N째14 luglio/agosto 2012
Pubblicazione Gratuita / Bimestrale / Anno II / Numero 14
ON T H E RO A D
di Olga Gambari e Annalisa Russo
Ci sono tanti modi di viaggiare, di andare in giro per il mondo.
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er vedere, conoscere, scoprire, annusare, sentire. E si spera anche per non dimenticare, perché così il viaggio e tutto ciò che ha contenuto rimarrà con noi. Ma si tratta sempre, soprattutto, di vedere nel vero senso della parola, perché vedere è ormai spesso una parola espropriata del suo significato, svuotata. Vedere in che senso? Usiamo John Berger con l’inizio del suo libro Questione di sguardi. Dice: ”Il vedere viene prima delle parole. Il bambino guarda e riconosce prima di essere in grado di parlare. Il vedere tuttavia viene prima delle parole anche in un altro senso. È il vedere che determina il nostro posto all’interno del mondo che ci circonda; quel mondo può essere spiegato a parole, ma le parole non possono annullare il fatto che ne siamo circondati. Il rapporto tra ciò che vediamo e ciò che sappiamo non è mai definito una volta per tutte. Ogni sera vediamo tramontare il sole. Sappiamo che la terra se ne allontana ruotando su se stessa. Eppure saperlo, saperselo spiegare, è sempre leggermente inadeguato rispetto a ciò che vediamo”. E allora abbiamo pensato di comporre un numero di viaggi diversi, fatti da altri per noi e rivissuti attraverso loro storie, i loro racconti. Ogni terra, città, luogo si è trasformato in uno sguardo, un’emozione, un ricordo. Un fatto. In qualche modo tutti sono piccole esperienze d’arte, come lo è spesso la vita, la quotidianità. L’immagine di una mappa, l’ideale plastico di un viaggio globale, inciso nella carne di una catasta di guide della Lonely Planet, è l’opera di Marco Cordero che diventa copertina. Una modalità virtuale di spostamento che evoca le visite ai musei di tutto il mondo di Google Earth. Poi c’è una mostra e la sua artista, due spettacoli di teatro distanti nel tempo e in continenti diversi, una notte di azioni nella città che dorme, un’altra città filtrata da Martha Nussbaum, un’altra ancora devastata e che diventa simbolo per altre devastazioni che possono essere speranze o incubi. New York, Parigi, L’Aquila, Chicago, il Cile, Kassel, Madrid, Torino. Artisti, teatranti, studiosi, librai. Viaggiare, trovare i luoghi e la loro anima passando per esperienze che li hanno permeati, che li hanno contenuti, che sono state così perché erano in quel determinato posto e non potevano essere altrove. È un po’ come quando si legge, perché ogni libro è un viaggio, attraverso mondi, vite, tempi, condotti da chi racconta. È un po’ come quando si assiste a uno spettacolo, sul palco o sullo schermo. È un po’ come quando si guarda un’opera. Sono spesso viaggi più belli di quelli che faremmo noi, viaggi che si possono ripetere, ogni volta un’altra cosa. Attraverso un film, una mostra, un romanzo, uno spettacolo si può anche imparare a viaggiare, a vedere e a portare a casa ricordi e materiali che diventeranno parte di noi. Perché l’arte aiuta a vivere, è un’educazione alla vita.
BIMESTRALE / Anno iI / Numero 14 Luglio/Agosto 2012
Copertina Marco Cordero, “Il mio passo misura 80 cm. In salita un po’ meno” - 2012, disegno e scultura su carta, cm 120x80x22 (In collaborazione con Lonely Planet) TORINOver in collaborazione con MAO Museo d’ Arte Orientale
Direttore Editoriale Annalisa Russo
Art direction e progetto grafico www.dariobovero.it
Stampa SARNUB Spa
Direttore Responsabile Olga Gambari
Hanno collaborato Franz Bernardelli, Massimo Betti Merlin, Domenico Castaldo, Gea Casolaro, Ilaria Jve, Paolo Leonardo, Andrea Massaioli, Elena Mazzarino, Alessandro Santero, Marina Sagona, Fabrizio Vespa, Maria Giovanna Ziccardi
Pubblicità MAIL: marketing@artesera.it
Segreteria di Redazione Chiara Lucchino Marketing e relazioni esterne Roberta Camera
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evento del mese
kassel testo di OLGA GAMBARI
Hauptbahnhof, Photo: Nils Klinger
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ominciamo dal fatto che sul sito ci sono le email personali di tutto lo staff che si occupa della organizzazione di dOCUMENTA, a partire dal direttore artistico Carolyn Cristof-Bakargiev. Una presentazione diretta e trasparente, efficiente e onesta, per un grande progetto che si è preso del tempo, quello giusto per lavorare bene e presentarsi degnamente, senza una slabbratura già dall’opening per la stampa del 6 giugno.
dOCUMENTA è una manifestazione dedicata all’arte contemporanea, che accade ogni cinque anni, giunta alla sua 13° edizione, nata nel secondo dopoguerra per aiutare a far risorgere la cultura e la società nella Germania devastata nel corpo e nell’anima dal nazismo e dalla guerra. È la manifestazione più mitica del mondo dell’arte, più autorevole, certo non quella più mondana, primato che invece spetta alla Biennale di Venezia. Ogni grande artista deve avere avuto una sua memorabile partecipazione qui. E questa edizione è davvero bella, potente, con molte opere meravigliose, un grande impegno da parte di tutti e la voglia di dare molto, di pensare, proporre, coinvolgere. Essere e parlare, rivolti a un pubblico pensato come attivo. Carolyn Cristof-Bakargiev è il cuore pulsante di tutto ciò, presentissima in ogni dove, prima donna assoluta, ma tutto ciò risulta segno di grande personalità, passione, acutezza. È la sua biennale, non di un altro, e come un curatore attento, non molla un millimetro e una cellula. Ma il risultato
la premia, nella sua voglia di partecipare a ogni dettaglio, alla presenza di ogni artista. Si parla di tanto in questa dOCUMENTA 13, di traumi, di memoria, di conflitti diversi, intimi e collettivi, locali e globali. Se ne parla trasformando l’arte in piattaforma osmotica con la scienza, la letteratura, l’antropologia, la matematica, la filosofia, la museografia. La mostra è sparsa per tutta la cittadina di Kassel, dagli spazi tradizionali del Museo Fridericianum, l’Ottoneum, documenta-Halle, Neue gallerie, Orangerie a tanti luoghi come cinema, ex panetterie, stabili in abbandono, biblioteche e soprattutto la Hauptbahnhof, stazione ottocentesca quasi dismessa dove trovano casa moltissime installazioni, da quella spettacolare e magica di William Kentridge, 4 proiezioni
dOCUMENTA È UNA MANIFESTAZIONE NATA NEL
SECONDO DOPOGUERRA PER AIUTARE A FAR RISORGERE LA CULTURA E LA SOCIETÀ NELLA GERMANIA DEVASTATA NEL CORPO E NELL’ANIMA DAL NAZISMO E DALLA GUERRA di visionarietà pura tra cinema, astronomia, animazione e musica, alla casa dei libri di Epaminonda e Kramer che aprono una dimensione parallela, alla guida audio\video di Janet Cardiff che gioca tra reale e virtuale, la performance dialla musica che prende corpo improvvisa e struggente alla fine di un binario, in attesa di un treno che non arriva, opera
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di Susan Philipsz. Nel Fridericianum l’ingresso è formidabile, giocato su uno scambio di vuoti e pieni: le due ali laterali sono bianchissime, riempite in qualche modo solo dalla lettera di un artista che rifiuta l’invito a dOCUMENTA, da un vento che scorre (Ryan Gander) e da una canzone in una sala (Ceal Floyer). Poi di fronte si apre lo spazio semicircolare della Rotonda, intasato di opere, reperti antichi e contemporanei (Morandi, Weiner, Penone, Lee Miller, Man ray, Tacita Dean, Ahmed Basiony…): è il cervello di tutto il progetto. La parte più debole risulta il Karlsaue Park, dove sono sparse 30 casette ognuna affidata a un artista, modulo che si dimostra non adatto a tutti e manierista, anche se un giro per il parco alla ricerca dei luoghi fa decantare il resto e mette una pausa. Ma le opere soprattutto sono al centro. Sembra che il libro come oggetto, dimensione, pratica, memoria, diario, archivio, parola e immagine sia il leit motif di dOCUMENTA. Pagine, volumi, illustrazioni, copertine, dorsi, scritture stampate e a mano si rincorrono e tengono insieme come un ricamo. Per esempio i 100 libricini scritti ognuno da personalità diverse del mondo dello scibile umano che formano insieme una sorta di secondo catalogo alla mostra, “The book of books”. Poi le pagine rubate con un cellulare da Emily Jacir nella biblioteca di Gerusalemme dove sono raccolti i libri vari portati durante le “occupazioni” dei territori palestinesi. Le pagine dei diari ingrandite e stampate, offerte al pubblico da Ida Applebroog, le copertine che Paul Chan trasforma
in tele per paesaggi sull’orlo dell’astrazione, le foto estratte da vecchi testi da Roman Ondak, la muraglia di foto da life magazine ritagliate e montate come bandierine per un racconto dagli anni ’30 di Geoffrey Farmer. Poi sorprese, come il palazzo riabitato e ristrutturato a modo loro dai Gates Theatres, che risuona e profuma tra musica, cibo, camere, oggetti e mobilia ricostruita nelle stanze di tre piani. Oltre a Kassel dOCUMENTA si è espansa nei mesi, anni passati anche a Kabul, Alessandria d’Egitto e Banff, con scambi, seminari e riflessi di questi luoghi che appaiono qua e là tra le opere, come nella splendida tappezzeria in stoffa b\n di Goshka Macuga, suddivisa tra due muri circolari, uno a Kabul uno nel Fridericianum, dove ambienti e persone si scambiano e diventano unico spazio. Detto tutto ciò deve suscitare una riflessione il costo di questa operazione, al di là degli artisti e della curatrice. Venti milioni di euro di budget pubblico ufficiale, a cui se ne debbono aggiungere altri, si dice siano sei, tra sponsor privati e partecipazioni alle produzioni delle varie gallerie degli artisti invitati. Accidenti. E quindi? È una responsabilità incredibile gestire una quantità di denaro così elevata, soprattutto in un periodo storico come il nostro, che richiede un’azione, una ricaduta, un abbraccio verso la società. Ma come immaginarla? Che forma dovrebbe avere? Tutto si ridimensiona, è come se la carrozza diventasse zucca a mezzanotte.
