Robert Michels
Intorno al problema del Progresso A cura di Raffaele Federici
ARMANDO EDITORE
Sommario
Introduzione di Raffaele Federici
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Intorno al problema del Progresso di Robert Michels
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Nota bio-bibliografica
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Introduzione di Raffaele Federici
Presentare questo lavoro di Robert Michels del 1914 significa, prima di tutto, introdurre il lettore alla percezione di un disagio, sostanzialmente culturale, ovvero la condizione di smarrimento e di incertezza della persona di fronte al progresso. Il tema del progresso sembra essere legato, in questo scritto di Michels, al tentativo ricorrente di individuare una direzione del possibile “sviluppo” per le persone aggiungendo, oltre ai temi “classici” della sociologia del potere1, anche quelli della psicologia collettiva, dei cicli economici, della condizione degli operai, dei rapporti fra la statistica e la sociologia, della vita urbana e, più in generale, delle determinazioni culturali presenti in un “corpo sociale” in cammino. In Michels, la delimitazione del concetto di “Progresso” riguarda, infatti, anche gli aspetti comportamentali e psicologici e il loro possibile degrado. Un percorso che porta l’Autore alla storia degli influssi e degli effetti (Wirkung Geschichte) in cui si tiene conto anche delle pregresse situazioni sia nella prospettiva della formazione sia della trasformazione2. Proprio Pareto aveva già indicato tale strada, un percorso che provocò il dissenso metodologico con Benedetto Croce3. L’ottimismo positivista che crede in un progresso continuo, la visione astratta di un percorso lineare uma7
Introduzione
no verso un perfezionamento sempre crescente, sembrano al Michels posizioni preconcette e, ad esse, vi oppone una riflessione che risulta nascere da una rigorosa analisi della “vera” storia a lui più recente4. Leggendo con attenzione le pagine michelsiane dedicate al progresso si comprende che quello che più attira l’attenzione del Nostro è la discontinuità. Anche da tale cifra interpretativa, se vi è una “modernità” nel suo pensiero questa non risiede soltanto nel suo apporto della Soziologie des Parteiwesens in der modernen Demokratie5, che ha consegnato l’Autore alla storia del pensiero sociologico con la sua “legge ferrea dell’oligarchia” ma che lo ha, de facto, “intrappolato” in uno stereotipo superficiale e riduttivo della complessità del suo lavoro6, e che non ha così problematizzato il suo pensiero nella direzione degli “azzardi” profetici e le possibili discontinuità nei possibili orizzonti futuri. In altri termini, ridurre la figura di Michels esclusivamente all’interno dell’opera degli elitisti non sembra essere una esatta valutazione del suo contributo: sono stati poco considerati i rapporti e le ambivalenze che il Nostro ricercò fra la classe politica e i capitalisti, fra il progresso e il regresso, fra la forma della vita e i cambiamenti prodotti dalla rivoluzione industriale e dal nuovo ordine europeo, così come sono stati poco considerati gli apporti metodologici, tutti compresi fra la “filosofia sociale” e la “sociologia applicata”. Ecco perché rileggere Michels, in questa prima parte del XXI secolo, significa non solo ricostruire una parte importante del pensiero sociologico nella sua età “aurea”, ma anche riflettere sui possibili outcome degli imprevedibili scenari sociali, culturali e economici europei. In particolare, in questa 8
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contemporanea era della precarietà, dell’insicurezza e del rischio, una idea “critica” sul progresso diventa una “possibile” misurazione della distanza dal passato e non è più una meta assoluta e univoca. Certamente sussiste una difficoltà del pensiero sociologico nell’affrontare la crisi dell’idea del progresso: esso si pone come esterno al giudizio, come non partecipante e così l’Autore sembra rinunciare ad ogni giudizio. In realtà, la sua visione economicistica e storica gli permette di esaminare le crisi possibili nel progresso da angolature diverse e di intravederne le luci ed anche le numerose ombre. Il saggio Intorno al problema del Progresso pubblicato nel 1919 da Robert Michels nel volume Problemi di sociologia applicata è stato probabilmente scritto nel il 1914 e rivisto nel periodo compreso fra tale anno e il 19177 nello stesso tempo in cui Weber, Troeltsch8, Sombart,9 Simmel10 e Pareto, fra gli altri, erano all’apice