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femminile di Pino Lazzaro

Mi ritorni in mente…

VISIONI MONDIALI /6: Elena Linari (Atletico Madrid)

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Sesta e ultima puntata di questa nostra rubrica che è sempre partita sì con uno sguardo all’indietro, a quelle giornate francesi del Mondiale d’inizio della scorsa estate, al ricordo/ricordi maggiormente impressi nel cuore e nella mente delle ospiti di turno, ma che ha cercato poi di concentrarsi sul presente/futuro, a quelle che – per forza di cose e per fortuna – non possono essere che nuove responsabilità (e con ancora maggiori consapevolezze). Rubrica dunque che chiudiamo con Elena Linari, giocatrice dell’Atletico Madrid, in una Liga che ha già decretato lo stop al campionato, assegnando lo scudetto al Barcellona, avanti di 9 punti proprio sull’Atletico, al momento della fermata per coronavirus. Lo stesso Barcellona che sarà/dovrebbe essere il loro prossimo avversario in Champions League (quarti di finale), sempre aspettando quelle che saranno le decisioni dell’Uefa. L’abbiamo sentita ancora in isolamento, Elena, in quel di Madrid. In cassa integrazione – qualcosa dunque in ogni caso arriva – e impegnata a tenersi comunque attiva, seguendo le indicazioni della società e pure del proprio preparatore atletico e sfruttando nel condominio dove vive, un piccolo cortile che le permette comunque di non perdere troppa confidenza col pallone. Con dei vicini di casa poi che in pratica l’hanno adottata e che la fanno così sentire, pur lontana dalla sua Firenze, comunque in famiglia. Concentrata nel voler ancor più migliorare il proprio spagnolo e nel continuare a studiare, per non perdere di vista un altro suo obiettivo: la laurea in Scienze Motorie. Come dire insomma, sue parole, che pur in isolamento sono comunque “giornate pienissime”.

Elena, quale la prima immagine/ricordo/sensazione ti viene subito alla mente ripensando a quel periodo del Mondiale di Francia? “Quando ripenso al Mondiale, a quell’atmosfera, quel che rivedo subito sono i tunnel degli stadi, quelli che portavano al campo. Mi vedo allora per esempio con a fianco le calciatrici dell’Australia, le gambe che mi tremavano, i brividi addosso dappertutto, brividi che ho anche adesso che son qui che ne parlo. Loro, forti e pure… grosse e lì a dirmi ma come poi

farò con queste qui. E poi fuori, tutta quella gente che era lì per noi, come realizzare un sogno, tutte quelle persone per vedere una nostra partita, di calcio femminile! Ricordo che ho pensato così, di colpo, a mia nonna, alla mia ragazza, di sicuro lì sui divani a guardare, come sempre ho fatto pure io quando guardo in tv una partita. Ricordo benissimo il verde di quel campo e il giallo del sole, dal tunnel si vedevano proprio i raggi, questo ho dentro”.

Ancora riandando indietro, difficile poi calarsi sulle solite cose di tutti i giorni? “D’accordo, tornare intanto a casa è stato pure un po’ un peccato, pensa ce l’avessimo fatta ad andare ancora avanti; però nessun rammarico, nessun rimpianto. Siamo comunque riuscite a fare un po’ sognare l’Italia e in ogni caso per me è stato bello tornare a casa, già prima del Mondiale c’ero stata poco, il

tempo l’avevo così passato a Madrid e ricordo che la prospettiva di tornare al mio quartiere, Castello, a Firenze, per un paio di settimane di relax mi attirava, la trovavo proprio una bella cosa. Con in più che lì dove vivo, sono sì conosciuta, ma è un posto tranquillo, non ci fanno troppo caso e anche questo aiuta a ri- manere con i piedi per terra”.

Quando hai ricominciato con l’Atleti- co, che accoglienza hai avuto? T’han- no guardato magari con altri occhi? “Beh, devo dirti che quando me ne sono andata da Madrid, era maggio, tutto sommato ero quasi una semisconosciu- ta: in campionato avevo giocato poco e credo che nessuna delle mie compagne avrebbe scommesso un euro su di me. E invece sono rientrata da “titolare”, giocandole poi tutte le partite del Mon- diale e pure bene, dai. Tra l’altro, molte delle mie compagne dell’Atletico non hanno fatto altro che stare quasi sem- pre in panchina e ho senz’altro avvertito un cambiamento. Un misto, come dire, un po’ anche di gelosia ma ben consapevoli di quanto noi italiane era- vamo riuscite a fare e di quanto avevo fatto io. Quest’anno? Ho giocato un po’ di più, non tanto, ma di più sì”.