In senso orario, da sinistra: Gloria Kino, Photo: Nils Klinger Museum Fridericianum, 2012, Photo: Nils Klinger Orangerie, Photo: Nils Klinger Ottoneum, Photo: Nils Klinger
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qui parigi
diario di una notte parigina Testo di Paolo Leonardo - Parigi, 6 giugno 2012
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artiamo da Rue de la Fontaine au Roi io col mio rotolo di undici manifesti e Alberto Momo con la sua camera e Bianca con la macchina fotografica, Alberto inizia a filmare camminiamo giriamo a sinistra nel Boulevard Belleville, c’è il mercato, molto casino, colori, individui di tutte le etnie, vedo dall’altra parte della strada una serie di espositori in alluminio utilizzati per la campagna elettorale, scavalchiamo le transenne guardo velocemente se c’è la presenza di forze dell’ordine e inizio ad attaccare in sequenza sei manifesti gialli e
neri Alberto filma tutto da più punti di vista, non fa caldo, non c’è il sole a volte il vento mi rende difficile l’affissione. Continuiamo a camminare sul Boulevard all’angolo con Rue Faubourg du Temple vedo un espositore pubblicitario è troppo alto non ci arrivo, torniamo in galleria, prendo una scala e torniamo all’espositore piazzo la scala male salgo e la scala inizia a muoversi penso di cadere invece scendo di un gradino e si stabilizza, attacco il manifesto nero e argento scendo dalla scala mi sposto e Alberto continua a filmare, la figura argento e nero sembra una creatura viva che guarda in camera.
Prendiamo il metro ci dirigiamo verso Saint Germain des Pres, in Rue de Seine individuo una galleria abbandonata, la facciata è piena di scritte spray e altri manifesti, posiziono prima un manifesto nero e bianco, poi vicino un altro rosso e nero. Rispetto al caos di Belleville qui è tutto più tranquillo la gente si ferma, osserva, fa foto ai lavori, chiede. Torniamo a Belleville è sera ci raggiunge Ivan che ci porta in un posto affollato sul boulevard, mangiamo, beviamo, spendiamo poco. è notte ripartiamo con gli ultimi due manifesti camminiamo Alberto filma tutto, è bella Parigi di notte. In Avenue Parmentier all’angolo con Avenue de la Republique c’è un altro espositore pubblicitario luminoso, piazzo il mio manifesto argento e nero e poi lo osservo retroilluminato insieme alle altre luci della città.
Foto: Alberto Momo e Bianca Cerrina Feroni
Subito dietro in Avenue de la Republique c’è un altro espositore luminoso scorrevole, Ivan che è più alto di me mi aiuta ad attaccare l’ultimo manifesto rosso e nero, osserviamo i movimenti di luce del manifesto retroilluminato in movimento, la figura sembra volere fuggire dallo spazio pubblicitario, dalla propria identità, dalla città. è notte passa qualche automobile, una ragazza ubriaca attraversa la strada, io, Alberto e Ivan ci dirigiamo verso casa. * Paolo Leonardo, artista, vive e lavora a Torino
bercy, prima e poi Testo di Elena Mazzarino
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arigi anni ottanta. Bercy. Da poco arrivata da Torino a Parigi, mi trovo a passeggiare in questo strano quartiere, ci sono ancora venditori all’ingrosso di vini, un po’ fin d’époque e mi intriga sapere cos’é questo strano fazzoletto di Parigi. In quegli anni é ancora un quartiere popolare dove da secoli arrivano le merci sulle chiatte via la Senna, e in particolare il vino dalla regione Bourgogne. Ci sono ancora alcune botteghe aperte e molte già chiuse e in rovina. Non lontano da li il nuovissimo Palais Omnisport di Bercy, cha accoglierà entro poco manifestazioni sportive e concerti… Siamo nel 1984, o giù di li. A Parigi ci abito da più de venticinque anni ormai, é diventata l’altra mia città, dopo Torino dove sono nata e vissuta da ragazzina. Però é Parigi ormai la città dove ritornare da viaggi e tournées teatrali che mi portano in giro da anni per Francia e un po’ di mondo. E il francese la lingua che uso di più nella mia vita. E’ cosi. Bercy, un luogo che mi ha affascinato i primi tempi della mia vita parigina perché sembrava uscito da un’altra epoca,
sembrava un pezzo di campagna in mezzo alla città ma anche un decoro finto da film. Poi hanno cintato tutto e incominciato a distruggere, e io mi chiedevo cosa sarebbe spuntato al posto delle baracche di venditori di vini. Ci sono ritornata ogni tanto, sono andata ben dopo a concerti al Palais Omnisport, gettando un occhio ogni tanto su un quartiere che stava nascendo. Dall’inizio del duemila sono spuntati un ministero dell’Economia, una Cinémathèque che accoglie in questo periodo una bellissima esposizione su Tim Burton, il Bercy village con le sue boutiques e caffé alla moda e un bellissimo parco, il Parc de Bercy appunto. Primavera 2012. Arrivando dalla Cinémathèque si intravede una specie di kiosque à musique piantato lì in mezzo al parco. Ma un kiosque pieno di acqua. Sono i Barolosolo, compagnia di circo contemporaneo invitata per qualche giorno con lo spettacolo Ile 0, gioco di parole tra isolotto, isola-acqua e isola O. Due acrobati-musicisti, che tra situazioni comiche (uno é sempre in acqua, l’altro ci finirà alla fine, ma prima farà di tutto per non bagnarsi), acrobazie al mâs chinois, un violoncello, un banjo e una chitarra, piano piano, goccia dopo goccia, trascinano il pubblico in un universo magico e poetico. C’é il
pubblico venuto apposta, quello che si ferma per caso nel mezzo di una passeggiata, un clochard che riverrà tutti i giorni attento e divertito come un bambino. Io sono li perché con i Barolosolo ci lavoro, organizzo, amministro, li porto in giro insomma. Ecco, sono passati quasi trent’anni e adesso mi emoziona stare in questo posto che mi ricorda i miei primi giorni parigini, quando me ne andavo a zonzo a caso a cercare altro che torri Eiffel e Archi di trionfi. Rivedo le stradine con l’erba non tagliata tra le baracche dei vini, mi rivedo passeggiare nel passato e mi sento bene oggi davanti a questo kiosque nel presente. Questa Parigi mi piace, Bercy di prima e Bercy di adesso. Chi l’avrebbe mai immaginato tutti questi anni dopo, che mi sarei ritrovata nello stesso spazio, così cambiato, con due acrobati che mi fanno ridere e emozionare… del resto io vengo da Torino, e nel loro nome c’é Barolo.
* Elena Mazzarino nasce a Torino nel 1964. Si trasferisce a Parigi negli anni ottanta. Lavora nel mondo del teatro occupandosi di produzioni francesi e internazionali, e in modo più particolare di teatro di strada e circo contemporaneo.