della loro produzione scientifica e intellettuale. Sono scritti successivi all’incontro con Max Weber del 1906, quindi seguono lo sviluppo della cosiddetta “seconda fase” del suo percorso intellettuale, ovvero quella in cui “scopre” le leggi che dominano il divenire sociale e in cui si “vela” di pessimismo il suo lavoro11. È una opera dedicata allo “scienziato e amico Vilfredo Pareto” e sono molti i rimandi ai suoi scritti e a quelli di Max Weber. È questo il tempo “aureo” della sociologia, quello che comprende i primi venti anni del XX secolo nei quali emergono i nomi più noti della storia del pensiero sociologico, dopo i cosiddetti “fondatori”. È anche il tempo della monumentale opera di Oswald Spengler, Untergang des Abendlandes, in cui l’Autore colloca il suo tempo, ma anche i due che seguiranno, nell’inverno della “Storia”, 9
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ovvero in un’epoca caratterizzata da una profonda decadenza. In questo periodo, la sociologia si afferma come scienza e supera i timori di essere considerata un effimero fenomeno culturale. In tale direzione, gli studiosi possono dedicarsi a meglio definire i confini della “nuova” scienza rispetto agli altri campi del sapere e, soprattutto, si impegnano nella ricerca di un metodo “proprio”. Per il Nostro, oltre al problema metodologico, viene rivolta una grande attenzione ai cambiamenti dettati dall’avvento di una società industriale in piena maturità, della divisione del lavoro, con tutti i problemi sociali da essa derivanti, e del genere di razionalità che può prevalere in tale società, insomma tutti i problemi ed i rischi che derivano dal “progresso”. La “filosofia della vita”, le correnti formalistiche neokantiane ed il marxismo sembrano avere, in questo scenario, un peso non indifferente nel condizionare la direzione degli sviluppi della ricerca dell’Autore. Michels mostra la costruzione di un solido impianto metodologico in cui tenta di elaborare delle categorie concettuali genuinamente sociologiche, con una “forte” contaminazione socio-psicologica. In particolare, la lettura del lavoro “sul Progresso”12 deve inserirsi in una precisa e ordinata contestualizzazione storico-biografica poiché le stesse circostanze personali, culturali e politiche presentano un’ambivalente problematicità. L’Autore riprende le note osservazioni di Max Weber in cui “il progresso scientifico costituisce un frammento, il frammento più importante, di quel processo di intellettualizzazione a cui sottostiamo da millenni”13 e, al di là di ogni visione filosofica della storia, non fa sì che il suo dinamismo assuma esclusivamente una connotazione “posi10
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tiva”. Introduce, con altre parole, il tema delle forme del dinamismo della società che, a seguito della modernizzazione, mantengono un carattere tipico del mutamento sociale: l’asincronia. Interessando la società a tutti i livelli, il processo di modernizzazione si presenta con maggiore o minore intensità su ciascuno di questi producendo trasformazioni che non seguono lo stesso ritmo del cambiamento. L’asincronia è così evidente proprio nella razionalizzazione che rappresenta un miglioramento ed “apre” con la scienza uno nuovo spazio di autonomia per l’attività delle persone, ma che non può presentarsi come lo stadio conclusivo di un processo storico necessario e come un valore assoluto. La scienza, rispetto al processo di razionalizzazione è, paradossalmente, un “elemento” e una sua “forza motrice” e, anche per Michels, il “progresso” può avere un carattere ambivalente che ha influenze “assai disparate sulla morale pubblica”14. Il problema però non si pone nei termini di un mero giudizio perché il Nostro ben ricorda l’altra lezione sulla soggettività del progresso di Max Weber contenuta nel celebre saggio del 1904, Die Objektivität sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis15. I presupposti fondamentali della sociologia nascono proprio dal postulato dell’assenza dei giudizi di valore, dal concetto del comprendere, dal concetto del tipo ideale. Con l’assenza dei giudizi di valore nella scienza Weber intende la distinzione tra il conoscere e il valutare, ovvero tra il compimento del dovere scientifico di vedere la verità dei fatti ed il compimento del dovere pratico di difendere i propri ideali, in quanto non è compito di una scienza empirica formulare ideali per l’azione pratica. Si deve ricordare che il periodo in cui Michels scrive questo saggio è denso di novità: l’innovazione tecnologica, la formazione di nuove classi sociali, 11
