ArteSera 17

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N째17 Aprile/maggio 2013

Pubblicazione Gratuita / Bimestrale / Anno III / Numero 17


Il nuovo progetto di ArteSera Produzioni www.arteseradesign.it


di Olga Gambari e Annalisa Russo

Che cosa vuol dire cogliere un’avanguardia?

I

n campo artistico, riconoscere un nuovo tipo di linguaggio che si contrappone a quello tradizionale; ma più in generale forse significa entrare in un flusso, intercettarlo senza esserne inizialmente consapevoli. Farsi guidare da un’intuizione ma non saperla ancora leggere fino in fondo, attraversati da una libertà che si sa essere giusta, per poi scoprire tempo dopo che quell’intuizione era corretta.

A volte questa visione è talmente netta da poter modificare una professione, come quella del designer che raccontiamo qui, o a volte una professione si può modellare in base ad essa. In questo numero esploriamo una diramazione del design secondo il punto di vista di un giornale d’arte: ci siamo avvicinati ad un ambiente tangente il nostro ma contraddistinto da proprie logiche, meccanismi e snodi. Ci siamo fermati sulla strada tra Torino e Milano, senza passare da Parigi, per abbozzare un panorama visibile in Italia già da decenni, ma che all’estero ha avuto ed ha maggiore nitidezza. Molti lo definiscono Art Design, anche se negli anni ‘90 i primi a metterlo in pratica in Italia non avevano ancora ben chiaro di che cosa si trattasse. E ancora oggi, non esiste una definizione univoca, ma un fare visto in modi diversi, un universo caleidoscopico che passa dalla tiratura limitata al pezzo unico, fino ad arrivare all’anarchia della forma liberata dalla funzione. E tra le opinioni che abbiamo raccolto proprio libertà è un termine ricorrente: fare art design oggi è una conseguenza di una pulsione artistica, di una necessità di espressione individuale che incontra una domanda capace di apprezzare il pezzo unico e innamorarsene. Allargando lo sguardo, l’art design è una coerente espressione di nuovi modelli culturali ed economici che privilegiano l’hand made, la creatività, la ricerca rispetto a soluzioni pre confenzionate e uguali per tutti. Come anche il fenomeno dei makers, che porta in sé i semi di una rivoluzione produttiva e parla il medesimo linguaggio di ricerca e innovazione: in un corto circuito temporale, queste tendenze riallacciano il filo interrotto dopo l’Arts and Craft sublimandolo in nuove possibilità, derive, orizzonti. Ed è per questo che anche dopo questo numero continueremo a indagare il fenomeno dell’art design… con ArteSera Design, il nostro prossimo progetto.

BIMESTRALE / Anno iII / Numero 17 Aprile/Maggio 2013

Direttore Editoriale Annalisa Russo

Cover London Design Festival 2012, photo by Giuseppe Ghignone

Direttore Responsabile Olga Gambari Special Editor Giuseppe Ghignone Segreteria di Redazione Chiara Lucchino Art direction e progetto grafico Francesco Serasso

Hanno collaborato Angela Ardisson, Stefano Arienti, Maura Banfo, Enrico Bassi, Marco Bernardi, Luca Bertolo, Veronique Bigò, Gisella Borioli, Sergio Cascavilla, Giancarlo Cristiani, Michela De Petris, Stefania Galegati, Piero Gilardi, Corrado Levi, Irina Novarese, Rossana Orlandi, Flora Ribera, Piergiorgio Robino, Roberta Tedesco, Federica Caterina Teti, Patrick Tuttofuoco, Elisa Sighicelli. Contatti ArteSera Produzioni Lungo Po Luigi Cadorna, 7 - 10124 Torino www.artesera.it redazione@artesera.it

Stampa STIGE S.p.a. Pubblicità marketing@artesera.it

Testata giornalistica registrata. Registrazione numero N°55 del 25 Ottobre 2010 presso il Tribunale di Torino Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione n°20817 Tutti i diritti riservati: nessuna parte di questa rivista può essere riprodotta in alcuna forma, tramite stampa fotocopia o qualsiasi altro mezzo, senza autorizzazione scritta dei produttori.


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DIALOGHI TRA ARTE E DESIGN

#1

IL MADE IN ITALY OLTRE LA CRISI I n t e r v i s ta a F L O R A R I B ER A *

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a cura di OLGA GAMBARI

om’è percepita in questo momento storico l’immagine del design italiano e delle aziende che lo producono all’estero? Fortunatamente il Made in Italy ha, e continua ad avere, un percepito positivo all’estero, spesso noi non ne abbiamo coscienza. In generale questa crisi, non solo economica ma soprattutto anche sociale e politica italiana, ha un po’ travolto e stravolto l’immagine stessa italiana all’estero. Con ripercussioni sul mercato e sul valore e il riconoscimento del nostro fare. Certamente la nostra politica soprattutto non contribuisce all’immagine positiva del Paese. Il nostro “manufatto”, però, continua a essere vissuto come di grande qualità, realizzato con una capacità, sia artigianale che industriale, unica al mondo. Ci sarebbe bisogno di progetti ed eventi istituzionali che supportassero sulla scena internazionale il design italiano? Certamente sì. Se il nostro prodotto all’estero è sinonimo

di qualità, alle imprese italiane mancano le strutture, anche istituzionali, che le supportino. Sono piccole e medie imprese che, per mancanza di qualsiasi supporto, sono costrette a fare da sole, a differenza di quelle tedesche o francesi. Qual è il mercato del design italiano? Solo nazionale o anche estero? Dai dati della FederlegnoArredo sul 2012, risulta che il mercato nazionale è drammaticamente fermo o in arretramento decisivo. Invece il mercato estero va bene, tiene, con molto export. In Italia si apprezza il design nostrano o c’è soprattutto desiderio rispetto a nomi “stranieri”? Il design è internazionale, perché internazionali sono i progettisti, i creativi. Quando si parla di design italiano ci si riferisce alle aziende che lo producono. In generale rispetto al panorama del design italiano, sono apprezzati solo i nomi storici o anche le nuove firme? In un momento di crisi come questo, i pezzi iconici del design

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rappresentano sicuramente un acquisto più “rassicurante”. Ci sono, però, molti giovani o medio-giovani molto apprezzati. Le aziende italiane producono all’estero o sul territorio nazionale? Quasi tutte in Italia. Quali città sono particolarmente attive e vitali rispetto al design in Italia? Il design è sicuramente più diffuso al nord e Milano ne è la capitale. Ma ci sono città, come ad esempio Bari, in cui esistono alcuni dei più bei negozi italiani di arredamento.

