Ricardo J. Quinones
ERASMO E VOLTAIRE Perché sono ancora attuali
ARMANDO EDITORE
SOMMARIO
Presentazione di SILVANO TAGLIAGAMBE
7
Prefazione
17
Abbreviazioni
31
Introduzione
33
PARTE PRIMA: EPISODI DELLE CARRIERE
57
Capitolo primo: Nomi da figli illegittimi
59
Capitolo secondo: L’Inghilterra, sempre l’Inghilterra
77
PARTE SECONDA: LE OPERE, FIGLIE DI UN MOMENTO FORTUNATO
115
Capitolo terzo: La lettera di Erasmo a Van Dorp e quella di Voltaire a Rousseau
117
Capitolo quarto: Libri che trovano la loro strada
133
Capitolo quinto: I Superstiti: l’Elogio della follia e il Candido 183
PARTE TERZA: DUALISMI
209
Capitolo sesto: Non c’è pace:“Per sempre Caino e Abele”
211
Epilogo: Ricorrenze e riconoscimenti
249
Opere citate
271
Indice analitico e dei nomi
283
PRESENTAZIONE Silvano Tagliagambe
Plutarco con Le Vite dei nobili Greci e Romani (o Vite parallele, in greco Βίοι Παράλληλοι, come sono più comunemente e propriamente note), ha inaugurato uno stile narrativo in cui non solo la biografia degli uomini celebri menzionati costituisce il punto di partenza per enucleare alcuni aspetti essenziali del periodo in cui vissero, ma si tratteggiano analogie dirette a evidenziare vizi o virtù morali comuni ai personaggi riuniti in coppie. Adottando un criterio anticipato un secolo e mezzo prima da Cornelio Nepote, il quale nel De viris illustribus aveva alternato, per ognuna delle sezioni in cui la sua opera si suddivideva, un libro dedicato ai Romani e un altro dedicato ai Greci, Plutarco disegna uno sfondo storico a partire dalle vicende delle figure paradigmatiche prescelte, dall’illustrazione dei loro pregi e delle loro virtù, dei valori espressi, dei meriti acquisiti. Egli manifesta, nei confronti delle vite e della realtà storica narrata, sentimenti differenti: si passa da una certa indifferenza all’aperta ammirazione e alla partecipazione simpatetica, alimentata anche dal fatto che le azioni narrate si svolgono sempre in un’atmosfera tesa ed enfatica, come se si trovassero su un palcoscenico. I gesti, gli atteggiamenti e le espressioni dei protagonisti sono quasi teatrali e vengono inseriti in un intreccio al centro del quale non viene posto ciò che è accaduto, ma ciò che i protagonisti fanno di volta in volta, che viene rappresentato in significative sequenze di immagini. Da allora in poi il ricorso a questo intreccio di mondi e di vite magari distanti nel tempo e nello spazio, ma considerati paralleli, 7
per qualche aspetto si è consolidato. Le ragioni del suo successo e della sua efficacia ci sono state chiarite da apporti teorici che ne hanno svelato il meccanismo ed evidenziato gli esiti, come la concezione del trasferimento analogico e della metafora proposta da Max Black1. Questo approccio alla figura retorica in questione parte infatti dalla constatazione che, quando si usa una metafora, si attivano contemporaneamente due pensieri di cose differenti sostenuti da una sola parola o frase, il cui significato è la risultante della loro interazione, appunto. In questo modo si produce un significato nuovo, diverso da quello letterale: si ha, cioè, un’estensione o una variazione di significato determinata dal fatto che la parola viene attivata in un contesto nuovo. Abbiamo, quindi, un primo elemento di cui tener conto: la metafora è sempre il risultato dell’interazione tra una parola (o un intero enunciato) e il contesto in cui si inserisce: essa è, dunque, sempre un pezzetto, per quanto piccolo, di testo. Una parola qualsiasi può venire usata isolatamente: ma, utilizzata in questo modo, non può mai dar luogo a effetti metaforici. La parola e il contesto costituiscono insieme, in un’unità indissolubile, la metafora. Ma quale tipo di combinazione tra testo e contesto produce gli effetti metaforici? Per rispondere a questa domanda occorre in primo luogo tener presente che il significato di una parola consiste, essenzialmente, in una certa aspettativa di determinazione. Questa attesa è guidata, per così dire, e condizionata dalle leggi semantiche e sintattiche che governano l’uso letterale della parola, e la cui violazione produce assurdità e contraddizione. In aggiunta a ciò va sottolineato che gli usi letterali di una parola normalmente richiedono al parlante l’accettazione di un pacchetto di credenze standard che sono possesso comune di una data comunità di parlanti. La metafora agisce proprio su questo sistema di idee normalmente associato a una parola: essa, in particolare, comporta il trasferimento dei luoghi comuni 1
M. Black, Models and Metaphors, Ithaca, Cornell University Press, 1962 (tr. it. Modelli, archetipi, metafore, Pratiche Editrice, Parma, 1983).
8
usualmente implicati dall’uso letterale di un termine e la sua utilizzazione per costruire un corrispondente sistema di implicazioni da riferirsi a un secondo termine, per il quale, nell’uso letterale, queste implicazioni non valgono. Proviamo, ad esempio, a pensare alla metafora come a un filtro. Si consideri l’affermazione: “L’uomo è un lupo”. Qui, possiamo dire, vi sono due soggetti: il soggetto principale, l’uomo (o gli uomini) e un soggetto secondario, il lupo (o i lupi). Ora la frase metaforica in questione non sarebbe in grado di trasmettere il suo significato intenzionale a un lettore piuttosto ignorante in materia di lupi. Ciò che si richiede non è tanto che il lettore conosca il significato standard di “lupo” fornito da un dizionario, o che sappia usare la parola in senso letterale, quanto piuttosto che sia a conoscenza di quello che chiamerò un sistema di luoghi comuni associati [...] L’effetto, dunque, di chiamare un uomo “lupo” è di evocare il sistema “lupo” di luoghi comuni correlati. Se l’uomo è un lupo, egli è feroce, affamato, impegnato in una continua lotta, e così via. Ciascuna di queste asserzioni implicite deve essere ora condotta ad adattarsi al soggetto principale (l’uomo) sia nei sensi normali che in quelli inconsueti [...] Ogni tratto umano di cui si può senza inopportune distorsioni parlare in “linguaggio lupesco” sarà messo in rilievo, e ogni tratto che non ha queste caratteristiche sarà respinto sullo sfondo. La metafora-lupo sopprime particolari, ne sottolinea altri: in breve organizza la nostra visione dell’uomo2.