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l’urbanizzazione e il tempo della nascita delle metropoli ed è anche il tempo dei pericoli e delle tragedie. La prima guerra mondiale segnerà la crisi irreversibile del primo capitalismo di mercato fondato sul singolo imprenditore e già Michels intravede l’impossibilità di utilizzare, ai fini delle sue analisi del mondo sociale e economico, gli strumenti del liberismo marginalista. La sociologia si imbatterà nella massa, la psicoanalisi nelle nevrosi di guerra, e nel più generale disagio della civiltà: nessuna scienza sarà più la stessa. La prima guerra mondiale e la prima pandemia planetaria, l’influenza “Spagnola”16, segnano definitivamente il passaggio alla mediatizzazione della società: Robert Musil nel suo L’Uomo senza Qualità17 avverte che la nuova tecnologia militare modifica nel soldato la percezione psichica. La stessa percezione si ha con Italo Svevo con La coscienza di Zeno: tali Autori sono lo specchio di una epoca in cui il senso di sicurezza cede il posto alla indeterminatezza e all’incertezza, come avviene con le rivoluzioni nelle conoscenze della fisica, della biologia e della psicologia e con il progressivo spostamento dell’idea di realtà. E ancora, è grazie al cinema, attraverso le inquadrature e il montaggio, l’accelerazione e il rallentamento, che si arriva a rappresentare un corpo frammentato e ricomposto, a creare una realtà iper-reale, a dire l’indicibile dell’inconscio. Con altre parole è il tempo in cui se il progresso sembra mostrare una razionalità funzionale non sembra esservi una corrispondenza in termini di quella che si potrebbe chiamare razionalità sostanziale. Michels, come osservato, scrive questo lavoro poco prima dello scoppio della Grande Guerra e lo sottopone a verifica subito dopo il conflitto: fra le righe, sembra pos12
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sibile leggervi una non troppo velata critica agli “pseudoambienti di massa” ed agli effetti di tali ambienti. È un orizzonte in cui si intravede già, almeno implicitamente, se non la “dissoluzione del concetto di Stato”, quantomeno la sua problematizzazione e la sua ricollocazione in rapporto all’agire delle persone. Se si dovesse ricorrere a una nozione della sociologia della conoscenza, si potrebbe osservare che il fondamento fattuale di questa tendenza a riconsiderare i confini dello Stato e il contenuto dell’agire delle persone, può essere individuato nelle trasformazioni interne dei maggiori Paesi europei e degli Stati Uniti, delineatesi con sufficiente nettezza già a partire dalla prima metà del XIX secolo, precocemente rilevate da Tocqueville in America, da Bagehot e da Marx in Europa, e poi in maniera irreversibile affermatesi fra la fine del XIX secolo e i primi anni del XX secolo. Queste trasformazioni sono legate allo svolgersi del processo di democratizzazione da un lato, e di quello di industrializzazione dall’altro. Infatti, già alla metà del XIX secolo l’ascesa del capitalismo industriale era ormai inarrestabile, ed era anche evidente che progresso tecnologico, espansione commerciale e sviluppo delle economie portavano con sé crisi finanziarie ed economiche gravi e generalizzate con un peggioramento delle condizioni di vita e lacerazioni nei rapporti sociali. Si trattava di fenomeni del tutto nuovi rispetto ad un passato nemmeno troppo remoto nel quale le calamità (guerre a parte) avevano origine in cattivi raccolti, carestie ed epidemie. Il sentiero del progresso e della prosperità sembrava accidentato da improvvise cadute, diffusi fallimenti, perdite di valore delle merci e delle attività, rarefazione del credito e rallentamento brusco nei traffici, con accumulo di merci invendute nei magazzini, sottoutilizzazione del 13
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potenziale produttivo degli impianti industriali, disoccupazione crescente, allargamento delle sacche di povertà e di marginalità per i più deboli. Nell’incontro tra società democratica e società industriale si struttura progressivamente, tra Stato e società civile, una “terza dimensione”, non statuale, ma politicamente rilevante ed efficace: la società politica, da intendersi come teatro della mobilitazione per fini collettivi e come “luogo” di formazione e di azione di gruppi privati di interesse e solidarietà, che dispongono di proprie risorse, per numero, organizzazione, legittimità e ricchezza, capaci di influenzare in