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LA CULTURA SCOMMETTA SULLA MERAVIGLIA
from Artribune #72
by Artribune
Non è una provocazione, anche se ha tutta l’aria di esserlo. In prima battuta si potrebbe pensare: ma non è ancora finita l’era delle mostre blockbuster? In seconda: ancora nostalgici ritorni alle arie di Modugno (per i più giovani, dei Negramaro)? E infine: siamo l’Italia! Non siamo già sufficientemente meravigliosi? Convintamente ribadisco il titolo: la cultura scommetta sulla meraviglia. Ovvero, le istituzioni culturali puntino sulla meraviglia. Che poi vuol dire puntare sulla ricerca, perché ciò che desta stupore si lega indissolubilmente agli inediti, alle scoperte, all’innovazione di produzione culturale e di processo, all’ingegnosità collettiva. E non vi può essere inedito, innovazione, invenzione, senza ricerca.
In questo arte e scienza si assomigliano: nel lavoro costante, robusto, indefesso, l’attraversamento della conoscenza, che aiuta il caso, togliendo il velo, come al microscopio. Per la cultura si tratta del lavoro sugli archivi e dentro gli archivi, lo studio delle collezioni e dei fondi, il ritorno alle fonti (perché siamo italiani e, dunque, eredi di una delle più mirabili scuole di pensiero e di ricerca legata alle fonti).
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Soltanto nella consapevolezza dello studio come strumento di scoperta e di svelamento, la cultura – nei suoi multiformi linguaggi – potrà continuare a rivestire il ruolo contemporaneo di influencer, suscitando stupore, emulazione, attivismo. Solo in questo modo continuerà a ispirare (per traspirazione), suscitare (per traduzione), far godere (e il godimento è ben più auspicabile della fruizione). Così perdurerà nel parlare a uno, nessuno, centomila: i suoi pubblici, necessariamente plurali. Uno, come l’unto, il prescelto, l’unico capace di comprenderla per la sua volontaria pervicacia nell’essere per pochi eletti. Nessuno, come segno di eccessiva altitudine e distinzione del messaggio culturale, volutamente indecifrabile. Centomila, come la moltitudine (non la massa) a cui le arti si rivolgono con il loro linguaggio universale. D’altronde, le piattaforme (Google in primis) sono pronte a catturare il sentiment. Ed è interessante scoprire come le attese e le aspettative (anche quelle inespresse e celate) emergano ai fini delle future scelte di destinazione, sempre più selettive sotto il profilo della scoperta.
Come da quei bauli segreti e inaccessibili, dimenticati nelle soffitte, a cui i più fortunati hanno nella loro infanzia attinto, diventando i personaggi immaginari di storie fantasiose, così sapremo, nel nostro girovagare per lo Stivale, novelli “grandtourist”, se quella mostra, quell’allestimento teatrale, quel percorso archeologico (e molto altro) avrà intimi, profondi legami con la storia, l’animus e il genius di quel luogo. Difficile essere ingannati, anche in tempi di entertainment culturale e di effetti speciali: il pubblico, i pubblici – ancorché non sempre eruditi – saranno sempre dei giudici spietati (leggi “obiettivi”), misurando l’impatto con la meraviglia. “È vero, credetemi, è accaduto”.
P.S.: L’articolo è stato consegnato alla redazione alcuni giorni prima dell’uscita della campagna nazionale di promozione turistica che vede la Venere di Botticelli nuova influencer, con lo slogan “Open to Meraviglia”. Quando si dice tempismo perfetto, ma cum grano salis