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SUL FILO DELLA MEMORIA
Campione contro
Damon Hill oggi.
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DAMON HILL, FIGLIO DI GRAHAM, DIVENTÒ PRIMA GUIDA DELLA WILLIAMS DOPO LA MORTE DI AYRTON SENNA E CONQUISTÒ IL TITOLO NEL 1996, GIUSTO 25 ANNI FA. MA FRANK WILLIAMS NON CREDEVA IN LUI…
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di Danilo Castellarin
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Mai aspettarsi la riconoscenza nella vita. Capita ai comuni mortali ma anche ai campioni di Formula 1, come Damon Hill. Lo cacciarono dalla Williams nella stessa stagione in cui divenne campione del mondo. È stato uno dei pochi piloti, forse l’unico, a vincere il titolo ed essere congedato dal suo team ancor prima che la stagione vittoriosa finisse. Niki Lauda fece la stessa cosa nel 1977. Ma fu lui ad andarsene sbattendo la porta di Maranello. Per Damon tutto iniziò nel 1994, dopo il Gran Premio di Imola, dove la scia luminosa di Ayrton Senna si infranse alla curva del Tamburello. Il secondo pilota era Damon Hill. Ma né Frank Williams né Patrick Head erano del tutto convinti che il figlio di Graham, (campione del mondo nel 1962 su Brm e nel 1968 su Lotus) avrebbe potuto prendere il suo posto, tanto meno al volante di uno dei team all’epoca più vincenti. Nato nel 1960, aveva iniziato a correre in moto a 23 anni, ottenendo su Yamaha 40 vittorie. Alla Williams era stato assunto, nemmeno più tanto giovane, come test driver. Nel 1993 si ritrova a fianco di Alain Prost, il mitico ‘Professore’, quattro titoli mondiali. Poi arriva il magico Senna. Insomma una vita in ombra. “Ero consapevole di essere un numero due perché il mio team manager lo ripeteva in continuazione. Dopo Imola le cose cambiarono. E la squadra, come per miracolo, si strinse intorno a me”. Al Gran Premio successivo, in Spagna, vince lui, Damon. “Fu un risultato molto importante”, ricorda, “perché la Formula 1 ti valuta in ogni volta, ti mette alla prova in modo snervante, esercitando su di te una pressione continua. Inoltre non esiste la fiducia continuativa. Uno non può mai dire ‘Bene quello che ho fatto merita rispetto’. No, non è così. Basta poco per essere spazzati via”. La vittoria in Spagna fa riconquistare fiducia al team. Intanto la Benetton viene coinvolta in pesanti contestazioni regolamentari e Schumi non fa punti per quattro gare. Hill invece ne accumula parecchi, vincendo alla grande. Alla penultima gara, in Giappone, alla Williams decidono di sostituire Coulthard con Mansell che, dopo aver conquistato il titolo nel 1993, era andato a correre negli States. “Presi male quel cambiamento perché mi confermava che io non gli bastavo, che dopo Prost e Senna loro cercavano una stella al di fuori di me per raccogliere l’eredità di Ayrton”. A Suzuka vince Hill, sotto una pioggia torrenziale. Con quella vittoria Damon è a un punto da Schumacher prima dell’ultima gara a Adelaide, in Australia. La tensione sale alle stelle e l’inglese riesce a mettere sotto pressione il tedesco, che esce di pista. “Ma non fu molto sportivo perché rientrò in pista solo per agganciarmi e buttarmi fuori. Finimmo entrambi ko. Ma lui aveva un punto di vantaggio e vinse il titolo”, ricorda Damon. Nel 1996 Michael approda alla Ferrari. Ma è Hill a vincere di più. Peccato che a metà stagione, con il titolo in arrivo, la Williams decida di scaricarlo. La notizia trapelò rapidamente. E venne pubblicata sui giornali proprio quando Hill si stava battendo per il titolo mondiale. “Venne sparata sulla copertina da ‘Autosport’ a fine luglio, prima del Gran premio di Germania, con l’anticipazione dell’arrivo di Frentzen in Williams nel 1997, al mio posto. Immaginatevi come si può sentire uno in una simile condizione”. L’indiscrezione venne confermata? “Sì. Prima del Gran premio del Belgio mi chiamò Frank Williams e mi disse ‘Damon non correrai sulle mie auto l’anno prossimo, scusa, ma io devo fare le scelte migliori per il mio team. Non è una scelta maturata dopo questa stagione, ma per un 1995 molto alterno e noi abbiamo bisogno di continuità’. Ci rimasi male perché non avrei mai immaginato che un pilota che sta per vincere il titolo potesse essere cacciato. La cosa non mi impedì di vincere il titolo per loro, ma senza sorrisi. Anche se oggi, voltandomi indietro, resto affezionato a Frank e Patrick e penso di aver avuto l’opportunità di correre per uno dei più grandi team di F1 della storia inglese”. Sentiva aleggiare il dubbio? “Sì. E quando un pilota lo avverte, inizia a dubitare di sé stesso. Io sono sempre stato un tipo introverso, riflessivo. Non avevo per natura la personalità di Schumacher. Ne avevo un’altra, per fortuna. Il che non mi impediva di essere un pilota vincente”. Veloce, onesto, leale, buono. Valgono ancora queste caratteristiche personali in un mondo agonistico sempre più rarefatto? Forse no. Ai piloti oggi viene chiesto di più. O meglio, viene chiesto dell’altro. Capacità di relazioni mediatiche, concentrazione totale, continuità prestazionale. Forse non tutte queste chanches erano proprie di Damon Hill, ma certamente la sua figura ha ben rappresentato quella dell’ultimo campione del mondo (1996) legato ad uno stile più cavalleresco. Un giorno a Patrick Head sfuggì una frase illuminante: “Damon è così onesto che arriva a dubitare di sé stesso quanto gli altri non dubitino in realtà di lui…”.
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Nella pagina a fianco, Damon e i Campioni: da sinistra Bruce McLaren, Stirling Moss, Tony Brooks, papà Graham, Joakim Bonnier e Wolfgang Von Trips. Qui a sinistra, Papà Graham coltiva nel figlio Damon la passione delle corse. A destra, Damon Hill segue alla TV la corsa del figlio a Goodwood insieme a Castellarin.
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