maniera “nuova” l’attività di direzione pubblica, agendo sia come particolarismi ostili e separati sia come co-decisori indiretti e decentrati. Tale incontro può essere visto anche in una ottica diversa, quella monetaria. Si pensi che è proprio alla fine del XIX secolo che le grandi banche centrali europee, prima fra tutte quella d’Inghilterra, spostavano il loro asse dall’antica banca di Stato e, quindi, della Corona, a banca posta al centro di una fitta rete di relazioni finanziarie. È quel che sottolinea Bagehot nel 1873 giungendo a fissare il “canone” stesso della Banca Centrale: banca delle banche e dei banchieri, prestatore di ultima istanza, pilastro della stabilità monetaria e finanziaria della piazza di Londra e del resto del mondo18. Su questo sfondo in cui le forze sociali, economiche e politiche intrecciavano nuovi sistemi di relazione, le certezze ri-costituite con l’idea di Stato dal Concilio di Vienna si problematizzavano nuovamente, facendo emergere nuovi rischi e nuove opportunità. Anche da un punto di vista scientifico, la stessa idea di Stato si disarticola in diverse teoriche separate: quella della classe politica di Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto; la teorica del partito politico di Robert Michels e 14
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Moisei Ostrogorski; la sociologia dello stato di Max Weber. Queste teoriche costituiscono, nel loro insieme, la trama e i capitoli iniziali di una più comprensiva sociologia del potere che, per essere letta nella sua interezza, dovrebbe ri-comprendere i processi culturali del tempo. Reagiscono così a loro volta, più o meno direttamente e intenzionalmente, all’affondo che il materialismo storico di Marx che aveva in precedenza portato ai fondamenti della teoria politica tradizionale e alla stessa nozione di Stato. La teoria della classe politica e delle élite formulata fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo dai neomachiavellici Mosca e Pareto spiega la dinamica politica attraverso l’interazione, sia istituzionale sia non istituzionale, e le caratteristiche sociali, culturali e organizzative delle élite. L’oggetto del suo programma di ricerca, pertanto, non coincide con i confini istituzionali dello Stato, anche se è proprio quest’ultimo l’involucro formale entro cui la classe politica si organizza e controlla la società. Il programma non coincide neppure con le formule politiche e le derivazioni, ovvero le ideologie, con cui si interpreta e si giustifica il potere, ma è rivolto a spiegare effettualmente i mutevoli rapporti tra i gruppi dirigenti interni e esterni agli apparati pubblici e tra questi e la realtà sociale. La classe politica e le sue interazioni con le élite sociali sono quindi i soggetti reali, i protagonisti e i beneficiari del processo politico in quanto gruppi organizzati che comandano, controllano, manipolano, sfruttano, reprimono, dirigono il resto della società. Se il problema di Mosca e di Pareto è quello di mettere a fuoco sistematicamente il tema della circolazione delle élite, il problema di Michels è di mostrare come lo Stato, esposto alle sfide della modernizzazione economica e politica, sia profondamente 15
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cambiato. I diversi percorsi di Mosca, Pareto e Michels sono tuttavia accomunati da una costante attenzione per l’innovazione metodologica, l’impegno scientifico e la scelta dell’oggetto di studio e dalla congiuntura storica entro cui si inseriscono. Per Michels, in particolare, “il presupposto primo per potere determinare il progresso è dunque l’analisi. Scomporre il progresso negli elementi che lo costituiscono è lavoro indispensabile”19. La visione scientifica dei tre Autori è però accomunata da un sostanziale pessimismo antropologico: per il parlamentarismo liberale di Gaetano Mosca; per il partito operaio e la sua mancanza di democrazia interna di Robert Michels; per la non razionalità umana e la limitatezza del campo d’azione della logica razionale economica, rispetto al gran mare delle azioni non-logiche di Vilfredo Pareto. Non solo, ancora Michels, nel suo Intorno al problema del Progresso sottolinea che l’evoluzione non è generale e non è rettilinea: “Dallo studio della storia il progresso non ci appare come una linea retta”20. Non è rettilinea perché, nella storia, è già accaduto che vi siano delle fasi di stasi, e non è generale perché non vi è mai stata una “umanità unita, in quanto i tre quarti del mondo furono, sin dagli inizi, esclusi da ogni contatto con l’Occidente”21. Tale cammino, infatti, contiene delle discontinuità: “I fenomeni concomitanti alla prima apparizione della macchina sono infatti ben noti: rovina spaventosa del mestiere, emigrazione intensiva, masse crescenti di operai disoccupati nelle città, aumento della mortalità e della prostituzione. Fu questo il tempo in cui sorse, in cui doveva necessariamente sorgere, la teoria dell’immiserimento che più tardi si attribuì a Karl Marx, ma che, come io ho dimostrato altrove22, era patrimonio comune di quasi tutti gli economisti della prima metà del 16