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qui madrid
LA VANGUARDIA APLICADA testo di Alessandro Santero*
La costruzione dell’evento molto deve a due italiani: Bruno Tonini, libraio in quel di Gussago (Bs) e Maurizio Scudiero, studioso tra i primi a essersi occupato delle avanguardie in Italia, in particolar modo al futurismo. L’aver costruito il percorso espositivo non utilizzando il criterio cronologico, geografico, la suddivisione per movimenti o artisti ha permesso la costruzione di una lettura dell’arte applicata in grado di svelare la sua natura di epicentro dello svilupparsi delle manifestazioni artistiche stesse, addirittura molte volte anticipate dai molti dei testi qui esposti. Così gli elementi concettuali e programmatici esposti dalle marinettiane Parole in libertà, viaggiano in parallelo con quanto viene pubblicato da El Lissitzky in Topographie der typographie, come anche i molti libri e riviste prodotti dalla Staatliches Bauhaus, sorta nel 1919, dimostrano l’enorme rilievo dato dalla scuola alla ricostruzione di una concezione teorica della tipografia. MoholyNagy, addirittura, arrivò a preconizzare una tipografia sperimentale in cui i tradizionali strumenti di lavoro venissero sostituiti con immagini fotografiche e registrazioni sonore, tali da rendere possibile la trasformazione delle pagine del testo in sequenze narrative simili a quelle delle riprese cinematografiche. Apice di questo lavoro artistico sarà, probabilmente, la serie di caratteri disegnati da Herbert Bayer, composta solo da lettere minuscole somiglianti a forme geometriche (qui esposta). Con l’importante produzione tedesca, quella russa di El Lissitzky e Varvara Stepanova, i libri delle molte sconosciute avanguardie sudamericane, i capolavori dei francesi come lo Specimen del carattere Bifur disegnato dal geniale cartellonista Cassandre, sono esposte molte opere d’italiani. Tra tutti, autentico profeta dell’arte totale, Fortunato Depero si pone come pilastro della rivoluzione tipografica con Depero futurista (meglio conosciuto come “il bullonato”), autentico libro - oggetto, sovvertitore dei principi dell’arte tipografica ma possiamo citare poi, molti altri classici del futurismo (da Zang Tumb Tuum a Baionette di Auro D’alba), le opere di Munari, i numeri più siginficativi della Rivista Campo Grafico ecc. Ancora una notazione sull’allestimento: questa mostra testimonia che il libro può essere esposto come qualsiasi altra opera d’arte, dimostrando che uscendo dallo scaffale amplifica enormente
le sue valenze. Una serie di “isole” (chiamarle vetrine sarebbe riduttivo), poste a varie altezze da terra, con sedi per i volumi costruite in modo tale da rispettare la natura dell’oggetto, accompagnano il visitatore attraverso una danza ritmica di pagine che, in molti casi, sembrano fluttuare tra le mani di coloro che ebbero la fortuna di sfogliarle all’epoca in cui vennero pensate: l’epoca delle avanguardie. * Alessandro Santero, astigiano, libraio antiquario, è tra gli animatori del Diavolo Rosso, locale gestito ad Asti dall’omonima associazione.
www.march.es
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hi si trovasse a visitare Madrid entro luglio potrebbe avere l’occasione di visitare una mostra probabilmente unica nel suo genere. Presso la fondazione March è stata allestita la mostra LA VANGUARDIA APLICADA (1890 - 1950), mostra che raccoglie il meglio di due straordinarie collezioni: quella di Josè Maria Lafuente, dedicata ai libri prodotti dalle avanguardie artistiche di tutto il mondo e quella Merril C. Berman che raccoglie manifesti e bozzetti, anch’essi espressione dei più grandi artisti che hanno operato tra il 1890 e il 1950.
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qui l’aquila
il racconto necessario testo ed immagini di GEA CASOLARO
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i sono diversi tipi di emergenze: quelle dell’immediato, da prima pagina, e le emergenze che permangono nel tempo e che anzi, col passare del tempo, non fanno che diventare ancora più schiaccianti, proprio perché subissate dal flusso di altre notizie, altre ferite, altre urgenze. E così, queste necessità di lunga durata diventano sempre più profonde, dei solchi che segnano la storia, ma la storia di pochi, lasciati indietro dal tempo che scorre. Stavamo finendo di montare il video girato da pochi mesi a L’Aquila quando c’è stato il terremoto in Emilia Romagna. Ho pensato a quante e quali emozioni abbiano attraversato gli Aquilani in quel momento. Immagino che il dolore di questi nuovi senza tetto, non abbia fatto che accrescere il loro dolore, per empatia e condivisione ma anche per il senso di abbandono in cui vivono da tre anni. Se già prima era difficile trovare i soldi per la ricostruzione, figuriamoci ora…
- Raccontate la nostra storia - dice uno degli intervistati dal regista Shûchi Morimoto alla fine suo documentario “Dopo il grande tsunami” girato due settimane dopo il terremoto del Giappone dello scorso anno. - Devi raccontare la situazione dell’Aquila - mi diceva l’estate scorsa mia cugina, nella casa al mare in cui si è trasferita con la famiglia dopo il terremoto del 6 aprile del 2009. Bisogna che qualcuno lo sappia, e ricordi e che ne parli agli altri, perché anche gli altri sappiano e ricordino.1 Dare voce a chi l’ha persa, insieme a tutto quello che aveva. Perdere dei familiari, degli amici, perdere la casa, il lavoro, i vicini: perdere la propria storia per intero. Le strade in cui si è cresciuti giocando a nascondino, girando in motorino, l’ultima fila del cinema in cui ci si è dati i primi baci, il panettiere, il fruttivendolo, il farmacista, il tabaccaio, la chiesa in cui ci si è sposati o si sono battezzati i figli, i tavolini dei bar dove si sapeva di trovare sempre gli amici per ridere, sfogarsi, chiacchierare. Non esiste più nulla. Si dice: partire da zero. L’essere umano ha effettivamente saputo costruire moltissime cose a partire da niente. Ma quando tutto ciò che esisteva è scomparso, non è a zero che ci si ritrova: mentalmente si è a centinaia di metri al di sotto e ci vorrà molto tempo anche solo per risalire a quel grado zero.2 Da un certo punto di vista, la situazione dell’Aquila è ancora più assurda: gli edifici sono ancora quasi tutti lì. Sono gli Aquilani che non ci sono più, costretti ad andare via da una politica di false pro-
messe e cattive volontà che ha messo avanti a tutto l’interesse di pochi amici imprenditori piuttosto che il benessere dei molti cittadini già duramente colpiti da una catastrofe naturale. Uno dei più grandi e antichi centri storici di Italia è diventato una città fantasma. Un’Atlantide dei nostri giorni, inabissata nell’oblio. L’Aquila di oggi oltre ad essere un’orribile realtà per i suoi ex-abitanti, è anche una terribile metafora dell’Italia intera. Per questo ho pensato che il giorno più sensato per raccontare questo grande vuoto, fosse la notte di capodanno: notte di bilanci, di buoni propositi e di rinnovate speranze. Ma non mi sarei mai aspettata di trovare gli addobbi sulle impalcature che rendevano ancora più inquietante la realtà di una città abitata da nessuno, percorsa solo da turisti della catastrofe che la attraversano come il set di una fiction. Mentre giravamo per le strade vuote e buie della zona rossa, nel freddo dell’ultima notte dell’anno reso ancora più freddo dall’assenza di calore umano, con porte e finestre sbarrate, con le piante secche ai balconi, con ancora i letti caduti dal primo piano giù in salone, per il crollo del pavimento, ho scoperto che quella era anche la milleunesima notte dal terremoto. Nelle Mille e una notte, Sherazade racconta ogni sera una storia, lasciando il finale aperto, per poter vivere un giorno di più: oppone alla morte il racconto, la poesia, l’immaginazione. Voglio pensare che anche la storia dell’Aquila abbia un finale ancora aperto. La poesia è la sola cosa che ci rimane dalla distruzione, dalla rovina, dalla sconfitta: la poesia è il materiale da cui cominciare a ricostruire la speranza. Raccontare per ricominciare, per rinascere dalle proprie ceneri: nei miti dell’antica Grecia l’araba fenice è un uccello sacro favoloso, con l’aspetto di un’aquila reale. Anche in Giappone viene rappresentata come un’aquila, dalle piume dorate e con la testa coronata di gemme magiche, annunciante l’arrivo di una nuova era. Una città non è la somma di tutte le case che contiene, una città esiste nelle nostre teste. E questo che permette di ricostruirla.3 Ricostruire L’Aquila, per chi dal 6 aprile 2009 è rimasto nel buio. E per tutti quelli che, da allora, sono venuti alla luce. Gea Casolaro vive a Parigi, dove sta sviluppando un lavoro che indaga le relazioni tra fotografia, cinema e vita quotidiana. Tra i suoi lavori più noti: Maybe in Sarajevo (1998), Volver atrás para ir adelante (2003), Visioni dell’EUR (2002-2006).
