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arte: monet 4|michele sambin 24 | metamorfosi nella natura, la morte degli ulivi

metamorFosi nella natura. la morte degli ulivi

Con una cerimonia di donazione, il dipinto realizzato dalla classe “ 5D Arti Figurative del Liceo artistico Ciardo Pellegrino di

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Lecce è stato collocato nella sede della Provincia di Lecce a Palazzo dei Celestini ”

LECCE.

“metamorfosi nella natura. La morte degli ulivi” il bellissimo dipinto realizzato dalla classe 5D Arti figurative del Liceo artistico Ciardo - Pellegrino di Lecce, dal 6 dicembre campeggia sulle pareti della sede istituzionale della Provincia di Lecce. L'opera realizzata nell’ambito del Concorso di idee per la valorizzazione della storia e delle comunità locali, promosso dalla Provincia di Lecce con il progetto europeo Palimpsest (Post ALphabetical Interactive museum using Participatory, SpaceEmbedded, Story-Telling) si compone di cinque tavole, dipinte con tecnica mista (di 6 metri di lunghezza per un’altezza di 2,5 metri), resterà esposta permanentemente nell’ampio spazio che conduce all’aula consiliare di Palazzo dei Celestini, vicino al busto di martino Luigi Caroli, primo presidente eletto della Provincia di Lecce nel 1951. Accompagna l'opera il testo descrittivo curato dagli allievi che così ne raccontano il senso: “metamorfosi nella natura, morte degli ulivi, nelle sue forme e nei suoi intrecci, di resti di radici, racconta in un linguaggio figurale il dramma della morte degli ulivi, testimoni della storia millenaria di questo lembo di terra. Ogni figura ritratta senza ordini di grandezza, in una composizione surrealista ed espressionista, talvolta gestuale, è una radice affiorante, segno di un immenso dolore che si sta consumando in questo mentre di storia umana. L’uomo non ha guardato l'immenso tesoro

naturale che lo ha circondato da sempre e ha avvelenato tutto, dando vita a radici antropomorfe, senza ormai più vita. Non colori, non gioia, ma segni di un dramma compreso molto tardi” . Un lavoro corale che ha visto insieme gli studenti della 5 D lavorare come si faceva nelle botteghe seicentesche sotto la guida attenta dei docenti referenti del progetto Enzo de Giorgi e massimo marangio. La cerimonia di donazione si è svolta alla presenza del presidente della Provincia di Lecce Stefano minerva e il dirigente del Servizio Politiche europee Carmelo Calamia, e ha visto la partecipazione della dirigente scolastica del Ciardo – Pellegrino Tiziana Paola Rucco, i docenti referenti del progetto massimo marangio ed Enzo De Giorgi e l’intera classe 5D, composta da Gaia Assunta Arigliani, Silvia Baglivo, Noemi Capodieci, Isabella Centonze, Chiara De Carlo, Francesca Fanciullo, mariachiara Fasano, marta Fattizzo, marco Fina, Giulia Fiorentino, Asia maria Lorenzo, Erika marchello, monia marzougui, Francesca miglietta, margherita Patruno, Rebecca Pittaluga, Benedetta Ste-

fanelli. «Con quest’opera ragazzi, voi entrate nella storia perché questo è un palazzo storico importante, che accoglie all’interno altre opere d’arte ed è esso stesso un’opera d’arte del Barocco. Il fatto che sia collocata nel corridoio principale che porta all’aula consiliare consegna la vostra arte alla storia perché il vostro quadro rimarrà qui e sarà visto dai tanti che attraverseranno questo luogo. Per questo vi siamo grati.» Questo il commento del presidente Stefano minerva al quale si è aggiunta la dichiarazione della dirigente del Ciardo Pellegrino Tiziana Rucco: «Questa cerimonia premia una scuola che ha sempre lavorato a fianco della Provincia. Siamo stati sempre partecipi di tantissime iniziative e progetti, portati avanti con serietà e impegno, credendoci

da entrambe le parti e cercando di offrire ai ragazzi qualcosa che andasse al di là delle lezioni didattiche e che formasse i futuri cittadini. Quindi, doniamo quest’opera con grandissimo piacere ed onore. Ringrazio i ragazzi e i docenti che li hanno seguiti in questo progetto. Questi ultimi, tra l’altro, hanno messo a disposizione non solo tutta la loro bravura e professionalità, ma anche tanto di q u e l l ’ e s s e r e maestri prima ancora che professori». Una bellissima opera che fotografa il periodo storico difficile per il Salento ma al contempo «un biglietto da visita che in questo momento storico la Provincia di Lecce vuole mandare all’Europa in segno di rilancio, di rinascita e di speranza» ha concluso il capo di Gabinetto Andrea Romano.