*Flora Ribera woman, media specialist, design addict, manager, thinker, maker, more and more….

SULLE GALLERIE DI DESIGN I n t e r v i s ta a r o s s ana o r lan d i *

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e gallerie di design costituiscono un fenomeno abbastanza recente in Italia, mentre all’estero sono presenti già da diversi anni: a cosa è dovuto questo ritardo secondo Lei? In parte credo all’importanza del design storico italiano e alla sua relazione con il mondo dell’industria che porta i collezionisti a considerare il design sempre nell’ottica di un prodotto. Comunque sono dieci anni che io lavoro in questo campo e non sono l’unica. Riconosce un approccio diverso al progetto tra designer italiani e stranieri? Se sì, in cosa? Come dicevo, in Italia è ancora forte la classica relazione tra designer e produttore con i suoi ruoli ben distinti. All’estero, e mi riferisco soprattutto alle scuole del nord Europa, i designer da anni hanno imparato a “sporcarsi le mani” con piccole

a cura di GIUSEPPE GHIGNONE

edizioni o progetti già autonomamente ingegnerizzati se non addirittura autoprodotti e commercializzati. Credo che dipenda dal fatto che le scuole italiane sono rimaste molto più legate alla teoria mentre in Olanda per esempio c’è un approccio più pratico con la possibilità di utilizzare i tanti laboratori a disposizione delle Università. Che cosa distingue una galleria di design da una galleria d’arte vera e propria? Non credo ci siano grandi differenze sennonché spesso , ma non sempre, gli oggetti che vengono proposti verranno in seguito “utilizzati” dal cliente quindi oltre al valore concettuale e realizzativo devono possedere “anche” delle qualità funzionali. In altri casi esistono artisti come Nacho Carbonell che sicuramente utilizzano un dizionario e un codice espressivo proveniente dal mondo dell’industria e del design ma solo come mezzo per esprimere altro.

Come nasce una nuova mostra e in base a quali parametri scegliete i vostri artisti / designer? Cerchiamo di avere un punto di vista aperto a 360 gradi anche per questo spesso le nostre mostre sono collettive, cerchiamo in giro per il mondo giovani che abbiano delle idee nuove, che siano capaci di emozionarci. Altre volte quando ci accorgiamo che un giovane designer ha già sviluppato un suo linguaggio forte e originale emerge la necessità di una mostra personale che serve sia come momento di riflessione su ciò che ha già fatto ma anche come punto di partenza per nuovi progetti.

Come definirebbe la tendenza dell’ArtDesign? Non amo molto questo termine e cerco di non mettere paletti alla creatività. Chi sono i suoi utenti finali? Esiste un mercato trasversale tra quello dell'Arte e quello del Design? Sì esiste un mercato trasversale, soprattutto all’estero ma i miei clienti sono di tutti i tipi, è difficile classificare. Quello che mi sento di dire è che nella maggior parte dei casi sono delle persone molto interessanti.

*Rossana Orlandi (1945) Dopo oltre vent’anni nel mondo della moda decide di seguire l’altra sua passione: il design. Nel 2002 fonda lo Spazio Rossana Orlandi. Dal 2004 partecipa al Salone Del Mobile e svariate edizioni di Design Miami / Art Basel. Tra gli artisti / designer che ha aiutato a lanciare troviamo Maarten Baas, Piet Hein Eek, Nacho Carbonell e tanti altri.


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#3

SUPERDERSIGN @ SUPERSTUDIO I n t e r v i s ta a G i s e lla B o r ioli * a cura di ANNALISA RUSSO

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uperstudio Più è oggi una delle location più affermate della Milano creativa, sede di iniziative internazionali e cuore del Fuori Salone: com’è nato questo progetto e come si è evoluto negli anni? L’idea di Superstudio Più nasce nel 2000, per creare un grande centro per la creatività, dopo il primo Superstudio di via Forcella e gli studi fotografici per la moda aperti nel 1983. Ho lasciato definitivamente i giornali dopo aver fatto il direttore di diverse testate per trent’anni, e mi sono dedicata con passione a questo progetto, cercando di ospitare e far dialogare le “arti della contemporaneità” e i diversi linguaggi: moda, design, arte, danza, video, foto, creatività in genere. Il progetto si è evoluto naturalmente verso una formula cultural-commerciale che tendeva ad alternare eventi per i clienti più importanti a mostre e occasioni di visibilità per giovani talenti di tutte le discipline, ovviamente no-profit. L’idea di un “Fuori Salone” libero e aperto alle nuove idee è stata subito la carta vincente, oltre alla moda di ricerca. Il Temporary Museum for New Design fotografa ogni

anno lo “stato dell’arte” del mondo del design, dando voce attraverso un format museale ai grandi brand del design ma anche a giovani designers, aziende emergenti e creativi di tutto il mondo: ci può indicare uno o più progetti/ installazioni che secondo Lei sono state particolarmente emblematici in questi anni? Tutti ricordano le grandi mostre fatte con Cappellini, veri e propri eventi mediatici che hanno permesso di “lanciare” nomi planetari come Marcel Wanders, Tom Dixon, Fabio Novembre. O le installazioni museali di Bisazza, di Canon, di Foscarini, di Samsung, sempre in linea con le tendenze e ad alta tecnologia. Ma l’idea del Temporary Museum è in genere uno stimolo forte all’impegno degli espositori per non preparare uno stand banale ma una vera e propria installazione artistica, come fosse in galleria. Quali sono le novità di questa edizione? Un cambiamento di contenuti, un allargamento di merceologia, quasi il design fosse il passepartout per il successo anche di altri prodotti, quali auto, materiali, device, strumenti della vita quotidiana, persino i piccoli oggetti cui prima si chiedeva solo di essere funzionali. Una tendenza in atto cui rispondiamo con una evoluzione del Temporary Museum più aperta, fino al progetto freedomDesign, piccolissimi spazi per creativi artisti e artigiani, senza i limiti della produzione industriale. Nelle ultime edizioni si è ravvisata una progressiva tendenza a utilizzare l’espressione artistica per veicolare i contenuti e i valori degli oggetti di design. È una tendenza