MILLE E UNA DI QUESTE NOTTI operatore: Giuseppe Bucci elaborazione suono e montaggio: Silvia Di Domenico presa diretta e musica: Roberta Vacca un video di Gea Casolaro la cui realizzazione non sarebbe stata possibile senza il prezioso contributo di Nora Concordia, Silvia Di Domenico, Roberta Vacca, Sandro e Felice Francavilla, Marcella Mariani, Chiara Tordini, Sara Bianchi, Alessandra Savini e The Gallery Apart.
1 Nicola Badalucco, Enrico Medioli, Luchino Visconti, La caduta degli dei,
regia Luchino Visconti, 1969. 2 Genyû Sôkyû, Il n’y a rien à dire, mais c’est ici que le chemin commence,
in L’Archipel des séismes, pag. 287, Écrits du japon après le 11 mars 2011, a cura di Corinne Quentin e Cécile Sakai, Editions Philippe Picquier, 2012. 3 Yoko Tawada, Journal des jours tremblants, Après Fukushima, pag. 96,
Editions Verdier, 2012.
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qui new york
LA PRIMA DI MARINA La Abramovic attraversa l’atrio e dietro di lei i fotografi, e dietro i fotografi tutti gli altri, giu’ per le scale mobili che portano alle sale di proiezione. Titus 1, la piu’ grande, dentro Titus 2 tutti non c’entravamo. Prima del film, prende la parola la CEO di HBO. Piu’ che una presentazione sembra un consiglio d’amministrazione. Marina tace. Mi viene in mente l’intervista di Andrew Goldman sul NYTimes di domenica scorsa. è vero che due anni fa ha avuto la mostra al MoMA per aver detto che Glenn Lowry, il direttore del museo, e’ totally sexy? è vero che Lowry e’ in forma, anzi, e’ di sicuro il piu’ in forma dei direttori di museo, voglio dire, guardi gli altri, sono tutti sovrappeso. Ma tendo a pensare che sia piu’ che altro per la qualita’ del mio lavoro.
Testo e opere di Marina Sagona*
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l 25 maggio mi arriva un messaggio di Chrissie: Ciao bella! You are invited to the premiere of Marina’s film at MoMA, 31st May, 6:30pm drinks, 7:30pm screening! Baci X .
Il 31 maggio, un filo di trucco un filo di tacco, vado al MoMA. Arrivo alle 18:30 in punto, Chrissie non c’e’. La Abramovich non c’e’. Esco in giardino, accanto alla capra di Picasso vedo Catherine che mi presenta suo fratello dermatologo. Marina e’ una nostra paziente! Complimenti, dico io, ha 66 anni e ne dimostra la meta’. Questo lo penso ma non lo dico. Poi la conversazione cade sul nuovo allevamento di polli che i due fratelli e la fidanzata inglese, che fa i cappelli per la regina, hanno in Connecticut. Sono tutti e tre entusiasti, del resto le uova stanno per schiudersi. Di Chrissie neanche l’ombra. Arriva il solito messaggio. No cabs, it looks disastrous, long subway ride, sorry! Mi guardo intorno ma non conosco nessun altro, tutti hanno delle scarpe orrende. Catherine, che e’ una collezionista, ha nel suo studio due foto della Abramovich, quelle con lo scorpione in faccia, una con
gli occhi aperti, l’altra con gli occhi chiusi. Sono amiche, lei e Marina, e pure vicine di casa in campagna. Me le immagino mentre insieme raccolgono ravanelli. Catherine beve champagne, io acqua gassata. Nel giardino del MoMA la gente con le scarpe brutte parla e sorride e mangia canapes al salmone. Il film e’ prodotto da HBO. Cosa c’entra HBO con una che si taglia e si frusta fino allo svenimento, che usa il proprio corpo come un’arena? Anche se, devo ammetterlo, HBO mi ha salvato piu’ volte la vita in quei mesi bui di qualche anno fa quando mi vedevo 5 puntate a sera di Sex & the City, sul canale on demand. Forse ha salvato la vita anche a lei, forse a 66 anni, anche se ne dimostri la meta’, vuoi essere celebrata tutta patinata. Finalmente arriva, anzi arrivano, Marina e dietro Chrissie. La Abramovic e’ tutta in nero, con I capelli fino al sedere e il naso. Quel suo naso che mi piace tanto, perche’ e’ rimasto un naso yugoslavo, un naso di famiglia. E anche perche’ assomiglia un po’ al mio. Lo stesso naso che tanti anni fa, durante una performance, ha preso fuoco insieme ai capelli, tanto che, sua nonna, quando lei e’ tornata a casa, ha creduto di vedere il diavolo in persona ed e’ scappata via.
Non avrei mai detto il contrario, ma dicono di lei che e’ estremamente seduttiva, sia con gli uomini che con le donne. Dio mio. Sono sola come un cane. Sola in stanze d’albergo. è strano pensare che mentre lavorava a uno dei suoi pezzi piu’ provocatori, Thomas Lips, in cui si incideva un stella a cinque punte sulla pancia con un rasoio, viveva ancora con i suoi e aveva il coprifuoco. Avevo 29 anni e dovevo tornare a casa alle 10 di sera. Poco dopo la separazione con Ulay, suo amore e collaboratore, si e’ sottoposta a un’operazione per ingrandire il seno, cosa che alcuni hanno vissuto come una bestemmia nei confronti della tradizione femminista nella performing art. Non me ne importa niente. Sa, avevo 40 anni. Avevo appena scoperto che Ulay aveva messo incinta la sua traduttrice di 25. Ero disperata. Mi sentivo grassa, brutta e indesiderata e l’operazione ha fatto un’enorme differenza nella mia vita. Perche’ non usare la tecnologia se si può, se ti puo’ tirare su di morale? E comunque non sono femminista. Sono solo un’artista.
* Marina Sagona, artista, è nata a Roma e vive a New York. Collabora con il New York Times ed è partner dell’interior decoration company Less&More.
Cigarettes & Tobacco (abandoned/illegal/prohibited), 2010 © Taryn Simon. Courtesy Gagosian Gallery
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CONTRABAND African cane rats infested with maggots, African yams (dioscorea), Andean potatoes, Bangladeshi cucurbit plants, bush meat, cherimoya fruit, curry leaves (murraya), dried orange peels, fresh eggs, giant African snail, impala skull cap, jackfruit seeds, June plum, kola nuts, mango, okra, passion fruit, pig nose, pig mouths, pork, raw poultry (chicken), South American pig head, South American tree tomatoes, South Asian lime infected with citrus canker, sugar cane (poaceae), uncooked meats, unidentified sub tropical plant in soil. Questo è l’elenco degli oggetti confiscati dalle autorità aeroportuali del JFK di New York a passeggeri e corrieri provenienti da altri paesi in un arco di 48 ore nel 2010. Taryn Simon (che ha in corso una personale al MoMa di New York) è partita da questa montagna di “cose” per scattare le 1075 foto che formano il lavoro Contraband. Tante piccole immagini su fondo bianco, una a fianco dell’altra, lunghe file di fotografie, come un asettico catalogo che blocca i soggetti in questione in vetrini d’osservazione. L’artista americana - ospite del progetto “Giorno per Giorno” (www.giornopergiorno.org), dieci giorni di incontro tra arte, scienza e culture contemporanee a cura di Gianluigi Ricuperati e promosso dalla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT - racconta così il mondo, le culture, le diversità, gli altri. Sono rapprese dentro paure e superstizioni, l’altro e lo sconosciuto che spaventa, come l’ignoto. Anche se è cibo o materiale organico. Timore di qualcosa che non si conosce, che si pensa possa celarsi invisibile. È l’immagine di una mappa, di un’esplorazione in cui il viaggio è negato, relegato fuori dal desiderio di comprensione e di contatto. www.tarynsimon.com
IL cielo
di Wislawa Szymborska
Da qui si doveva cominciare: il cielo. Finestra senza davanzale, telaio, vetri. Un’apertura e nulla più, ma spalancata.
La nuvola è schiacciata dal cielo inesorabilmente come la tomba. La talpa è al settimo cielo come il gufo che scuote le ali. La cosa che cade in un abisso cade da cielo a cielo.
Non devo attendere una notte serena, né alzare la testa, per osservare il cielo. L’ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre. Il cielo mi avvolge ermeticamente e mi solleva da sotto.
Friabili, fluenti, rocciose, infuocate ed eteree, distese di cielo, briciole di cielo, folate e cataste di cielo. Il cielo è onnipresente perfino nel buio sotto la pelle.
Persino le montagne più alte non sono più vicine al cielo delle valli più profonde. In nessun luogo ce n’è più che in un altro.
Mangio il cielo, evacuo il cielo. Sono una trappola in una trappola, un abitante abitato, un abbraccio abbracciato, una domanda in risposta ad una domanda.