a campi salentina arte sacra tra prodigi e misteri

Sara Foti Sciavaliere

e la “La Collegiata Chiesa di S.Oronzo tra i tesori del comune salentino”

Sembrano guardarsi a pochi passi, come madre e figlia, l’una di fronte all’altra, sulla piazza principale di Campi Salentina, la Collegiata di Santa maria delle Grazie e la Chiesa di S.Oronzo. Il dibattito sul luogo di culto più antico del paese nel nord del leccese non ha portato ancora a nulla di certo. Sicuramente in principio c’era l’antica cappella sulla collina della madonna dell’Alto, oggi in una proprietà privata in campagna, ben lontana dall’abitato, alla quale si riferivano gli abitanti dei villaggi di Afra e Bagnara, prima di essere costretti a un “esodo” a causa delle scorrerie dei Saraceni, nel X secolo, verso quella depressione dove nascerà poi l’attuale paese. Qui secondo alcuni studiosi la chiesa piùanticapotrebbeesserestataquelladiSanta maria degli Angeli o quella di San Francesco d’Assisi, nel rione Conza, che pare sia il nucleo fondante del paese. ma gli esperti non sono tutti unanimi in questa congettura, e c’è chivorrebbeproprionellaCollegiatalasuaprima chiesa, non nelle sue fattezze odierne naturalmente, ma guardando a un’edificazione di molto precedente, testimoniata da un’intrigante rinvenimento fatto nel 1980. Erano in

corso delle ricerche sulle strutture cinquecentesche affioranti nell’impianto seicentesco, per accertare l’esistenza di una serie di colonne in carparo integrate nelle navate laterali, e fu così che, nello spessore della muratura perimetrale a nordest, verso la porta della Tramontana, sono emersi i resti di quella che è stata definita nel tempo la “cappella gotica” . Una cappella dalla volta costolonata e affreschi di profeti e motivi decorativi, insieme allo stemma gentilizio della famiglia feudataria dei maremonti, ai quali si deve anche attribuire la fondazione dell’edificio sacro, databile all’incirca al 1380. La distruzione della cappella, e forse dell’intera chiesa, doveva essere avvenuta verso

la fine del 1400 e gli inizi del secolo successivo, periodo in cui si attesta l’edificazione da parte di Belisario, ultimo dei maremonti, la nuova chiesa ancora oggi esistente, seppure nelle modifiche subite nel corso del tempo. DiBelisariomaremontiviè anche il cinquecentesco monumento funerario, situato sino al 1683 nella cappelladiS.Agnese,oggi collocato in controfacciata (sulla destra, entrando dal portale maggiore). Le cappelle laterali, che furono aggiunte - insieme alle due navate minori - nel rifacimento voluto dal barone maremonti e poi dalla marchesa Donna maria Paladini, e anche altre notevoli aggiunte effettuate del ’700, hanno una linea baroccheggiante, che sostituisce le linee purissime del ’500. Ogni cappella accoglie la sepoltura di una o più famiglie che si sono succedute nel patronato, mentre le sepolture comuni sono distribuite nella navata centrale. All’interno della chiesa sono da ammirare anche il battistero e il pulpito: entrambi in legno intagliato, ricoperto in oro zecchino, e di uguale fattura era l’organo che, purtroppo, andò distrutto nell’incendio del 1902.

t e r r i t o r i o i l e l ’u o m o S t o r i e

I fondatori della vecchia “Campie” portarono dai loro villaggi anche le loro immagine sacre e i riti della loro fede, e in particolare un Crocifisso scolpito in legno di perastro, eredità dei monaci basiliani che avevano abitato antiche grotte scavate lungo le pendici delle colline. Quel miracoloso crocifisso, venerato per lunghissimo tempo e conosciuto solo grazie a una fotografia del 1876, andò anch’esso in fiamme nel tremendo incendio scoppiato nella Collegiata tra il 3 e il 4 maggio 1902. Al suo posto, nella cappella di fondo della navata di destra fu offerto al culto dei fedeli un nuovo Cristo ligneo scolpito da Luigi Guacci nel 1913, che conosce momenti di devozione popolare nei periodi di estrema siccità o altre gravi calamità atmosferiche, quando l’effige veniva trasportata in processione verso la collina della madonna dell’Alto, per ricollocarla nell’omonima chiesetta romanica da dove era stata portata via dai profughi di quelle contrade. Un culto che si è rinnovato anno dopo anno nella solenne festività del 5 maggio.

