N°10 novembre/dicembre 2011
pubblicazione gratuita / bimestrale / Anno iI / Numero 10
la repubblica dell’arte
Art is not only expressive but communicable as well, this communicability imparts to it a social function.
l’editoriale Che cos’è l’arte contemporanea? Una repubblica, un’oligarchia? Come si pone in un periodo come il nostro? In crisi esistenziale come il resto degli altri mondi, a partire da quello della quotidiana realtà? Che fare allora? Prima di tutto provare a capire come si articola il corpo dell’arte, le componenti del sistema, e poi vedere dove si colloca lo spazio d’accoglienza, localizzare la porta osmotica che prende e dà energia in contatto con la vita, con il pubblico. A novembre Torino si trasforma in un enorme collettore di linguaggi artistici che si mettono in scena insieme, un meticciato creativo che rappresenta un grande esperimento di sistema, che vuol essere espressione culturale, politica ed economica. Tutto è connesso all’interno di Contemporary. Al centro Artissima, la fiera dell’arte contemporanea in Italia, ai primi posti tra quelle europee. Artesera parte da Artissima come da una ideale piattaforma, utilizzandola come chiave di lettura: la sua identità mista aiuta a leggere e raccontare il mondo dell’arte, perché ne contiene gli stilemi nel suo dna. Artissima diventa paesaggio, sfondo per un ritratto del sistema, per raccogliere le varie anime del mondo dell’arte. In copertina si parte, invece, da una torta, che è un’opera d’arte, fatta da Mario Merz, illuminata dalla domanda “che fare?”. E appunto, cosa deve fare l’arte contemporanea? In quale deve direzione andare? E con lei la società che vi si rispecchia? Quale strategia culturale deve avere oggi l’arte contemporanea? Noi pensiamo che la strategia culturale consista nel ricercare ma anche condividere, nell’accogliere. Proprio come una torta da mangiare, che invita, che diventa parte stessa del fruitore, sensorialità e concetto, materia e spirito. Questa è l’arte. Il numero si sviluppa poi passando per l’agorà di questa ideale repubblica, e nel centro della sua piazza si trova Zonarte, il grande progetto messo in piedi
dalla collaborazione dei dipartimenti educativi di Gam, Rivoli, Pav, Merz, Sandretto, Cittadellarte, all’insegna del diritto di cittadinanza per tutti. Zonarte è la piazza aperta, incarna lo spazio pubblico dell’arte.
Poi Luca Morena analizza come l’arte contemporanea si dia al pubblico di non addetti ai lavori, mentre Luciana Rossetti riflette su come in una mostra si stia
sempre in bilico tra l’essere al servizio dell’arte e al tempo stesso dello spettatore. Ma l’arte non si deve perdere nessuno, deve trasformare casa sua in una casa comune. Alcuni dicono che l’arte non sia per tutti, d’accordo, ma nemmeno per pochi, perché l’arte aiuta a vivere. Molti musei sono già all’avanguardia
sull’elaborazione del “fare museo” come idea relazionale che vede il pubblico protagonista attivo, ci racconta l’osservatorio di Fitzcarraldo. Studio Azzurro sono un esempio, gruppo che ha sempre impostato il suo fare proprio sul coinvolgimento sensoriale dello spettatore: lo butta nell’opera prima di introdurlo al suo cuore concettuale. Accoglienza quindi, anche come linguaggio della critica, collaborazione con l’impresa e gli sponsor privati. Ma gli artisti? I Portage sono gli artisti ospiti di Collezione Artesera, ibridi senza soluzione tra scultori e performer, mentre un ricco gruppo di artisti che hanno collaborato alla storia
di Artesera, che in questo numero compie un anno, consegnano loro personale opinione sul fatto di sentirsi o meno cittadini della repubblica dell’arte. Noi li abbiamo messi provocatoriamente alla fine, perché in realtà rappresentano l’inizio di tutto, la materia, la sostanza.
Olga Gambari e Annalisa Russo
BIMESTRALE / Anno iI / Numero 10 Novembre/Dicembre 2011
Direttore Editoriale Annalisa Russo Direttore Responsabile Olga Gambari Art Direction www.dariobovero.it Marketing e Relazioni Esterne Michela Tedeschi Copertina Omaggio a Mario Merz Che Fare?, 1968 Torta realizzata dal pasticcere Montersino per Eataly (Foto: Edoardo Sardano)
Hanno collaborato
a.titolo, Gabriele Arruzzo, Flavia Barbaro, Maura Banfo, Maria Bruni, Botto&Bruno, BR1, Roberto Casiraghi, Gea Casolaro, Francesca Ciluffo, Manuela Cirino, Marco Cordero, Andrea Costa, Eric Dewitte, Elmuz, Alessandra Gariboldi, Antonio La Grotta, Paolo Leonardo, Nicus Lucà, Chiara Lucchino, Francesco Manacorda, Lea Mattarella, Luca Morena, Luca Pereno, Mario Petriccione, Anna Pironti, Ruggero Poi, Portage, Paolo Rosa, Luciana Rossetti, Catterina Seia, Gabi Scardi, Alessandro Stillo, Saverio Todaro, Francesca Togni, i Dipartimenti Educativi di Zonarte.
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evento del mese
A SPASSO PER ARTISSIMA I n t e r v i s ta a F r a n c e s c o M a n a c o r d a
a cura di OLGA GAMBARI
Francesco Manacorda parte dalla mappa della sua nuova edizione di Artissima per raccontarla. Una mappa come indice, traccia, radiografia di Artissima, dentro e fuori lo spazio dell’Oval.
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e sezioni delle gallerie rispecchiano la struttura dell’anno scorso, Stand più piccoli per tutti e le New entries (gallerie giovani selezionate per la prima volta) spalmate in mezzo alle Main Section (gallerie storiche). Una grande piazza accoglie il pubblico all’ingresso, con al centro i progetti curatoriali, da Approssimazioni razionali semplici a Present\ Future (monografiche di giovani artisti) Back to the future è un corridoio unico, in cui 20 gallerie propongono un artista a testa, ognuno con una monografica. È un progetto museale con moltissimi artisti che lavorano sul femminismo, da Renata Boero e Tomaso Binga a Nil Yalter e Ketty La Rocca. C’è anche un gruppo importante di artisti italiani che sarebbe bello e necessario riuscire a portare o riportare sulla scena internazionale, come Giuseppe Desiato, Giorgio Griffa, Giorgio Ciam. E ancora una parte di scultura interessante da Bruce Mclean a Gary Kuehn e William Anastasi, che sono protagonisti degli anni 60, tutti con grandi partecipazioni storiche nel passato ma ora “dimenticati” dal grande pubblico. Poi una sezione di fotografia e arte narrativa come per esempio Peter Hutchinson, Giuseppe Chiari e Dmitry Alexandrovich Prigov, un monumento dell’arte concettuale e poeta russo con le opere di arte concreta, John Divola di Los Angeles con una serie di foto.
I programmi curatoriali si dividono in due sezioni, curate con artisti italiani. Una è Approssimazioni razionali semplici, si basa sull’idea di un museo immaginario, collocato proprio all’interno di Artissima, curato con Lara Favaretto. Una novità, invece, è la parte completamente esterna che apre in orari alternativi a quelli della fiera, alla sera, nel quadrilatero romano: si chiama Artissima Lido, curato con Christian Frosi, Renato Leotta e Diego Perrone. Approssimazioni razionali semplici è un grande contenitore con dentro molte cose. Ho invitato a collaborare con me Lara Favaretto, a immaginare insieme un progetto per un museo immaginario, non pensato con i parametri del curatore, dello storico dell’arte e del conservatore, perché da anni fa un lavoro che investiga sulla nozione di pieno\vuoto, di tempo in\stabile instabile, come nella serie dei monumenti impermanenti iniziata alla Biennale di Venezia del 2009. Il paradosso è costruire un museo che dura 4 giorni, un progetto folle, transitorio, un museo impermanente e immateriale come contenitore e come contenuto. Non ci son opere da conservare ma esperienze, discorsi e torte. È un esperimento, abbiamo preso il lessico museale e l’abbiamo ripensato mettendolo sottosopra. In giro per questo spazio si trova: La collezione permanente di decine di torte che riproducono esattamente opere di grandi artisti, da Merz a Mondrian, Serra- che però non è davvero permanente, perché sarà consumata. Ogni giorno il pubblico si trova torte esposte e a disposizione del pubblico per essere mangiate. L’oggetto non permane, l’esperienza sì. Si nega il feticcio. La mostra personale di Pierre Bal-Blanc, un
curatore, fatta però come mostra collettiva. Bal-Blanc ripropone una sua esperienza: quando è stato intervistato per la biennale di Berlino qualche anno fa, come possibile direttore, durante il colloquio, invece di presentare un progetto si è alzato ha proposto 12 performance. Quindi si è riseduto e ha fatto una conversazione al riguardo. Ad Artissima rifarà questa cosa due volte al giorno, una collettiva con 8 artisti per 12 performaces. L’auditorium cinema che guarda alla produzione della Chisenhale Gallery di Londra che ha prodotto 5 mostre personali in cui i risultati erano sempre la produzione di un film, nel giro di 3 anni. In realtà è una collettiva con opere che indagano la crisi economica globale e il sistema di produzione nel mondo dell’arte. Quindi quello è il punto di partenza che noi ogni giorno mostriamo e da cui ogni giorno un collettivo diverso organizza una mostra attorno a questa collettiva, può proiettare la mostra, trasformarla in serie di talks o interventi. La parte didattica fatta da un gruppo francese che si chiama France Fiction che ci ha proposto invece di laboratori di trasformare l’area didattica in un unico laboratorio per creare dell’inchiostro per cui uno fa lì e può prendere una fiala, ma diventa una metafora sull’idea della trasmissione della conoscenza. La biblioteca\libreria fatta dal Bureau of Loose Associations, un collettivo di Varsavia che guarderà al dilemma della diffusione e dispersione del materiale attraverso diversi canali. Lo storage, un deposito di opere che di nuovo è un deposito vuoto, nell’interrato dell’Oval. Rifacciamo l’Ipnotic Show con Raimundas Malasauskas, un grande successo l’anno scorso. Quest’anno c’è un catalogo di 30 mostre fondamentali del ventesimo secolo. Ognuno si sceglie la mostra che vuole sul catalogo, si iscrive e poi sarà ipnotizzato a vedere la mo-
stra seguendo uno script di critici o curatori in una versione breve e personale che racconta la propria versione di quella mostra, o una sua opera particolare. L’ufficio di statistica, che è poi il nuovo progetto grafico di Artissima, con cui è cambiata l’immagine e l’identità della fiera, rifatta dallo studio londinese Sara De Bondt, immagini di statistiche e grafici che diventano disegni, icone di forme, segni e colori: statistiche che riguardano la fiera o la città, un’elaborazione continua dei dati. Dentro ad Artissima, questo ufficio di statistica fa un po’ da filtro tra il museo e la fiera cioè prepara almeno 4\5 statistiche al giorno che raccontano l’andamento della fiera stessa. Poi fuori, nel Quadrilatero, c’è Artissima Lido. Artissima Lido riunisce a Torino nel medesimo momento e luogo gli spazi più interessanti gestiti da artisti in Italia. Lo stesso Leotta a Torino partecipa allo spazio collettivo Cripta 747, mentre Frosi e Perrone l’anno scorso hanno fatto un viaggio per tutta la penisola cercando di fare un censimento di tutti questi tipi di spazi, ricerca formalizzata qui per la prima volta. Ci saranno 17 spazi con vere e proprie mostre in locali del Quadrilatero che sono stati svuotati, da negozi a ristoranti, laboratori. Poi una mostra prodotta in collaborazione con Diogene - anche loro un collettivo con il suo tram parcheggiato alla rotonda di Corso Regio Parco - che vede una grande scultura fatta dall’artista in residenza da Diogene, Graham Hudson. Fungerà da “espositore” dei materiali di altri 25 spazi invitati. Cuore di Artissima Lido è un bar, l’Artissima Social Club, ambientato nel negozio vintage “Magnifica preda”. Sarà il centro delle sere della fiera, un ritrovo comune aperto fino a mezzanotte.