destinata a crescere? Per quali motivi a Suo parere le grandi aziende si avvicinano sempre più al mondo dell’arte contemporanea? L’arte è un fortissimo alibi culturale e valore aggiunto, solo che pochissimi la sanno utilizzare bene per valorizzare i loro prodotti. Io ci credo fortemente e ne ho sempre fatto un mio punto forte. Quest’anno puntualizzo il percorso del mio “Fuori Salone” collaborando con artisti d’avanguardia che lavorano sullo spazio, con strumenti quali Video Mapping, proiezioni in 3D, video interattivi, luci ottiche ecc. Una serie di Art Interaction studiate insieme al portale HiWhim. Come definirebbe il concetto di art design? Il superamento definitivo della forma-funzione. Un gesto d’amore per l’espressione individuale, un modo di possedere qualcosa che hai solo tu, il piacere dell’oggetto unico, originale, non fatto in serie, di cui ci si può anche innamorare. Quali condizioni dovrebbero essere messe in atto dalle Istituzioni perché l’industria creativa italiana, a nostro parere vera risorsa per il futuro del Paese, si affermi concretamente in un contesto internazionale? Basterebbe ci lasciassero fare, senza troppa burocrazia, leggi dannose, impasse, costi inutili. Le aziende italiane hanno tutto, creatività, capacità, maestranze, cultura, entusiasmo. Non chiedono nulla, solo le condizioni necessarie per lavorare produrre e creare ricchezza, valorizzando il Made in Italy nel mondo. Sembrerebbe semplice e scontato ma, le assicuro, non lo è.

*Gisella Borioli, giornalista e direttrice di Superstudio Group, centro pulsante del fuorisalone milanese che da ormai cinque anni si afferma aprendo le porte del Temporary Museum for New Design. Ex direttrice di storiche testate di moda e fondatrice, negli anni ottanta di Superstudio, con il marito Flavio Lucchini, art director e il fotografo Fabrizio Ferri. Negli anni novanta fonda Superstudio Più, multilocation aperta ad eventi, di arte moda, teatro, danza e design con la direzione artistica di Giulio Cappellini. Howe, SixE, courtesy of Temporary Museum for New Design In alto: Marshal Office of the Wielkopolska Region, Container, courtesy of Temporary Museum for New Design


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DIALOGHI TRA ARTE E DESIGN

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SUL CONFINE P I ER G i O R G I O R O B I N O * a cura di GIUSEPPE GHIGNONE

*Nucleo è un collettivo di artisti e designer diretto da Piergiorgio Robino con sede a Torino. Nucleo è un team

Presenze Chairs - 2011 Design Nucleo_Piergiorgio Robino + Alice Carlotta Occleppo Exclusive for Nilufar Gallery

interdisciplinare attivo nel campo dell’arte contemporanea, design ed architettura. Nucleo ha esposto in numerose mostre in Italia e all’estero ed è rappresentato da diverse

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gallerie internazionali. http://nucleo.to/

uoi raccontarci i tuoi inizi e come il tuo lavoro si è evoluto nel corso del tempo? Nucleo nasce come studio di consulenza nei settori del product design e del fashion design. Oggi è un Atelier che realizza oggetti artigianali qualitativamente significativi, realizzati interamente a mano. Come nasce un nuovo progetto e quali sono le fasi per te irrinunciabili di studio/progettazione ad esso collegate? Prima quando Nucleo era consulente, il progetto scaturiva dalla domanda di un’azienda o dalla “necessità” del mercato. Oggi i progetti nascono come conseguenze. Conseguenza di una emozione, di una ricerca materica, di un errore, della bellezza di una goccia di colore che cade sul pavimento frantumandosi o, come in uno degli ultimi lavori, dalla paura. Come definiresti la tendenza dell’Art-Design? Una naturale evoluzione in atto su tutti i mercati: da una parte il low cost, dall’altra high end. Da una parte l’Ikea, dall’altra una nuova Haute Couture, arredi fatti su misura da designer con piccole produzioni artigianali curate in ogni dettaglio. Quali sono secondo te i luoghi, i punti di contatto tra Arte e Design? L’anello di congiunzione è sempre stato il punto di partenza, il progetto. Bruno Munari è stato sicuramente

l’esempio più significativo della vicinanza tra le due discipline: pittore, scultore, cineasta, designer, grafico, poeta, scrittore… Se negli anni settanta artisti del calibro di Lucio Fontana, collaboravano con Osvaldo Borsani a disegnare arredi unici, oggi è l’inverso: con il fallimento del modello della produzione di massa, i designer finalmente liberi dai numeri della serialità cercano nuova linfa nel pezzo unico. Quali sono per te oggi nel mondo del Design le tendenze più visibili? Da una parte abbiamo i makers, i nuovi artigiani, divisi tra analogici e digitali, dall’altra il design partecipato.

“Metal” Bronze Age Table - 2013 Design Nucleo_Piergiorgio Robino + Stefania Fersini / Exclusive for Gabrielle Ammann Gallery

Entrambe le tendenze sono accomunate dall’uso del web come media, come strumento di comunicazione e al tempo stesso di commercializzazione. La dimensione del fare e del progettare: qual è il giusto equilibrio tra le due in percentuale? Fifty-fifty. Chi sono gli utenti finali dei tuoi prodotti (privati, aziende, gallerie…)? E come ti veicoli presso di loro? Principalmente privati che acquistano tramite galleria.


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#5

ang e la a r d i s s on * a cura di GIUSEPPE GHIGNONE

*Angela Ardisson svolge da oltre 20 anni l’attività di designer progettando e realizzando personalmente i suoi prodotti sotto il logo di Artplayfactory Design. È art director e lavora in partnership con creativi nei settori del design, della moda e dell’arte. http://www.artplayfactory.com/

Diana Moldovan e l’installazione 2 + 2 fa sempre 4 di Angela Ardisson ph. Irene Scioti

Puoi raccontarci i tuoi inizi e come il tuo lavoro si è evoluto nel corso del tempo? L’inizio della mia professione avviene nel ‘91, a seguito di una scelta che ha drasticamente interrotto un percorso in essere nella moda. All’inizio non ero propriamente consapevole di ciò che stavo scegliendo di fare come lavoro. In quegli anni il Design era ancora inteso come progettazione in ambito industriale ed era difficile far capire esattamente e con una sola parola a definizione del mestiere che andavo sviluppando di giorno in giorno. Fabbro, falegname, elettricista… ma niente effettivamente di tutto ciò. Un mix di attività artigianali, come strumenti per le mie realizzazioni. Solo l’esperienza e la sperimentazione costante nel tempo hanno progressivamente e fisiologicamente definito in modo chiaro il mio lavoro.