Accanto a quest’altare si apre la porta della sacrestia che si mostra come una piccola pinacoteca. Tra i dipinti qui conservati attirano l’attenzione due opere che potremmo dire misteriose. Si tratta di due tele (130 x 180), dalla paternità ancora non identificata e pare databili intorno al terzo decennio del XVII secolo: “Erodiade che presenta la testa del Battista” ed “Ester e mardocheo” . Si è supposto che per ricostruire le vicende di tali opere

bisogna guardare al Reggente Giovanni Enriquez, che aveva sposato Donna maria Paladini (al suo secondo matrimonio), grazie al quale la baronia di Campi sarà elevata a marchesato, e inoltre la Collegiata andrà ad arricchirsi. L’ipotesi di fatto vorrebbe che i due dipinti siano appartenuti appunto agli Enriquez e si è considerata l’atipicità delle loro dimensioni, anomale per arredare un altare, e gli argomenti trattati. La prima opera narra un ben noto episodio di Giovanni, in cui Erode Antipa - poiché Salomé danzò per lui - le concesse, su istigazione della madre, l testa del Battista, il quale aveva pubblicamente condannato l’unione incestuosa e adulterina del re con la nipote Erodiade. La seconda opera ritrae Ester in trono, che consegna al cugino mardocheo, il decreto del marito, il re Assuero, che aboliva l’ordine di uccisione degli Ebrei in Persia. Argomenti che potrebbero apparire come tanti, se il primo non rinviasse al nome Giovanni del marchese Enriquez e il secondo non fosse più volte proposto in pittura sui cassoni nuziali; inoltre, Giovanni Enriquez e maria Paladini si sposano in un giorno che coincide pressappoco con la festa del Purim istituita da Ester e mardocheo a ricordo della salvezza degliEbreiminacciatidallosterminiopersiano: ad oggi comunque si tratta di supposizioni, non suffragate da documenti. Dalla sacrestia fino alle spalle dell’altare maggiore, è possibile procedere in un breve e suggestivo percorso museale di arte sacra, di recente allestimento, lungo il quale sono esposti arredi liturgici, paramenti sacri e vari oggetti legati al culto e facenti parte del corredo più prezioso del-

la Collegiata e frutto di ritrovamenti effettuati durante lavori di scavo e restauro della Chiesa matrice. La presenza degli stemmi gentilizi su alcuni manufatti favoriscono l’individuazione della committenza: per esempio, un calice figurato donato dalla famiglia Paladini-Enriquez come risulta dallo stemma araldico inciso al di sotto della base; dell’arredo liturgico fatto realizzare dagli Enriquez di Castiglia fanno parte anche tessuti e, in particolare, due pianete che riportano lo stemma ricamato sul dorso e testimoniano l’appartenenza al cardinale Enrico Enriquez, figlio di Don Giovanni Enriquez II e Donna Cecilia minutolo Capece, ambedueiparamentisonoricamatiinorozecchino su tessuto ottomano, l’uno però in rosso e l’altro in bianco, per ovvie esigenze liturgiche. Troviamo anche un messale decorato elegantemente da brocchie angolari in argento e suggellato dallo stemma della famiglia Cristaldo magi, altro esempio di donazione. Esposte ci sono anche diverse cartaglorie e un antifonario del XVIII secolo, insieme a calici, ostensori e incensieri. Traglioggettiinesposizioneèimpossibilenon notare due ceste colme di centinaia di frammenti di Cristi crocifissi in terracotta. È un enigma che ancora non trova risposta, da quando nell’aprile del 1980, il prof. Alfredo Calabrese, nel corso di lavori di ricerca in atto nella Chiesa matrice, li ha rinvenuti per una pura casualità sotto il pavimento dell’altare maggiore. Una collezione senza dubbio singolare, tutti di varia dimensione e stile, e tanto numerosi da comporre circa duecento figure integrali di Cristo. Forse furono raccolti tra le ceneri e le rovine di un incendio che avrebbe potuto distruggere la “chiesa gotica” all’interno