Courtesy Galleria Delloro Arte Contemporanea, Roma /Berlin
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Giuseppe Desiato, Napoli, 1973
Courtesy Photo&Contemporary, Torino
Hypnotic Show Artissima , Marcos Lutyens
Thomas Wrede At the Canyon, 2007, C-print, Diasec cm.134x95
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zonarte
zonarte u n o s pa z i o p u b b l i c o p e r l’ a r t e
testo di zonarte
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onarte si concretizza in un atto di volontà che nasce dal desiderio, ma anche dalla capacità professionale di persone che operano all’interno delle istituzioni cittadine e regionali del territorio piemontese. Zonarte dunque è uno strumento democratico originato dalla volontà di garantire a tutti (quelli che lo desiderano) il diritto di cittadinanza nei luoghi della cultura, così come sancito dalla Costituzione Italiana e dalla Carta dei Diritti dell’Uomo. La cultura è un bene essenziale, un valore sociale e non una pura decorazione esistenziale. Nella prima edizione 2010, realizzata alla Fondazione Merz di Torino, Zonarte ha occupato tutto lo spazio espositivo per un’intera settimana. Nell’occasione si è costituito il gruppo di lavoro a cui partecipano attivamente i Dipartimenti Educazione di Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Cittadellarte Fondazione Pistoletto Biella, GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, Fondazione Merz di Torino, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, PAV Parco Arte Vivente. Uno spazio e un tempo organizzati per favorire l’incontro tra l’arte contemporanea e il pubblico visto nella sua massima espressione: giovani e giovanissimi, studenti di tutte le età, persone disabili, famiglie, pubblico adulto, professionisti di settore, appassionati, ma anche la gente del quartiere che ha condiviso maggiormente i momenti di festa e di aggregazione previsti al termine di ogni giornata di lavoro - organizzata in workshop, laboratori, incontri, programmi di peer education - perché l’incontro con l’arte può e deve essere un’esperienza reale, vissuta con entu-
siasmo per giungere a una nuova visione del mondo e delle cose, ma anche per socializzare, condividere, imparare, riflettere, gioire. Zonarte si propone come uno spazio e un tempo dedicato alle persone ma anche alla ricerca e allo scambio culturale e metodologico e, in tal senso, affianca la normale attività dei Dipartimenti Educazione, operanti all’interno delle Istituzioni coinvolte nel progetto, perché il tutto è molto di più della somma delle parti. L’esperienza e-stetica (nel senso etimologico), è per sua natura sin-estetica, cioè vissuta con tutti i sensi, e contemporaneamente dinamica. La conoscenza, da non confondersi con l’impressione o la pura emozione, acquista vigore con l’esperienza diretta. Zonarte che nasce per essere itinerante, nell’Edizione 2011 è diventata extralarge. L’iniziale programma settimanale si è dilatato in spazi temporali vissuti in tempi e luoghi diversi. Un lungo week-end alla GAM dal 13 al 15 maggio 2011, un insieme di incontri al Castello di Rivoli
per la progettazione condivisa della Summer School e la partecipazione ad Artissima 2011. Questo evento chiude Zonarte al termine di un intenso anno di lavoro dentro e fuori dai Musei, nel momento finale delle celebrazioni per il Centocinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia. Una naturale espansione del progetto, finalizzata a situare nello spazio di Artissima nuovi strumenti di confronto e di analisi critica afferenti al senso e al valore dell’arte oggi. Un impegno propositivo, etico prima ancora che culturale, condiviso con ArteSera, e destinato a sviluppare e ad allargare l’interesse del pubblico nei confronti dell’arte contemporanea e ad accrescere il senso di appartenenza soprattutto tra i giovani. La cultura è un valore che produce valori per la collettività, per il presente e per il futuro dell’umanità. Come afferma Michelangelo Pistoletto “l’Arte è al centro della trasformazione sociale responsabile”.
Dipartimento Educazione Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
ZonArte è un’idea, un progetto, un programma che evidenzia la forza del sistema arte contemporanea torinese e piemontese, da sempre sostenuto dalla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT.
Zonarte
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LIFELONG LEARNING Il programma di apprendimento permanente, chiamato Lifelong Learning Programme è stato un punto importante raggiunto dalla Commissione Europea. È il principale programma comunitario di finanziamento nel settore dell’istruzione, che permette lo svolgimento di esperienze formative stimolanti lungo tutto l’arco della vita, attraverso l’Europa. Incarna in sé l’idea del diritto alla cultura, e poi quella che la cultura sia materia viva da far crescere e nutrire, per permettere lo sviluppo delle identità, ma anche di una collettività migliore.
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zonarte
DIPARTIMENTO EDUCAZIONE CASTELLO DI RIVOLI MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA
courtesy - Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
Il Dipartimento Educazione, costituito da un gruppo di professionisti eterogeneo e dinamico, opera da oltre 25 anni dentro e fuori dal Castello di Rivoli, in sintonia con la missione istituzionale, per promuovere e diffondere l’arte e la cultura del nostro tempo. Nel suo progetto educativo s’impara attraverso l’esperienza diretta. Arte come esperienza poiché come già teorizzato da Dewey l’incontro con l’arte è un percorso attivo tutto l’arco della vita, un cammino di conoscenza in cui fare esperienza dell’opera d’arte, per giungere a installarsi in essa e dissolvere qualsiasi pregiudizio culturale. Non empatia ma conoscenza: vera, approfondita, tradotta in prassi operativa. Tra i progetti presentati e realizzati nella prima edizione alla Fondazione Merz Urban life, grande patchwork fotografico pensato per consentire ai giovani una nuova modalità di partecipazione alle attività del museo, nella prospettiva di un ampliamento virtuale dello spazio fisico. Grazie alla diffusione sul web oltre 1000 fotografie, rappresentative della vita moderna, sono state inviate da ragazzi di tutto il mondo ri-attualizzando il termine concorso: correre insieme invece che gareggiare. Nell’edizione 2011 in GAM le attività sono state ispirate al progetto di rete nazionale Italia 150 grandi eventi in piazza per ri-disegnare l’Italia nato dalla collaborazione con il Comitato Italia 150. Nel progetto, a partire dalla forma dell’Italia sono state elaborate infinite varianti, in riferimento alla specificità dei luoghi e in relazione all’opera degli artisti contemporanei che hanno lavorato sulla forma dello Stivale. L’Italia in-tessuta con i partecipanti di Zonarte riverbera colori e atmosfere del capolavoro di Tancredi (Parmeggiani) A proposito di Venezia 1958 (Collezione Fondazione Arte Moderna e Contemporanea CRT). In linea con la dimensione extralarge di Zonarte, ad Artissima sarà proposto un lavoro in progress, con workshop, incontri, attività per le famiglie, mentre gli allievi dell’Accademia e del Primo Liceo Artistico, in collaborazione con la Web Tv del Castello di Rivoli accoglieranno e si confronteranno con il pubblico sulla complessa definizione del valore dell’arte oggi. . Testo di Anna PIRONTI, Responsabile Capo Dipartimento Educazione Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
pav/ parco arte vivente
Testo di Orietta Brombin
Il PAV, nato nel 2002 da un progetto artistico di Piero Gilardi, sorge a Torino in un’area ex industriale in trasformazione, un luogo di frontiera all’interno del territorio urbano. Il Centro sperimentale d’arte contemporanea è prima di tutto un “contenuto”, focalizzato sui processi dell’arte del vivente, che si esprime con modalità relazionali e attraverso ambiti multidisciplinari. Dal 2006, con l’inaugurazione di Trèfle, opera ambientale di Dominique Gonzalez-Foerster, l’attività con il pubblico è iniziata con la rassegna Nuovi orizzonti urbani e proseguita in sedi nomadi fino al 2008, anno dell’inaugurazione. Insediatosi in un luogo definito eppure in continua evoluzione, il PAV avvia una programmazione espositiva a tematica annuale, in relazione alla quale operano le Attività Educative e Formative al fine di facilitarne la comprensione e la sperimentazione. Programmi permanenti in ambito educativo per scuole e gruppi, formazione per i giovani e gli adulti, un ciclo continuo di workshop condotti dagli artisti impegnati nel programma espositivo rappresentano oggi una peculiarità del PAV. I workshop sono vissuti come vera e propria espressione di un evento sociale, dove le azioni artistiche diventano processi concreti, meccanismi di consapevolezza che possono preludere a una reale trasformazione dei comportamenti e delle abitudini. Avviato all’interno di Zonarte e condotto in collaborazione con Iacopo Seri, il percorso di laboratorio Guardarsi allo specchio e vedere il mondo, svolto in ambiente Self Education, ha coinvolto un gruppo di cittadini in una ricerca attorno al verde in città, con uscite sul campo e sessioni di studio sulle norme legislative in tema di piante autoctone e protette. Ad Artissima 18, il workshop pubblico New Alliance condotto dal CAE – Critical Art Ensemble (Steve Kurtz, Steve Barnette e Lucia Sommer) svilupperà il tema della possibile «alleanza tra le piante e le persone».
courtesy - PAV Parco Arte Vivente
* Centro sperimentale d’arte contemporanea-Attività Educative e Formative
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cittadellarte
Testo di ruggero poi
courtesy - Cittadellarte
E’ internet a consegnarci lo spunto migliore da cui partire per raccontare l’avventura di Zonarte. Il verbo scelto per la rete è infatti navigare. Non è un caso che l’azione, un tempo riservata ai marinai, sia traslasta al sistema di ricerca più diffuso al mondo. La navigazione e il viaggio sono metafora del cammino che l’umanità compie per raggiungere nuove frontiere di conoscenza. Archetipica è la vicenda di Ulisse, uomo che solca il proprio confine per desiderio di sapere, usando espedienti e strumenti ogni volta diversi ed appropriati alla situazione. Già gli antichi sapevano di dover salpare avvalendosi delle necessarie competenze (interpretare i mari, i venti e le stelle), acquisite attraverso esperienze millenarie e con l’affinamento progressivo degli strumenti. A partire da queste suggestioni, Cittadellarte-Fondazione Pistoletto ed Associazionedidee, hanno deciso di tracciare, nei primi due anni di Zonarte due rotte: Creative Collaboration e In-Ambito. Le proposte sono contraddistinte da un evidente interesse per la dimensione educativa, intesa nel suo valore etimologico: ciò che circonda il soggetto e in cui questo è immerso. Riteniamo fondamentale recuperare l’insegnamento delle pedagogie del novecento rileggendole alla luce delle ultime ricerche neuroscientifiche. Per fare questo è necessario avvalersi di tutte le potenzialità connesse ai nuovi strumenti tecnologici. La prima edizione, ispirata dalla Creative Collaboration lanciata ad Atlanta da Pistoletto, ha formato un network di artisti e studenti uniti dal terreno comune della relazione individuo-gruppo. In questo processo sono confluiti i racconti e le esperienze di: Arabeschidilatte, Casacci, Daniele Rudoni, IMNNHI, rete Libera, Michelangelo Pistoletto, Riccardo Ruggeri e Simone Sarasso. Con Artissima 2011 Zonarte apre il museo, e il suo sistema educativo, al confronto diretto con il contemporaneo. In prospettiva dialettica abbiamo allora disegnato In-Ambito, una serie di conferenze sensoriali che intendono alimentare il ragionamento e l’azione a partire da best practice digitali. Il mondo delle community (spesso luogo di pregiudizi educativi), è motore di cambiamenti sociali che non possono essere minimizzati. Una buona educazione passa da una buona navigazione.
Dipartimento Educazione GAM
Testo di Flavia Barbaro
Il Dipartimento Educazione GAM ha contribuito al felice esordio di Zonarte alla Fondazione Merz e allo sviluppo del progetto. Nel mese di maggio 2011 ha ospitato e organizzato tre giorni di “attività non stop” alla GAM, promuovendo l’incontro del pubblico con il rinnovato allestimento delle collezioni. Sono state aperte a tutti le sale del museo e gli ampi spazi attrezzati per workshop, laboratori e incontri valorizzando la dimensione democratica, creativa e ambientale della cultura. I partner della rete Zonarte hanno avviato un programma di attività condivise che è proseguito nel tempo per approdare ad Artissima: l’importante Fiera Internazionale torinese, dove si svolgeranno interazioni con i visitatori, incoraggiando riflessioni sulla complessità dei valori sottesi all’opera d’arte. Vivere un rapporto corretto con l’arte, secondo il Dipartimento Educazione GAM, significa non rimanere intrappolati nelle logiche di mercato e neppure considerare l’opera come una “realtà chiusa” accessibile solo agli esperti del settore, ma affrontarla come una provocazione che spinge a mettersi in gioco in un processo esperienziale aperto, imprevedibile e non lineare. La GAM, uno dei primi musei italiani a realizzare innovativi progetti educativi, propone quotidianamente, dentro e fuori dal museo, attività diversificate, interdisciplinari e inclusive articolate in programmi costantemente rinnovati. Lo scopo è incoraggiare il pubblico di tutte le età a “incontri ravvicinati” con le opere e gli artisti e all’elaborazione degli stimoli in modo personale. Relazionarsi da ragazzi con originali interpretazioni del mondo contemporaneo e continuare lungo tutto l’arco della vita - in linea con la lifelong learning -, permette di sentirsi autori e attori di esperienze autentiche, nelle quali l’arte prende senso contaminandosi con tutto quello che è importante per noi. L’epistemologia che si può acquisire attraverso le attività formative ci aiuta ad aprirci al nuovo, al diverso ad essere più consapevoli delle proprie e altrui potenzialità per affrontare le sfide del tempo presente e dell’incerto futuro.
courtesy - GAM
* Flavia Barbaro – responsabile GAM Education
staff / Antonella Angeloro, Giorgia Rochas – referenti laboratori / Laura Falaschi – referente prenotazioni
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Dipartimento Educazione Fondazione Sandretto “Charlie don’t surf and we think he should Charlie don’t surf and you know that it ain’t no good Charlie don’t surf for his hamburger Momma Charlie’s gonna be a napalm star” The Clash, “Charlie don’t Surf”
1978”, quando John Lydon, alla fine dell’ultimo concerto dei Sex Pistols, si accovacciò sulle ginocchia guardando sarcasticamente il pubblico e disse una delle frasi caposaldo della cultura musicale (e non solo) contemporanea: “Mai avuto la sensazione di essere stati fregati?”. È esattamente questo il tipo di sensazione che vogliamo evitare, che vogliamo combattere, quando si tratta di fruizione dell’arte contemporanea. Domande come “Quest’opera potevi farla anche tu?” sono servite a mettere in crisi alcuni luoghi comuni profondamente radicati, e a scoprire che, nella maggior parte dei casi, le persone sorridevano rispondendo di no. Altre domande sono servite per ascoltare i loro pensieri – profondi, divertenti, dissacratori – e in definitiva realizzare una collezione straordinaria di voci e di volti in dialogo con noi, tra di loro e con l’arte contemporanea.