Ciò ci autorizza ad affermare che «la metafora crea una similarità, piuttosto che esprimere una qualche similarità precedentemente esistente»3. Il soggetto principale viene infatti “visto attraverso” l’espressione metaforica o, per meglio dire, proiettato sul campo dei soggetti secondari. Un sistema di implicazioni (o di “luoghi comuni”) impiegato all’interno di un certo campo viene usato come stru2 3
Ivi, pp. 39-41 (il corsivo è mio). Ivi, p. 37.
9
mento per selezionare, evidenziare, costruire relazioni, in una parola per strutturare, organizzare anche percettivamente, un campo differente. Questa operazione, che ha dunque una vera e propria natura percettiva, oltre che conoscitiva, in quanto attraverso il soggetto secondario conduce a mettere in luce e a vedere caratteristiche e proprietà fino a quel momento del tutto inedite del soggetto principale, può riuscire soltanto a due condizioni: 1) che entrambi i termini o soggetti siano presenti contemporaneamente nell’operazione medesima e interagiscano tra di loro; 2) che le implicazioni che vengono trasferite da un soggetto all’altro rimangano, almeno in una certa misura, implicite. Se infatti la metafora “l’uomo è un lupo” venisse sostituita da una parafrasi letterale, che espliciti le relazioni rilevanti tra i due soggetti, essa perderebbe gran parte della sua efficacia, cioè del suo valore di “illuminazione”. L’insieme di proposizioni letterali così ottenuto finirebbe inevitabilmente col dire troppo e col mettere in evidenza cose diverse dalla metafora, con il risultato di vanificare il contenuto conoscitivo di essa. Va infine tenuto presente che, attraverso la sovrapposizione creata, la produzione della relazione metaforica modifica anche il sistema di implicazioni associato al soggetto secondario, e non solo quello legato al soggetto principale. Se infatti chiamare “lupo” un uomo è metterlo in una luce particolare, non va dimenticato che la metafora fa sembrare anche il lupo più umano di quanto non sarebbe altrimenti. Questa concezione interattiva del trasferimento analogico ci spiega perché, creando un modello, cioè un dominio “artificiale” e semplificato, nel quale vengono fatti convergere e posti in stretta interazione contesti storici differenti sulla base di qualche elemento di similarità, si creano condizioni percettive e cognitive tali da indurre a vedere ciascuno dei due contesti in questione alla luce dell’altro, moltiplicando e intensificando, in questo modo, le analogie riscontrate e creandone di nuove. È questo il senso dell’operazione condotta da Quinones in questo libro. L’autore parte da fattori oggettivi di affinità che ci autorizzano a mettere in relazione le figure di Erasmo e di Voltaire: entrambi 10
figli illegittimi, entrambi cosmopoliti per scelta, cambiarono o modificarono il proprio nome per marcare un nuovo inizio, la libertà di seguire nuove aspirazioni e di inaugurare un nuovo stile di vita e di pensiero. Su questa comune decisione si innestano sottili differenze: mentre Erasmo cercò disperatamente di cancellare dalla sua reputazione la macchia dell’illegittimità, fu Voltaire stesso a diffondere la voce che non era il figlio di un irascibile contabile altolocato, ma il frutto della relazione tra sua madre e il duca di Rochebrune, un librettista minore e per giunta nobile. Entrambi hanno inoltre trascorso lunghi periodi in Inghilterra, periodi che hanno segnato momenti cruciali e punti di svolta nelle loro carriere. Fu, come ricorda Quinones nelle pagine che seguono, durante la sua prima visita in Inghilterra nel 1499 che Erasmo ottenne il riconoscimento che aveva così tenacemente cercato; è lì che egli fu “scoperto” e consacrato. A questo primo contatto ne seguì un secondo del 1505-06. La terza permanenza, più lunga, si protrasse dall’agosto del 1509 all’agosto del 1514, e fu motivata dalla morte di Enrico VII, dall’incoronazione di Enrico VIII, dal ritorno al potere dei suoi amici (compreso Thomas More) e dalle grandi speranze di trovare un patrocinio letterario: per tutte queste ragioni egli interruppe un viaggio in Italia, da tempo atteso. Ci furono due ulteriori visite nel maggio 1515 e nell’estate del 1516, ma fu durante le prime tre che Erasmo entrò in contatto con John Colet (1467-1519), John Fisher (1469-1535), William Grocyn (?-1519), William Latimer (ca. 1460-1545), Thomas Linacre (1460-1524), Thomas More (1477/78-1535) e William Warham (ca. 1456-1532). Anche Voltaire, che era andato in Inghilterra nel 1726 in ottemperanza al patteggiamento che doveva accorciare la sua seconda permanenza nella Bastiglia, e che vi rimase fino al 1728, fu accolto come il più illustre scrittore francese. Ambedue trovarono in Inghilterra il clima e gli strumenti per un’ulteriore maturazione intellettuale. Sul piano più strettamente culturale, poi, due sono gli aspetti in comune da rilevare. Il primo è l’interesse di entrambi per la sati11
ra, generalmente considerata un genere minore. È un grande merito dell’Elogio della follia e del Candido averla elevata a un grado di dignità dovuta anche al fatto che queste opere hanno avuto successo ben al di là del loro specifico elemento satirico. Come evidenzia Quinones, la satira si basa sulla svalutazione di un oggetto, di una pratica o di un individuo. Essa oggettiva e separa l’autore dal suo bersaglio. La satira di Erasmo è invece costruita sempre a partire da una situazione in cui le mancanze sono evidenti, e si basa sull’accettazione condivisa di un codice di valori implicito o esplicito. La satira di Voltaire, molto diversa nel metodo, è invece caricaturale. Egli decontestualizza o isola una pratica o altre situazioni privandole di senso, riducendole alle loro assurde manifestazioni esteriori. La possibilità che simboli di più ampia rilevanza possano far scattare la trappola è ignorata: il nemico è facilmente riconoscibile dal nome (vero o falso), mentre l’autore si muove in relativa libertà, limitandosi a ordire il trabocchetto. Anche se passaggi di questo tipo hanno una certa attrattiva, l’Elogio della follia e Il Candido non sono considerati dei classici solo sulla base dell’elemento satirico. La loro grandezza emerge quando i due autori entrano nelle rispettive opere e diventano loro stessi attori o vittime. Assumono un’identità, vengono oggettivati, e la loro opera acquisisce una dialettica. Ma questa è una descrizione piuttosto scialba del processo che porta un autore a sottoporre i limiti e le responsabilità del suo impegno all’esame critico, ovvero del processo per cui egli, operando in solitudine, si sdoppia, diventando così un essere riflessivo. Allora l’autore cessa di essere un manipolatore satirico e diventa egli stesso un attore. Egli rompe la convenzione di dare al nemico un volto e un nome, e scopre di avere a sua volta il volto di un nemico. Il secondo elemento oggettivo di forte affinità culturale consiste nella somiglianza fra il metodo della discussione seguito nei Colloqui di Erasmo e nei Contes philosophiques di Voltaire. I punti di contatto tra questi due generi nelle carriere dei nostri autori sono a dir poco notevoli, e includono la loro genesi, il momento della loro apparizione, e ciò che essi hanno rappresentato. 12