La divisione in cielo e terra non è il modo appropriato di pensare a questa totalità. Permette solo di sopravvivere a un indirizzo più esatto, più facile da trovare, se dovessero cercarmi. Miei segni particolari: incanto e disperazione.
Q
uesto numero sul viaggio è il luogo ideale per Andrea Massaioli, in cui è l’ospite perfetto, ma anche un virgilio. Andrea viaggia da decenni attraverso mondi, tempi, prospettive, percezioni. Un lungo percorso dentro alla dimensione della pittura come dimensione totale, fatta di disegno e colore, che spesso ha trasformato in scultura. La sua storia è quella di un osservatore con i sensi all’erta, che filtra nel suo immaginario tutto ciò che “sente”, dentro e fuori. Così i suoi paesaggi, umani e vegetali, macro e micromondi, ancorati alla terra o al cielo. Così i suoi soggetti, umani e vegetali ma anche animali, alieni, in metamorfosi, cangianti, ambigui, che ti assorbono mentre li osservi. I suoi ultimi anni sono pieni di “notturni” su Torino, che lui vede e trasfigura da un punto della collina dove abita, da cui gli appaiono luci e colori, ma distanti, senza il rumore. Sono visioni acide e magiche che si fondono con altri elementi, come se la notte diventasse una superficie trasparente di proiezioni complesse, sovrapposte, mai fisse. Questa lumaca ha la consistenza onirica di un animale sacro, simbolico, con la sua spirale che racchiude l’universo, la luce e il buio come un gorgo. Gli ho chiesto cosa fosse questo suo grande lavoro, sempre tentato dal dissolversi della figurazione per sprofondare nella materialità del colore puro, liquido, organico, acrilico, antico e vivo. Domanda semplice e totale insieme. Andrea mi ha risposto che è un ritratto (alla mia città, ma non così dettagliato, potrebbe essere Los Angeles... ), è un paesaggio (si gioca con le profondità, con il sublime, la natura...), è una visione, un viaggio nell’immaginario, (due lumache in accoppiamento, quasi come divinità, figure della fertilità, apotropaiche, propiziatrici per tutta la città, fecondatrici di luce...), e poi un discorso sulla pittura, (liquidità, luce/buio, intensità dei colori come saturazione del desiderio...). E voglio usare una poesia di Wislawa Szymborska per raccontarlo da un altro punto di vista... (O.G.)
www.andreamassaioli.it
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qui madrid
MAGNIFICENT MILE testo di Maria Giovanna Ziccardi*
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uando a dicembre sono scesa per la prima volta a Magnificent Mile e ho visto la statua di Marilyn Monroe con la gonna di Quando la moglie è in vacanza, ho fatto la smorfia provinciale della più provinciale delle europee: “poveretti, noi abbiamo la Pietà di Michelangelo, loro hanno questo…”. È giugno, a Chicago è arrivata l’estate e hanno portato via la statua di Marilyn. È ora di tornare a casa. A Magnificent Mile mi piace arrivare col lentissimo bus 6: mi fa vedere nascere i grattacieli, con lo stesso stupore, la stessa bellezza, di un parto, sì: le luci di downtown, l’essenza della notte che mi si alza davanti, il cuore di Chicago. Un cuore che pulsa Suv and air conditioning, ghiaccio nei bicchieri e sculture di Picasso, taxi, tacchi alti e MacBook. E chi me l’avrebbe detto che seduta al bar del 94esimo piano della Hancock Tower, una mattina, avrei potuto scrivere, concentrata e ispirata, le conclusioni di un essay su Epicuro. I bambini che crescono a South Side Chicago non sanno nemmeno cos’è, Hancock Tower. Il campus di Uchicago, “where fun comes to die”, è un’isola dentro South Side, dove ogni studente costa a mum and dad 62.000 dollari all’anno. Martha Nussbaum insegna qui.
* Maria Giovanna Ziccardi, 28 anni, è nata a Faenza, laureata in Giurisprudenza e dottoranda in Filosofia del Diritto, entrambe le cose all’Università degli Studi di Trento. Studio e scrivo di Simone Weil - etica ed estetica, diritti e doveri in Simone Weil. Forse un giorno dovrò fare l’avvocato, forse un giorno tornerò a Chicago. Intanto, dico che il futuro non si costruisce, si costruisce il presente.
Capisci com’è diventata Martha Nussabum da aneddoti come questo: un tizio la aggredisce e la minaccia con una pistola per rapinarla, lei gli suggerisce di non perdere tempo e non far perdere tempo a lei, visto che la stanno aspettando a una conferenza lì vicino e, se tarda ad arrivare, verranno a cercarla. Dopodiché, liberissimo di portarle via la carta di credito, ma sarebbe anche questa una perdita di tempo per entrambi, visto che la farebbe bloccare in meno di un’ora. Ogni primavera, Martha tiene il corso “Emotions, Reason and Law”. Ti spiega che si trasmettono molto più germi con un bacio che non bevendo sangue umano, e da qui ti dimostra quanto ci sia di culturale e poco di naturale in un’emozione come il disgusto. Non solo: ti fa vedere come questo abbia deciso ergastoli e potuto mettere fuori legge la masturbazione. Da qui arriva, l’America a cui oggi Obama propone matrimoni gay. Esci dalla Law School di Martha – la stessa in cui ha insegnato Obama – e il South Side comincia: a separare due mondi è un angolo. University of Chiago Police si raccomanda di non avventurarsi oltre l’angolo, nemmeno al mattino. Invece accade che salgo su una di quelle terrazze, dietro alla Law School e alla bandiera americana che sventola allegra sul tetto. È una tranquilla notte di aprile: non sento i fischi del vento che si confondono con le sirene delle volanti, non sento i gunshots con cui ogni giorno polizia e droga si litigano le strade, vedo soltanto stelle. Penso subito che sono molto banale, sempre con sta storia delle stelle, ma qualcuno
di bellissimo arriva, mi offre del mango e mi spiega che non c’è niente di banale nel guardare il cielo se l’uomo lo fa da quando abita la terra. Scopri Chicago e Chicago scopre te. Senza vergogna, senza niente di aggiungere, mi fa scendere dalla terrazza e salire su uno di quei grattacieli in Lake Shore Drive dove non c’è il campanello da suonare ma un portinaio che mi chiama direttamente l’ascensore. Oppure mi lascia nella Wicker Park che si sveglia tardi, seduta a terra nel monolocale di Emily: soltanto un letto, una libreria e un camino, bicchieri mai vuoti di champagne e chitarra che suona Rain and tears.
A vegliare su questi luoghi e su chi passa di lì, c’è il lago Michigan, che abbraccia Chicago come un mare, come un padre. Sulla spiaggia che costeggia il campus si raccolgono bimbi neri, donne grassissime, studenti coi capelli strani ed erba da fumare. Gli studenti coi capelli normali sono in library a studiare. Esco dalla library per pranzare in mensa, chiedo al signore che mi dà l’insalata dove posso trovare dell’acqua; mi risponde “hot water or cold water?”. Pazza, ossessionata America. Che ti volti un secondo, vivi, ti dimentichi di Michelangelo, e Marilyn è sparita.