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secolo scorso, a qualunque scuola appartenessero”23. Insomma, il Nostro recupera e sistematizza in un orizzonte sociale denso di insicurezze le teorizzazioni di Sismonie de Sismondi, di Stanely Jevons e di Maffeo Pantaleoni, fra gli altri, perché, come osserva il Nostro, una valutazione sugli effetti del progresso non può che essere effettuata che attraverso “un salutare relativismo”24. Non solo l’Autore non cerca una legge immutabile di natura razionale nell’analisi del progresso, ma anzi puntualizza come, di fronte al miglioramento delle condizioni degli operai in presenza di un radicato industrialismo, vi siano anche delle eccezioni portando l’esempio di Londra e del suo vasto Lumpen-Proletariat o, ancora, dai rischi e dai pericoli derivanti dalla Leutenot25 tedesca e, così facendo, rivoltando il paradigma della scienza economica di quel periodo in cui la componente macro della teoria economica finiva quasi sempre per prevalere, pur senza mai eliminarla, su quella squisitamente micro. La metodologia dell’economia politica classica rimaneva infatti saldamente ancorata ad una analisi non ciclica della produzione, della distribuzione e dello scambio fondata sulle categorie di classe sociale, di costo di produzione (posto a fondamento di una teoria oggettivista del valore e risolto, in genere, nella quantità di lavoro contenuto nel prodotto) e di valore aggiunto (inteso come detrazione, sotto forma di profitto, interesse, rendita o altro, dal prodotto del lavoro), dimenticando gli effetti sullo stesso ciclo economico del periodo immediatamente successivo. Tuttavia, l’Autore non sembra solo accennare il riferimento all’ipotesi di cicli economici e, piuttosto, sembra concentrarsi sulle ipotesi di investimenti “fuori controllo” e la conseguente eccessiva espansione della domanda. È inoltre, a mio avviso, difficile leggere 17
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in queste pagine un tentativo di elaborare una dottrina dell’economia nazionale, una Staatswirtschaft, partendo da un nucleo preesistente di teoria economica pura ed inserendo in questo un certo numero di variabili sociopolitiche. È all’interno di questo specifico “sentiero” scientifico, come indicato nelle sue note al pensiero di Pareto26, che si avverte anche il richiamo all’opera di Charles Fourier, soprattutto in quei passaggi in cui osserva come vi sia un nesso fra l’aumento della ricchezza e le passioni, a cui però il Nostro aggiunge le evidenti disuguaglianze sociali: “questo incommensurabile progresso compiuto nella produzione di beni scatenò sull’umanità un ammasso di guai e tribolazioni di ogni genere. I fenomeni concomitanti alla prima apparizione della macchina sono infatti ben noti: rovina spaventosa del mestiere, emigrazione intensiva, masse crescenti di operai disoccupati nelle città…”27. Lo schema seguito da Michels è quello di una argomentazione critica alla rivoluzione delle “macchine” che, da sola, non fa raggiungere l’optimum sociale28 e, soprattutto, al fatto che l’idea di progresso deve essere “scomposta”, ovvero occorre scomporre gli elementi “che lo costituiscono” per comprenderne la sua natura. Quello che si palesa è, appunto, la necessità di comprendere i caratteri stessi del progresso tecnologico, demografico, politico e, soprattutto, quali sono i suoi dinamismi e le conseguenze, insieme alle loro ambivalenze. Il problema che Michels pone non è quello di un “Prometeo scatenato” e neppure di una etica della responsabilità, ma semmai in cosa si è maturato il progresso, da quale punto di vista e, soprattutto, con quali premesse. In questa direzione non si può dimenticare 18