Anche se i dialoghi erano molto diffusi nel Rinascimento, i colloqui in quanto tali sono una prerogativa esclusiva di Erasmo, mentre i contes, o il roman philosophique, sono stati praticamente “inaugurati” da Voltaire. I due generi, infine, hanno ricevuto lo stesso tipo di critica: sono stati sfruttati troppo. Erasmo e Voltaire si lasciarono così facilmente prendere la mano dai due nuovi generi che produssero opere in eccesso; l’offerta supera la domanda, e questo impone la necessità di una selezione critica. Un ulteriore elemento di affinità è il comune rifiuto di inchinarsi di fronte agli idoli del passato, in nome di un’indipendenza critica sempre orgogliosamente rivendicata e perseguita. C’è infine da rilevare una somiglianza anche sotto il profilo caratteriale e della personalità, che si manifesta nelle fasi cruciali delle loro vite. Entrambi ebbero un incontro decisivo – Erasmo con Lutero e Voltaire con Rousseau – che diede luogo a dibattiti epocali che contribuirono a definire ancor di più gli interessi che avevano in comune. Erasmo arrivò a ritrattare, se non a rinnegare, alcune sue posizioni precedenti: tra queste c’erano la sua lettura della libertà cristiana che all’inizio lo aveva accomunato a Lutero, la volontà di diffondere la parola del Vangelo tra la gente, e la convinzione ispirata dallo Spirito Santo. Su tutte e tre le posizioni Erasmo tornò sui propri passi. Mentre Erasmo fu tormentato dai dubbi, Voltaire si difese e divenne più aggressivo, fino all’eccesso, arrivando a pregare per ottenere chiarimenti. Queste reazioni non erano inedite, ma al contrario rivelavano aspetti del loro carattere già da tempo presenti, come dimostrato dalla loro lealtà, dalla loro retorica inclusiva e dalla loro scala gerarchica di valori. Lutero e Rousseau non cambiarono la personalità di Erasmo e Voltaire ma fecero emergere delle qualità che erano sempre state presenti, ma che adesso venivano messe più a fuoco. Sono queste reazioni trattenute, questi aspetti del loro carattere ad aver largamente compromesso la reputazione successiva di Erasmo e Voltaire. Inoltre essi possono essere accostati anche per il modo in cui affrontavano i loro rivali diretti. Uscirono forse indeboliti dallo scontro, ma nessuno dei due fu ac13
cecato o messo a tacere dal carattere più radicale e più bellicoso dei loro oppositori. Entrambi mantennero fermamente le loro rispettive posizioni, e sfidarono Lutero e Rousseau sugli aspetti fondamentali del loro pensiero e delle loro convinzioni. È interessante notare che tutti e due presero di mira gli stessi difetti e le stesse insistenze in Lutero e in Rousseau. Opponendosi e criticando questi aspetti del loro carattere, essi rivelarono i valori che avevano in comune. Una volta definito il perimetro delle similarità che motivano l’istituzione del parallelismo, si tratta di chiudere il cerchio della “metafora interattiva” traendo dal trasferimento analogico conclusioni che vadano al di là del semplice riscontro degli elementi biografici e culturali di convergenza e creino nuove affinità, frutto proprio del trasferimento operato. Ed è quello che Quinones non omette di fare. Se il nesso tra Erasmo e Voltaire ha un senso, allora, proprio in virtù delle somiglianze tra i due personaggi e tra le lotte che, mutatis mutandis, infiammarono le loro epoche, bisogna in qualche modo far rientrare anche l’autore de l’Elogio della follia nell’atmosfera culturale dell’Illuminismo parlando, di conseguenza, di un “illuminismo” (quello di Erasmo) prima dell’illuminismo propriamente detto (quello di Voltaire). Inoltre parlare di attualità e di immutata vitalità del loro pensiero, rivendicandone la profondità e difendendolo dai duri attacchi subìti soprattutto nel corso del Ventesimo secolo e dall’accusa di “superficialità” che viene periodicamente riproposta, significa riaffermare la rilevanza costante e duratura dell’Illuminismo e delle sue implicazioni. I valori proposti e tenacemente affermati dai due autori qui posti in relazione e da loro compiutamente espressi, sono costituiti dai preziosi scambi tra le comunità, dagli effetti della fiducia in una continuità storica graduale e tendente al miglioramento, dal ruolo cruciale dell’educazione nella costituzione della condotta e della personalità, e dall’importanza di un linguaggio teorico che non si distanzi troppo da quello ordinario. Il fatto che di questi valori e della loro attualità si discuta ancora oggi è la prova evidente che, nonostante i secoli che li separano, la forza congiunta di Erasmo e 14
Voltaire dimostra una straordinaria capacità di adattarsi e di riproporsi nel ricorrere delle fasi storiche. In effetti da questi due grandi pensatori e dalla reciproca illuminazione che scaturisce dal parallelismo istituito tra le loro opere, possiamo trarre insegnamenti ancora vitalissimi. Possiamo, ad esempio, ricavarne una chiave per esplorare la natura complessa e storicamente mutevole dell’umanesimo, per non limitarne il raggio d’azione e l’incidenza allo studio delle discipline umanistiche e a specifici oggetti di studio, come il greco, il latino o le altre lingue classiche. L’umanesimo, ci dice giustamente Quinones, è certamente anche questo, ma altrettanto sicuramente è molto più di questo: è un’attitudine, un approccio, uno stile di pensiero che esige che il passato sia una presenza viva, la presence totale di chi si appropria con passione di ciò che viene studiato e insegnato e rifiuta il distacco storico. È lo stesso autore a dirci di ritenere che, rispetto ai suoi lavori precedenti, nelle pagine che seguono egli valorizza maggiormente e nella misura dovuta il fatto che queste nuove determinazioni rappresentano dei grossi passi avanti per aprire il campo degli studi umanisti ad altre culture e ad altre discipline. Un’ottima ragione, questa, accanto alle altre già evidenziate, per immergersi nella lettura e cominciare a seguire l’affascinante itinerario proposto.