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qui Cile
chile 2012 5 citt à , fino al capo del mondo , nell ’ arte dell ’ attore testo di Domenico Castaldo*
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olo da Torino a Santiago. Rivediamo tutto il Cile che era stato a lavorare con il LabPerm. Emozioni forti, trattenute, siamo uomini! Questi ragazzi generosi hanno speso da tre mesi a due anni a rubare tecniche sull’arte dell’attore. Pensavo che non li avrei mai più rivisti. Invece eccomi a casa loro. Una grande gioia. Siamo atterrati io, Katia, Francesca e Marta per dare vita al progetto COMMUNITAS, ideato da Juan Pablo Corvalan,
un giovane attore e organizzatore, che ha vinto un bando per condividere la sua esperienza italiana con le persone della sua terra. Generosità, ripeto. Il nostro compito è guidare THE GARDEN, cinque giorni intensivi alla scoperta del giardino interiore dei partecipanti, si forma il gruppo, compatto verso l’obbiettivo e si lascia spazio a reazioni autentiche, a presenze vibratili, a voci che nascono dalla profondità del bisogno, dalla spinta propulsiva di un sentimen-
to represso, dimenticato, vergognoso. Cinque città, sei THE GARDEN. VALPARAISO, vista dal mare, assieme a pellicani e leoni marini che lottano per un posto sulla prua di una nave, è colorata come una bancarella di giocattoli. Le case, arroccate su colline vestono i colori del desiderio del proprietario. Tutti diversi. Sotto il cielo blu dell’autunno incipiente mettono una sana allegria. Università di Valparaiso, gruppo di 12 persone: donne, madri lottano
per l’uomo e poi si riappacificano, perché le donne hanno valori diversi dai maschi, sono traditori per natura, ma due amiche, non dovrebbero esserlo mai. Il dramma si scioglie, si sale verso la consapevolezza che il bene è sempre in agguato dopo il dolore. Ma qui il teatro è anche passione politica, e allora ci si stupisce perché, al di là di parole su ingiustizie e soppressioni, il teatro è una sana ribellione. SANTIAGO DE CHILE. Matucana 100, un centro per l’arte
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performativa occupato dagli anni ‘80. Attori e attrici come fiori maturi. La giovane madre separata dalla figlia, la giudice non può affidargliela. Il dramma delle madri anche esse figlie. E A. dritto sul palco: Quanti anni hai? Veinteysiete. Dì la verità, quanti anni hai in questo momento? Nueve anos. Il gioco inizia, tutti nove anni. Università Cattolica, un parco ed un antico complesso di sale. Un gruppo attraversato dalla paura della media borghesia. Paura di che? Di perdere. Cosa? Lungo silenzio, risposta abbozzate, poi R.: E’ orgoglio borghese fatto di acquisti e posizioni precarie, si teme di non apparire più come si deve tra pari. Si rifiuta questo sentimento, si protesta, invano, occorre impegnarsi per chi soffre. L’eterna rabbia: ammazziamo i potenti. Ma è assurdo, allora la lotta, attraverso l’arte dell’attore, appare come via pacifica di elevazione culturale. PUNTA ARENAS. Vento e cielo
infinito. Qui vedi bene che il sole ruota in senso antiorario, è ovvio, stiamo camminando a testa in giù. Si affronta il tema del suicidio, i partecipanti si spaventano, allora si attua un cambio di strategia e lavorano soli, usciamo, osserviamo e diamo indicazioni. I loro cuori ci ringraziano la nostra pazienza, per il teatro portato sullo stretto di Magellano, dove nuotano balene e pinguini, lontano, nel mondo. Ci offrono pranzo in un bel ristorante, lo chef viene a Torino, cucina per Terra Madre. La Patagonia cilena ci offre uno dei panorami più straordinari della terra: le Torri del Paine, una regione di fiumi e laghi. Entusiasmante. La luce, il paesaggio mutano sotto i nostri occhi ogni cento metri. Le Torri, di granito bianco e nero, si riflettono nella sospensione del lago sottostante. Oltre le cime volteggia un condor. TALCA. Una città conservatrice. Molti palazzi sono ancora puntellati dopo il terremoto del 2010. Le
chiese evangeliche accolgono i fedeli in fase di restauro. Si respira un silenzio angoscioso. Partecipanti dai 17 ai 70 anni. Il tema principale è l’oppressione della famiglia, evangelica osservante. I padri scontenti e aggressivi, madri e figli sopportano, si accorgono di essere parte del gioco, e cambiamo il punto di vista, si liberano. Si attraversa la crisi e ci si trova nella forza e nella fermezza, mai più vittime. CONCEPCION. La terza città del Cile per grandezza, un centro città con negozi ed un bar con torte alte un palmo e caffè espresso. Sulla piazza alle 16, tutti i giorni, un clown raccoglie 200 persone, lo ammiriamo, ridiamo sorpresi dei suoi numeri. Ci confrontiamo con un professionismo appassionato, giochiamo al carcere femminile, una reclusa racconta la sua terribile storia in attesa di giudizio, un poliziotto violento zittisce, un ragazzo messicano attacca e provoca. Scontri, anche
fisici, poi tutto plana verso sentimenti più sottili e comprensivi, i cuori si aprono e gli occhi si bagnano di lacrime. L’impossibilità diventa fratellanza nella sofferenza, poi nella soddisfazione. Un viaggio attraverso gli animi in Cile, come ovunque. www.labperm.it
* Domenico Castaldo, direttore artistico del Laboratorio Permanente Di Ricerca Sull’arte Dell’attore. Dal 1993 ha sviluppato un percorso professionale che lo vede esperto in differenti ruoli dell’arte scenica: attore, cantante e compositore, direttore di cori, regista, drammaturgo. Formatore esperto nel campo delle azioni fisiche, uso della voce e del corpo. Ha collaborato e collabora con diverse istituzioni teatrali, sia di ricerca che di prosa, di carattere nazionale ed internazionale, così come con Università e Scuole di Teatro, sebbene prediliga un cammino professionale e di ricerca indipendente.
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WORLD WIDE WEB
ultra-high resolution testo di franz bernardelli*
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liccando alla voce googleart, ecco apparire: Explore 17 museums from around the world with hundreds of artworks photographed in extremely high resolution. Also enable to create and share your own portfolio. L’esperienza evocata - esplorare e ricreare compendia una tendenza, uno sforzo, che da molti anni sembra organizzare la fruizione che ognuno di noi può fare dell’opera d’arte: la visione quale momento essenziale ed esclusivo dell’avvicinamento all’esperienza artistica - una visione intesa come opportunità di riscoprire immagini d’opere d’arte fin nei loro minimi dettagli. La scelta di includere opere che rappresentino una più vasta e inclusiva scelta di culture e civiltà, ha permesso che, oltre alle più facilmente immaginabili inclusioni di pezzi del consueto “canone artistico” occidentale, tratti da musei europei e statunitensi, si possano ritrovare graffiti brasiliani, arti decorative islamiche e antiche incisioni rupestri africane. Nel progetto compaiono inoltre alcuni luoghi di particolare significato antro/socio/politico come l’Ufficio ovale del presidente Barack Obama alla Casa Bianca oppure i saloni del Palazzo Reale di Amsterdam. Subito vincitore del People’s Voice Award presso i noti Webbyawards, Google Art (o meglio: googleartproject.com) ben rappresenta una delle tendenze più evidenti della nuova tecnologia imaginistica della Rete e dei PC: l’iper-definizione. La partnership sviluppata con importanti musei (quali Uffizi di Firenze, la reggia di
Versailles, il Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, l’Israel Art Museum o il Museo d’Arte Moderna di San Paolo) fa parte di un più esteso progetto “espansivo” della celebre azienda americana che coinvolge ben 151 partner in ben 40 paesi. Qualcosa come 30.000 opere d’arte possono così essere raggiunte e visualizzate direttamente on-line attraverso immagini in alta risoluzione. Il progetto di Google Art offre agli appassionati d’arte (ma anche a semplici curiosi o studenti...) vaste opportunità per scoprire un’ampia scelta di opere che spaziano dalla pittura alla scultura fino a più recenti esempi di street art nonchè fotografia e architettura... Impiegando una combinazione di tecnologie (legate proprio a Google) e informazioni (di esperti) offerte dai musei/partner, il progetto informatico ha così creato un’esperienza d’arte online certamente unica nel suo genere. E già viene annunciata sul sito una possibile espansione del progetto verso nuovi paesi e nuovi musei, nonchè una nuova sezione “sperimentale”, dedicata a mostrare come artisti attuali stiano adoperando sempre più nuove tecnologie emergenti per mostrare il loro lavoro artistico. Le immagini dei capolavori d’arte in altissima risoluzione sono visionabili sul sito - al momento in numero di già oltre mille - anche grazie alla possibilità di effettuare un vero e proprio tour a 360° attraverso le singole gallerie espositive, grazie alla nuovissima tecnologia sviluppata di Street View (ora riadattata “per interni”). Dunque la possibilità di un tour virtuale dei musei apre le opzioni successive alla selezione delle opere di interesse sulle quali è poi possibile cliccarvi per avere maggiori informazioni o