Come nasce un nuovo progetto e quali sono le fasi per te irrinunciabili di studio/ progettazione ad esso collegate? Dare vita ad un nuovo progetto, significa ogni volta intraprendere una diversa strada, imbattersi in nuovi immaginari, arricchirli passo dopo passo. La curiosità è co-pilota. Niente perciò è scontato o inutile da capire e osservare. Ai miei studenti la prima cosa che insegno è di guardare e ascoltare con attenzione, partecipando sempre in prima persona “con gli occhi attenti dei bambini”, alimentando con l’emozione l’apprendimento. Come definiresti la tendenza dell’ArtDesign? Si parla di Art Design ma, ciò nonostante a tutt’oggi neanche Wikipedia ne definisce il senso. Credo che Art-Design vada inteso come accezione di funzionalità ben oltre

l’estetica, proprio perché quest’ultima non sia stata il motore del progetto, ma semmai uno dei risultati. Quali sono secondo te i luoghi, i punti di contatto tra Arte e Design? Un prodotto di art design ha un naturale modo di comunicare che trasuda dalla materia stessa, che è al contempo concetto e veicolo evocativo ed emozionale. Quali sono per te oggi nel mondo del Design le tendenze più visibili? Le tendenze, spesso in quanto tali non sono così facilmente percepibili. Si muovono allo stato di fermento puro, fibrillando nell’aria solo di riflesso. La visibilità dà accesso, svelando talenti nascosti, ma alterando parzialmente l’originale spinta del pensiero che ha generato l’oggetto, senza confronti, dogmi o comunque certezze collettive. Ammetto che c’è

comunque un vero e proprio conflitto in me tra concetto d’arte, così intima e svincolata, ed il valore di un oggetto d’uso, disincantatamente funzionale.. La dimensione del fare e del progettare: qual è il giusto equilibrio tra le due in percentuale? Nel mio lavoro sono assolutamente sinergiche. Chi sono gli utenti finali dei tuoi prodotti (privati, aziende, gallerie…)?E come ti veicoli presso di loro? Lavoro con Art director, architetti, aziende e privati e non vi è una modalità di accesso standard, può essere attraverso il sito web come per effetto di una pubblicazione del mio lavoro. Ho constatato nel tempo che chi mi contatta conosce già i miei prodotti e magari mi segue silente da anni.


S E R G I O C A S C AV I L L A

Intelligent Discomfort

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on è facile definire la figura di Sergio Cascavilla, sempre sul confine di ambiti creativi diversi, linguaggi che ibrida sin dai suoi esordi negli anni

Novanta. Un artista eclettico che con vari pseudonimi ha realizzato installazioni, dipinti, film, performance, moda, design, dj set, illustrazioni, show e programmi TV.

C’è differenza tra arte da un lato e design e moda dall’altro? La moda è più veloce, mentre l’arte è più statica, molto distante dal reale, anacronistica pur se “contemporanea”. Anche se le finalità sono diverse, la moda si rinnova ogni sei mesi con una nuova collezione presentata addirittura un anno prima della sua presenza sul mercato. È vitale per loro creare un dialogo attento

con la società che evolve, dettando addirittura tendenze. Nell’arte, invece, ci sono artisti che ripetono per tutta la vita lo stesso dipinto, per un evidente mancanza di idee e vitalità. Questo mixare nella mia arte i vari campi in cui sono più attivo ha permesso al mio lavoro di avere un’evoluzione anomala e quindi, per molti, difficilmente collocabile perché non classificabile. Per esempio? La mia installazione Oro Transformer, la macchina che trasforma gli oggetti in oro, era un’opera con cui il pubblico poteva interagire: modificava gli oggetti che venivano messi al suo interno, dopo che iniziava a fumare, a fare rumori, con l’accendersi di varie luci e sirene. Un’opera complessa, che rifletteva sul potere e l’economia, e che ha destato

molta attenzione soprattutto nel mondo parallelo della creatività, come quello del design. L’avevo presentata in anteprima nello studio milanese di Alessandro Mendini durante una Design Week, con un pubblico in prevalenza straniero. Da qualche anno lavori sull’astrazione. Mi ero accorto che l’astrazione in Italia è scomparsa da circa 30 anni, Mendini fu l’ultimo a occuparsene, proprio a metà anni ’80, con la famosa serie Memphis, creando texture e oggetti astratti, disegnati per esempio da Sottsass. Allora ho cercato di ricrearla con il mio progetto The new abstraction of the future rendendola perfettamente aderente ai nostri giorni. Dopo il debutto del progetto al Miaao di Torino, la mia prossima mostra si terrà in primavera a Milano con l’artista americano Greg Bogin, poi a Miami in

dicembre, e ancora a New York nel 2014. L’arte contemporanea, quindi, è in stallo? C’è in corso la nascita di una terza fase dell’arte. Dopo la prima dell’arte moderna, la seconda dell’arte contemporanea, se ne sta definendo una terza, partita dai cosiddetti street artists che poi, di fatto, aprono il loro raggio di azione ed evolvono verso tanti altri ambiti, dalla moda al design, dall’illustrazione al video. Penso alla francese Miss Van o all’italiano Blu. Prossimi progetti? Oltre all’astrazione, un film che sarà abbinato a un’installazione interagente e Tam Tam Tv, la nuova Web Tv sulla creatività che sta nascendo a Milano, di cui sto creando un palinsesto rivoluzionario. [O.G.] www.sergiocascavilla.com



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RANDOM

GLI OGGETTI DEGLI ARTISTI a cura di Redazione

1. Quale oggetto storico di design ti e’ caro? 2. Su quale oggetto di design, storico o appena nato, ti piacerebbe intervenire, oppure vorresti usare come "materiale artistico" in un tuo lavoro?

Stefano Arienti / Mantova 1. Il filo per tagliare la polenta, peccato che non lo uso mai… 2. Una serie di lampade a sospensione per un mio rettilario di gomma. Maura Banfo / Torino 1. La Polaroid. In casa ce n’erano un paio una delle quali è quella che ti metto in allegato. 2. Più che un oggetto in particolare adoro in particolare il lavoro di Martin Bass… una collaborazione con lui sarebbe un sogno! (http://www.maartenbaas.com)

Polaroid Land Camera 1000-SX70 - 1977

Marco Bernardi / Roma-Venezia 1. Mi è caro il divano coronado di Tobia Scarpa. Ce l'aveva mio padre, il divano della mia infanzia che avevamo in casa. 2. Come artista mi piacerebbe lavorare sull'orologio elettromeccanico cifra 5 di Gino Valle, mi affascinano le cifre a bandierina negli aeroporti anni '60.