15
PREFAZIONE
Erasmo e Voltaire – Perché sono ancora attuali è un libro per molti versi inconsueto, quasi certamente l’unico a proporre un ampio confronto tra Erasmo e Voltaire alla luce delle diverse fasi delle loro carriere filosofiche, dei loro testi e della loro rilevanza storica1. La mancanza di un’attenzione maggiore ai rapporti tra questi due autori risulta ancor più sorprendente se si tiene conto che nel Diciannovesimo secolo era divenuto un luogo comune metterli a confronto, come ha sottolineato Bruce Mansfield, che ha visto in Coleridge l’iniziatore di questo tipo di studi. Il presente volume è forse ancor più unico nella misura in cui mantiene una promessa. Mentre lavoravo al mio precedente Dualisms: The Agons of the Modern World (di cui dirò di più in seguito), mi resi conto che la tradizione culturale ispirata a Erasmo e Voltaire era stata ingiustamente ridimensionata, e così mi ripromisi di scrivere un altro saggio, una sorta di opera gemella, che colmasse questa lacuna. E se allora mi riferivo 1
Nonostante vi siano numerose brevi osservazioni in cui si paragonano Erasmo e Voltaire, soltanto E. N. Tenhaeff nel suo discorso di insediamento Erasmus en Voltaire als Esponenten von hun Tijd (Groninga, Wolters, 1939), e Peter Gay nel suo jeu d’esprit The Bridge of Criticism (1970) hanno offerto una trattazione estesa di Erasmo e Voltaire. Il dialogo a tre di Gay merita attenzione. Seguendo il consiglio di Edward Gibbon (ristampato come epigrafe), Gay in The Bridge of Criticism accosta Luciano, Erasmo e Voltaire. Come è facile aspettarsi, ci sono notevoli contrasti tra i tre personaggi: Luciano a volte parla come un cristiano, Erasmo lo è sempre convenzionalmente, tranne quando rimprovera a Voltaire una carenza di immaginazione rispetto a Michelangelo, Raffaello e altri, o ai romantici (ognuno dei quali Erasmo ha o avrebbe voluto ignorare), e Voltaire parla sempre da liberale del Ventesimo secolo. Ma l’intento del volume è lodevole: «Ho scritto questi dialoghi con due scopi distinti, ma correlati: mostrare la vitalità costante dell’Illuminismo e riscattarlo dalle ricorrenti cattive letture» (p. 155).
17
genericamente a uno “studio futuro”, il futuro è arrivato più velocemente di quanto pensassi, e con esso questo lavoro in cui vengono dettagliatamente presentati «i tratti caratteristici, le somiglianze di pensiero e di stile, la collocazione intellettuale e il carattere» (Dualisms, p. 200) delle due autorevoli figure. Devo forse confessare un po’ di ingratitudine, in quanto la tesi che sostengo va contro il verdetto di Coleridge secondo cui Erasmo e Voltaire sono “essenzialmente diversi”. Coleridge, il più importante teorizzatore dei dualismi, aveva individuato nei secoli passati due rivalità incrociate dominanti: quella tra Erasmo e Lutero e quella tra Voltaire e Rousseau. E le aveva scelte perché aveva visto in esse incarnazioni più ampie di profondi, seppur differenti, principi culturali. Inoltre, Coleridge era andato oltre queste due coppie incrociate per costruire ulteriori linee di affiliazione, quelle che collegano Erasmo con Voltaire e Lutero con Rousseau. E aveva allora iniziato un significativo confronto tra Erasmo e Voltaire, accomunandoli nelle ripercussioni del loro pensiero (che si estendevano in tutta Europa), nelle circostanze (entrambi vissero in un periodo di speranza e fiducia), e negli strumenti (“l’arguzia e l’erudizione piacevole”). Ma a una tale analisi faceva seguire la sua inaspettata conclusione (The Friend, 1:129-30). Tuttavia, non bisogna dimenticare due cose: la prima è che, nella scelta delle figure storiche e delle loro linee di affiliazione, Coleridge aveva predisposto un’ampia corsia – una linea di continuità – tra la Riforma e l’Illuminismo (che è ancor più evidente nella sua discussione di Lutero e Rousseau); la seconda, e più importante, è che nella sua discussione critica dei dualismi più importanti dei secoli precedenti, Coleridge aveva introdotto il potente principio del “riconoscimento”. Questo è il tratto caratteristico del metodo che egli impiegava per mettere assieme due autori storicamente distinti e anche diversi. Affidandosi a esempi presi dalla musica, Coleridge chiamava in causa la capacità del riconoscimento non solo di richiamare il passato, ma anche di riviverlo sotto circostanze diverse, rendendolo “diverso e tuttavia il medesimo”. Come nella musica, 18
allo stesso modo nella Storia «gli eventi e il carattere di un’epoca […] richiamano quelli di un’altra, e la varietà attraverso cui ogni epoca si individua, non solo conferisce fascino e intensità alla somiglianza, ma rende anche tutto complessivamente più intelligibile». La ricerca di differenze individuali può portare a una comprensione migliore dell’unione più larga in cui esse fioriscono. Coleridge, inoltre, mostrava come queste somiglianze non fossero imitative. Ci sono somiglianze reali che attraverso l’esercizio del giudizio possono essere distinte dalle “imitazioni intenzionali”, “la mascherata dell’astuzia e dell’artificio”. Il riconoscimento risponde alla forza delle somiglianze spontanee che, senza voler copiare i modelli passati, emergono dall’interno della reale diversità delle cose stesse (ibidem). L’analisi di Coleridge includeva sia le epoche sia gli individui: «Io stesso ho […] tratto il più profondo interesse dal paragone degli uomini, i cui caratteri a prima vista appaiono largamente dissimili» (p. 130). La convergenza che lega Erasmo e Voltaire è di questo tipo. Questo metodo, comunque, tiene conto delle differenze e anzi fa affidamento su di esse. Fuori dal nucleo di queste differenze tra situazioni