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politicalcio di Fabio Appetiti
Nico Stumpo, deputato alla camera di Articolo 1
Scelte giuste per far ripartire il calcio in sicurezza
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Ho conosciuto l’on Nico Stumpo lungo la fascia destra del Granillo di Reggio Calabria, tra dribbling improbabili, ma con la consapevolezza per entrambe del perché eravamo lì: “Contro la ‘ndrangheta e in nome della Legalità” e per lui, deputato calabrese di Cotronei, quella partita aveva ancora più valore. Ci siamo ritrovati poi spesso a parlare durante questa lunga quarantena di tutela della salute e amore per il calcio e mi sembrava la persona più giusta per raccontare questa ripartenza ormai prossima del campionato di Serie A. Merito anche di una politica che è “scesa in campo” a fianco del nostro mondo comprendendone il valore economico e sociale e del presidente della FIGC Gabriele Gravina che, coerentemente, ha perseguito l'obiettivo della ripartenza in sicurezza schivando molte cassandre. In bocca al lupo a tutti i calciatori che torneranno presto in campo e buona estate di calcio davanti la tv a tutti i tifosi.
Nico Stumpo, deputato alla camera di Articolo 1. Siamo in piena fase 2, che Italia vede in questa graduale uscita dall’emergenza sanitaria? “Io quello che vedo e registro sono due sentimenti: quello dell’uscita dalla paura che purtroppo che ci accompagnerà per molto tempo e la voglia di riprendere e di vivere che fa parte del dna del nostro Paese che ha saputo sempre riemergere anche nei momenti peggiori e più difficili della nostra storia. In questo binomio dobbiamo ovviamente far prevalere il secondo sentimento, facendolo però con prudenza e responsabilità per arrivare ad una ripartenza completa di tutte le attività della nostra sfera sociale ed economica. Il 3 giugno è stato il giorno della riapertura dei collegamenti anche tra le regioni e quindi stiamo completando questa fase graduale di fuoriuscita dall’emergenza, ma non dobbiamo però mai dimenticare cosa è alle nostre spalle e non possiamo far finta che nulla sia successo. Possiamo tornare a far tutto, ma con responsabilità e rispetto del prossimo in tutte le nostre attività da quelle secondarie che fanno parte della nostra vita come l’aperitivo o lo sport, fino a quelle che sono le principali attività economiche, industriali e commerciali del paese necessarie alla ripartenza definitiva del nostro sistema produttivo”.
è ritrovato a gestire una emergenza impensabile solo qualche mese, ma lo ha fatto con grande competenza. Quale è il suo giudizio? “È passato quasi un anno e ricordo benissimo quei giorni di agosto in cui eravamo in riunioni continue con lui a seguito della caduta del governo giallo-verde. Quando fu nominato Ministro della Salute fu un momento di grande emozione e orgoglio per tutti noi, essendo Speranza il Segretario del nostro partito, Articolo 1. Certo nessuno pensava che si trovasse a gestire da lì a pochi mesi una emergenza di una pandemia che ha stravolto la vita di tutti noi. E da quando è cominciata l’emergenza Roberto ha smesso i panni del politico per dedicarsi totalmente, anima e corpo, a questa emergenza. Ricordo che la prima riunione politica non legata alle sue responsabilità istituzionali, dopo quasi tre mesi, l’abbiamo fatta sabato 23 maggio. Non tocca a me dirlo, visto il rapporto umano e politico che mi lega a lui, ma mi sembra riconosciuto da tutti abbia gestito l’emergenza con grande autorevolezza contornandosi, come fanno i politici più bravi, di personalità molto competenti e indipendenti, da Ricciardi a Rezza a Ippolito direttore dello Spallanzani. Inoltre, secondo me, ha avuto soprattutto il grande merito di tenere unito il Paese rispetto anche ad alcune spinte alla frammentazione che venivano da alcune regioni talvolta con fughe in avanti del tutto inappriopriate. Non ci sono venti Italie della sanità, come qualcuno ad un certo punto voleva far credere, ma una sola Italia e credo che finita l’emergenza dovremo avviare una riflessione anche su questo aspetto, visto che non si possono avere indirizzi diversi tra il Veneto e la Calabria o sanità di serie A e serie B. Roberto ha saputo tenere unite le istituzioni politiche, gli enti locali, le autorità medico e scientifiche, i cittadini. Non era facile, né scontato”.