courtesy - Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Nella seconda edizione di Zonarte, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ha attivato una serie di occasioni di incontro con il pubblico dell’arte contemporanea: una campagna di video interviste, workshop per studenti e adulti, mediazioni culturali sulle mostre e scambi formativi tra musei. In particolare, la serie di video-interviste Perché Charlie non fa il surf? è un’indagine allargata sul pubblico dell’arte contempo-
ranea, che pone lo spettatore come parte attiva dell’opera che sta osservando, e ne sollecita pensieri e riflessioni attraverso alcune domande, semplici e divertenti. Il titolo di questo progetto è ispirato all’opera di Maurizio Cattelan Charlie don’t surf - il bambino con le mani inchiodate al banco di scuola – che a sua volta cita una celebre canzone dei Clash. Perché Charlie non fa il surf? nasce da diverse domande che ci siamo fatti sull’arte contemporanea: che cosa pensa la gente quando visita le mostre? Ha delle riflessioni o curiosità che vorrebbe condividere? Ha voglia di farsi dare delle riposte? E, davanti all’opera di Cattelan, si chiede perché Charlie non fa il surf? Gli interessa il meccanismo con cui è stato scelto questo titolo? Gli interessa sapere chi è Charlie? L’idea alla base di tutto è provare a scongiurare quella che si potrebbe definire “sindrome del 14 gennaio
Testo di Francesca togni
fondazione merz
Testo di mario petriccione
courtesy - Fondazione Merz
Il tema della relazione, fondamentale per l’esperienza Zonarte, pone, dal nostro punto di vista, il tema della centralità dell’opera, del suo stare come medium, e questa, a sua volta, quello dei media e dei linguaggi. Sono questi gli elementi che con le attività proposte abbiamo voluto esplorare, con la consapevolezza che oggi i codici espressivi si presentano indistinti, non specifici, aperti alle influenze e alle azioni degli altri. Centauro sopravento, l’attività proposta per la prima edizione di Zonarte, manifestava questa intenzione fin dal titolo e la realizzava attraverso una messa in atto dell’ibrido dei linguaggi, dove la figura mitologica del centauro era assunta come emblema della mescolanza dei materiali, dei modi e dei processi espressivi adottati e, soprattutto, della condizione, indeterminata e sospesa, che il ricorso alla maschera voleva proporre, per avvicinare, attraverso l’ibrido della forma, lo stato emotivo del non più univoco. Con il Teatro delle cose abbiamo voluto sviluppare e approfondire questi elementi, riconducendo la mescolanza e l’interrelazione dei linguaggi all’ambito della performance e del teatro in genere e concentrando la nostra attenzione principalmente sulla relazione tra il corpo che agisce e gli elementi oggettuali che lo accompagnano, sul rapporto con le cose che, svincolate dalla loro funzione d’uso, possono arricchirsi di nuovi significati. Così, quello che in Centauro sopravento aveva un carattere più interno, intimo, individuale, considerando l’esperienza della relazione attraverso la maschera, dentro la maschera, soprattutto, come incontro tra sé e sé, nel Teatro delle cose, invece, si mostra, si apre, si fa collettivo per essere offerto come opportunità, come indice della capacità degli oggetti di raccogliere storie, emozioni e idee che raccontano il nostro rapporto con il mondo.
Chefare?, 2011 – legno, carta, polvere da sparo – 30x90 cm
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collezione artesera
PA RA D OS S O Se accadesse un evento che riguardasse le vicende dell’intera umanità, come potrebbe essere lo scoppio di una guerra mondiale, i giornali chiederebbero un articolo di fondo a un sociologo, a uno storico, a un filosofo, persino a uno scrittore, ma non a un artista o a un critico d’arte.
portage Si chiamano Portage, puoi leggerlo alla francese o all’inglese. Portatori di carichi, quelli del porto, macchine e uomini, container. Loro sono portatori di idee, azioni, emozioni. Se li metti nella dimensione del teatro non si ritrovano, perché sono artisti, che amano la performance e l’installazione. Stanno lì in mezzo. Alessandra Lappano e Enrico Gaido lavorano insieme dal 2004. Fanno grande uso della parola, che diventa materiale, piattaforma, detonatore. E del corpo. E degli oggetti, “di scena”, che poi diventano sculture e rimangono tracce dell’energia impiegata. Per il Festival Prospettiva 150 del Teatro Stabile hanno presentato And The Stupid Moved on Teardrop, una grande installazione performativa fatta di video, sculture, azione. La massa e il potere, la parola che può persuadere, educare, corrompere, illuminare. Ma qual è il ruolo dell’artista nella società? Al di là del suo piccolo mondo di riferimento, chi gli dà credito reale? È una domanda radicale sul senso della ricerca e sul valore del verbo artistico.
Das Andere, 2010 – performance / video-installazione
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punti di vista
IL PUBBLICO NON E’ INVITATO? UTO P IA E REALTA’ DELLA CURATELA DI F F USA
testo di luca morena*
L’impressione del fruitore saltuario di arte contemporanea in effetti non sembra cambiata un granché dai tempi raccontati da Wolfe: quando si va a una mostra, si ha quasi sempre la sensazione che la festa sia finita prima del nostro arrivo, o che si farà quando ce ne siamo andati, e in ogni caso che non si figura certo tra gli invitati. Questo nonostante la cura con cui spesso gli addetti ai lavori si adoperano per coinvolgere il pubblico, attraverso percorsi didattici, incontri con gli artisti e attività propedeutiche di ogni genere. Ma da cosa nasce questa sensazione di distanza? Non è solo una questione di difficoltà di comprensione dell’arte contemporanea - questione largamente esagerata - né soltanto di scarsa familiarità con ambienti e persone che ne popolano il mondo. Questa sensazione nasce da un’aspettativa che, in fin dei conti, potrebbe rivelarsi mal riposta, e che si basa su una analogia tanto convincente all’apparenza, quanto naïf: il mondo dell’arte è un’oligarchia globale del gusto e degli affari in nulla diversa dall’oligarchia globale del potere economico. Dunque, come la democrazia si realizza pienamente attraverso il depotenziamento - se non l’eliminazione - delle oligarchie economico-finanziarie, così la Repubblica dell’Arte si realizza attraverso il depotenziamento - se non la destituzione - delle oligarchie dell’arte. Ma in che senso il pubblico dovrebbe partecipare al mondo dell’arte come si partecipa a una democrazia? A ben vedere tra i meccanismi partecipativi minimi in una democrazia vi sono l’eleggibilità, il diritto di voto, la libertà di parola. Nel mondo dell’arte questi principi si tradurrebbero grossomodo nella possibilità di diventare artisti (eleggibilità), curatori (diritto di voto), critici (libertà di parola). Nessuno di questi diritti è pienamente garantito nel mondo dell’arte (per non parlar del mondo nella sua interezza). Ma se c’è un diritto tra questi che viene percepito dal pubblico come maggiormente conculcato è sicuramente il diritto di voto o, diremmo, di curatela. L’assunto di partenza è che il pubblico dovrebbe poter decidere che cosa è arte, anche e soprattutto nell’e-
poca in cui l’arte ha voluto rendersi indeterminata, irriconoscibile, decontestualizzata. La questione - che sembra riguardare semplici meccanismi istituzionali, “chi decide cosa” - ha una dimensione metafisica che non è sfuggita ad autori come Arthur Danto e George Dickie: qualcosa è arte in virtù del fatto che c’è un mondo dell’arte che la riconosce come tale (Danto aveva come riferimento lo stesso, angusto, art world newyorchese preso di mira da Wolfe). Se Danto e Dickie hanno ragione, in un certo senso potrebbe essere contrario alla natura dell’arte pretendere che il suo mondo - piccolo, codificato, irresponsabile - si estenda fino a comprendere - in un ruolo attivo di selezione - tutto il suo pubblico. Quel che fa dell’arte arte potrebbe dover comunque includere - per pura necessità metafisica - un elemento di esclusività, un seme antidemocratico. Il mondo dell’arte se è riformabile, potrebbe dunque esserlo soltanto nel senso di una democrazia rappresentativa, meritocratica nel migliore dei casi, che consenta un altro esercizio fondamentale in democrazia - la discussione pubblica -, e che renda possibile l’accesso a tale discussione a una cerchia assai più ampia di persone. Quest’ultima condizione potrebbe realizzarsi abbastanza rapidamente non tanto per una volontà di autoriforma da parte del mondo dell’arte, ma come effetto dell’esplosione quantitativa dei contenuti d’interesse artisti-
co (e non solo) sul web. Da qualche tempo, infatti, la parola “curatore” è uscita dai musei e dalle gallerie ed è diventata mainstream in Rete e sta a indicare colui o colei che - per passione o professione - seleziona contenuti interessanti per la condivisione. Il successo di Cool Curators come Maria Popova di Brainpickings.org o Christopher Jobson di Thisiscolossal.com o la popolarità di piattaforme di blogging intrinsecamente “curatoriali” come Tumblr rendono la curatela diffusa - e un processo di maggiore democratizzazione del mondo dell’arte - obiettivi plausibili. La democrazia diretta, tuttavia, - magari attraverso i “Like” di Facebook o i “+1” di Google - è di là da venire, non appare desiderabile e, ciò che più conta, sembra in contrasto con quel fondamento irriducibilmente esclusivo e auratico di cui l’arte per essere tale - non sembra proprio poter fare a meno. * Luca Morena consegue un dottorato in Filosofia analitica presso l’Università di Bologna e svolge attività di ricerca presso il Laboratorio di Ontologia dell’Università di Torino. Redattore della Rivista di Estetica e Advisory Editor del Monist. Pubblica Word or Object? A Study of Disagreement in Ontology. Co-fondatore di iCoolhunt, social network dedicato ai coolhunters dell’innovazione e della creatività.
William Powhida, Hoowerville, 2010, grafite su carta
“A
l pubblico si dà il fatto compiuto e l’annuncio a stampa”. Così scriveva nel 1975 Tom Wolfe nel suo celebre pamphlet The Painted Word (Come ottenere il successo in arte, Allemandi, 2002 NdA.) a proposito delle modalità di selezione esclusive e impenetrabili degli art world metropolitani (“circa 750 acculturati a Roma, 500 a Milano, 1750 a Parigi, 1250 a Londra, 2000 a Berlino, Monaco e Düsseldorf, 3000 a New York [...] circa 10.000 anime - un villaggio - limitato ai beaux mondes di otto città”). I numeri dell’art world globale con tutta probabilità non sono più quelli. Forse si sono addirittura ridotti. Secondo l’artista newyorchese William Powhida - autore nel 2009 di un fortunato ritratto satirico del mondo che popola Art Basel Miami Beach e di altri controversi statement artistici contro istituzioni dell’arte - “la bolla non scoppia mai, diventa solo più piccola”.
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off
off? testo di OLGA GAMBARI
L’off è da sempre storicamente qualcosa che sta appena fuori dalla luce dell’ufficialità, è una dimensione non istituzionale, e per questo più agile e libero di sperimentare senza il peso degli errori e dei pericoli.
Altro in città Spazio Barriera L’artista inglese Michael Bauer diventa curatore nella collettiva internazionale “The keno twins 5”, quinta edizione di un progetto in cui si confronta con altri artisti su temi iconologici. Via Crescentino 25, www.associazionebarriera.com
Non teme, non ha paletti né occhi puntati addosso. Gli si permette molto di più, e ciò che non è andato bene viene subito dimenticato. Si prende il buono che arriva con leggerezza, chi lo fa e chi lo fruisce, con un clima anche di festa, di alternatività che fa essere più accogliente e tollerante il pubblico e più coraggiosi gli organizzatori. Spesso è una serra dove crescono i fiori più interessanti, quella dove merita sempre bazzicare per un’odoratina e una sbirciatina. Succede attorno a tutte le grandi fiere europee per esempio, da Art basel che ha fatto scuola anche in questo, con le altre fiere alternative nate negli anni e diventate ormai dei modelli, da Liste a Scope, e poi Zoo Art Fair a fianco di Freize a Londra. Succede in ogni microsistema artistico cittadino. Pian piano a Torino è nata Paratissima, che raccoglie un caleidoscopio di artisti, gallerie, spazi e collettivi spalmandoli sul quartiere di San Salvario, trasformato per una manciata di giorni, dal 2 al 6 novembre, in un happening enorme e vitale, quotidiano, tra piazze, locali, negozi, case. 500 artisti e giovani creativi, 200 location per 5 giorni di mostre, esposizioni e performance suddivise tra le sezioni di Paradesign, Paraphoto, Paralive e Parafumetto, l’esposizione Fake to Fake e Parkissima 52. Quest’anno il tema è PoII. Futuro remoto?, cioè dove sta andando l’arte del prossimo futuro? Dall’anno scorso Paratissima compare anche tra gli eventi segnalati nella guida sul Piemonte della Lonely Planet. È un corteo di persone che vanno e vengono, fanno, propongono, guardano, trasversale a diversi ambiti del mondo dell’arte. Una risposta a certe ingessature cittadine e una voglia di vivere l’arte in un altro modo rispetto a quello proposto, che ha riscosso subito un’enorme adesione, raccogliendo l’eredità di una tradizione underground e autogestita familiare al carattere e alla storia creativa torinese. E ora arriva The Others, fiera che però si pone come altro, come una cosa a sé, per nulla in conflitto con Artissima, a partire dall’orario di apertura, che parte da quando l’Oval chiude e poi fino all’una di notte, a Le Nuove, il vecchio carcere situato nel cuore della città. Qui le gallerie presenti sono nate dopo il 2009, i prezzi sono un forfait popolare e ci sono una serie di premi sponsorizzati da aziende private. È un buon segno che attorno ad Artissima sia nata una fiera satellite, un salto verso una scena internazionale, dove è un modello ricorrente avere la grande fiera attorno a cui ne nascono altre si sapore diverso, a fare rete, sistema, offerta maggiore.