simili (certamente visibili nelle fasi della carriera e nelle opere di Erasmo e Voltaire), siamo nella posizione di rintracciare significative affinità nella mentalità e nello spirito. Andando oltre il giudizio finale di Coleridge (anche se certamente è il segno di una grande teoria il fatto che i suoi confini possano essere oltrepassati) possiamo continuare a fare affidamento sul suo metodo. Non c’è nulla di straordinario in questo: si tratta soltanto di non fermarsi alle prime impressioni e di usare un’immaginazione “trans-storica”. Significa essere pronti a opporsi a un’interpretazione puramente letterale, che si ferma al livello più superficiale delle differenze, e di penetrare nel cuore delle somiglianze. Le alternative sono di fatto abbastanza ovvie: vogliamo postulare delle differenze inalterabili tra Erasmo e Voltaire, oppure, usando questo dato come punto di partenza e non come un muro di cinta, andare avanti fino in fondo per scoprire le loro affinità? La nostra ricerca, oltrepassando la superficie delle differenze, indaga le convergenze più importanti 19
(alcune delle quali non sono state finora riconosciute) che possono restituire a Erasmo e Voltaire l’onore intellettuale che meritano. Si tratta allora anche di una forma di recupero, di una riscoperta di aree comuni nel loro pensiero che li rendono portavoce di una lunga tradizione del pensiero occidentale. La letteratura comparata, di cui questo saggio è un esempio, si alimenta di questi riconoscimenti; in effetti, c’è una fusione metodologica tra i due approcci. Siamo lontani dall’epoca in cui la letteratura comparata aveva bisogno di una giustificazione, in particolare del tipo di difesa che veniva tirata in ballo quando ero uno studente di dottorato entusiasta e ligio al dovere e i veterani della disciplina pontificavano su questioni come: “Qu’est ce que c’est la littérature comparée”, o “Est-ce qu’il y a une littérature comparée?”. Queste lezioni mi lasciavano insoddisfatto, e convinto che una definizione più semplice – come ad esempio «la letteratura comparata è determinata dalle opere prodotte dai comparatisti affermati» – sarebbe andata altrettanto bene. Tuttavia, le soluzioni pragmatiche vanno chiarite. La letteratura comparata non è in balia del caso; comparazioni avventate e troppo ampie, anche se possono essere appropriate per i corsi universitari non avanzati (ricordo di quando un po’ confuso passavo da una lezione su Boezio a una su Benjamin Franklin, o da una su Abelardo a una su Kafka), difficilmente soddisfano i requisiti di una disciplina. Devono esserci collegamenti autentici, connessioni storiche e convergenze spirituali tra le figure coinvolte. Satis est quod sufficit. Il meglio è nemico del bene. Ma se il bene è soltanto abbastanza, perché non provare con il meglio? Tale potrebbe essere la relazione tra studi di comparatistica e studi su singoli autori o dedicati a un singolo tema. Troppe cose interessanti vengono lasciate fuori. Sono stati scritti saggi e monografie eccellenti che hanno seguito in modo accurato e brillante il percorso di carriere individuali. Ma ci si può chiedere quanto questo tipo di studi verrebbe migliorato, e il suo orizzonte allargato, da comparazioni 20
ben riscontrate. Non mi riferisco qui a semplici associazioni, ma ai più ampi risultati che si raggiungono quando, per la natura stessa delle comparazioni che si propongono, si arriva a porre domande impreviste che portano a risposte inaspettate. Dall’inizio alla fine, dalle battaglie intellettuali cui presero parte spinti dalle loro origini e dalla scelta di cambiare nome, alla critica per certi versi simile che Erasmo e Voltaire mossero ai loro rivali intellettuali Lutero e Rousseau (si veda il capitolo 6), questo saggio presenta un buon numero di svolte inattese. Dal confronto delle loro affinità emerge come Erasmo e Voltaire offrano un bottino più ricco di quanto si sia mai immaginato. Due saggi di Jean-Claude Margolin lo hanno dimostrato: Érasme et l’Angleterre e Érasme et la France. Il primo, come è prevedibile, ha un taglio poco internazionale, e si chiude con il giudizio complessivo che lo spirito e le idee di Erasmo non smisero mai di essere apprezzate in Inghilterra e nel mondo anglosassone (p. 67). Ma nell’altro saggio Margolin, uno dei più importanti studiosi europei di Erasmo, allarga la prospettiva, osservando che negli anni cruciali durante e dopo il Concilio di Trento, l’erasmianesimo dovette restare in secondo piano, se non addirittura in clandestinità (p. 61): in questo modo, tuttavia, esso riuscì a sopravvivere per poi riemergere nel secolo dell’Illuminismo, quando ebbe un impatto “singolare” sui francesi e soprattutto su Voltaire. Margolin a questo punto propone un’ampia comparazione, introducendo le affinità tra questi due grandi scrittori di lettere (la corrispondenza di Erasmo ammonta a qualcosa come 3100 lettere, e quella di Voltaire supera le 15000), maestri di satira e di ironia, dominatori del pensiero europeo dai loro avamposti di Basilea e di Ginevra (pp. 63-64). Questi sono solo alcuni assaggi dei frutti del loro giardino comune. Si può anche procedere, ed è quello che farò, discutendo le fasi delle loro carriere e del loro lascito di scritti, ma forse l’ambito privilegiato per associarli è la loro matrice psicologica: Erasmo e Voltaire possono infatti essere accostati in base alle caratteristiche psicologiche che li hanno resi più dei riformatori che non dei rivoluzionari. 21