Luca Bertolo / Milano 1-2. Mi è venuta in mente un'immagine, l'immagine di una lampada, lunga e curva, d'acciaio, la vedevo sempre a casa del mio amico Carlo quando andavo a casa sua dopo la scuola e ci mettevamo a giocare a soldatini o, con sua madre, al Mercante in fiera. Era una sala grande, enorme, così mi sembrava, e bella, con la moquette e le vetrate che davano su un giardino verde e misterioso, dove stranamente andavamo di rado, una sala grande quanto tutta casa nostra, e quella sala da una parte terminava su un lato con un muro, che poi saliva con la scala fino al primo piano, un muro tutto dipinto a base di foreste e animali e pappagalli, un muro-quadro pieno di colori e personaggi animali che non smettevo di guardare, quel muro l'aveva dipinto un loro amico pittore, si chiamava Pit. In quella sala piena di luce stavo bene, quando andavo da Carlo, la lunga lampada ad arco si muoveva ondeggiando e sembrava un ramo brillante, e sul pavimento c'era sempre aperto il giornale, Il Manifesto, chissà perché sempre a terra e non sul tavolo, e a volte sua madre commentava certe notizie mentre noi giocavamo, la diccì e il piccì, mentre io guardavo con desiderio la macchina telecomandata che si poteva usare solo in strada perché correva velocissima. Poi, quando veniva sera, si accendevano le luci in quella sala, ma non era come da noi con il lampadario nel centro, là c'erano luci piccole sui mobili o negli angoli e poi quella lampadaramo incastrata in un blocco di marmo. Solo ora mi viene in mente che quella lampada l'ho poi rivista in certi negozi di design o su libri e cataloghi ed è la famosa Arco di Castiglioni del 1962, che vegliava sui nostri giochi nella sala di Carlo nella seconda metà degli anni '70, e da allora quella lampada che forse, anche a causa di quel complesso in cui è inscritta, mi pare sempre bellissima. Rimarrà per me sempre collegata al Manifesto, ai soldatini, alla grande pianta di ficus, al Mercante in fiera, al pompelmo tagliato a metà e mangiato con degli strani cucchiaini col bordo tagliente, il benessere radical-chic avrei potuto chiamarlo anni dopo, ma non l'ho mai chiamato così, era il benessere della libertà sulla moquette, del silenzio, di una sala grande come tutta casa nostra.

Véronique Bigo / Marsiglia 1. Il mio oggetto preferito, l’oggetto banale, usuale, del nostro panorama quotidiano, un vero archetipico, è la bottiglia di Coca Cola. L'ho dipinta col titolo: Morphosis: da Raymond Loewy a Keith Haring. 2. Mi piacerebbe lavorare sulla ruota: bicicletta, Vespa, auto, avion… in tanti oggetti ci sono delle ruote, molette…: ordinateurs, macchine fotografiche… oppure anche sul bicchiere. Michela DePetris / Torino 1. Un giradischi portatile, una caffettiera moka, la macchina fotografica Polaroid. Sono oggetti con cui ho lavorato in contesti performativi. Ci ho riflettuto: vincolo la scelta degli oggetti in base alla loro utilità, in modo piuttosto essenziale, nonostante abbia poi una certa attitudine ad affezionarmi alle cose, agli oggetti, tipo collezionista ma, alla fine, l'utilizzo prevale. Del giradischi mi interessa il movimento legato alla musica, direttamente. L'ho usato come una giostra per piccoli oggetti, mentre nello spazio si compievano altre azioni. Ho usato molte caffettiere come orologi, come clessidre, ripetutamente. La preparazione di un caffè stabiliva il tempo, per altri accadimenti. Con la Polaroid fotografo, anche qui, sostanzialmente mi interessa la relazione col tempo. 2. Vorrei fare una performance all'Ikea.

Roots Glass Company-CocaCola Bottle - 1915

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Stefania Galegati / Ravenna 1. Mi sono care le carte delle arance ma non so chi le abbia pensate, le penne bic, l' ape car 50, quasi tutti i design di biciclette, i kanga, la fiat 500. 2. Ho usato una volta un apino, l' ape car, su cui ho messo un ritratto originale di Garibaldi. Ma è un caso raro, il design normalmente mi esalta nel suo essere usato. Nei musei il design muore.

Piero Gilardi / Torino 1. L'oggetto "storico" di design al quale mi sento più affezionato è la calcolatrice ELEA 9003 disegnato da Ettore Sottsass nel 1958, per la Olivetti. Per me è stato il primo esempio di "umanizzazione artistica" delle nuove tecnologie dell'informazione. 2. L'oggetto di design che potrei impiegare in una mia installazione /performance odierna è il Pratone del Gruppo Strum, editato da Gufram nel 1966. Il prototipo l'ho

realizzato con le mie mani, sotto la guida dell'architetto Piero Derossi. Trovo sia un esempio di design ludico veramente duttile. Corrado Levi / Torino 1. Il mobile italiano che mi fa pensare di più è la radio trasparente di Franco Albini, per l'eliminazione di quanto estraneo alla cosa. 2. Dai mobili di Enzo Mari sono partito nel fare quelli per il mio recente alloggio a Milano in cui ho usato assi di cantiere e viti, costruiti dai muratori stessi, non da falegnami. Irina Novarese / Torino-Berlino 1. Un oggetto storico di design che mi è caro (e mi piacerebbe possedere) è la sedia progettata dall’architetto Richard Neutra nel 1942: Boomerang Chair. 2. Un oggetto che mi piacerebbe forse utilizzare come materiale artistico è: Foldschool di Nicola Stäubli, 2007. Patrick Tuttofuoco / Milano-Berlino 1. La Luminator di Achille e PierGiacomo Castiglioni. 2. La serie dei Totem di Ettore Sottsass.

Dall’alto da sinistra: Piaggio - Ape Car -1948 Gruppo Sturm (Giogrio Ceretti, Pietro Derossi, Riccardo Rosso) - Pratone -1971 Enzo Mari – Autoprogettazione – 1947

Elisa Sighicelli / Torino 1. La libreria di Franco Albini prodotta nel 1957. Può avere un’infinita varietà di configurazioni di ripiani e mobiletti e i montanti sono in tensione tra il soffito e il pavimento. 2. Mi interessa molto il design contemporaneo, in particolare mi piace tantissimo il lavoro di Liliana Ovalle, di Minale-Maeda e Richard Hutten. Non penso pero’ che riuscirei ad intervenire sui loro lavori, che mi sembrano così risolti e completi.


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GIOCHI

ONOMATOPEICO SHOW testo di ROBERTA TEDESCO*

guarda i si t i w e lo sho à prender vi ta!

illustrazioni di FEDERICA CATERINA TETI*

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ignore e signori, benvenuti. Questo articolo è uno show con tanti fronzoli. Accomodatevi pure in libertà, restate in piedi se vi va. Prima, seconda, terza fila, poco importa. Non c’è posto riservato, solo spazio illimitato. Strabuzzate gli occhi, leggete tra le righe, seguite le linee. Non aspettatevi nomi, dati e referenze, ma solo sentieri accennati. Strizzate l’immaginazione con la musica. Il suono sgocciolerà su di voi.