della quale potevano essere conservati, o forse furono distrutti volontariamente ai piedi dell’altare del venerato Crocifisso per ottenere una grazia, riportando in vita - in maniera bizzarra - l’uso dei culti pagani che prevedevano il rito delladistruzioneeilseppellimento -nei pressi del tempio - dei frammenti degli ex voto, quali sono appunto questi cristi. Comunque è da evidenziare anche la mancanza di analoghi rinvenimenti, nel territorio salentino o altrove, e ciò rende di sicuro ancora più oscura l’interpretazione di questo ritrovamento. Ci spostiamo fuori la Chiesa di Santa maria delle Grazie. Come scrivevo all’inizio, proprio di fronte alla Collegiata si trova la cappella di S.Oronzo, costruita nella seconda metà del XVII secolo, quando mons. Luigi Pappacoda non si accontentò di una tela dedicata al santo, commissionata dal vescovo stesso al pittore Carlo Rosa di Bitonto, fatta collocare in principio nell’altare in Coena Domini della Collegiata, bensì si era accesa nel monsignore la ferma intenzione di far costrui-

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re un’intera cappella nella Chiesa matrice. Sant’Oronzo era stato autore di un miracolo di intercessione, ritenuto di fatto colui che aveva dato protezione a Lecce e a tutto il Salento dalla terribile epidemia di peste che aveva investito il Regno di Napoli nel 1656, e facendolo pertanto elevare, nel 1658, al patronato di Lecce e della provincia. Grazie alle offerte dei fedeli, nel 1662 si iniziarono i lavori di costruzione, che si protrassero fino al 1670, però i lavori di edificazione della cappella non furono eseguiti nella Collegiata, in quanto si ritenne che avrebbe pregiudicato l’intera fabbrica della chiesa, e pertanto fu realizzata esteriormente. Ed è lì che la troviamo, di fronte al portale maggiore della matrice, lungolostessoassedell’altaremaggiore e sullo stesso piano di calpestio, quasi ne fosse un ideale prolungamento, una sua appendice, stabilendo architettonicamente una continuità religiosa tra le due costruzioni sacre. Ed è sull’altare principale dedicato al Santo titolare - rifatto nel 1737 su probabile disegno di Giuseppe Cino - che fu collocata la tela di Carlo Rosa.

In essa S.Oronzo è rappresentato con la mano sinistra abbassata sui centri abitati di Lecce (riconoscibile dalle porte d’accesso) e Campi (nel quale si nota il campanile settecentesco della Chiesa matrice), in segno di protezione, e la destra benedicente. Si parla di un prodigio legato a questa tela, in quanto si narra che la

mano del Santo si sia abbassata rispetto alla rappresentazione dei luoghi succitati: all’epoca fu perfino istituito un processo in merito,ma una moderna analisi scientifica - tramite radiografie del dipinto - nulla ha rilevato, non riuscendo ad attestare sottostrati pittorici con una posizione della mano a un livello differente. L’altare del Santo, esempio di barocco leccese, realizzato per intero in pietra locale con decorazione policroma, presenta ai lati della tela quattro colonne - due tortili e due sezione

circolare - con sfarzosi decori scolpiti e trattati in oro zecchino. Nella cimasa, una tela ovale rappresenta “La Conversione di S.Oronzo” . All’esterno dell’altare vi sono inoltre le statue di S.Fortunato e S.Giusto. A destra dell’altare principale è collocato il simulacro in cartapesta di S.Oronzo, che in precedenza era stata conservato nel Cappellone del SS.Sacramento nella Collegiata, a sostituire il settecentesco busto d’argento di scuola napoletana rubato nel 1976 e oggi, che ha ritrovato la sua collocazione in una copia, su modello originale, eseguita daAlbino Sirsi e inaugurata durante la festa patronale nel 2003. Attribuiti a Carlo Rosa sono anche i dipinti degli altari minori, mentre sulle porte delle due sagrestie, dove fanno bella mostra le statue di S.monica e S.Irene, vi sono le tele del 1799, firmate dal pittore campiota Pasquale Grassi, che raffigurano La Predicazione e Il martirio di S.Oronzo. Inoltre, nella sagrestia di sinistra si conservano tutti gli strumenti necessari all’organizzazione della festa del Santo, che a Campi - in differita rispetto alla data ufficiale del 26 agosto - ricorre il 31 agosto e l’1 settembre.

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