Questo saggio di comparatistica su due preminenti figure della storia della cultura ha i suoi antefatti e i suoi possibili sviluppi. Fa riferimento al dibattito di cui mi sono occupato nel mio precedente libro Dualisms, ma guarda alle convergenze che legano Erasmo e Voltaire. Questi due aspetti possono essere considerati due facce della stessa medaglia, con iscrizioni significative su entrambi i lati. E possono guardare in direzioni diverse ma condividendo una matrice comune. Per il lettore nuovo alla discussione sui dualismi, può essere sufficiente familiarizzarsi con i suoi aspetti di base e i suoi principi generali. Ormai il tema del dualismo si è guadagnato la sua nicchia nei circoli letterari, e vanta una tradizione di studi specialistici: esso rappresenta sia un metodo di ricerca sia un’area di studio. I dualismi sono grandi rivalità incrociate tra due importanti figure di un’epoca, come Erasmo e Lutero, Voltaire e Rousseau, Turgenev e Dostoevskij, o Sartre e Camus (e a questa breve lista se ne potrebbero aggiungere molti altri). Nelle loro epoche e nei loro Paesi, altri dibattiti e contrasti semplicemente sono passati in secondo piano. Come ha scritto Lewis Spitz, richiamando o anticipando altri studiosi, all’inizio del Sedicesimo secolo le polemiche erano molte, «ma la battaglia tra giganti era il grande dibattito tra Lutero ed Erasmo sul libero arbitrio» (p. 104). Lo stesso si può dire delle altre coppie di rivalità incrociate. È come se a una festa due persone non avessero occhi che l’uno per l’altro, tale è l’attrazione magnetica che le lega. Consapevoli di questa speciale alchimia, intimoriti, gli altri restano a guardare, completamente assorbiti dallo scontro tra giganti. La polemica è interna, come in una famiglia, e tuttavia capace di ripercuotersi all’esterno fino a coinvolgere la comunità in generale. Per le circostanze della loro nascita, la classe sociale, l’istruzione, le aspirazioni, e l’indole, queste chiaramente sono figure diverse, di fatto opposte. Perciò lo scontro fu inevitabile. Eppure, curiosamente, esso ebbe varie fasi di sviluppo, che io chiamo un “percorso di incontro”, prima che potesse intervenire una vera e propria battaglia intellettuale. In tutti e quattro i casi il percorso fu 22
simile. All’inizio credettero di essere compagni d’armi, leader di un’avanguardia intellettuale. Ognuno di loro iniziò come riformatore. Ciò significa che all’inizio condivisero un linguaggio comune, con scopi condivisi, e furono uniti contro nemici ben trincerati. Ma sospetti e timori furono sempre latenti, con l’assillante percezione di una differenza di fondo. Alla fine accaddero uno o più episodi che rivelarono quanto fossero distanti per indole e aspettative. Un primo principio generale è che fu proprio per le loro iniziali affinità, per la loro vicinanza, che l’ostilità del loro dibattito divenne in seguito così esplosiva e ampia. In secondo luogo, questa non fu una polemica tra liberali e conservatori, ma tra due figure di primo piano che stavano nello stesso campo (o almeno così si credeva) e che occuparono le vette dei tempi, il migliore contro il migliore. Infine, essi finirono per rappresentare due progetti opposti per il futuro delle loro rispettive società in crisi. Fu questa combinazione di forze che rese il loro confronto così definitivo, così epocale. Queste osservazioni aiutano a chiarire la relazione tra il mio libro precedente e il presente volume su Erasmo e Voltaire. Inoltre, il riconoscimento aiuta a sciogliere un nodo. Si è ritenuto (in modo confuso, credo) che in Dualisms abbia presentato in modo più favorevole gli autori che ho chiamato “demonici”, la linea di Lutero, Rousseau, Dostoevskij e Sartre. Con quella rappresentazione non intendevo esprimere una preferenza per l’uno o per l’altro, ma affermare un fatto storico e psicologico – un recensore ha parlato di “fatto bruto” – in quanto gli scrittori “della coscienza”, Erasmo, Voltaire, e Turgenev (e anche Camus per i parigini del 1952) erano schiacciati dalla maggiore convinzione dei loro rivali dall’indole più tenace. Una cosa del genere può sempre accadere. Se in Dualisms ho inavvertitamente veicolato una preferenza, allora Erasmo e Voltaire può essere l’occasione di una sostanziale rettifica. È infatti un ritratto drammatico dei punti di forza e della continuità di linee di pensiero i cui punti di riferimento sono e saranno sempre Erasmo e Voltaire. Dualisms si basava su quella che chiamo una poetica laterale, in cui lo scontro intellettuale è inveterato e costante e in cui, per dirla 23
con Lutero, si è o Caino o Abele, non essendoci nel suo universo dominato dalla figura dell’aut aut nessun regno intermedio, nessun purgatorio. Nello stesso modo William Blake, esaminando le principali divisioni tra gli scrittori inglesi, affermava che sarebbe un grave errore cercare di riconciliare Byron e Wordsworth o Chaucer e Milton (cfr. McGann): «Chiunque cerchi di riconciliarli cerca di distruggerne l’esistenza» (p. 20). In Erasmo e Voltaire, invece, utilizzo una poetica verticale. Con il passare dei secoli si verifica un incontro di intelligenze, si forma un fronte comune che, trascendendo le mere coincidenze e connessioni, fornisce un’immagine migliore di una mentalità duratura quanto quella delle rivalità incrociate. Resta sicuramente aperta la questione, che è nostro compito affrontare, se il “dinamismo” di una parte sia più interessante dell’atteggiamento meno tumultuoso, meno stimolante dell’altra. Dualisms era incentrato su differenze radicali, controverse e ricorrenti, e su contrasti senza fine che neanche la morte ha potuto ricucire. Questo libro invece mette in luce le somiglianze e le affinità che nel corso dei secoli hanno unito i destini di due menti geniali. Alcuni elementi importanti del loro