Dong, dong. Avanti e indietro, basculante in sincrono. Ammirate: un coro a cappella piantato su dei pistoni idraulici. La macchina suona l’uomo che bionico canta. Il movimento del corpo dirige la voce, che entra polifonica nelle orecchie ed esce ossessiva dagli occhi. L’essere umano si è fatto tempo, come un pendolo oscilla tra la vita e la morte. goo.gl/PuA9Q Shh, shh. Le sentite anche voi? Sinfonie di ninna nanne sgorgano da rubinetti e manometri, scendono giù per dieci piani lungo i mattoncini rossi di un ospedale per bambini ed escono allo scoperto senza paura di essere infantili. Avvicinatevi e lasciatevi cullare dalle trombe del sonno. L’architettura è una nenia che cura pazienti e passanti. goo.gl/CZYaz Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, clocchete, chchch. Attenzione a dove mettete i piedi! C’è un buco d’acqualatte nel pavimento. Colpa di una fontana sonica che sta monitorando il respiro del tempo a suon di gocce. Cade puntuale dall’alto sul tramonto di tutto. Senza illuderci orchestra un ritmo inaccessibile, mentre l’ARTE si scioglie su se stessa nel tentativo di decifrarlo. goo.gl/dqGbg

Kreeek tsk tks. È il momento della musica audiovisuale da camera ipercubista. Ecco un Tosso ed ecco un uomo intento a suonarlo con indosso una storia. Bisogna guardare per ascoltare. L’immagine è un oggetto scomposto goo.gl/UTlHd . Oppure è legata a riti remoti e suoni primitivi. Quando questo accade, il passato si ripresenta camuffato e amplificato da un altoparlante che stride. L’alchimia è sostanza sonora. goo.gl/3mJl9 Zac zac. Taglia e cuci e canta e suona. Sfilate? No, grazie. Niente passerella bulimica. Oggi, la moda va dritta sul palco durante un concerto, per sudare un suono fluo psichedelico a righe. È la stessa che si sporca anche di fango per garantire la disinvolta sopravvivenza di un festival estivo goo.gl/MR07H . Vive di nuove sacralità e di coreografiche sonorità nascoste in cappotti rumorosi che si fanno danzare. goo.gl/7Nwh0 *Roberta Tedesco Creativa in una factory sulla Dora e blogger per ContemporaryArt Torino http://blog.contemporarytorinopiemonte.it/ *Federica Caterina Teti Architetto del paesaggio impossibile, grafomane sbudellata, mi piace disegnare: http://fedushkaja.tumblr.com


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CRISTIANI e PROUVé Sop r a e s o t t o / v alu tat i d e l d e s ign

S

a cura di OLGA GAMBARI

i parte parlando di Prouvé per arrivare al rapporto che esiste in Italia con il design, con l’architettura. Giancarlo Cristiani tratta mobili e arredi di design del XX secolo da anni, è un esperto che si muove su una scena internazionale. Gli chiediamo se Jean Prouvé (1901-1984), stella francese del design e dell’architettura mondiale, che arriva a Torino con una mostra alla Pinacoteca Agnelli, sia conosciuto anche al grande pubblico italiano. Assolutamente no, così come non sono noti altri nomi eccellenti, italiani per primi. Il problema è che in Italia non è mai avvenuto il riconoscimento culturale del design come arte, così come è accaduto per l’architettura. Abbiamo un buco enorme, un’ignoranza diffusa al grande pubblico come a quelle che dovrebbero essere le élite. Per esempio? La collezione di Yves Saint Laurent, quando è stata messa all’asta alla sua morte, era qualcosa di stupefacente, da museo, coltissima, ricca, eccezionale. Qui in Italia chi c’è che ha collezioni di questo tipo e potrebbe, invece, averle benissimo? Al massimo noi abbiamo Dolce&Gabbana che chiamano Ferdinando Scianna per fare delle foto pubblicitarie e già sembrano eccezionali mecenati. Quindi design, architettura sono altro, dall’arte, da noi? Del tutto. Prouvé in Francia è famoso come Hermes e Chanel, alcuni suoi pezzi vengono battuti a 700\800mila euro. I suoi frangisole si mettono in casa come da noi si mettono le ali di Piacentino. E si vendono addirittura le finestre di alluminio, che saranno centinaia, migliaia, come pezzi preziosi. C’è un antiquario di Lione, per esempio, che le tratta. E parlo della Francia perché siamo partiti da Prouvé, che è francese, ma all’estero in generale è così.

Jean Prouvé seduto su uno sgabello

INTERVISTA

Siamo noi l’eccezione. Alla Fiera di Basilea di fianco all’arte contemporanea c’è una sezione dedicata al design con tutti i mostri sacri presenti, con gallerie pazzesche di design che ne gestiscono il mercato. Invece, in Italia, non si conoscono i grandi francesi, penso a Prouvé, ma anche a Le Corbusier, Charlotte Perriand e Pierre Jeanneret, e poi, ancora di meno si conoscono Franco Albini, Giuseppe Pagano, Ignazio Gardella e Carlo Scarpa. Mollino sì, però. Certo, almeno lui, perché proprio in Francia negli anni ’80 è stato lanciato dalla galleria Yves Gastou, e intendo lanciato sia a livello culturale sia a livello di mercato, di prezzi. Così è “ritornato” da noi, famoso finalmente, come tanti altri avrebbero meritato. Sottovalutati gli italiani e, forse sopravvalutati molti altri? Chiaro! Io amo Prouvé, ho venduto sue cose, ma sinceramente non vedo quella genialità che riconosco in alcuni italiani. Le sue case prefabbricate erano in fondo riproduzioni in grande scala del meccano, ma cosa dire dell’uso di materiali poveri che già Gardella, Pagano e Albini facevano negli anni ‘30, e come lo facevano… Senza togliere niente a nessuno. Quindi in Francia il design italiano viene riconosciuto? Sì, perché, ripeto, lì design è arte, architettura è arte. E architetti e designer sono artisti, a cui vengono fatte mostre, i cui lavori sono nei musei, che sono ambiti dai collezionisti, di cui si parla nella cultura alta e bassa. Per esempio anche il nostro mestiere, in Francia si dice “mercante di design del XX secolo”, da noi, invece, non c’è una vera definizione. Già usare l’espressione “modernariato” fa venire tristezza, è inesatto. Per cui io dico che tratto mobili di design per spiegare il mio lavoro.