esplorarne dettagli in alta definizione (se già disponibili), offrendo inoltre la possibilita’ di trovare anche altre opere dello stesso artista e magari vederne video ad esso correlati (sulla piattaforma di youtube). L’altissima risoluzione messa in in atto per il momento viene “distribuita” attraverso le scelte che ciascuno dei musei aderenti al nuovo progetto ha operato su opere particolari. Fotografate fin nei più minimi dettagli, attraverso una tecnologia fotografica con risoluzione giga-pixel (ovvero immagini da circa 7 miliardi di pixel), esse permettono così di osservare dettagli altrimenti difficilmente visibili all’occhio umano, come i tipici particolari di tecniche pittoriche. Ecco dunque balzare proprio sotto gli occhi un’inedita (quanto quasi paradossale) attitudine: un progressivo avvicinamento alla realtà dell’opera d’arte, pur attraverso la mediazione e la distanza del virtuale. In anni recenti il nostro mondo quotidiano si è sempre più saturato di strane presenze, chimere moderne: le immagini elettroniche, icone virtuali del discorso dominante, cresciute a dismisura. Si è trattato di uno sviluppo di realtà artificiali che hanno preso forma non soltanto più di rappresentazione, quanto di presentazione di quella che è diventata una diversa modalità di environment - d’ambiente virtuale. Proprio in questo processo di virtualizzazione progressiva degli oggetti (rap)presentati, si sono manifestate nuove modalità di definizione, in grado di costituire un nuovo spazio percettivo dove vedere, connettere, parlare, muovere, riformulano una propria logica. L’ipertrofia dell’immagine, il mondo visivo emergente da questa continua
emancipazione del visibile, diventa a sua volta accumulazione di iperdettagli, paradossalmente neutralizzando nell’osservatore la capacita’ di “leggere” l’immagine. Riprodurre con le tecniche digitali una rappresentazione formale di qualsiasi opera d’arte monde pone però direttamente la questione centrale del suo carattere illusorio: ovvero il suo processo di produzione. Se in passato a nessuno sarebbe mai capitato di potersi ingannare fra le pur patenti fortissime somiglianze fra copia ed originale, con il venire meno delle tecnologie analogiche si stanno erodendo i margini di differenza. Poter stabilire ora la differenza fondamentale fra l’immaginario elettronico (ed informatico) e il referente reale, proprio grazie alle nuove tecniche di registrazione e simulazione, richiede un ripensare a questo salto - ad una simile distanza come ad uno scarto non meno importante come quello che abbiamo con il nostro abituale livello/piano di realtà. L’emergere del “virtuale” nella cultura visiva contemporanea mette in campo ed intreccia due evoluzioni simultanee, seppur divergenti. Il processo d’imitazione sempre più esatta ed implacabile della realtà, iniziato con i procedimenti della prospettiva pittorica rinascimentale e radicalizzati dai procedimenti fotografici, arriva a trovare nella digitalizzazione un mezzo dalle risorse incalcolabili. Ma tale stadio “digitale” (con la concomitante digitalizzazione della realtà visiva, e allo stesso tempo, quasi simmetricamente, della simulazione dei modelli ideali che diventano non solo visibili, ma Reali - difatti si parla - in gergo di “rendering”...) manifesta dunque una rottura con il passato, ovvero lo stadio “indiziale”
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legato proprio alle precedenti tecniche di registrazione. L’immagine perde il suo legame privilegiato con il passato, con la sua funzione di testimonianza - quella testimonianza, reale, mentale, elaborata dall’immaginario (fin dal lavoro del disegno e della pittura etc..), e poi piu’ strumentale con l’invenzione delle tecniche di registrazione - per diventare una forma di contatto con le neo-realta’ ritoccate (e modellizzate) digitalmente. Immaginarsi un prossimo futuro dove ogni immagine non solo tenderà ad assumere caratteristiche più forti ed interessanti del proprio omologo “analogico”, ma arriverà a rimpiazzarlo completamente, liberandosene.. non sembra poi così lontano. Quali scenari, quali prospettive possano ora cominciare a dischiudersi è domanda che forse riguarda più da vicino gli ingegneri della visione (e della visualizzazione), così nel campo dell’attuale Big Entertainment della spettacolarità esattamente quanto gli scienziati ed i ricercatori che si appassionano a ridefinire mezzi e orizzonti messi in atto. Gli scenari del digitale creano nuove forme di localizzazione e un tempo differito, aumentato, frazionato e moltiplicato si lega ancor piu’ all’istantaneità. Agli astanti resta un compito, certo non semplice, ma essenziale: non confondere visione, percezione e conoscenza. * Franz Bernardelli, critico e curatore d’arte contemporanea freelance, si è sempre interessato ai rapporti fra arti visive, time-based media e nuove musiche, scrivendo e organizzando rassegne di performance, video arte e immagini in movimento
Dall’alto in senso orario: MOMA Museum - New York TATE Britain - Londra Louvre - Parigi Uffizi - Firenze
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WORLD WIDE WEB
artmap testo di artmaptv*
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rtMapTv è una realtà molto giovane, siamo online da soli 5 mesi, anche se il progetto prende vita nel 2010. Abbiamo ricevuto consensi e pareri positivi, adesione da ogni parte del mondo e questo conferma la nostra determinazione nel voler continuare in questa impresa che spesso è un’avventura, tutta da portare avanti e da imparare.
* Crew Artmaptv Ilaria Jve, Cristina Pontisso, Daniele della Valle
Inizialmente il progetto era stato proposto a Google che non ha risposto alla nostra proposta ma, anzi, ha creato esattamente quasi un anno dopo “Google ArtProject”. Ma questo è un altro discorso…che forse non abbiamo voglia di approfondire. Dicevamo, ArtMapTv è un progetto ambizioso, che sta suscitando interesse, con diverse realtà che ci chiedono di collaborare in modi diversi, creando sinergie che noi piano piano stiamo costruendo insieme.
interessa per trovare news, eventi ed interviste sull’apertura
Il nostro obiettivo è quello di comunicare come l’Arte e la cultura siano un linguaggio trasversale che coinvolge tutta l’umanità, dalle isole Svalbard e Jan Mayen a nord della Norvegia, sopra il circolo polare Artico, all’Afghanistan alla Repubblica del Centro Africa, che ha nella sua capitale Bangui il “Museo Boganda”, che ospita collezioni sulla storia culturale del paese dal 1964. Altro esempio in Nepal con il “Centro d’Arte Contemporanea Kathmandu”, dove organizzano residenze per artisti. E nel Laos, dove c’è uno spazio no-profit per artisti ed esposizioni di nome Project Space - Luang Prabang. In Guinea c’è invece il Museo Nazionale a Conakry e Musei Regionali in Kissidougou, Nzérékoré, Youkounkoun, Beyla e Boké.
ArtMap.Tv è un portale e produzione televisiva che si occupa di arte e cultura, mappando eventi e realtà artistiche di tutto il mondo. In modo intuitivo, navigando sul portale, si potrà fare un viaggio virtuale nel Sistema dell’Arte globale. Basta cliccare sulla nazione che più ti di mostre, eventi, fiere, biennali, inaugurazione di nuovi spazi, progetti artistici, open call, premi inerenti ogni angolo della Terra! Nella sezione Events sono geolocalizzati sul planisfero tutti gli eventi. Nella sezione Galleries&Museum sono geolocalizzate più di 6.000 realtà artistiche nel mondo. La sezione Tv offre la possibilità di visionare oltre 150 videointerviste ad artisti, galleristi, collezionisti e curatori. La
In Pakistan a Karachi c’è una piattaforma per artisti pakistani, “Vasl”, che in urdu significa punto d’incontro: si tratta di uno spazio no-profit, per sperimentazioni, workshop internazionali e residenze per artisti, conferenze ed eventi. Nelle isole South Georgia e Sandwich, a sud dell’Argentina nel bel mezzo del niente, in pieno Oceano Atlantico del Sud, c’è un museo che era la casa del gestore della caccia alle balene dell’isola.
sezione Live! con dirette streaming da tutto il mondo in
Scoprono realtà interessantissime in ogni angolo del pianeta e noi siamo convinti che ArtMapTv possa essere il loro luogo d’incontro e contatto. In fondo, rispettare le varie culture può far vivere in un mondo migliore: lo si dice ma poco lo si pratica, e noi vogliamo provarci, fermamente.
La nostra crew è formata da storici dell’arte, ingegneri,
occasione di vernissage, performances o convegni. Sei un’artista? Registrandoti al portale, potrai creare una tua pagina personale nella sezione Artists con l’inserimento di foto, video e testi! Stiamo sviluppando ulteriori sezioni, tra cui Understand Art, con cui vogliamo proporre in modo semplice e chiaro la spiegazione di opere d’arte e l’analisi di importanti artisti e movimenti. A breve ci sarà la possibilità di inserire i comunicati stampa direttamente da parte delle gallerie, musei e fondazioni. videomaker e responsabili di relazioni internazionali. Il nostro portale è in lingua inglese, l’homepage è tradotta in 15 lingue. Noi pensiamo che l’Arte, essendo un linguaggio internazionale, non abbia confini ed ArtMapTv ne è la conferma.