pensiero e alcuni punti di contatto, che sono stati spesso trascurati o addirittura non riconosciuti quando li si è affrontati singolarmente, possono riemergere con rinnovata forza se li si prende in considerazione in coppia. Quando vengono accostate due figure come Erasmo e Voltaire, si trasforma la loro natura e il rapporto che le lega, e così si riesce a metterle in relazione con altre cose, e quindi a stabilire una linea di continuità che supera e trascende le “mere” differenze. È una dinamica che si verifica in relazione a tutti gli “scrittori della coscienza”, da Erasmo e Voltaire fino a Turgenev e Camus. E infatti nell’epilogo del volume, Erasmo e Voltaire vengono associati a Cassirer. Separati dalla matrice unitaria attraverso il metodo della comparazione, Erasmo e Voltaire vengono trasformati in modo sostanziale affinché possano entrare in altre relazioni significative. Questo cambiamento morfologico ha senso nella misura in cui distingue questa metodologia da quella di altri ammirevoli studi 24
che, raccogliendo un gran numero di testimonianze, riescono a rendere ben visibili i tratti distintivi di un’epoca. Vengono in mente vari studi classici, ma qui voglio ricordarne solo due, La filosofia dell’Illuminismo di Ernst Cassirer e L’Idée de nature en France dans la première moitié du XVIIIe siècle di Jean Ehrard. Entrambi sono saggi ricchi di riferimenti e di lettura piacevole. Il secondo in particolare mostra che i pensatori del primo Illuminismo francese fecero dei compromessi su alcuni temi controversi. La natura stessa ha stabilito i propri limiti. Dal un lato era un’idée-force, dall’altro un’idée-frein (Ehrard, 2:786). Come idea-forza, è stata utile come argomentazione contro la superstizione, il fanatismo, e il dispotismo, ma come idea-freno ha mantenuto l’individuo dentro confini ben definiti, quelli dello “honnête homme”, devoto al buon gusto e alla ragione. Questa può sembrare un’immagine semplificata di Voltaire. Ma il problema sta nel fatto che questo fare affidamento a idée-force e idée-frein, anche se tipico del secolo dei lumières, non è nuovo. La stessa tendenza al compromesso è rintracciabile anche in Erasmo, in particolare in un’opera come l’Elogio della follia, ma non solo. La tendenza a rimanere intrappolati in questo dilemma e ad accettare queste idee contrastanti e questi impulsi era tipica del periodo in cui fu scritto il saggio di Ehrard, ma non è una prerogativa di quell’epoca. Qui entra in gioco l’utilità e la legittimità delle tipologie, o comparazioni trans-storiche, che mostrano come Erasmo e Voltaire siano accomunati da idee di liberazione unite a un sano senso della moderazione (cosa che, nella prospettiva più larga di Dualisms, li collega anche a Turgenev e Camus). L’ostinato positivismo che vede una cosa per quello che è e soltanto per ciò che è (che è realisticamente impossibile) ha un fondo di verità. Ma l’ostinazione può facilmente diventare testardaggine e addirittura dogmatismo, se nega le possibilità immaginative delle trasformazioni prodotte dalle comparazioni, dove esse non hanno valore di per sé, ma in relazione ad altro. Nel corso del tempo questa costruzione può rivelarsi un modo straordinario di offrire e possedere conoscenza. 25
Consapevolmente o meno, anche l’individuo più isolato ha una funzione all’interno di un paradigma storico. In questo caso, le sintesi interpretative di W. K. Ferguson e H. Trevor-Roper forniscono una comprensione più ricca delle condizioni che accomunano Erasmo e Voltaire e rendono possibile una risposta al tipo di domande che questo saggio ha ereditato. La coincidenza dello sviluppo degli ambienti sociali e culturali è evidente. Là dove Erasmo e i suoi predecessori e seguaci presero parte e dettero voce alle nuove condizioni sociali che contribuirono alla decisiva rottura con la precedente cultura del Medio Evo, queste stesse condizioni persistettero e influirono sempre di più nel passaggio dall’epoca di Erasmo a quella di Voltaire. Il preludio del Rinascimento fu segnato da una rottura; il suo epilogo dalla continuità2. Come ha sostenuto Ferguson in una serie di brillanti saggi che sono tra le sintesi migliori della cultura rinascimentale, quel periodo (1300-1600) fu un’epoca di crisi, di transizione. All’inizio la cultura europea dipendeva da un’economia feudale e da una Chiesa “universale” con forti mire temporali. Alla fine del periodo l’economia europea era sempre più urbana, opulenta, con un commercio e un’industria fiorenti (nonostante le flessioni cicliche), con Stati-nazioni dominanti, e con una Chiesa che si vedeva costretta a rinunciare alle sue ambizioni territoriali e a limitarsi alla cura dei bisogni spirituali dei fedeli. Nelle società più progressiste le fu impedito di stabilire una “unione fatale” (Trevor-Roper) con lo Stato, quel tipo di teocrazia che chiuse i confini dell’Italia e della Spagna e che portò all’emigrazione di alcuni dei suoi cervelli migliori. Non è importante tanto la chiarezza generale di queste osservazioni quanto piuttosto la loro facile applicabilità, ciò che Ferguson chiama la loro “applicabilità ai fatti storici” (Europe in Transition, p. 9). E, 2
Nel suo saggio Protestantesimo e riforma sociale, Trevor-Roper ha sostenuto la stessa tesi. Nel suo libro, tre secoli di storia europea, dal 1500 al 1800, iniziano con il Rinascimento e si concludono con l’Illuminismo, “e tra queste due epoche storiche non vi è, sotto molti aspetti, soluzione di continuità” (p. 1, trad. it. p. 41). Ferguson ha stabilito lo stesso principio di continuità tra Rinascimento e Illuminismo (The Interpretation of the Renaissance, p. 129).