Vieni a prendere un caffè da noi Caterina Fossati e Luciana Littizzetto invitano nella casa della storica gallerista Eva Menzio, per prendere un caffè e vedere le opere di 11 artisti. Una mostra per dare del tempo all’opera e a chi la vive. Con Gioiello, Lucà, Sighicelli, Leonardo, Bounty Killer, Mancini, Ledda, El Asmar, Gandini, Massaioli, Neira. 5 e 6 novembre, piazza Vittorio 24 Info: caterina_fossati@fastwebnet.it Eric Il progetto “Eric” dell’artista romano Gregorio Samsa propone uno sdoppiamento della narrazione, tra reale e virtuale. Il primo in un appartamento al secondo piano in via Bellezia 14, il secondo sul sito www.gregoriosamsa.com Spazio bianco Un anno di lavoro per una mostra dove i singoli spunti si fondono in un’opera collettiva, che avvolge tutto lo spazio. Si svolge nello “SpazioBianco” in via Saluzzo 23\bis , un ex garage in San Salvario. Partecipano Nicus Lucà, Saverio Todaro, Silvano Costanzo e Mauro Benetti. Inaugura il 30 novembre.
Roberto Casiraghi
WE Torino, autunno 1980. La Fiat mette in cassa integrazione 23.000 operai. È un mondo che inizia a sbriciolarsi dentro e fuori la fabbrica, coinvolgendo destini singoli e collettivi. Angelo Castucci recupera quella memoria nel progetto “Volevamo tutto” da WE, in via Maddalene 40/b Torino, dall’7 novembre, www. weprojectwhat.it
Claudio Bottello - Ixone sadaba
The Others accoglie giovani artisti rappresentati sia da gallerie di arte contemporanea altrettanto giovani, non più di due anni di età, sia da associazioni, istituzioni ed altri operatori culturali capaci di offrire al pubblico un panorama di grande attualità, internazionale, di alta qualità, grazie alla selezione di un comitato estremamente significativo dello stato della creatività nel mondo. E’ il tentativo di offrire voce e visibilità a chi propone ed elementi di apprendimento e strumenti di conoscenza a chi visita. The Others non è una fiera, almeno non nel senso tradizionale del termine, ha nel mercato un elemento necessario ma non esclusivo; esiste infatti un mercato che ha come base la vendita di un’opera d’arte, attraverso la ricerca e la promozione effettuata prevalente delle gallerie, ma esiste anche un mercato vastissimo, sovente dimenticato ed osteggiato, che ha alla base delle transazioni il sapere, la conoscenza, la consapevolezza, l’arricchimento culturale, il confronto, l’evidenziare il lavoro di entità “altre” che promuovono l’arte. The Others ha certamente bisogno del primo tipo di mercato ma il progetto di sviluppo è fortemente influenzato dal secondo tipo di mercato, molto personale, stimolante e suggestivo. Ho trovato molto interessante una definizione che gira sul web riguardo al nostro progetto: The Others è Mac, il resto è PC...
Sonia Rosso Un hotel, un negozio di scarpe, un fioraio. La galleria si trasforma in altro nel nuovo progetto di Sonia Rosso per il suo spazio in via Giulia di Barolo 11/h. Il 5 si apre con una stanza d’albergo ideata da Scott Myles, nel Lira Hotel in cui si è trasformato il luogo espositivo, curato da Sonia Rosso in collaborazione con l’artista Jonathan Monk. lirahotel@soniarosso. com InGenio “Nove mesi. I miei ricordi a chi i ricordi li sta
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Lira Hotel - courtesy Sonia Rosso
perdendo”: migliaia di fotografie che raccontano la dimensione dell’Alzheimer, una perdita di memoria che fa scomparire anche la persona, a cui Daniela Perego consegna i suoi ricordi. Spazio InGenio, corso San Maurizio 14\e Info: www.comune.torino.it/pass/ingenio Galo Art Gallery Artisti, writers, performer e non solo: i Truly Design sono un gruppo torinese che non fa differenza fra muri e tela, con ironia estetica. Galo Art Gallery, unica galleria ufficiale della street art in città. Via Saluzzo 11\g, www.galoartgallery.com Ugo La Pietra Retrospettiva di Ugo La Pietra, per conoscere il racconto di un’avventura artistica che mescola linguaggi e si fa anche impegno etico e sociale, con ironia. Miaao, via Maria Vittoria 5, www.miaao.org
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Mic - courtesy GALO Art Gallery
enso che una lettura romantica del sistema dell’ Off sia accettabile nell’ambito di un contesto che, per me, non esiste più già dalla fine degli anni 60’. La stessa natura dell’off (chiamiamolo underground, alternativo ecc...) prevedeva, un tempo, l’esistenza di un mondo In al quale contrapporsi. Non vi era alcun desiderio di chi faceva parte del mondo off di saltare la staccionata. Dopo la grande, palese e geniale truffa dei Sex Pistols il mondo Off ha definitivamente tirato le cuoia. Ora il mondo alternativo sembra fatto da quelli che, per svariati motivi (carattere, sfiga o altro), non sono accolti nel mondo dell’ In. Sono le stesse persone che non ci penserebbero un secondo a passare dall’altra parte se l’occasione lo permette. Lo stesso mondo off ha dovuto darsi delle regole e, per sopravvivere, assomigliare sempre di più ad una struttura In. Così come le strutture In (vedi l’esempio delle Fiere) sono costrette ad aprire le porte all’ Off. Molte volte vedo mostre in luoghi definiti alternativi che sono identiche a mostre viste nei luoghi istituzionali e viceversa. Concerti in centri “alternativi” che copiano stili e tematiche del mondo istituzionale. In un sistema così confuso la differenza la fa solo il fare. Fare possibilmente bene e di cuore senza chiedersi se è In o Off. (testo di ANDREA COSTA*) * Andrea Costa (1963) Membro fondatore del gruppo elettronico Monuments (http://it.wikipedia.org/wiki/Monuments). Autore e arrangiatore di musiche per documentari, teatro, televisione e web. Responsabile tecnico della galleria Guido Costa Projects e della Fondazione Spinola Banna per l’arte.
Diogene Audio-tour nel percorso che collega il Quadrilatero Romano al tram di Diogene, in sosta tra corso Regio Parco e corso Verona. Li firmano l’artista Graham Hudson, Radio Papesse, Luca Morino e il Gruppo Archeologico Torinese. Informazioni e pensieri sulla Torino contemporanea e sulla sua storia in questi sound walks, che saranno poi accessibili on line dopo le giornate di Artissima sul sito www. radiopapesse.org Altre info: www.progettodiogene.eu
Come si arriva al Castello di Rivoli? Una mostra risponde con ironia, che diventa riflessione concettuale. A un visitatore, per arrivare al Museo, sono necessari 33 minuti in auto, 1 ora e 13 minuti con i mezzi pubblici e 3 ore e 7 minuti a piedi. Ma quanto tempo per comprendere poi le opere, e quanto, invece, a un artista per “arrivarci”? Gite in autobus ogni giorno con critici, artisti e galleristi per personali iniziazioni, www.paratissima.it. Paratissima…e poi? È una mostra sul tema dell’”esordio” attraverso la testimonianza di otto artisti torinesi: oggetti selezionati da ciascuno per raccontare gli inizi della loro carriera. Maura Banfo, Giulia Caira, Enrico T.De Paris, Carlo Gloria, Paolo Leonardo, Andrea Massaioli, Bartolomeo Migliore, Francesco Sena e Enrico Juliano. Info: www.paratissima.it
Ugo LA Pietra - IIl Commutatore
Nopx L’artista francese Elisabeth Lecourt parla di identità femminile e sua rappresentazione. Opere in forma di fragili abiti di carta a formare un guardaroba impregnato di emozioni, sensazioni, memorie. Fino al 23 novembre, Nopx, via Saluzzo 30, www.nopx.it
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Alcune immagini di iniziative “Off” promosse a Torino negli anni 80 - courtesy Alessandro Stillo
Partiamo dall’inizio e cioè dagli anni ‘80: dopo la fine della politica militante (e militonta) servita a colazione, pranzo e cena, dopo il riflusso e lo scioglimento dei movimenti con la coda lunga di spiacevoli effetti collaterali, dall’eroina al terrorismo, improvvisamente la cultura diventava terreno di impegno personale e professionale, usciva da musei e teatri polverosi, in mano a quelle che allora si chiamavano le “giovani generazioni”. Ma, visto che non usciva da sola ma veniva trascinata fuori, si scopriva che la polvere era tanta e che, oltre a questa, c’era una certa resistenza ad accogliere la cultura giovanile, nel frattempo cresciuta sia nella musica che nell’arte, come nello spettacolo e nel design. I musei, i teatri, gli spazi tradizionali non ne volevano sapere di ospitare “giovani artisti” (l’uso del termine così come lo conosciamo nasce in quegli anni): e così, in alcune città d’Italia, per necessità e per vitalità, si iniziavano ad utilizzare spazi diversi, alternativi. Torino anche in questo era all’avanguardia: si iniziò con Gli Antichi Chiostri di Via Garibaldi, poi si passò al foyer del Big, allora allineato il giovedì alle fashion victim londinesi dell’Hyppodrome, con Night for heroes e Mixo alla consolle, insieme al Chiostro dello Juvarra (San Filippo Neri) e poi a Via Mantova, 55, sede di un Centro di Bioenergetica e Medicina Naturale. Intanto si avvicinava l’edonismo reaganiano, i luoghi di aggregazione erano contemporaneamente sede per le produzioni artistiche e luogo di evasione modaiola ed esibizione di esteriorità superficiali: l’auto, l’orologio, il completo di Armani. Un po’ American Psyco, un po’ vernissage d’avanguardia. Per i locali trendy diventava obbligatorio ospitare esposizioni e spettacoli: le sedi della “movida” di allora coincidevano con club e locali spesso ricavati da spazi industriali, dove esporre, suonare, presentare le proprie performances, ma soprattutto dove incontrarsi, discutere, progettare, dove crescere insieme ad altri. Per citarne alcuni, dimenticandone molti altri: Metrò, Studio 2, Portes, Polaroid, Azimut e Zenit, il già citato Big, Ippopotamo e altri ancora. A cosa è servito tutto questo? Innanzi tutto, a farci prendere coscienza che stavamo parlando e agendo per qualcosa di condiviso, che attraversava una generazione. A liberare energie, idee,
concetti, amicizie, contatti che permettono oggi a Torino di rivendicare il ruolo di capitale culturale in Italia. A far esprimere gli artisti e gli operatori di una generazione di fronte al proprio pubblico naturale, i coetanei della città in cui vivevano (e vivono). A convincerli di essere artisti non di fare gli artisti. A dare un po’ di tinta al tradizionale “grigio Torino”. A permettere il superamento del lutto per la assenza sempre più forte di “mamma Fiat” e di quello, ancora più lacerante, per la morte dell’impegno politico. Molte di queste iniziative si sono nel tempo istituzionalizzate o sono state istituzionalizzate a forza da enti, istituti, amministrazioni: quello che pesava (e costava) poco ha iniziato a diventare massiccio, burocratico e costoso, togliendo spazi, risorse, stimoli al tessuto culturale diffuso della città. Da un lato abbiamo avuto e abbiamo istituzioni per ogni evenienza, danza, musica, arte contemporanea, che hanno sicuramente dato lustro alla città, dall’altro la sensazione è che la loro crescita non sia stata di aiuto per il tessuto culturale cittadino di base. Noi stessi, gli operatori culturali dei primordi, coordiniamo, dirigiamo, organizziamo (o lo abbiamo fatto) mega eventi/contenitori/spazi/musei e così via. Oggi il nuovo mantra, la crisi, mette tutto in discussione e improvvisamente dobbiamo ricominciare a fare tanto con poco, a fotocopiare gli inviti, a portarci il vino da casa ai vernissage. Forse a quegli anni si deve ricominciare a guardare, per superare l’ennesima crisi di identità e di risorse, considerando anche che con il budget di una media istituzione culturale si finanziano qualche centinaio di organizzazioni della cosiddetta “cultura di base”. Certo, non sarà sufficiente, ma è un primo passo, sperando che la politica decida di riprendere ad investire nella cultura nonostante la crisi. (testo di ALESSANDRO STILLO*) * Alessandro Stillo ha realizzato svariate rassegne: De Turin, Architectorum Ludi, Chiamata alle @rti, aperto spazi dedicati all’arte e all’intrattenimento: Azimut, Zenit, L’Ippopotamo, Arcate. Tra gli ideatori della Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo. 1997 Direttore della Biennale Off , 2001-2010 Segretario Generale del network omonimo. Direttore delle Relazioni Internazionali del WEYA.