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qui torino
su vanchiglia testo di massimo betti merlin*
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anchiglia. Ci abito, ci vivo e ci lavoro da quando avevo 19 anni. Se devo dire per me cos’è, che cosa ha significato, mi viene in mente un ritorno. Credo sia, per me come per molti della mia generazione che lo scelgono per radicarsi con il proprio lavoro, il luogo del ritorno ad alcun valori del passato che vanno rieditati, ripensati. Un modo di proporre idee nuove e attività seguendo una logica che si confronta con la nostra identità del passato. Anche se non vi avevo mai abitato, scegliere Vanchiglia è stato per me come tornare a casa, come ritrovare qualcosa che era andato perduto. Vanchiglia non è un quartiere antico: le case, i negozi, le persone che sono sopravvissute ti rimandano indietro a poco più di un secolo. Questa sua storia recente lo rende meno pittoresco di altri quartieri, ma offre un terreno sincero per la realizzazione di progetti nuovi. Non che manchino i vecchi negozi – impagliatori, stagnini, bronzisti, passamanerie, coltellerie – o altri cari all’immaginario del turista - dal restauratore alla bulloneria rigorosamente con la lampadina a incandescenza da 40watt. Piuttosto il quartiere si sta connotando per la nascita di spazi “creativi”, inventati e ristrutturati dai “giovani sopra i trent’anni”; studi con la vetrina sulla strada e luoghi che offrono una fisionomia insolita, audace, che non riesci subito a codificare: una vetrina tre metri per tre con uccelli imbalsamati appesi come un lampadario, illuminati anche di sera; spazi di coworking; officine artistiche; negozi di abiti o accessori usati; circoli non meglio identificati. Sono il frutto dell’invasione di più o meno giovani che hanno reso Vanchiglia un laboratorio di idee, di attività e di progetti. Dieci anni fa, quando i prezzi erano ancora accessibili, molti hanno comprato i muri dove lavorano. Altri affittano ora che il fenomeno è riconoscibile. Sono persone che vogliono stare al centro delle cose, ma da una posizione periferica, riflessiva, in un certo senso privilegiata. E’ una logica che a Parigi – dove non esiste un centro ma una cosmologia di quartieri con i rispettivi centri sarebbe scontata; per Torino invece può diventare un aspetto cosmopolita. Ci sono studi di architetti, designer, artisti, scultori, scuole di danza, atelier, gallerie d’arte, spazi espositivi. Molti progettano, ristrutturano e arredano i loro spazi da sé, lasciando mano libera
all’estro personale. Non sono in cerca di miracoli o di insolita fortuna: semplicemente hanno scelto di impegnarsi in progetti concreti, secondo logiche territoriali, affidandosi alle proprie forze o a idee nuove. Dieci anni fa non c’erano. Ormai da quattro anni organizzano la LOV – Vanchiglia Open Lab: serata a studi aperti dove si aprono le porte ai curiosi che vogliono venire a scoprire questo pezzo di città. Si tiene a giugno di ogni anno ed è un raro caso di iniziativa spontanea che attira migliaia di curiosi. La speranza è che con il tempo non trasformi il quartiere nell’ennesima meta dell’intrattenimento giovanile - come sta capitando a San Salvario. Tra gli ingredienti di Vanchiglia spicca la diffusione di un cultura della sostenibilità che ha fatto tesoro degli insegnamenti del passato: c’è un negozio che vende solo veicoli elettrici; un ciclista con due vetrine di biciclette pieghevoli che diventano grandi come una borsa; ristoranti e rivendite di prodotti bio; negozi dove trovi la pasta, il latte, il riso e il detersivo alla spina; o la frutta a km zero; il negozio di abiti e giocattoli usati per bambini; una signora che ti insegna a dipingere, ma non a casa sua, in vetrina. A gestirli sono cooperative di giovani, ma anche di altre generazioni che incontrano nella quiete di Vanchiglia, l’attracco ideale dei loro vagabondaggi giovanili. Tra le altre stramberie c’è anche la “Caduta”, un porta con i vetri colorati, senza un’insegna, in via Buniva. Di giorno è semplicemente una serranda in una via qualunque. Di sera diventa l’ingresso per l’altro mondo, il mondo del teatro come te l’eri immaginato. Si entra senza pagare il biglietto e l’ambientazione è così piccola che ti sembra di entrare in casa di qualcuno. E’ un po’ come Vanchiglia, un borgo a misura d’uomo, una sorta di villaggio dentro la città, dove la gente dopo un po’ ti saluta e sa chi sei. Nel 2003 - quando io e mia moglie l’abbiamo acquistato - era un magazzino pieno di cianfrusaglie. Sembrava una soffitta, senza la casa sotto. L’anziano che ce l’ha venduta - un signore pugliese - dice che ci abitava negli anni Cinquanta con tutta la sua famiglia, stretta stretta in 45 metri quadrati. Mi ha chiesto cosa volevamo farci al posto della sua soffitta. Dico: “un teatro”. Mi guarda come fossi pazzo, e come molti nel quartiere all’epoca. E pensare che a vederlo oggi, il Teatro della Caduta, sembra lì da sempre. Alcuni addirittura, entrando, mi chiedono se esiste da più di un secolo.
www.vanchigliaopenlab.il
* Massimo Betti Merlin (1974) regista e organizzatore teatrale torinese; insieme a Lorena Senestro - all’età di 29 anni - ha trasformato, con mani e mezzi propri, un anonimo magazzino del quartiere Vanchiglia nel Teatro della Caduta, un teatro in miniatura con cinquanta posti a sedere, un manufatto artistico, luogo di libera immaginazione che opera fuori dalle logiche del mercato teatrale. Per sviluppare questo progetto – che ad oggi ha ospitato più di 20.000 spettatori - ha svolto e svolge ogni genere di mansione, dalla muratura alla direzione artistica, rifiutando di specializzarsi.
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svago di Annalisa Russo
Trova le 2 differenze tra l’originale e la copia di quest’opera di Sarah Lucas, Aunty Jam (2005)
storie di cucina
di Fabrizio Vespa
il piatto d’autore Daniele Galliano, vestito di tutto punto come uno chef stellato, stende un’acciuga su un quadrato nero e la fa risplendere nella sua cruda essenzialità. Come una pennellata solida, tracciata di getto. A fianco aggiunge un cucchiaio di pesto alle nocciole e una fetta di pane integrale tostato. Giulia Caira mette in fila decine di micro-melanzane acquistate dal contadino di fiducia e con pazienza certosina le farcisce con un ripieno della tradizione meridionale conservando per ultimo un piccolo cuore di formaggio. Il tutto con un grembiule da cocinera tempestato di teschi stilizzati. A quale opera si stanno dedicando i due artisti torinesi? Non è una performance estemporanea, ma l’appuntamento nato nel periodo estivo presso la Focacceria Sant’Agostino nel Quadrilatero Romano e denominato “Piatto d’Autore”. In un panorama dove la cucina contemporanea ci ha abituato a qualunque cosa e anche l’arte stessa applicata al mondo dei fornelli è stata declinata in mille modi - dal food design alle variazioni sul tema della cucina molecolare – quest’iniziativa è una piccolo salto di qualità. A ogni artista viene chiesto di trarre da un’unica ricetta il proprio capolavoro definitivo. Anzi di più: il piatto dell’anima. Quello che in modo improvvisato e personale viene preparato nell’intimità assoluta dell’artista. Piatto d’Autore rappresenta così un nuovo concetto di ristorazione che vuole dialogare tanto con i linguaggi artistici di oggi quanto con un pubblico alla ricerca di nuove emozioni. Per questo ogni volta il piatto d’autore viene fotografato ed esposto periodicamente in mostra all’interno della focacceria. A dicembre infine gli scatti realizzati oltre ad es-
sere raccolti in un catalogo ufficiale, saranno battuti all’asta presso il Circolo dei Lettori in favore dei missionari Camilliani a Haiti.
Foto di Chiara Roggero
falso d’autore
fuori porta
WASISTDAS? la valorizzazione del patrimonio storico-artistico, architettonico e ambientale, promuovendo attività di ricerca, informazione ed eventi culturali. Coinvolgendo oltre 10 comuni e molte associazioni, questo territorio prealpino, ricco di un significativo patrimonio ambientale e artistico, ma allo stesso tempo diversificato per vicende storiche e scelte di natura socio-economica, intende affrontare unito un cammino comune di tutela e di valorizzazione. Fino al 26 agosto il Museo Tornielli di Ameno è aperto (da giovedì a domenica al pomeriggio) e ospita due mostre davvero interessanti: la mostra WASISTDAS? in collaborazione con il Museo Alessi di Omegna per rappresentare aspetti sconosciuti e insospettati
della pratica di una fabbrica del design italiano e Geo Chavez. Di tanti uno solo, mostra dei bozzetti realizzati per il percorso outdoor di arte contemporanea dedicato a
Geo Chavez, tra Svizzera e Italia. Info: www.cuoreverdetraduelaghi.it www.museotornielli.it
Wasistdas? Achille Castiglioni, bollitore Curling (1995)
Bisogna salire sulle dolci colline sopra il Lago d’Orta (Novara) per raggiungere Ameno, piccolo borgo di meno di mille abitanti, centro attivissimo per le proposte culturali e punto nevralgico del progetto Cuore Verde tra Due Laghi. Qui grazie alla volontà di un gruppo di artisti (tra gli altri, Enrica Borghi, Fausta Squatriti, Angelo Molinari) è nata l’associazione culturale Asilo Bianco, che in pochi anni si è trasformata in una realtà importante nel panorama della cultura contemporanea in Piemonte e in Italia. Dal 2007 l’associazione è anche capofila del progetto Cuore Verde tra Due Laghi, una rete nata per la promozione culturale e turistica del territorio compreso tra la sponda piemontese del Lago Maggiore e il Lago d’Orta. Dal 2008 la rete opera sinergicamente per