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che il Nostro era vicino al metodo della scuola storica e al suo accentuare la ricerca empirica di dati e fatti interdipendenti tra elementi strutturali e sovrastrutturali. Michels era, infatti, passato anche attraverso la lezione del materialismo storico di Karl Marx ed era contemporaneamente attratto dallo sforzo di spiegare il mondo attraverso leggi positive. Pur condividendo i problemi sollevati dagli studiosi sull’immiserimento, ancora prima di Karl Marx, l’Autore ha avvertito l’esigenza di ricorrere a leggi che risultassero da una dialettica tra elementi strutturali e sovrastrutturali e che, in ultima istanza, fossero in grado di rappresentare il progresso e lo sviluppo sociale. In tal senso, non poteva essere sufficiente un empirismo storico-psicologico di impianto schmolleriano29. Si ricorda che Schmoller, unitamente a Dilthey, contestava un approccio di tipo assiomatico-deduttivo fondato sulla credenza in leggi generali e universali operanti nella storia, contrapponendo a tale impianto un approccio induttivo, idiocratico e interdisciplinare che coordinava e fondeva gli aspetti sociali, psicologici e filosofici presenti nei problemi economici. La vita economica aveva certamente, secondo Schmoller, le “sue” leggi che, però, non erano quelle assolute, universali e deterministiche asserite da Marx, ma leggi storiche e relative, che dipendevano anche dai luoghi, dai momenti storici, da caratteri culturali e psicologici dei popoli e, non ultimo, da meccanismi economici30. Sostanzialmente il Nostro si trovava in una posizione analoga di Weber che, pur rifiutando lo scientismo positivista, non intendeva ridurre la conoscenza storico-sociale alla sola intuizione individualizzante e, d’altra parte, non intendeva abbandonare del tutto l’obiettivo di svelare in essa le uniformità e le possibilità di corrette generalizzazioni. 19
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Quello che colpisce, nel lavoro di Michels, è una analisi lucida e disincantata dell’idea di progresso, un progresso fatto dalle macchine per le macchine, l’individuazione del carattere conflittuale e ambivalente dei cambiamenti all’interno delle società europee, insomma, una ri-elaborazione teorica a più dimensioni dello sviluppo ciclico del capitalismo che tanto aveva coinvolto Schmoller e il suo allievo Spiethoff31 e, soprattutto, l’incorporazione del carattere culturale del capitalismo, proprio per spiegare l’inevitabilità degli squilibri, non solo economici, ma anche sociali e culturali, senza ricorrere ad ipotesi aggiuntive di tipo esclusivamente marginalistico32. Michels si trovava proprio all’interno di questo impianto mteodologico e proprio a partire colloca la sua riflessione che ricostruiva una visione del rapporto tra economia e politica in cui si sottolineava la non perfetta corrispondenza e sincronia tra i due termini. Da tal vertice è proprio questo sforzo di comprendere la modernità attraverso l’ambivalenza e la impossibile corrispondenza delle diverse prospettive politiche, culturale e economiche che l’Autore contribuisce alla riflessione sulla crisi delle dottrine storicistiche, ovvero a quelle che, in modo più o meno esplicito, riconoscono l’idea che esista una storia come progetto o come evoluzione naturale spontanea o, come sottolinea il Nostro, “rettilinea”. D’altra parte se, solo per un istante, si getta lo sguardo alla storia, il passato non è solo un sistema casuale, in cui gli avvenimenti avvengono senza senso. Alcune linee evolutive compaiono, e gli storicisti, da Vico a Marx a Spengler hanno ricostruito la storia ripercorrendo a ritroso le ramificazioni degli eventi e trovando una “buona” spiegazione, oppure una legge “ferrea” che spiega perché le cose siano andate in quella direzione. Tuttavia, 20
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avverte Michels, ogni volta che dalla spiegazione del passato si è passati alla previsione del futuro gli storicismi hanno conosciuto smentite e fallimenti catastrofici. Il Nostro è sedotto da quelle che è possibile chiamare, in termini contemporanei, “unanticipated consequences of social action”, ovvero quelle conseguenze non previste e non prevedibili dell’azione sociale. In genere si tratta di azioni che provocano il risultato contrario di quello inteso. Pareto, che è stato il grande teorico di queste azioni cosiddette “non-logiche” che caratterizzano gran parte delle azioni umane, è evidentemente il “vero” punto di riferimento di tale lavoro. Ed ancora, si legge una definizione di una idea di progresso non ridotto all’economia monetaria (Geldwirtschaft) di tipo capitalistico, ma si estende l’osservazione ai tratti dell’economia naturale (Naturalwirtschaft) e alle sue genti. Un progresso