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a spasso per le fiere i n t e r v i s ta a f r a n c e s c a c i l l u ff o * a cura di redazione
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Berlino è da un po’ che non ci andiamo, ma ricordo le prime edizioni come molto fresche, entusiasmanti, innovative, anche per il clima proprio della città. Basilea ha sempre un’alta qualità di gallerie e di opere, impareggiabile, soprattutto sui classici. La grande signora non delude mai. Mentre Art Basel è solidamente costruita e tradizionale, l’altra fiera, ormai storica anche se alternativa, che è Liste, per me rappresenta sempre una sorpresa piacevole. Quella che forse ho sempre preferito è, però, Frieze a Londra. Soprattutto le prime edizioni mi piacevano molto, forse per lo spazio dove accadevano, così particolare. Chiudo con New York, con l’Armory Show, che è sempre un momento molto coinvolgente, non tanto per la fiera in sé, ma per tutto ciò che si sviluppa attorno. E devo dire stesso discorso per Londra. Ad attirarmi è il contesto della fiera, tutto quello che le gira intorno, cioè quello che accade nella città nei giorni in cui c’è la fiera, per cui gli eventi, le mostre che si inaugurano, il collezionista che apre la casa e hai l’occasione di vedere cose che non vedresti mai, gli incontri, la chiacchierata con l’artista al museo, l’inaugurazione in un posto dove magari tu normalmente non riusciresti ad entrare. Leggo sempre con entusiasmo i programmi delle fiere con tutto quello che accade come eventi collaterali: quelli valgono davvero il viaggio, rappresentano ciò che mi porta ad andare e a ritornare a una fiera, non la fiera in sé. Per questo credo sia importante creare un indotto di eventi tale da attirare il collezionista. Più cose accadono meglio è, proprio per far venire le persone. Torino ha delle potenzialità enormi, dovrebbero lavorare con l’obbiettivo di creare un’offerta culturale ancora più ampia, di modo che anche chi non è un appassionato d’arte prenda quella settimana di Artissima come spunto e stimolo per visitare la città, con la sua variegata offerta, oltre all’arte contemporanea. * Francesca Cilluffo è nata in provincia di Palermo, laureata in Giurisprudenza a Torino; è notaio, giurista ed esperta di diritto civile. Collabora con “Italiadecide”, cultrice e collezionista di opere d’arte contemporanea. Dal 2009 Responsabile del Dipartimento Cultura del Partito Democratico in Piemonte, da Luglio 2011 è subentrata a Piero Fassino alla Camera dei Deputati, membro della “II Commissione – Giustizia”.
Galleria Martano
Ketty La Rocca - La Pietà, 1974, una riproduzione fotografica e sei chine su carta (ciascun foglio cm. 17,5 x 25,5) Galleria Martano, Torino Vieni a scoprirla ad ARTISSIMA - SEZIONE BACK TO THE FUTURE / Come and see it at ARTISSIMA - BACK TO THE FUTURE
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attualità
COMPROMETTERSI CON IL CONTEMPORANEO MUSEI F UORI DI SE ’
testo di Alessandra Gariboldi*
L’arte serve? L’arte contemporanea può dare qualcosa alla comunità? Fornire strumenti, punti di vista, approcci diversi a chi entra in relazione con essa? Il passaggio dalla domanda “come posso far venire più gente nel mio museo?” a “come posso fare qualcosa per le persone?” non è banale.
Certo, dipende anche dal fatto che l’arte contemporanea non parla da sola. Soffre di una paradossale distanza dalla comunicazione, lei che nasce così prepotentemente dall’esigenza di comunicare. Con buona pace dei curatori, che spesso non si capacitano di tale distanza, tutte le ricerche sul pubblico indicano inequivocabilmente che l’arte contemporanea è percepita – anche da quelli che i musei li frequentano – come ostica, inavvicinabile, per addetti ai lavori, non per tutti. Così i musei di arte contemporanea hanno più spesso dovuto faticare per essere riconosciuti come un valore – presso le amministrazioni come presso il pubblico - più dei loro colleghi che si occupano di Rinascimento o di archeologia almeno, e certamente prima di essi. Per chi si occupa di contemporaneo, quella di comunicare efficacemente i contenuti delle proprie collezioni è in certa misura una preoccupazione preesistente al bisogno di giustificare la propria esistenza come istituzioni. Un bisogno verso cui la riduzione progressiva della spesa pubblica – e la mancanza di una cultura del sostegno privato sta spingendo tutte le istituzioni museali del nostro Paese. I musei di arte contemporanea si sono mossi prima e meglio dei loro colleghi di altre discipline per incontrare il pubblico. Una certa laicità, forse, o la stessa natura del contemporaneo, così mobile e provocatoria, dubitativa e processuale, hanno spinto i musei negli ultimi anni a mettersi in discussione, a percepire se stessi come agenti della realtà, non solo come suoi testimoni. Accade qui ciò che altrove, nel mondo in affanno dei musei, appare ancora difficile, talvolta impensabile: la direzione artistica, il marketing, e i servizi educativi spesso lavorano insieme, sotto un’unica egida, quella della relazione con il pubblico, e ancora prima, della relazione fra essi. La museologia degli ultimi vent’anni si muove ormai in questa direzione, ed è certo necessario per chiunque si occupi di “con-
servare, ricercare e comunicare” il proprio patrimonio, fare i conti con quello che in ambito anglosassone è ormai elaborato da anni. Così discipline come il marketing, la sociologia, l’antropologia, la psicologia, la stessa pedagogia, sono entrate di prepotenza in un mondo popolato sino a pochi anni fa da soli storici dell’arte. I quali, va detto, non sempre hanno accolto con entusiasmo i punti di vista di cui questi estranei erano portatori. Vada per un manager, vada per un ufficio stampa… ma cosa ci fa un sociologo nel mio museo? Uno che si occupa di persone e non di arte? Come vuoi che un esperto di marketing capisca quello che cerca di vendere? Con questo approccio un po’ datato, e con il legittimo sospetto che questo mettesse in discussione l’arte e la cultura come valori in sé e quindi non contrattabili, i musei italiani hanno tardato ad accogliere le infinite possibilità che andavano dischiudendosi per loro. Cioè il loro ruolo possibile di agenti di formazione per la collettività, di produttori di pensiero, di fornitori di spazio e tempo per la riflessione, specchi di una comunità, luoghi di scambio e aggregazione. Quindi interpreti dei cambiamenti e allo stesso tempo agenti del contemporaneo. Ancora una volta, è dal mondo anglosassone che arrivano le prime significative esperienze di apertura dei musei ad attività che vanno oltre la “sola” mediazione dei propri contenuti a un pubblico più o meno vasto. Una diffusa lettura del museo come strumento per la crescita della società, che caratterizza in modo forte la museologia inglese, statunitense e australiana, non riguarda certo solo i musei legati all’arte contemporanea (basti pensare ai programmi intensi e articolati di istituzioni con patrimoni decisamente “tradizionali” come il Victoria&Albert o lo Smithsonian, solo per citare i più famosi, o i community programs portati avanti da numerosissimi musei). Nell’ambito dell’arte contemporanea si trovano progetti molto strutturati sul piano del marketing, come la Young Tate, un board permanente di giovani
che con il supporto del museo progettano e realizzano eventi e progetti dedicati ai giovani. Ma anche i numerosi programmi del Brooklyn Museum che, con un fortissimo utilizzo dei social media, stimolano i visitatori a interagire con le opere, accogliendo il loro vissuto e il loro punto di vista dentro mostre come The Black List Project (una mostra fotografica sull’identità afroamericana cui sta per seguire un analogo progetto sui Latins), o addirittura costruendo mostre partire da contenuti proposti e curati dagli utenti del web (Click! A crowd-curated exhibition, realizzata nel 2008). Pur con accenti diversi, rivolti alla lotta dell’esclusione sociale piuttosto che al coinvolgimento di target “difficili”, al radicamento nella comunità di riferimento piuttosto che alla risoluzione di problemi concreti di rappresentatività delle minoranze, tutti questi progetti hanno in comune l’apertura verso la società, lo spostamento dell’ago della bilancia dal patrimonio alle persone, l’assunzione di una responsabilità concreta nei confronti della comunità. Una visione dell’arte e della cultura in generale - talvolta più funzionale, talvolta più costruttivista-, che non deve essere necessariamente essere sposata acriticamente, ma dalla quale almeno in termini di confronto non si può più prescindere se si vuole che i custodi del patrimonio assumano un ruolo attivo negli scenari mutati e mutanti delle società postindustriali. Oggi la società è più complessa, o forse lo è sempre stata, ma oggi ne siamo consapevoli: come può il museo essere portatore di una sola visione, di una sola identità, di cui il curatore è custode e sacerdote? Anche in Italia, pur con il consueto ritardo che ci caratterizza, gli ultimi anni hanno visto grandi cambiamenti nei rapporti tra musei e società. E l’arte contemporanea, in questo campo, ha una marcia in più: può lavorare con artisti viventi, e può farli personalmente interagire con il pubblico, può sperimentare i processi artistici con le persone, può -più facilmente di altri- includere nuove forme
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di creatività contemporanee, vicine alla vita delle persone (moda, grafica, design, web, cinema, ma anche tatuaggi, danza, musica…). Ed è, più di ogni altra cosa, esperienziale in sé, anche perché spesso nasce con l’intenzione di generare un cambiamento in chi ne fruisce. È forse per questo che prima e meglio di altri ha saputo affrontare la sfida di coinvolgere e comunicare in modo creativo e intenso, talvolta pioneristico. È il caso del Castello di Rivoli, che è uscito dalle proprie mura per tuffarsi nella realtà con progetti che hanno fatto scuola come il Tappeto Volante che, a distanza di quindici anni, appare ancora oggi sorprendentemente innovativo; o come la GaMeC, che ha affrontato l’interculturalità con progetti di formazione per mediatori interculturali con le comunità di origine straniera di Bergamo. Ma anche la GNAM di Roma, che oltre a disporre –unico caso in Italia- di un osservatorio permanente sul pubblico, presenta in questi giorni La Memoria del Bello, un progetto sui malati di Alzheimer. Sono innumerevoli i progetti artistici legati alla comunità che si stanno sviluppando negli ultimi anni proprio attraverso i musei, e scrivendo questo articolo ci rendiamo conto di quanto numerosi siano quelli che meriterebbero di essere citati in queste pagine. Certo, c’è ancora molta strada da fare: in termini di ampliamento, ma anche di diversificazione dei pubblici, cioè di effettiva accessibilità. Spesso i musei, alle prese con cronici problemi di sopravvivenza, hanno una conoscenza sommaria del proprio pubblico, soprattutto di quello potenziale, e la cultura della valutazione è ancora vissuta diffusamente come un’arma potenzialmente utilizzabile contro il museo, più che uno strumento di miglioramento del proprio agire. Infine, politiche ancora deboli sul piano del marketing spesso non permettono di massimizzare l’impatto delle iniziative che, pur meritevoli, stentano a inserirsi nel quadro di una politica organica di relazioni con il pubblico. Ma la spinta a sperimentare, a compromettersi con il contemporaneo, diventandone agenti, sta progressivamente coinvolgendo i musei italiani, anche quelli lontani per cultura disciplinare e museale dall’arte contemporanea. Un ripensamento coraggioso e necessario, di cui beneficeranno – e talvolta già accade – i musei, non meno delle persone.
* Alessandra Gariboldi è coordinatrice dell’Area Ricerca e Consulenza di Fondazione Fitzcarraldo Onlus. E’ specializzata in valutazione e aspetti gestionali dei beni culturali. Si è occupata di sistemi museali, di sostenibilità e di impatto di iniziative culturali. È esperta di indagini sul pubblico e processi di Audience Developement in ambito culturale. Fa parte della Commissione Educazione e Mediazione di Icom Italia.
il pubblico non si conta ma conta public doesn’t need to be counted but counts
simona bodo
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arte e...
arte e mediazione i c i t ta d i n i c o m m i t t e n t i
testo di a.titolo*
“Beato quel paese in cui gli abitanti si riuniscono per costruire assieme la fontana della piazza”.