Una selezione di quaranta pezzi provenienti dalla collezione dei galleristi parigini Laurence e Patrick Seguin è l’anima della mostra allestita fino all’8 settembre alla Pinacoteca Agnelli. Si intitola: Una passione per Jean Prouvé. Dal Mobile alla Casa. La Collezione di Laurence e Patrick Seguin. Sulla pista del Lingotto è montata per la prima volta la Maison Metropole, casa prefabbricata in alluminio, capolavoro di architettura nomade, ideata sul principio degli edifici a portici brevettati da Prouvé nel 1939. La fase del montaggio è visibile in un video in stop-motion sul sito www.pinacoteca-agnelli.it

Agarttha Arte

Piemonte. Una definizione Atelier Giovani Artisti - Fotografia B A N D O D I C O N C O RS O N A Z I O N A L E – SE C O N D A ED I Z I O N E

Bando di Concorso nazionale rivolto ai giovani fotografi italiani. Progetto finalizzato alla produzione e alla promozione di una loro opera.

Premio 5.000 euro Il bando di concorso rivolto a fotografi italiani under 35, promosso da Agarttha Arte finalizzato alla produzione e promozione di una loro opera, giunge alla seconda

edizione. I candidati, sulla base del portfolio completo dei lavori realizzati negli ultimi anni e del curriculum vitae, saranno selezionati da una commissione Internazionale, composta da: Jean-Luc Monterosso [direttore artistico della Maison Européenne de la Photographie di Parigi], l’artista Sarah Moon e la curatrice Adele Re Rebaudengo. Al vincitore del concorso nazionale verrà commissionato uno specifico progetto nell’ambito dei Beni museali, architettonici e del paesaggio, da realizzare con la somma premio di 5.000 euro, comprensiva della produzione di 10 fotografie in bianco e nero in un formato indicativo di 40x50. Il progetto fotografico dovrà essere realizzato entro 30 giorni. Durante alcune fasi di realizzazione l’artista potrà beneficiare dell’affiancamento di uno o più fotografi professionisti riconosciuti a livello internazionale.

Per partecipare al concorso, artisti e fotografi italiani con un’età non superiore ai 35 anni, dovranno: compilare e consegnare la scheda di partecipazione e l’informativa sulla privacy, presentare il curriculum vitae, un portfolio completo dei lavori realizzati negli ultimi anni, eventuali cataloghi e una selezione di almeno 5 fotografie stampate in bianco e nero. L’invio dei materiali dovrà essere eseguito tramite raccomandata postale entro il 1 maggio 2013, all’indirizzo: Agarttha Arte-c/o Centro Uffici Direzionali, via San Quintino 28 - 10121 Torino. Il concorso è stato realizzato con il sostegno della Regione Piemonte, Fondazione CRT e Compagnia di San Paolo. Il testo completo del bando e il modulo di iscrizione al concorso sono disponibili su www.artesera.it


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RECENSIONI In senso orario: Apichatpong Weerasethakul, I’m Still Breathing, 2009 Photo: Chai Siri © Kick the Machine Films and Illuminations Films Gianni De Paoli 28, EKO500, anno 2013 Enrica Borghi, Meduse, 2012

AAM 2013 TRA ART-DESIGN, MODA E FOTOGRAFIA Tanti i motivi per visitare la V edizione di AAM, la manifestazione d’arte contemporanea più cool in Italia è in programma al palazzo de Il Sole 24 Ore in via Monte Rosa 91 da venerdì 12 a domenica 14 aprile 2013. Diretta da Tiziana Manca, AAM apre, per la prima volta, una finestra sul mondo delle idee in movimento, ovvero dell’ArtDesign, dove spesso materiali di scarto (Ri)nascono, mutano la loro forma originale e ottengono una seconda possibilità di vita. Su tutti il progetto di Alessandro Riva dal titolo Pop Up Design Tour con trenta artisti-designer a metà strada tra arte e design, in una logica di illogicità e stupore rispetto ai canoni di funzionalità e rigore del design tradizionale. Artista-designer milanese di livello internazionale è Elio Fiorucci, che propone la mostra-evento curata da Raffaella Caruso Street Love Therapy. Moda arte design nel mondo: 33 pannelli illuminati dai colori fluo dei neon degli storici

negozi per raccontare l’ineguagliabile contributo allo stile italiano firmato Fiorucci. Ancora fotografia con la terza edizione del Concorso di fotografia culturale Back Stage. A iscrizione gratuita e aperto a tutti i fotografi non professionisti che potranno utilizzare qualsiasi tipo di mezzo, Back Stage ha in Oliviero Toscani il presidente di giuria. Infine, alla fotografia in 3D è dedicata la mostra Gend[3]der dei fotografi cinematografici Philippe Antonello e Stefano Montesi, portata a Milano grazie alla 20 Red Lights. Undici racconti sul cambio di genere che caratterizza la realtà transgender, ovvero quelle persone che non sentono la propria identità sessuale e spirituale racchiusa in cliché di genere, ma vivono una dimensione dove i concetti di “maschio” e “femmina” convivono continuamente. Maggiori informazioni al sito http://www.arteaccessibile.com

PLASTIC FACTORY @ ASILO BIANCO Come ha influito la plastica nella produzione industriale e nella ricerca di artisti e designer, a partire dalle Avanguardie degli anni Sessanta per arrivare a tutti i Novanta? Un materiale diverso, moderno, che cambia completamente la prospettiva per le sue caratteristiche materiche e di produzione tecnica, ma anche per i significati concettuali che incarna, legati al ciclo industriale-produttivo, all’ambiente, alle potenzialità espressive di duttilità e cromatiche. Un medium “miracoloso” lo definiva Roland Barthes. Una duplice mostra tra il Forum di Omegna e il Museo Tornielli Ameno (fino al 2 giugno, www.museotornielli.it, www.forumomegna.org) offre un viaggio a cavallo di arte e design: in mezzo la plastica. Opere di artisti contemporanei internazionali a fianco di pezzi storici di design. Alessandro Ciffo, Enrica Borghi, Piero Gilardi, Plumcake, Francesco Candeloro, Sylvie Fleury, Cracking Art da un lato. Herbert Distel, Iginio Balderi, Peter Klaphan, Carel Balth e Angelo Bozzola dall’altro. Ma anche oggetti “cult” realizzati per Alessi da Stefano Giovannoni e Guido Venturini. A maggio una giornata di confronti approfondirà il tema del design industriale, grazie alla collaborazione con Museo Alessi, Museo Kartell, Pandora Design e la Nuova Faro.

