gli è dato di vivere. Sembrerebbe – in estrema sintesi – che le più nobili finalità sociali assegnate con tanta enfasi alla formazione e all’istruzione in molti Paesi – compreso il nostro –, possano o non possano raggiungersi a seconda delle capacità e delle condotte culturali e professionali dei docenti e dei dirigenti scolastici. D’altro canto, dalla quasi totalità delle indagini svolte in tutto il mondo a partire dagli inizi degli anni Settanta per conoscere il prodotto culturale scolastico, la variabile relativa alla didattica (livello d’aula e simili, o microsistema) e all’organizzazione dei processi formativi (unità scolastiche, o mesositema) 28


risulta come uno dei fattori decisivi nella codeterminazione degli esiti di istruzione e formazione. Una variabile, questa, che rinvia direttamente alla cultura e alla professionalità docente e dirigente, anche se immediatamente prossima (quasi sempre in seconda posizione) alle variabili sociali – che si attestavano al primo posto negli anni Ottanta – e a quelle relative all’ambiente culturale degli allievi (rappresentate principalmente dal titolo di studio della madre), il cui primato è venuto affermandosi negli ultimi tre lustri. Altre ricerche conoscitive, per esempio sulle “migliori” università del nostro pianeta, considerate tali sulla base di know how, brevetti, citazioni index, premi Nobel, eccetera, hanno posto in evidenza il ruolo decisivo della cultura e degli atteggiamenti della componente docente, della loro autonomia oltre che dell’organizzazione e dirigenza degli atenei: ai primi venti posti si sono collocate università non coinvolte negli ultimi venti-trenta anni da alcuna riforma! Atenei nei quali, appunto, la risposta all’evolversi dei quadri di conoscenza a livello mondiale, viene data autonomamente dai docenti, i quali anzi orientano il cambiamento, non solo “locale”, con gli esiti stessi della loro ricerca e del loro lavoro formativo! Pur con le necessarie distinzioni, si ha facile gioco, dunque, nell’affermare che anche in un mondo globalizzato che sembra travolgere molte delle istituzioni che storicamente l’uomo si è date per meglio qualificare la propria esistenza – tra queste quelle educative formali – anche chi è chiamato a insegnare nella scuola o a coordinarne le attività contribuisce non poco nella codeterminazione, seppur a medio e lungo termine, del futuro del proprio Paese, e non solo di esso – non è per caso che l’Unesco abbia deciso di dichiarare il 5 ottobre 2011 “giornata mondiale dell’insegnante” –. Investire sugli insegnanti significa, peraltro, promuovere e favorire il cambiamento senza dover sempre riformare strutture e ordinamenti, evitando così di mettere a soqquadro il sistema, spesso su basi astratte o di modelli funzionali solo in sé, i cui effetti sono perdita di tempo e decremento dell’efficacia dell’azione. In quanto intellettuale, il docente dovrebbe possedere, come mi è capitato di asserire in un passato quasi remoto2, “quelle competenze culturali generali oltre che quelle specifiche del proprio ambito disciplinare d’insegnamento, che gli consentano di cogliere tempestivamente, se non in anticipo, le direzioni del cambiamento non solo delle materie in cui è specialista, della loro evoluzione epistemologica, ecc., ma anche dell’assetto organizzativo, culturale, produttivo e sociale in senso lato, della società nella quale opera. La complessità e le vertiginose trasformazioni della società nella quale viviamo, l’incertezza che ne deriva, non hanno ripercussioni dirette solo sul quadro tecnologico, economico e sociale, ma anche su quello formativo e politico. Tali 2

Il riferimento è ad alcune mie riflessioni apparse in Gli strumenti della valutazione, e in Ragioni e strumenti della valutazione, editi da Tecnodid, Napoli, rispettivamente nel 1993 e nel 2009.

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caratteristiche richiedono una flessibilità cognitiva di ogni ‘produttore’, quindi di ogni allievo in uscita dalla scuola, che in gran parte può essere garantita dai processi di istruzione fondati sulle basi prima indicate (saperi di base, generali e preprofessionali fortemente strutturati, saperi sistematici, stabili e spendibili, cioè capaci di permanere in forma reticolare e di consentire ulteriori apprendimenti autonomi, il cui senso risulti consapevole – come deve accadere per i saperi digitali acquisiti fuori dalla scuola – oltre che significativi per gli stessi studenti), e anche una disposizione a comprendere il nuovo, una partecipazione attiva di ogni soggetto alla vita non solo produttiva e sociale ma anche politica in senso lato, in modo che il cambiamento anziché essere subito solamente dai più, come purtroppo avviene, venga non solo compreso, ma anche promosso e governato. Oltre ad essere intellettuali nel senso prima indicato, è anche necessario essere professionisti della comunicazione educativa e della costruzione dei processi di acquisizione della conoscenza. È in altri termini indispensabile sapere anche come mediare tra i saperi posseduti e le modalità con cui nei soggetti di una determinata età evolutiva in generale, negli allievi che si hanno di fronte in particolare, si attivano e si sviluppano i processi di acquisizione, anche critica, delle conoscenze. Agli insegnanti si richiede perciò una spiccata capacità di pianificazione, organizzazione e gestione delle attività formative, la cui congruenza e progressiva regolazione in rapporto ai criteri-vincoli generali – nazionali e persino internazionali – e ai criteri-vincoli locali e contestuali, derivano primariamente dagli elementi valutativi di cui si dispone prima, durante e dopo gli interventi didattici”. Un’analisi critico-valutativa è il fondamento dell’agire consapevole del docente-ricercatore e del dirigente-ricercatore, i quali, nel tentativo di soluzione dei problemi formativi strategici e tattici che si connettono al loro operare, selezionano teorie, modelli, conoscenze e saperi acquisiti nella loro prima formazione e nell’esperienza via via compiuta, e ci si augura sottoposta ad un accorto vaglio critico soprattutto interno, li modificano, li emendano o li integrano per renderli adatti al contesto, utili allo scopo di formare, in definitiva, menti libere dall’ignoranza e perciò colte e vigilmente critiche. Al di là dei dettami normativi, infatti, è innegabile che un insegnamento realmente efficace e tale da garantire le finalità indicate dalla Carta Costituzionale, non può prescindere: da un lavoro di équipe (possibilmente per raggruppamenti dipartimentali); dalla capacità di costruire un curricolo verticale; da un insegnamento fortemente orientativo (tale, quindi, da individuare i punti forti e i punti critici dei vari soggetti, per intervenire opportunamente su di essi); dalla padronanza di rigorose metodologie valutative, che costituiscano il principale fattore di regolazione non solo della didattica, in tutte le fasi del processo di insegnamento/apprendimento, ma anche delle decisioni assunte ai differenti livelli di responsabilità, e degli stessi processi decisionali attivati. 30


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