L
a frase di Alexis de Tocqueville, ripresa dal sociologo Pierpaolo Donati per parlare di “beni relazionali” in occasione della Biennale Democrazia di quest’anno a Torino, è perfetta per capire che cosa intendiamo per cittadini committenti. Piccoli gruppi di persone che si assumono la responsabilità - incline alla civicness e alla cura - di commissionare un’opera d’arte per gli spazi in comune: luoghi pubblici o privati o anche luoghi che stanno nel “mezzo”, stretti fra questi due domini. È ancora Donati a ricordarci quali e quanti vuoti siano stati causati da una delle più efficaci dicotomie della modernità, produttrice dell’aut aut tra una socialità pubblica “neutra e aperta” e una privata “particolaristica e chiusa”. Tentare un’uscita da questa polarità, verso uno spazio “terzo”, luogo d’espressione di altri gradi di socialità, di “socievolezza” e di democrazia non esclusivamente rappresentativa, ci pare un esercizio utile e necessario anche nei contesti dell’arte. La questione della produzione e, soprattutto, del “valore d’uso” dell’arte contemporanea, rappresentano alcune delle premure che, in questi quindici anni di lavoro collettivo, hanno orientato la pratica curatoriale di a.titolo. Molti dei nostri progetti sono nati da un’analisi del ciclo che l’arte compie congiungendo “idealmente” artista e pubblico. Quell’”idealmente” ci è sempre parso l’indice di una relazione potenziale ma il più delle volte astratta, proporzionale all’accezione anonima insita in parole quali visitatore, spettatore, fruitore. Lo spazio pubblico è certamente la sfera nella quale il rapporto tra artista e pubblico emerge in maniera più problematica. Fuori dai luoghi deputati dell’arte, chi passa accanto a un’opera è appunto un passante, un abitante, un cittadino. I progetti d’arte da noi curati in piazze e parchi pubblici di quartieri torinesi come Mirafiori Nord o Barca, ci hanno portato in dote figure che eccedono quella di spettatore. Grazie a quelle esperienze, il nostro campo di
interlocuzione fa capo oggi ai ruoli del cittadino e del committente. Nessun neologismo dunque, bensì figure “classiche” con le quali attivare forme simmetriche di riflessione e produzione, attraverso una curatorialità condivisa, reticolare, certamente “attenuata” rispetto ai modelli più diffusi. Dall’inizio del 2011 abbiamo spostato l’azione della committenza dalla piazza alla mostra. Non un ritiro dall’”arena pubblica”, piuttosto il desiderio di rilevare le potenzialità “socievoli” dei luoghi istituzionali – il museo, la mostra –, possibili spazi “terzi” e intermedi tra pubblico e privato, in cui provare forme di cittadinanza culturale attiva e di democrazia discorsiva. Riprendendo il programma d’arte pubblica Nouveaux Commanditaires (concepito nel 1992 dall’artista François Hers per la Fondation de France e introdotto in Italia dalla Fondazione Adriano Olivetti di Roma), abbiamo chiamato all’appello persone che desiderassero farsi committenti di una mostra d’arte contemporanea. Il contesto di questa chiamata è il circondario del Filatoio di Caraglio, sede del CESAC, il Centro Sperimentale per le Arti
Contemporanee dell’Associazione Marcovaldo, di cui siamo direttrici artistiche. Nel ruolo di mediatrici culturali (lo stesso che abbiamo svolto per realizzare a Mirafiori Nord le opere di Stefano Arienti, Massimo Bartolini, Claudia Losi e Lucy Orta), abbiamo chiesto al gruppo che ha accolto il nostro invito di individuare il tema per un’esposizione che poi interpreteremo nella curatela con una scelta di opere già esistenti e di produzioni ex novo, concepite a partire da un workshop che vedrà insieme artisti e committenti. Prevista per la primavera 2012, la mostra sarà realizzata con il sostegno dell’Unione Europea, nell’ambito del progetto “VIAPAC – Via per l’arte contemporanea”. La cornice riflessiva entro cui sta emergendo il tema, tocca questioni quali l’utilità di una mostra, i suoi destinatari, il nesso con il territorio. Condividere la progettazione di una mostra con persone non esperte – otto, di età, genere, provenienze e professioni diverse – ha richiesto innanzitutto la disponibilità a non dare per scontate funzioni e abitudini autorizzate dai formati espositivi in uso. La
mostra come campo di una fisicità percettiva ed emotiva, articolata attraverso un percorso fisso, in controtendenza rispetto a una disposizione libera di opere, costituisce una delle prime domande della committenza. Il tema, che si sta delineando negli incontri mensili, appare quale l’esito della produzione narrativa e collettiva su uno “stato in luogo”, alimentata più che dall’attualità e dalle sue emergenze, da una geografia che trova nella corona delle montagne che circondano la regione, la materia per ragionare di limiti e confini, protezioni, ostacoli, ospitalità, estraneità. *a.titolo è una organizzazione no profit fondata a Torino nel 1997 con lo scopo di promuovere l’arte contemporanea orientata verso le dimensioni sociali, politiche e culturali dello spazio pubblico. a.titolo cura progetti sitespecific, committenze di arte pubblica, campagne fotografiche, convegni, pubblicazioni, workshop e attività didattiche, promuovendo in maniera interdisciplinare il dialogo culturale e artistico fra disegno urbano e arti visive.
CESAC - Chateau Grossetete
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arte ed allestimento i n t e r v i s ta a L u c i a n a R o s s e t t i
a cura di redazione
artisti nel rendere essenziale la loro idea concettuale. Accade soprattutto con i giovani artisti, che hanno bisogno di raccontare perché temono di non essere capiti e allora aggiungono cose, che posso deviare la comprensione di chi guarda. E tu come ti poni verso un progetto allestitivo? Quando sono di fronte a un progetto di arte contemporanea non penso mai a come lo metterlo, ma prima di tutto a capirlo, a creare un rapporto tra me e l’artista per poi decidere cosa fare, di cosa hanno bisogno le opere per “esistere” nella mostra. Dopo aver dialogato con artisti, curatori e spazio provo a risolvere in modo che anche il visitatore abbia la possibilità di trovare un filo del discorso da seguire, che non deve essere una cosa diretta e didascalica, anzi, ma soprattutto empatica. Vorrei portare le persone a leggere delle cose con me, far regredire il visitatore, lasciandosi alle spalle tutti i suoi concetti e preconcetti suppellettili: entrare in un luogo in cui è libero di fare un po’ quello che vuole, dove provare sensazioni dirette, anche negative, ma legate, animate da ciò che vede e incontra. Come si accoglie lo spettatore? Ho sempre legato la mia esperienza all’idea che meno si spiega meglio è, perché così si lascia una lettura molto più libera ed empatica dell’opera. Certamente deve poi seguire la proposta di altri supporti di approfondimento, che però non siano elementi della messa in scena. Lo spettatore che lo desideri deve poter avere a disposizione materiali di corredo, come per esempio il catalogo o percorsi audiovisivi, in cui trovare altri elementi di lettura e di approfondimento, in cui cercare quelle risposte che magari non ha trovato in mostra. E gli spazi commerciali dell’arte? Negli spazi commerciali, invece, come una fiera, a parte alcune gallerie che lavorano sull’immagine e quindi sull’essenziale
Angelo Castucci, Volevamo tutto, 2011
C
ome deve porsi lo spazio dell’arte, dalla fiera alla mostra, nel difficile equilibrio tra l’accoglienza del pubblico e l’essere al servizio per l’arte? La risposta non c’è, ci sono tentativi diversi ogni volta. Quello che sta al centro di tutto è l’opera. Poi l’altro elemento fondamentale è il pubblico. L’arte contemporanea, inoltre, la più difficile da allestire, è legata molto al progetto curatoriale. Il difficile è far trasparire ciò che sia l’artista sia il curatore ti dicono, il pensiero, le parole, l’arte, cioè tutto quello che è il discorso complesso dell’opera: questo deve avvenire nella sua messa in scena Il mio ruolo - va ricordato, però, che spesso il mio ruolo non esiste, e le mostre vengono fatte direttamente dal curatore, dall’artista o dal gallerista- è anche quello di mediatore tra le figure del curatore e dell’artista, che si parlano ma non sempre si dicono tutto, o meglio, il curatore ci prova mentre in genere l’artista ha più difficoltà ad esprimersi, e allora l’architetto diventa davvero l’anello di congiunzione. Ma c’è un terzo elemento fondamentale nel creare il luogo della mostra e cioè quella di relazionarsi con l’architettura dello spazio espositivo. Opere viste in un contesto piuttosto che in un altro possono cambiare la loro parte comunicativa. Allo stesso modo si pone il fatto di crear loro la scenografia, scelta che io evito sempre naturalmente, se non mantenendo solo quelle già esistenti dello spazio stesso, che allora utilizzo. Tutto diventa parte dell’opera nello spazio, ogni dettaglio perciò va scelto e deciso con grande attenzione, perché modifica il significato dell’opera, soprattutto nell’arte contemporanea. In generale far parlare le opere senza interferire nella loro comunicazione libero con lo spettatore è un fragile equilibrio di dettagli invisibili, impercepibili ma fondamentali. Cerco sempre di annullare ogni interferenza accessoria, con una pulizia estrema del progetto allestitivo, che significa anche aiutare gli
–mi vengono in mente i grandi stilisti che mettono un capo solo al centro dell’attenzione, che ti rappresenta il tutto-, molto spesso il principio seguito è quello di mettere tanta roba. Così si incontrano delle accozzaglie di opere, senza alcun dialogo tra loro. Il rischio è che i lavori rimangano muti e incomprensibili, chiusi nell’incomunicabilità, nelle mostre come nelle fiere. * Luciana Rossetti, architetto (con specializzazione in allestimento e museografia), ha curato molti progetti di allestimento per la Regione Piemonte.
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arte e tecnologia
arte e multimedialità INTERVISTA A PAOLO ROSA * a cura di olga gambari
L’
idea al centro di Studio Azzurro è sempre stata quella di creare una fascinazione sensoriale che avvolga il pubblico e lo porti prima fisicamente poi concettualmente al centro di ogni vostra opera. La nostra storia ha avuto sinora tre periodi ben marcati che corrispondono ad altrettante definizioni. Il primo di questi è stato il ciclo di Videoambienti, come li abbiamo chiamati per sottolineare l’importanza e la necessità di un dialogo tra le installazioni video che facevamo con l’ambiente che le conteneva, qualunque esso fosse. Nascono così negli anni ’80 molte opere tra cui Il nuotatore - va troppo spesso ad Heidelberg, con l’allestimento in una piscina ricostruita in una sala del museo oppure Vedute - quel tale non sta mai fermo, dove l’ambiente spazia tra un interno e un esterno della città di Venezia. Successivamente, verso la metà degli anni ’90, adottando il dispositivo interattivo abbiamo creato una serie di cosiddetti Ambienti Sensibili, luoghi caratterizzati da una forte coniugazione tra proiezioni e spazi in cui lo spettatore si muove e agisce le immagini stesse. Cito solo tra gli altri: Tavoli – perché queste mani mi toccano? oppure Coro e Frammenti di una battaglia. Sono opere di forte coinvolgimento sensoriale, dove si introduce lo spettatore in un’atmosfera che lo invita a dialogare attraverso il suo potenziale espressivo. Toccare un’immagine, calpestarne un’altra, urlare, soffiare, muoversi in uno spazio, divengono così opportunità per entrare nell’opera con i propri gesti e in qualche modo farne parte. In questi ultimi anni ci siamo avventurati più sulla definizione di Habitat narrativi, pensati come ambienti collaborativi e partecipati, basati anche sul rapporto con territori reali, sulle culture della memoria, sull’importanza della dimensione narrativa. Escono così esperimenti come il ciclo Portatori di storie, una serie di installazioni realizzate in vari paesi e culture del mondo (un lavoro pressoché inedito in Italia) in contatto e collaborazione con i abitanti del luogo. Un ciclo che segue il grande affresco di Meditazioni Mediterraneo e si affianca al percorso dei Musei di Narrazione, luoghi di progettazione tematica, spesso legati a vicende del territorio in cui sono ospitati. Un’esperienza per noi altamente significativa che ci ha aperto
anche ad altre modalità di veicolazione e produzione artistica. Questi tre periodi che ho delineato vedono sempre al centro la figura dello spettatore, l’interesse per il posto in cui si trova e il linguaggio che questa epoca gli impone. In tutti questi “luoghi” una persona è portata ad agire, attraverso il suo potenziale immaginifico e visionario, in un “mondo” di cui si evidenzia l’intreccio tra la fisicità, la storia e gli elementi di virtualità che le tecniche hanno introdotto in modo così diffuso e invasivo. L’interazione è un meccanismo con cui lo spettatore entra nel lavoro, si trova dentro il recinto dell’arte e allo stesso tempo non percepisce barriere né in sé né nell’opera. Attraverso il dispositivo dell’interattività, lo spettatore può condividere l’esperienza creativa e sperimentale dell’autore. Egli è portato ad agire, nel nostro caso, con modalità comportamentali che lo coinvolgono fisicamente e lo responsabilizzano ad essere attore e non solo spettatore. Entra nell’opera, non sta più solo di fronte ad essa. Agendo, egli genera il suo racconto, esplora un proprio percorso; così l’opera funge da innesco e sollecita l’ospite a completarla fornendogli un contesto narrativo, non più un racconto precostituito. Sarà lo spettatore a completare l’immaginazione proposta, non più solo in modo percettivo ma anche fisico. Nell’occasione si mettono in campo altre sensorialità oltre quelle usuali: il tatto ad esempio, così come l’olfatto. La forte connotazione polisensoriale di questo approccio favorisce la transdisciplinareità, lo sbordare nel teatro, nella musica, nel cinema. Allo stesso tempo la connotazione performativa di questi ambienti diviene di per sé teatro, cinema, musica, affresco. Ma a questa sensazione di fluttuazione in ambiti differenti non può corrispondere l’illusione di una libertà sregolata. Sia per l’autore, che noi definiamo preferibilmente come autore “plurale”, sia per il pubblico, si impone un atteggiamento etico forte che presieda sia il processo progettuale che quello partecipativo. Diffido sempre della impressione di totale libertà, perché fa emergere il sospetto che non si conoscano i limiti e le necessità cui inevitabilmente si è sottoposti, si rischia di sbordare in una sorta di liberismo ideologico ed espressi-
vo, in cui tutto è valido e giustificabile. Credo che di fronte ad un mondo che ha tali criticità, come quello in cui viviamo, ci siano buoni motivi per darsi obiettivi e limitazioni. Nel libro che ho scritto recentemente con Andrea Balzola, L’arte fuori di sé, abbiamo cercato di mettere in rilievo questi aspetti. Poiché è proprio nel riconoscere i limiti, e in quest’epoca ne riscontriamo molti, che può scaturire un nuovo pensiero capace di ritrovare una centralità dell’arte non solo decorativa, ma politica, nel senso di polis, che sappia sostenere le pesanti sfide che si sono affacciate. La vostra multimedialità parte da una pratica artigianale e di invenzione sorprendente, installazioni pionieristiche per qualche decennio fa. Si indovina un’esigenza, un’urgenza profonda di relazione con il pubblico e con lo spazio dell’installazione, che diventa spazio pubblico. Sin dall’inizio abbiamo interpretato la nostra sperimentazione rovesciando il desiderio diffuso di ricerca dello spettacolo, tipico degli ultimi decenni, in spettacolo della ricerca. Cerchiamo di evidenziare quanto possa essere bello ed entusiasmante sperimentare nel caos dei linguaggi correnti. Un’attività fatta con umiltà artigiana, ma allo stesso tempo con la convinzione che possiamo incidere rispetto ad una nuova idea di tecnologia. Verso cioè un orizzonte di post-tecnologia, più votata ad essere pensata come dispositivo responsabile, dato l’enorme impatto che procura nei modelli di vita e di relazione, piuttosto che concepita
come innovazione continua e un pò fine a se stessa. Allo stesso modo sentiamo l’esigenza di far uscire l’arte da un’autoreferenzialità esibita come elitaria ed esclusiva, portandola invece a dialogare con il pubblico, a utilizzare i linguaggi comuni, cercando inoltre circuiti differenziati dal consueto e ormai logoro clichè dell’arte contemporanea. Per ciò che riguarda il nostro spazio espressivo, esso si trasferisce prevalentemente nella relazione che stabiliamo con le persone; il nostro criterio estetico, il nostro giudizio di valore risiede nel prolungamento che i lavori hanno in questa rapporto. Lì, nei gesti che si producono, nelle dinamiche di socialità, nello scambio di conoscenze; in tutte quelle conseguenze cioè che può attivare la nostra opera, ritroviamo il potenziale estetico, il canone di una bellezza contemporanea. Se poi tutto ciò s’inscrive in un ambiente dove l’esperimento è condiviso, come spesso accade nei nostri musei tematici e anche nelle nostre installazioni, ecco che si genera uno spazio “pubblico”, un luogo rituale dove riconoscersi, dove confrontarsi, dove arricchirsi. Un luogo difficile da dimenticare. * Paolo Rosa nel 1982 avvia Studio Azzurro, con Fabio Cirifino e Leonardo Sangiorgi, orienta l’attività di ricerca alla realizzazione di videoambientazioni, film e spettacoli teatrali. L’interesse si estende all’interattività e al multimediale applicati all’arte e riceve significativi riconoscimenti. Dirige il Dipartimento di Progettazione dell’Accademia di Brera, Presidente dei Laboratori della Fabbrica del Vapore a Milano.