26
possiamo aggiungere, la loro applicabilità a volti particolari, agli uomini in battaglia, ai loro bisogni e alle loro aspirazioni. Questi cambiamenti hanno avuto enormi ripercussioni – da un’economia fondiaria di tipo feudale, con le aspirazioni di una Chiesa universale con tutte le sue istituzioni e i suoi ordini, a un’economia opulenta, con un laicato emergente e più forte e uno Stato nazionale centralizzato. Se guardiamo a questo cambiamento possiamo vedere che del mondo di cui Erasmo fu tra i primi rappresentanti, aiutandolo e sostenendolo, Voltaire rappresentò il compimento (come ha sostenuto Margolin, si veda più avanti). Più che di rottura, o di differenze di grado che portano a differenze di tipo, o di un cambiamento quantitativo che porta a uno qualitativo, si può parlare di una continuità evolutiva. Ovviamente, bisogna reinterpretare radicalmente la mentalità e le credenze degli umanisti cristiani del Sedicesimo secolo prima di poterli accostare ai più secolari umanisti del Diciottesimo secolo, ma ciò avviene all’interno di un gradiente di sviluppo reso disponibile da cambiamenti sociali più ampi. Là dove Ferguson ha descritto le forze che controllano i cambiamenti sociali, nel famoso saggio Protestantesimo e riforma sociale, Trevor-Roper ha chiamato “erasmianesimo” il canale che collega il Rinascimento (o la Riforma) all’Illuminismo. Con questo termine egli non intendeva riferirsi a Erasmo o alle sue dottrine, ma agli atteggiamenti sociali che si sviluppano nel tempo. Ciò comporta il rifiuto di “gran parte della nuova impalcatura esteriore del cattolicesimo ufficiale”: la difesa del laicato sui temi del matrimonio e della dignità delle “vocazioni”, e in generale un’attitudine alla tolleranza più dolce, più gentile, e teologicamente meno restrittiva (p. 33, trad. it. p. 64). Questa è una distinzione cruciale, e secondo molti un percorso che poté essere seguito dall’erasmianesimo, ma non da Erasmo. Ciò ci porta a una domanda che è stata spesso posta: perché la discussione deve limitarsi a considerare Erasmo e Voltaire e non anche Turgenev e Camus? Si potrebbe evitare la domanda e dire che parlare dei primi due significhi parlare anche degli altri. E ciò 27
sarebbe in parte vero. Ma c’è una ragione migliore per farlo: Erasmo e Voltaire si collocano sulla stessa linea di continuità storica. Ci sono connessioni dirette e indirette e anche convergenze, situazioni e per di più nemici comuni. In breve, gli umanisti cristiani del Sedicesimo secolo che rappresentarono la moderazione e la pace, ma che furono ostacolati dai “confessionalisti” (si veda Rummel, The Confessionalization of Humanism in Reformation Germany), potrebbero in qualche modo aver trovato una legittimazione, così come mutatis mutandis potrebbe averla trovata anche Erasmo, nel più secolarizzato umanesimo dell’Illuminismo. Non abbiamo modo di saperlo. Ma sappiamo che, invece di essere ripudiato, un nuovo Erasmo, attraverso l’erasmianesimo, fu chiaramente acquisito dall’Illuminismo. Avvertenze. In questo studio uso i termini francesi voltairien e voltairienisme invece di “voltairiano” perché nel loro significato originario indicano la reputazione più battagliera di Voltaire nel Diciannovesimo e nel Ventesimo secolo. Inoltre mi riferisco al protestantesimo radicale con la “p” minuscola per indicare un’attitudine, e al Protestantesimo con la maiuscola quando si parla di questioni di dottrina religiosa. Questo volume è in primo luogo uno studio di quei “momenti” in cui si incrociano le vite e gli interessi intellettuali, il carattere e il pensiero di Erasmo e Voltaire. Ciò significa che non vengono citati alcuni lavori di grande valore; significa anche che alcune questioni, la cui discussione nel testo risulterebbe forzata, possono tuttavia trovare un ormeggio confortevole nelle note. Per esempio, “erasmiano” e “voltairien” nei loro distinti sviluppi storici non hanno alcun ruolo speciale nel testo, ma le strade diverse che hanno seguito e le dispute che hanno generato vengono ripercorse nelle note 4 e 5 dell’introduzione. In aggiunta ai lavori citati, le note hanno un ruolo più ampio della semplice citazione e possono essere usate come approfondimenti e chiarificazioni. Ci sono pertanto note che trattano nel dettaglio della disastrosa – addirittura pericolosa – esperienza di Voltaire alla corte di Federico II. Ciò dice 28
molto su Voltaire ma molto poco sul rapporto tra Erasmo e Carlo V. Di qui l’occasione perfetta per una nota. Un discorso simile vale per l’epilogo, in cui vengono ripercorse le strade separate di Cassirer e Heidegger. Per quanto riguarda le fonti testuali, semplicemente rimando il lettore alla sezione delle Opere Citate, e dove la serie di citazioni da una fonte principale non è interrotta da altri rimandi, semplicemente utilizzo i numeri di pagina senza ulteriori riferimenti. Ringraziamenti. Tre amici, Jay Martin, Nancy van Deusen e David Michael Hertz, hanno contribuito in modo significativo a questo studio; hanno offerto utili consigli sullo stile e sulla struttura del testo. Al mio assistente personale Anthony B. De Soto, che è stato di grande aiuto in particolare nelle fasi finali del manoscritto, va un grande ringraziamento. Tutti sanno che nessun libro arriva alla sua destinazione senza la guida di un editor capace, e dunque ringrazio molto Ron Schoeffel. Gli ultimi due libri che ho scritto non sarebbero stati possibili senza l’incoraggiamento amorevole di Roberta L. Johnson.
29
ABBREVIAZIONI
Allen Allen P. S., Opus epistolarum Des. Erasmi Roterodami, Oxford, Clarendon, 1906-1958. AS Erasmus Desiderius, Encomium Moriae Erasmus von Rotterdam, Ausgewählte Schriften, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1976. ASD Erasmus Desiderius, Opera omnia Desiderii Erasmi Roterodami, Amsterdam, North Holland, 1969. CEBR Bietenholz Peter G. and Deutscher Thomas B., Contemporaries of Erasmus: A Biographical Register, Toronto, University of Toronto Press, 1985-1987. CWE Erasmus Desiderius, Collected Works of Erasmus, Toronto, University of Toronto Press, 19741. LE Rupp E. Gordon e Watson Philip S., Luther and Erasmus: Free Will and Salvation, Library of Christian Classics 17, Londra, SCM, 1969. OC Voltaire, Œuvres Complètes, Parigi, Garnier, 1877-1885. RC Voltaire, Romans et Contes, Parigi, Gallimard, 1979.
1 Seguendo Quinones, abbiamo scelto di lasciare nel testo il riferimento all’edizione completa internazionale delle opere di Erasmo (CWE). Lo stesso vale per i riferimenti alle opere complete di Voltaire in lingua originale (OC). Nel caso delle opere principali di Erasmo e Voltaire, ove possibile abbiamo indicato anche il riferimento alla traduzione italiana [N.d.T.].
31