Questo “scrollone” del Mondiale ti ha in qualche modo cambiata? Ti senti magari ancor più responsabilizzata? “Ti dico intanto che quando ho deci- so di trasferirmi in Spagna, l’ho fatto perché volevo crescere e migliorarmi, anche a Firenze tutto sommato quan- do me ne sono andata, ero una semi- sconosciuta. Come detto in Spagna ho giocato poco, tanta panchina e a volte pure in tribuna e dunque questo scrollone, come dici tu, m’è servito non solo calcisticamente ma anche per me, come persona. Le ho giocate tutte, le ho fatte bene: mi sono diver- tita e ho capito che qualcosa valgo. So quanto ci ho messo di mio e sono contenta d’aver dimostrato qualcosa. Uno scrollone che mi ha fatto così cre- dere ancor più in me stessa, che mi ha fatto capire che non sono una scarsa e posso così concentrarmi per ancora migliorare dove ho difetti, con in più la soddisfazione di far ricredere chi non ci credeva. Dentro di me sento insom- ma tanta forza e dunque tra le tante personalità che si muovono in questo mondo ci sono anch’io, anch’io con la mia esperienza posso essere/diven- tare un punto di riferimento. Capita adesso che in tanti mi chiedano l’au- tografo, ricordo lì al mare, in spiaggia, che si fermavano all’ombrellone, mi facevano i complimenti ed erano con- tenti. Ricordo lo stesso proprietario del bagno, lui poi a dirmi che mi aveva subito riconosciuto ma aveva preferito non dirmi nulla, di lasciarmi tranquil- la. Però ero lì, comunque in mezzo alla gente, da normale, in un bagno nor- male, niente isolamenti vari in posti esclusivi: è così che voglio e spero di rimanere, normale”.

Pensi anche tu che qui da noi, per il calcio giocato dalle donne, “non sarà più come prima”? Uno stop questo

Elena Linari è nata a Fiesole (FI) nell’aprile del 1994. Così, nel suo sito personale (www.elenalinari.it) si racconta: “Nel 1999 inizio a dare i primi calci ad un pallone nell'Atletica Castello. Passo nel 2004 alla S.C. Desolati, con cui svolgo anche il mio primo ritiro estivo. L'estate del 2007 è quello del mio trasferimento all'ACF Firenze, dove in pochi anni passo dalla categoria Esordienti, alle Giovanissime e poi già a 14 anni in Prima Squadra! Disputo con questa maglia 2 stagioni in A2 e nel maggio 2010 veniamo promosse in Serie A. Gioco in Serie A con la maglia dell'ACF Firenze per 3 stagioni, dando una mano anche alla Primavera a vincere il campionato nel giugno del 2013. Nel 2013/14 la mia prima esperienza fuori da Firenze: passo al Brescia Femminile, squadra con la quale mi toglierò parecchie soddisfazioni, vincendo 2 scudetti, 2 Coppe Italia e 2 Supercoppe Italiane! Nell'estate del 2016 torno a casa... firmo con la Fiorentina Women's... con tanta voglia di continuare a vincere! E così fu: in due stagioni uno scudetto e 2 Coppe Italia. Nella mia città tutto questo ha ovviamente un altro sapore! Chiudo la stagione 2017/18 con 30 presenze ufficiali e 9 gol segnati. Il 20 giugno 2018 l'Atletico Madrid ufficializza il mio acquisto ed inizia un nuovo sogno... Finalmente sono una calciatrice professionista, per di più in uno dei club più importanti e conosciuti d'Europa. Che annata fantastica... prima stagione e siamo subito campionesse di Spagna! Un altro mio grande orgoglio è la Nazionale Italiana: inizio la trafila nelle nazionali minori nel 2009 con l'Under 17, per arrivare nel 2013 in Nazionale maggiore. È stato un onore giocare l'Europeo nel 2017 nei Paesi Bassi, ma soprattutto giocare i Mondiali del 2019 in Francia. Che soddisfazione!” Detto che sono attualmente 62 le sue presenze (a fine maggio 2020), ecco come chiude Elena il racconto del suo fin qui percorso: “Non smettete mai di credere nei vostri sogni, perché la passione e il coraggio li realizzano”.

della pandemia che rallenterà la spinta o, peggio, vi farà magari tornare indietro? “Non lo so, davvero. Certo che il Mondiale è stato un unico, milioni di persone davanti alla televisione per vedere un calcio di cui quasi non si sapeva nulla, quasi non sapevano. Un movimento, il nostro, che ha dimostrato che può fare audience, attirare l’attenzione, fare avvicinare tanta e tanta gente, trasmettendo pure dei valori positivi. Ora abbiamo a che fare con questa pandemia che porterà tanta povertà e tristezza, con realtà dure. Bisognerà resistere e per come lo vedo io, questo nostro calcio è l’emblema della resistenza, del saper resistere. Sì, noi che siamo state ancor più che dilettanti e che in moltissimi casi ancora lo siamo. Con tantissime ragazze che per seguire la loro passione non hanno fatto altro che fare sacrifici, ancora e ancora, i nostri e prima quelli delle generazioni passate. Forse dopo il Mondiale eravamo arrivate per dire a 10, ora ci ritroveremo a ripartire da 5, però l’umanità del nostro calcio rimane, come pure la voglia delle donne di giocare a calcio e spero che anche le generazioni future continuino così, che non vengano giusto buttati via tutti gli sforzi e i sacrifici. E poi le donne il calcio non lo fanno solo per i soldi, chi viene a vederci la capisce sta cosa, c’è passione e c’è rispetto. Un calcio insomma, il nostro, che proprio per la sua umanità, poi potrà ancor più servire. Io ci credo”.

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