che, inevitabilmente, non avrà un percorso rettilineo e potrà segnare anche discontinuità e ambivalenze in cui le due linee principali, quella dell’economia come produzione di beni e servizi e quella sociale rischiano di divergere: “può darsi un progresso sociale accompagnato da un regresso economico e può verificarsi un progresso economico che arrechi danni sociali”33. Un tema che non è sconosciuto neppure alla dialettica marxista in cui ogni “vero” progresso è visto in un rapporto di “continuità e discontinuità”. Se Simmel è l’Autore che fa dell’ambivalenza la qualità più profonda dei fenomeni, ovvero il continuo oscillare tra l’intellettualismo della coscienza ed il coinvolgimento emotivo, Michels è l’Autore che sembra identificare le superfici più visibili delle oscillazioni, temi che verranno successivamente ripresi dal Nostro nel 1918 in Economia e Felicità: “Il miglioramento economico di una classe non penetra nella coscienza di 21
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questa che allorquando il miglioramento sia per lo meno proporzionato a quello delle altre classi. … Il confronto uccide, di sua natura, la felicità in erba. … Una volta raggiunto un certo grado di agiatezza o altezza di reddito l’aumento del piacere per mezzo dell’economia è pressoché escluso”34. E ancora: “Il ricco può sublimare i suoi bisogni economici assumendo il carattere di mecenate, di benefattore sociale o di collezionista, e trarre da queste nuove forme di soddisfazioni. Se però gli fanno difetto le attitudini e le disposizioni per compiere codesta sublimazione, e se è ridotto a muoversi invece sul terreno economico propriamente detto, l’arcimilionario non è in grado di far lavorare i suoi milioni nel senso di un continuo aumento di chance di felicità. La felicità non segue di pari passo l’aumento del benessere”35. Il Nostro ha avvertito che il movente psicologico non poteva limitarsi alla sfera dell’individualità astratta dalla dimensione collettiva e dal contesto storico, sociale e politico: gli attori sociali individualmente miravano alla felicità attraverso l’azione economica, ma l’economia non poteva esser compresa solo, o massimamente, sul piano individualistico e non portava da sola a questo fine individuale. Tutte queste osservazioni sembrano ricondurre il Michels verso una generalizzazione di tipo relazionale dei fenomeni sociali sul “Progresso” in cui le cause dei suoi dinamismi e delle possibili contrazioni possono essere fra di loro come interferenti e interdipendenti e difficilmente separabili.
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Raffaele Federici NOTE 1
R. Michels, Corso di sociologia politica, a cura di A. Campi, L. Varavano, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009. 2 Da questo punto di vista analizzare la Wirkungsgeschichte significa allargare l’osservazione all’essenzialità del processo cumulativo delle scienze sociali. Gadamer, ad esempio, definisce la Wirkungsgeschichte come la catena delle interpretazioni passate, le quali condizionano e mediano la pre-comprensione che l’interprete ha dell’oggetto da interpretare, senza che egli se ne renda sempre conto. I ricercatori sono esposti agli effetti di questa storia, che decide anticipatamente cosa è problematico e cosa può diventare oggetto di ricerca. L’inserimento nel vivo di questa trasmissione storica è chiamato da Gadamer fusione di orizzonti. In questa “fusione d’orizzonti” ogni nuova interpretazione s’inserisce nella catena della Wirkungsgeschichte, la quale si apre a sempre nuove possibilità della comprensione di senso. H.G. Gadamer, Verità e metodo, tr. di G. Vattimo, Bompiani, Milano, 1983, p. 350. 3 B. Croce su V. Pareto, Trattato di Sociologia generale, II edizione, Barbera, Firenze, 1923, in «La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia», n. 22, 1924, pp. 172-173. 4 Si noti che questo è il periodo in cui Michels ebbe la nomina a professore ordinario della cattedra di Economia politica nell’Università di Basilea e ne fu effettivamente il titolare fino al 1927-1928. 5 R. Michels, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna, Il Mulino, Bologna, 1966. 6 P. Ciancarelli, Sulla genesi del concetto di oligarchia in Michels: una reinterpretazione storica, GIPS Università di Siena, Working Paper 41, Siena, 2000, p. 3. 7 Nello stesso anno Simmel parlava del “conflitto della civiltà moderna”, saggio pubblicato solo nel 1921 dagli editori Duncker e Humblot. G. Simmel, Il conflitto della civiltà moderna, Bocca, Torino, 1925.