“L’arte è fuori di sé perché sta vivendo una crisi d’identità senza precedenti, ingabbiata in un sistema autoreferenziale per addetti ai lavori, pilotato più da logiche di mercato e di immagine che da una sincera ispirazione, lontano dal vissuto e dalle sensibilità della gente...” Comincia così il libro L’arte fuori di sé. Un manifesto per l’età posttecnologica di Andrea Balzola e Paolo Rosa, appena uscito per Feltrinelli.
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Š Studio Azzurro, Vedute (Quel tale non sta mai fermo), videoambientazione. Palazzo Fortuny, Venezia, 1985
Š Studio Azzurro, Il Nuotatore, videoinstallazione. Palazzo Fortuny, Venezia, 1984
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arte e impresa
UNA RISORSA INESPLORATA testo di catterina seia*
D
a alcuni anni il mio tema di ricerca è diventato un mantra: la certezza che le istituzioni culturali possano diventare un laboratorio di pensiero per la classe dirigente, politica ed economica di un territorio. Perché? Le teorie scientifiche dell’organizzazione, su logiche binarie, esalano gli ultimi respiri. La crisi di risorse, ormai endemica, trova origine in una carenza più profonda, come direbbe Don Ciotti, in un “coma di visione”: una complessità che ci richiama alla responsabilità di gestire con efficacia ed efficienza ogni azione ma che, soprattutto, ci offre l’opportunità di ri-pensare completamente i nostri modelli, inclusi quelli manageriali, nel settore privato come in quello pubblico. Cosa possono fare le arti per le organizzazioni? L’arte è una necessità. E’ il luogo della contaminazione per eccellenza. E’ il mondo delle possibilità. Coinvolge tutta la nostra persona a livello cognitivo, emotivo. Lavora sulla polisemia. Contenuti che possono offrire spunti molto interessanti per chi ha voglia di leggerli, uscendo dalla zona di comfort, per pensare in modo diverso, includendo le diversità, che come scrive Margaret Wheatley della Berkana Fundation sono “la risorsa del nostro tempo, dalla quale dipendiamo”. E proprio l’arte contemporanea, che taluni considerano un lusso intellettuale per èlite, si rivela una straordinaria palestra per moltiplicare e allenare lo sguardo, mobilitare gli emisferi per immaginare il nuovo. Per innovare. Come suggeriva Mark Rotko, “l’arte è un’avventura all’interno di un mondo sconosciuto, che può essere esplorata solo da coloro che non hanno paura del rischio”. Quindi? Nel cuore di Torino, la storica sede dell’esattoria, ha cambiato destinazione da alcuni anni. Lo si intuisce dall’enorme e multicolore Universo senza bombe, dipinto da Nicola De Maria nell’ingresso che si affaccia all’angolo di Via Arsenale con Via XX Settembre. L’ouverture di un mondo, concepito da un americano, l’architetto Matt Taylor, per consentire alle persone di esprimere tutte le proprie diverse intelligenze ed apprendere: da sé, dai migliori, dai propri errori. E’ Unimanagement, il centro internazionale dello sviluppo
della leadership di UniCredit, nel quale arrivano migliaia di persone dai ventidue paesi in cui il gruppo opera. Un’eccellenza riconosciuta internazionalmente, che ha nel proprio consiglio Daniel Wilson, il direttore del mitico project Zero dell’Harvard University. Un luogo nelle quali le arti, con il loro portato metaforico, sono strumento di rappresentazione e interpretazione di realtà sempre più complesse, veloci e interconnesse. Dagli esordi, cinque anni fa, Anna Simioni, che dirige il centro, ha stretto un accordo con l’Accademia Albertina delle Belle Arti che coinvolge giovani artisti, studenti o neolaureati, nella progettazione di ogni intervento di apprendimento organizzativo e nella rappresentazione dei temi organizzativi. Le arti accelerano i processi di relazione tra le persone, soprattutto in contesti multiculturali, forniscono chiavi di lettura, nuove prospettive. “La mente che incontra una nuova idea non ritorna alla posizione precedente” è la citazione di Einstein prediletta da Anna Pironti, direttore del dipartimento educazione del Castello di Rivoli che è di casa, nel centro di UniManagement, nelle azioni di team building, con la sua capacità di moltiplicare i punti di vista e dare nuova vita alle risorse marginali con le idee delle arti. E ancora la Filarmonica del ‘900 del Teatro Regio, con i suoi musicisti che arrivano dal mondo, il direttore Gianandrea Noseda, il compositore Ezio Bosso che incontrano i giovani talenti e i manager del gruppo. Questo è un valore che può indurre l’impresa a investire in cultura e che genera un’osmosi di competenze ed esperienze. Facile è l’ironia sull’attuale situazione del mondo bancario a livello internazionale, ma come conferma una recente ricerca dell’associazione delle Corporate University, nelle crisi si manifesta la tendenza della coazione a ripetere schemi noti, un atteggiamento che porta all’implosione. La competenza sulla quale investire oggi è la capacità di innovare, di cambiare. Pensiamo a come potrebbe essere utilizzato per la formazione di pensiero il grande patrimonio di intelligenze, di saperi trans-disciplinari che transitano in un museo, in un teatro, in un’orchestra, in un grande contenitore culturale come un festival. Molto più di intrattenimento di qualità, ma stimolo
a generare il nuovo. E guardando alla situazione dei conti pubblici, solo istituzioni culturali “porose”, tra interno ed esterno, che esercitano un ruolo sociale, con modello partecipato nel progetto di territorio che ponga i diversi pubblici al centro e trovando risposta con una funzione educativa non più ancillare, ma strategica, troveranno legittimazione e sostenibilità, come nella migliore scuola anglosassone. * Catterina Seia, una carriera nel settore bancario dall’80. Con una formazione economico-sociologica dalla finanza diventa responsabile del Learning Center e della Direzione Centrale Comunicazione Integrata di Banca CRT e UniCredit Private Banking. Nel 2004 idea- e conduce fino dicembre 2009 - il progetto strategico UniCredit & Art, per la gestione integrata internazionale degli investimenti culturali del Gruppo, presente in 22 Paesi. Prosegue la sua ricerca come cultural manager indipendente per progetti di innovazione sociale attraverso la cultura; è promotore di SusaCulture project, leadership development advisor attraverso le arti in UniManagement, siede in diversi comitati scientifici tra i quali Art for business, CulturALI, collabora con Università e testate tra cui Il Giornale dell’Arte per il quale dirige i Rapporti Annuali delle Sponsorizzazioni e delle Fondazioni e la relativa testata on line.
Filatoio Caraglio
foto di Enrico Amici
Cittadellarte - Fondazione Pistoletto viene istituita nel 1998 come attuazione concreta del “Manifesto Progetto Arte”, con il quale l’artista Michelangelo Pistoletto proponeva un nuovo ruolo per l’artista: porre l’arte in diretta interazione con tutti gli ambiti dell’attività umana che formano la società. L’arte al centro di una trasformazione responsanbile in ambito economico, educativo, politico, produttivo, industriale, scientifico, ambientale, spirituale… Per questo da anni si promuovono e seguono collaborazioni tra artisti e imprese, che sfociano in progetti in cui convergono ambiti e orizzonti diversi, solo apparentemente distanti. La creatività come investimento totale e vitale per l’impresa. E viceversa. www.cittadellarte.it
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L’ARTE DEL BRICOLAGE testo di ERIK DEWITTE e luca pereno*
L
eroy Merlin sostiene l’arte, un mondo parallelo al suo, in cui creatività e iniziativa personale portano cultura e innovazione. Alcuni negozi Leroy Merlin hanno sostenuto progetti legati al mondo dell’arte sempre con un occhio alla sostenibilità ambientale. Il negozio di Carugate ad esempio ha sostenuto il concorso nazionale Y-Pub Art per la realizzazione di un’installazione monumentale per il paese di Vimodrone fornendo materiali, riciclati e non, e mettendoli a disposizione di giovani studenti. Tutte le opere realizzate sono state esposte nel negozio di Carugate sottoforma di un vero e proprio “vernissage”. Il negozio di Bastia Umbra ha dato vita all’iniziativa RepArt; una selezione di artisti locali hanno realizzato 14 opere con i prodotti del bricolage che successivamente sono state esposte in negozio. L’intento è quello di dare vita a una sorta di “democratizzazione” dell’arte, facendola uscire dai musei e renderla ancora più accessibile perché integrata in un luogo parte della
vita quotidiana di molti. Una nuova agorà, luogo d’incontro e di confronto. La prossima iniziativa del negozio di Moncalieri e Collegno è legata al mondo studentesco del design e della comunicazione. Infatti dal 24 novembre prenderà vita la mostra fotografica dal titolo “scatti da designer” che coinvolge gli studenti del Politecnico di Torino. Leroy Merlin mettendo a disposizione le cornici che serviranno per la mostra degli scatti, parteciperà al Fondo per la Progettualità Studentesca del Politecnico di Torino. La creatività, la vocazione alla trasformazione e la ricerca continua tipiche dell’arte trovano infatti un alleato e un ottimo canale di espressione nel bricolage. Proprio da questa profonda convinzione nasce l’intento di “fondere” in un’unica solida rappresentazione figurativa i due legami: quello tra arte e bricolage e tra Leroy Merlin e il territorio. * Eric Dewitte, nato e cresciuto a Nizza, 46 anni, studi universitari negli Stati Uniti, dal 1994 in Leroy Merlin Francia e dal
1998 in Leroy Merlin Italia. Direttore Supply Chain da 5 anni nel corso dei quali ha cercato di studiare ed implementare, oltre ad un’organizzazione mirata all’ottimizzazione dei flussi, alcune soluzioni che possano permettere di coniugare business e rispetto dell’ambiente. Amante del mare e della barca a vela. * Luca Pereno, nato e cresciuto a Torino, 40 anni, studi universitari in Francia e Italia con una specializzazione in CSR, attualmente internal auditor presso Leroy Merlin Italia. Già dalle prime esperienze lavorative ho cercato di coniugare alcune grandi passioni quali l’arte e l’impegno sociale in ambito lavorativo. In Leroy Merlin dal 2009 a seguito dell’acquisizione di Castorama ho avuto la possibilità di dare sfogo alla mia creatività e progettualità attraverso alcuni progetti in ambito ambientale, sociale e artistico. Ho avuto la possibilità di visitare circa 40 paesi con lo zaino in spalla e poter partecipare a progetti di volontariato in America Centrale, America Latina, Asia e Africa; da tali esperienze sono nati alcuni “racconti fotografici” esposti in Francia e Italia.