PRIMITIVE @ HANGAR BICOCCA Entri nella pancia della balena, avanti e indietro nel tempo, tra luce e buio, realtà e immaginazione. L’installazione “Primitive” dell’artista e film-maker thailandese Apichatpong Weerasethakul è un progetto avviato nel 2009 che ora si snoda in un percorso di enormi schermi nell’Hangar Bicocca (fino al 28 aprile, www.hangarbicocca.org). Si parla della repressione attuata dall’esercito di Stato tra gli anni ’60 e ’80 in Thailandia, la cui memoria è ripresa da un gruppo di giovani di oggi, attorno all’atto comune di costruire una barca. Volti, paesaggi, notti, giorni, fuochi, scene di vita, lampi. Tutto con immagini vivide e nette, da sembrare dipinti, flash abbaglianti e bellissimi.

ACTUALITY @ PAC Dal 1990 Jeff Wall usa la fotografia per realizzare immagini indimenticabili, che sembrano pittura, cinema, teatro. Mescola la vita alla storia dell’arte, alla letteratura, passando da sguardi metropolitani a interni domestici. Paesaggi e volti. Per la prima volta una grande retrospettiva al Pac, dal titolo “Actuality” (fino al 9 giugno, info 02.88446359) racconta il percorso di questo artista canadese, nato nel 1946, con quarantadue opere. Enormi diapositive montante su light-box. Fotografie costruite in studio, con set e attori, realizzate e alterate con tecniche digitali. È stato probabilmente il primo a farlo. “Un pittore della vita moderna”, come si definisce.


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E

cco che arriva la 3° rivoluzione industriale! Tutti avremo a casa nostra una stampante 3D che produrrà ogni cosa, come la vogliamo, quando la vogliamo, praticamente perfetta, in pochissimo tempo, senza scarti e riciclando i vecchi oggetti. Dite addio all'industria così come la conoscete, e forse anche a molti negozi, alle multinazionali e ai brand. Il futuro è dei makers! Non bisogna però dimenticare il lato oscuro di questo cambiamento: sulla rete circoleranno progetti 3D illegali, ad esempio di armi, che si potranno stampare in casa, senza poter essere rintracciati. Allo stesso modo verranno violati brevetti e diritto d'autore. Molte aziende chiuderanno, perché chiunque potrà fare quello che prima solo loro sapeva-

EXTRA nell'investire, troppo timorose di sbagliare. Un prodotto era interessante solo se garantiva un ampio margine di guadagno (ma quale prodotto lo può fare per certo?). Al Fablab e a Officine Arduino ci sono arrivato quasi per caso. Quello che mi ha più stupito, che mi ha fatto fermare e trasferire a Torino, sono state principalmente le persone. Questi famigerati makers, fabbers, arduinisti e smanettoni di ogni sorta. Quello che li accomuna tutti è la voglia di fare. Per loro questo è di per sé una ricompensa più che sufficiente. È gente che non si tira indietro davanti ad una richiesta di aiuto e non si fa scrupoli a condividere con gli altri quello che sa fare. Molti tra i più interessanti progetti nascono proprio dalla collaborazione spontanea delle persone attorno ad un'ideale

!

IL FUTURO è DEI MAKERS no fare, oppure perché sarà ancora più facile “rubare” loro le idee. Questo è ciò che principalmente passa sui giornali: visioni futuristiche o catastrofistiche, non importa. Quello che conta è che siano estreme e che facciano notizia. Cosa sarà diventato il movimento dei makers da qui a qualche anno, come la stampa 3D cambierà la nostra vita, se staremo meglio o peggio, francamente non ne ho idea. Quello che posso dirvi è cosa sta succedendo ora. E quello che succedeva prima. Per tre anni ho lavorato in uno studio che si proponeva di inserire nuove tecnologie nelle aziende tradizionali, con lo scopo di ringiovanirle e renderle più competitive. In due anni in Italia e uno in USA, quello che mi porto via è che l'innovazione (almeno quella di un certo tipo), non appartiene più alle aziende. Troppo lente, troppo timide

comune, che sia un quadricottero, un modulo architettonico o un prototipo di un oggetto nuovo, poco importa. Prima di pensare a profitto e strategie di business, le cose vengono fatte per il piacere di farle, perché non si trovava sul mercato qualcosa che facesse così bene o allo stesso prezzo, quello di cui si aveva bisogno. È questa la chiave di volta di un vero maker: fare cose che rispondono a bisogni veri, seppur di un gruppo limitato di persone (fosse anche una sola). Le aziende hanno problemi a rispondere alle necessità di mercati ristretti, principalmente perché i loro clienti devono scovarli e inseguirli. I makers fanno il contrario: loro sono i clienti. Quasi sicuramente se sei arrivato a leggere fino a qui vuol dire che da qualche parte, in uno scatolone, in garage o anche solo schizzata su un pezzo di carta, hai un'idea che ti perseguita da un po' e che alla fine hai provato a fare.

Magari per finirla come vorresti ti manca qualche pezzo di progettazione, qualche competenza o anche solo un suggerimento. È per questo che bisogna venire allo scoperto, bisogna raccontare quello che si sta facendo, senza vergogna e senza temere di essere giudicati stupidi o idealisti. Un'idea non condivisa è sempre un'occasione persa. Non bisogna pensare che un'idea semplice sia meno dignitosa di una complessa: un ragazzo è venuto da noi per costruirsi uno stilo per il suo iPad. Con una bic che non scriveva più, un pezzetto di spugna conduttiva, del filo di rame, scotch e 5 minuti del suo tempo, ha costruito quello che gli serviva. La soddisfazione di esserci riuscito è sicuramente maggiore di quella che poteva dargli l'acquisto di qualsiasi alternativa commerciale. Il mio ultimo progetto da maker l'ho

testo di ENRICO BASSI*

fatto con un amico. È un germogliatore, così in inverno ti coltivi un'ottima alternativa all'insalata fresca direttamente dentro casa. Cogliendo l'occasione di un concorso abbiamo concretizzato un'idea che da un po' ci girava per la testa, ma la cosa più importante è che non ci facevamo così tante risate da un sacco di tempo. Questo vale più del risultato del concorso, di quante persone ci chiederanno di acquistare un nostro germogliatore o di quando “importanti” ci renderà. Il suo scopo lo ha già raggiunto. *Enrico Bassi è stato coordinatore di Fablab Italia, primo fablab italiano e attualmente lavora presso Officine Arduino, il fablab di Torino. Tiene corsi e workshop di tecnologie tradizionali e di Digital Fabrication in diverse università, tra cui la NABA di Milano, SUPSI di Lugano e Politecnico di Torino.



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