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Per Troeltsch il “progresso compiuto rispetto al puro positivismo, consistente nel riconoscimento della relativa autonomia della ragione produttiva, porta però ad una notevole mancanza di chiarezza e viene pagato a caro prezzo”. E. Troeltsch, Lo storicismo e i suoi problemi, Guida, Napoli, 1991, p. 210. 9 Cfr. W. Sombart, Il capitalismo moderno, Einaudi, Torino, 1978. 10 Ancora Simmel nel 1917 pubblica l’opera La guerra e le decisioni spirituali, in cui è possibile ritrovare i temi delle élite culturali tedesche, ovvero il riconoscimento nella prima guerra mondiale di una guerra di culture che avrebbe deciso della futura configurazione dell’Europa in difesa della Kultur tedesca contro la Zivilisation occidentale. 11 R. Michels, La crisi psicologica del socialismo, in «Rivista Italiana di Sociologia», XIV, maggio-agosto 1910, pp. 365-376. 12 Si noti che Michels in questo lavoro scrive sempre la parola “Progresso” con la prima lettera maiuscola. 13 M. Weber, La scienza come professione, a cura di P. Volonté, Rusconi, Milano, 1997, p. 87. 14 R. Michels, Intorno al problema del Progresso, in Problemi di sociologia applicata, Bocca, Torino, 1919, pp. 66-67. 15 M. Weber, Die “Objektivität” sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis, in Schriften zur Wissenschaftslehre, Reclam, Stuttgart, 1991. 16 In soli 120 giorni, da ottobre 1918 a gennaio 1919, la pandemia influenzale contagiò, nel mondo, oltre un miliardo di persone provocando la morte di oltre venti milioni di malati (alcune stime più recenti ipotizzano la cifra di quaranta milioni) e superando in mortalità qualsiasi altra malattia epidemica. E. Tognotti, La “spagnola” in Italia. Storia dell’influenza che fece temere la fine del mondo (1918-1919), Franco Angeli, Milano, 2002. 17 R. Musil, L’uomo senza qualità, Einaudi, Torino, 1997. 18 M. De Cecco, Moneta e impero. Il sistema finanziario internazionale dal 1890 al 1914, Einaudi, Torino, 1979.
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Raffaele Federici 19
R. Michels, Intorno al problema del Progresso, in Problemi di sociologia applicata, Bocca, Torino, 1919, p. 58. 20 Ivi, p. 46. 21 Ivi, pp. 46-47. 22 R. Michels, Saggi economico-statistici sulle classi popolari, Sandron, Milano, 1913, p. 131. 23 Il modello contenuto in Produzione di merci a mezzo di merci è stato, in effetti, anticipato da David Ricardo, fra gli altri, non solo nei tratti dell’immiserimento, per ricordare le parole di Michels, ma anche nella sua totalità, nel senso che non è un aspetto del processo economico ma l’orizzonte entro il quale ogni aspetto determinato si svolge (N.d.C.). 24 R. Michels, Intorno al problema del Progresso, cit., p. 69. 25 Con il termine “Leutenot” si identifica il fenomeno della migrazione verso le città e del parziale spopolamento della campagna. 26 Pareto si rifiutò di inviare un articolo sul progresso alla «Rivista Italiana di Sociologia», dietro una specifica richiesta di Guido Cavaglieri, “perché tutta la mia Sociologia è volta a bandire dalla scienza una simile terminologia che mi pare sia mancante di ogni precisione e atta solo a generare equivoci”. Citato in R. Michels, Intorno al problema del Progresso, Bocca, Torino, 1919, p. 68. 27 Ivi, p. 60. 28 B. De Finetti, Vilfredo Pareto di fronte ai suoi critici odierni, in «Nuovi Studi», IV-VI, luglio-dicembre 1936, pp. 14-16. 29 R. Michels, Gustav Schmoller in seinen Charakterbildern, in «Internationale Monatsschrift für Wissenschaft Kunst und Technik», febbraio 1914, p. 12. 30 G. Schmoller, Lineamenti di economia nazionale generale, Utet, Torino, 1904. 31 Cfr. A. Spiethoff, Krisen, in L. Elster, A. Weber, F. Wieser (hrsg.), Handwörterbuch der Staatswissenschaften, Verlag von Gustav Fischer, Jena, vol. VI, 1925.
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Introduzione 32
Cfr. L.A. Scaff, Max Weber and Robert Michels, in «The American Journal of Sociology», 86, 6, 1981, pp. 1269-1271. 33 R. Michels, Gustav Schmoller in seinen Charakterbildern, cit., p. 60. 34 R. Michels, Economia e felicità, Vallardi, Milano, 1918, pp. 135-138. 35 Ivi, pp. 144-145.
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