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arte e critica
LE PAROLE DELL’ARTE testo di Lea Mattarella*
C
redo che il critico dovrebbe essere entrambe le cose che mi suggerisce la domanda: una figura che cerca e capisce gli artisti, certo, ma anche uno che traduce l’opera in forma verbale, seguendo quella vocazione che Marc Fumaroli considera fondamentale nell’azione del critico e dello storico dell’arte, cioè di mediare tra l’arte e il mondo. Quello che non dovrebbe fare è diventare cassa di risonanza del mercato, senza giudizio né capacità di scelta. Fumaroli denuncia come oggi la speculazione sia diventata ben più importante della critica. Questo è terribile e bisogna interrogarsi sul perché è successo, cioè riflettere sul futuro di una disciplina che rischia una reale crisi. Penso che un po’ sia colpa di compratori (perché non li definirei neanche collezionisti) che “si muovono come sardine in branco”, come dice Robert Hughes e non hanno alcuna curiosità di capire. Vogliono solo l’opera che fac-
cia status, con l’equazione pericolosissima: costa tanto quindi vale tanto. Ma un po’ è anche responsabilità di una critica autoreferenziale che non ha l’umiltà, ma anche la forza di un’identità sicura, di parlare chiaro. Consiglierei a tutti, me compresa, di agitarsi di meno e di fare proprio l’ozio attivo auspicato da Fumaroli perché “è nell’intervallo dell’ozio che si vede invece di intravedere, che si cerca invece di copiare, che si contempla invece di agitarsi, che si riconosce ciò che la polvere dell’impazienza, gli abbagli della fretta e il peso dello sforzo precipitoso nascondevano alla vista”. Ricominciamo da qui. * Lea Mattarella vive a Roma, insegna storia dell’arte contemporanea all’Accademia di Belle arti di Napoli, è critico d’arte del quotidiano La Repubblica.
Elisabeth Lecourt - Le Clown Orange e Les Fantaisie - Courtesy NOPX Ilimited edition
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SCRIVERE CON CHIAREZZA testo di Gabi Scardi*
L’
arte è sempre in movimento. Incernierata sul passato, si alimenta della relazione con la realtà e costituisce un ambito in cui inventare nuovi modi per guardarlo nelle sue complessità. Per questo si offre come risorsa preziosa in termini di stimoli, oltre che di piacere. Se la storia dell’arte si fa giorno per giorno, senza cesure, in una condizione di veloce trasformazione dei contenuti, dei modi e dei linguaggi, è chiaro che l’esperienza di leggere un’opera d’arte, e di goderne, si alimenta a sua volta di conoscenza, seppur non specialistica. La mancanza radicale di riconoscimento rispetto all’esistere e continuo rigenerarsi dell’arte nel presente rischia di generare, in chi si confronti con l’opera, un senso di estraneità. Oggi l’opportunità di un’informazione di base, capace di raggiungere un ampio numero di cittadini, è in buona parte affidata ai mezzi di informazione, ai giornali in particolare. Si tratta, per chi scrive e per chi gestisce i mezzi di informazione, di una seria responsabilità. Eppure gli imperativi che ogni giorno s’impongono a chi decida di impegnarsi nel campo della divulgazione culturale, in riferimento all’arte contemporanea in particolare, sono facilità e notiziabilità. Due istanze che possono avere esiti diversi. Da un lato possono essere interpretate come un dovere di puntualità, di accuratezza, di chiarezza: una chiarezza che è assunzione di responsabilità di chi scrive nei confronti del lettore, e che presuppone l’utilizzo di un linguaggio scevro di tecnicismi per esprimere contenuti che possono essere estremamente elaborati. Dall’altro la retorica della semplicità e dell’informazione concreta si possono risolvere in un’involuzione consapevole consistente nell’accantonamento dell’analisi e dell’approfondimento e nella banalizzazione del senso, nello svuotamento dei contenuti a favore del ragguaglio, e in una rincorsa alla spettacolarità anche a scapito della rilevanza reale. Senonché, da un lato nell’era di internet l’accesso in tempo reale alla notizia è assicurato da mezzi più accessibili e aggiornati di un giornale; dall’altro il favore accordato a situazioni nella
Robin Rhode / L’artista sudafricano Robin Rhode fino al 6 novembre presenta un progetto realizzato con il pubblico al Castello di Rivoli, mentre la galleria Tucci Russo a Torre Pellice gli dedica una personale. Imperdibili.
cui “confezione” l’attenzione all’appeal mediatico è stata preponderante rischia di risolversi in una sorta di circolo vizioso, mentre la ricerca culturale vera e propria resterà ai margini. Questa estromissione non è inevitabile. Certo il lavoro di un divulgatore richiede prospettiva e distanza critica, né può prescindere dalla “fruibilità” dell’oggetto; ma deve anche saperne valutare la rilevanza. La divulgazione può prendere forme diverse se rinuncia alla protettiva scorciatoia del linguaggio specialistico e se nasce dalla passione di chi scrive, se si sostanzia nel confronto quotidiano con l’oggetto dello scrivere, nell’ascolto circonstanziato e consapevole e nel desiderio di condividere la conoscenza dei temi trattati con un pubblico ampio. E se presuppone il coraggio di prendere posizione sulla base di motivati giudizi di valore; un coraggio che si radica nel pensiero, nell’argomentazione, nel prender parte, non nell’invettiva e nel prendere partito. Con parole di uso generale è possibile informare su contesti e dibattiti in corso, su cornici concettuali e codici linguistici; rivelare il nucleo germinativo di opere in mostra; è possibile, insomma, fornire griglie di lettura che possono facilitare e potenziare l’interazione tra pubblico e opera d’arte. È uno sforzo che vale la pena di affrontare perché solo fornendo ai lettori chiavi di accesso ai fenomeni culturali del presente è possibile costruire una conoscenza diffusa, un senso di crescita personale, un reale e non transitorio interesse e la sensazione di essere parte di una rete di cittadini del mondo, piuttosto che passivi spettatori di performance seducenti ma incomprensibili che fanno dell’arte puro entertainement. * Gabi Scardi critico, curatrice, libera docente presso diverse università. La sua ricerca si focalizza sulle ultime tendenze artistiche. Ha pubblicato diversi libri, tra i quali, recentemente, Paesaggio con figura: Arte, sfera pubblica, trasformazione sociale, ed. Allemandi. Collabora stabilmente con giornali e riviste trai quali, il supplemento domenicale de Il Sole 24 Ore.
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SEI UN CITTADINO DELLA REPUBBLICA DELL’ARTE? a cura di redazione
GEA CASOLARO Nostra patria è il mondo intero, nostra legge è la libertà… Ho sempre pensato che questo canto anarchico fosse l’inno perfetto di ogni artista. Ma non in Italia, dove siamo apolidi senza diritti. In Europa lo stato prevede stipendi, residenze, fondi per acquisizioni, interventi di artisti nelle scuole per raccontare agli studenti che l’arte è parte della vita come giocare, mangiare, studiare, lavorare. Siamo cittadini di una Repubblica, quella italiana, senza diritti, e non solo per gli artisti: diritto di ascolto, di espressione, d’immaginazione. Diritto di conoscenza e di libera coscienza.
NICUS LUCà Non mi sento un cittadino, sono troppo egoista per esserlo. Tanto meno della repubblica dell’arte contemporanea. La repubblica dell’arte non esiste e se esistesse a mia insaputa, sarebbe fatta da tutti tranne che dagli artisti. Credo che la creatività per sua natura non sia democratica. Credo invece che ogni artista sia una repubblica autonoma,una regione speciale a statuto anarchico. O così vorrei che fosse.
GABRIELE ARRUZZO Se con il termine “repubblica” intendiamo uno stato “democratico” dell’arte dove tutti hanno uguali diritti e doveri allora io dico no: non sono un cittadino della repubblica dell’arte contemporanea nè penso che un concetto di stato democratico dell’arte possa giovare a se stessa ed ai suoi cittadini. Gli effetti di quello che succede democratizzando l’arte li abbiamo visti anche recentemente col padiglione Italia di quest’anno. Penso che sia importante che ci sia il più possibile arte per tutti ma non arte di tutti.
BOTTO & BRUNO Se per Repubblica dell’arte contemporanea intendiamo gli eventi mondani, il presenzialisno agli eventi dell’arte allora no anche perchè sono diventati dei veri e propri non luoghi.
Se invece intendiamo come repubblica dell’arte le collaborazioni che si verificano in certe occasioni con altre artisti, anche con altre discipline , gli scambi creativi e di energia allora sì. Purtroppo è vero che nonostante il fatto che parta tutto dagli artisti spesso sono messi al fondo e gli si chiede sempre una sorta di volontariato (soprattutto in italia) senza rispettare la loro professionalità . Nonostante un timido interessamento della società all’arte contemporanea l’Italia deve ancora lavorare moltissimo nel riconoscere un ruolo importante agli artisti di oggi.
MARIA BRUNI Sì, sono un cittadino della Repubblica dell’Arte Contemporanea ma… dov’è finita la Democrazia? Citando l’Articolo 4 della Costituzione italiana: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”
ANTONIO LA GROTTA Nella Repubblica dell’arte contemporanea la sovranità risiede nel popolo, che la esercita direttamente o indirettamente per mezzo di rappresentanti scelti liberamente. Tutti desideriamo farne parte, a costo di essere degli artisti, dei curatori, dei galleristi, poichè tutti vogliamo essere cittadini dello stato libero di Bananas.
SAVERIO TODARO La Repubblica dell’Arte non esiste. L’Arte e`un campo delle attivita` umane con una qualita`astratta, empirica: una sostanza indefinita, tesa all’inutilita`, che in un certo senso la protegge dall’uso funzionale o definito di un quasiasi bisogno della societa`e la ascrive nel campo della ricerca pura. Se l’artista opera in Egocrazia, c’e` il sistema dell’arte che e` un Oligarchia ed en-
trambi hanno bisogno uno dell’altro.
PAOLO LEONARDO Mi sento cittadino della repubblica dell’arte contemporanea nella misura in cui vivo una rete di relazioni sopratutto con gli altri artisti, in quanto penso che l’opera, dal momento che è nel mondo, appartiene al mondo, connettendosi con le opere degli altri artisti e creando una sorta di empatia, sia a livello di relazione fra artisti, sia a livello di linguaggio e senso poetico dell’ opera stessa, innescando delle linee di fuga emotive, che naturalmente si intersecano, si intrecciano, disintegrando il concetto di autore a favore del’opera, che è connessa ad altre opere, del passato e del presente, creando cosi un orizzonte collettivo (comune a tutte le espressioni artistiche) che è quello della poetica.
ELMUZ No, no sono una cittadina della repubblica dell’arte. Il mio è un lavoro incapace di provocare e aggredire, è una ricerca piccola. Non seguo il mercato e non sono in grado d’impegnarmi socialmente e non è nella mia natura impormi. Voglio essere libera di scegliere e decidere quale percorso fare.
MAURA BANFO Cittadino della Repubblica dell’arte Italiana? Sempre più mi sento spettatore di un qualcosa che non conosco (non riconosco). Osservo, penso, sorrido, rifletto, mi incazzo, ma poi sorrido ancora. Non condivido i baronati e i salotti che mi stanno attorno che pur facendosi portatori di correttezza e apertura, purtroppo nella concretezza dei fatti operano troppo spesso con favoritismi e chiusura. …se non fai sistema sei out! E allora chi è cittadino della repubblica dell’arte italiana? Ma in fondo è un cammino dove non si può definire nulla. Preferisco considerarmi cittadino del mondo! Ma come diceva Shakespeare nell’Amleto: “E’ una bella prigione, il mondo”.
MANUELA CIRINO No, non sono una cittadina della Repubblica dell’Arte Contemporanea. Non esiste una repubblica dell’Arte Contemporanea. La mia condizione d’artista è una grande contraddizione che si sviluppa in un percorso continuo di non–appartenenza.
BR1 Dato per vero che esista un sistema dell’arte contemporanea, che enuclea tutti, dall’artista allo spettatore, non sono sicuro che si regga sui principi di una repubblica. L’artista, per come mi piace immaginarlo pensa. E poi si esprime. Successivamente, un numero indefinito di persone iniziano a relazionarsi con quanto l’artista ha creato, in modi diversi: c’è chi valorizza l’opera dell’artista per destinarla ad un bene comune, chi si mette a disposizione degli artisti affinché il loro lavoro sia utile alla collettività, alla rivalutazione urbana. Per contro, sembra difficilmente contrastabile quell’iter di godimento dell’arte che può essere definito “arte per pochi”. Quella non è una repubblica dell’arte. E’ un oligarchia dell’arte. Per quanto mi riguarda, il realizzare arte nello spazio pubblico permette di rimanere prima di tutto liberi di pensare, senza vincoli e censure imposti da terzi a mio avviso non legittimati a farlo.
MARCO CORDERO Se realmente questa repubblica esiste - cosa di cui mi viene da dubitare, semplicemente considerando il significato etimologico della parola repubblica - credo, mi sia stata , fin’ora, negata la cittadinanza. Credo che ogni essere umano, guardando ciò che lo circonda, veda qualcosa di un po’ differente dagli altri. Dare una forma, e mettere in giro quel “modo di vedere”, in effetti, può determinare un senso di appartenenza al “gruppo” di chi reagisce con un linguaggio più o meno comune. Ma a pensarci, toglierei l’aggettivo contemporanea. In modo tale che la “cosa” si dilati un po’ più nel tempo. Che permetta, insomma, di sentirsi concittadino anche di Cimabue e non solo di Damien Hirst.
photo by Giuseppe Ghignone
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ArteSera COMPIE UN ANNO! ArteSera turns one!
Un progetto nato di carta, diventato anche on line, e che nel 2012 sarà anche una mostra, un programma in radio, e molto altro. A project born on paper, grown on the web, and that in 2012 will be also a show, a radio program and much else.
Grazie a tutti coloro che durante quest’anno hanno contribuito a far crescere il progetto attraverso parole, immagini, pensieri. Thanks to those who partecipated in the project during this year, through words, images, thoughts. ArteSera, il primo freepress di arte contemporanea per tutti, è un progetto di ArteSera Produzioni. ArteSera, the first freepress of contemporary art for everybody, is a project by ArteSera Produzioni.