Nel decreto rilancio previsti 55 miliardi di aiuti: tra questi importanti provvedimenti per il mondo dello sport. L’emergenza Covid19 ha fatto scoprire quante persone lavorano in questo settore e quasi 150 mila persone hanno richiesto il bonus sport. “Io ho sempre pensato che il mondo dello sport non fosse la gallina delle uova d’oro per gli alti stipendi di pochi, ma fosse uno dei più importanti settori produttivi del paese con una fetta di Pil di tutto rispetto, capace di svolgere un ruolo sociale ed educativo di grande rilevanza su tutto il territorio del nostro paese da nord a sud, dal piccolo centro alla grande città. Spesso si confonde lo sport con i 4/5
club famosi di calcio e i loro campioni e ci si dimentica che nel calcio, come nelle altre discipline sportive, ci sono migliaia di lavoratori con stipendi normali che fanno lavori normali: dall’istruttore di piscina al magazziniere, dal preparatore atletico, al segretario della piccola associazione tanto per citarne qualcuno. Forse il Covid19 ci ha fatto capire che non bisogna approcciarsi con troppe certezze e stereotipi alle cose ma interrogarsi con la capacità di guardare in profondità la realtà. Nel mondo dello sport ci sono tantissime tipologie di lavori, spesso precari e scarsamente retribuiti, a cui il bonus ha dato una prima risposta efficace. Spero però che, superata questa fase emergenziale, si diano risposte strutturali al settore e la discussione che ci avviamo a fare sul collegato sport può essere una grande occasione. Proprio qualche giorno fa in Parlamento il Ministro si è impegnato a riprendere in mano il lavoro. Auspico che questa discussione sia fatta coinvolgendo tutto il Parlamento senza forzature, con un lavoro di condivisione. Bisogna ascoltare tutte le realtà sportive e gli operatori che vi operano con una regolamentazione complessiva di questo
mondo da quello di base e dilettantistico a quello professionistico. Senza dimenticare mai le aspettative che hanno i cittadini verso questo aspetto della vita sociale che ognuno può e deve praticare come meglio crede. Io sono convinto che tutti nella vita dovrebbero fare una esperienza in uno sport di squadra perché lo sport collettivo insegna ed educa moltissimo. Lo sport per me è anche cultura”.
A proposito di lavoratori, la cassa integrazione per i calciatori della Lega Pro. La politica ha capito che il calcio non è fatto solo di superstar… “Come ho detto prima so benissimo che il calcio non è solo il luogo dei milionari, come viene spesso superficialmente rappresentato, anche se in Serie A sappiamo che le retribuzioni sono mediamente alte. Ma se parliamo di Serie B e Serie C, semiprofessionisti, l’impostazione cambia totalmente. Io ho sempre seguito questo calcio minore, lo seguivo nella mia regione e so quali difficoltà attraversano i club e i professionisti di queste serie. Quindi, come è stato fatto per altri settori della società italiana in difficoltà, siamo intervenuti anche nel mondo del calcio dove stare fermi tre mesi significa per molti ragazzi fare fatica ad andare avanti. Con la speranza che questo provvedimento arrivi il prima possibile nelle tasche degli sportivi e si aggiunga anche ad altri interventi solidaristici messi in piedi dalla Federazione e dalle Leghe”.
Parliamo di ripresa del campionato. Lei è intervenuto per il suo partito alla Camera durante il dibattito sul campionato di calcio con il Ministro Spadafora. Qual è la sua posizione in merito? Soddisfatto della ripartenza? “La mia opinione, a distanza di un po’ di tempo da quando il Ministro è venuto in Parlamento, resta sempre la stessa. Io in quei giorni dissi che dovevamo guardare alla ripresa giorno per giorno e far sì che ci fosse un accordo tra le società, la Federazione e il Comitato Tecnico Scentifico. Registro che questo accordo c'è stato: dapprima con gli allenamenti individuali, poi in gruppo e ora con la decisione di ripartire seguendo ovviamente dei precisi protocolli. Perché la salute viene prima di tutto. Forse c’è stata qualche polemica di troppo ma, alla fine, è arrivata la scelta della ripresa che tutti aspettavamo ed è arrivata contestualmente ad una curva dei contagi che finalmente è in fase discendente e speriamo che continui così. Ora la speranza è mantenere questa fase di negatività per tutti coloro che lavorano nel calcio e speriamo che tutto si completi nel migliore dei modi con la conclusione dei campionati e le partite finali in Champions League ed Europa League. Speriamo che la curva dei contagi aiuti anche le altre serie a ripartire anche se, va detto, mai come in questo caso risultino evidenti le differenze tra le varie categorie della Serie A, della B e della Lega Pro e del Calcio femminile. La Serie B sembra aver risposto positivamente, mentre invece in Lega Pro e Calcio femminile permangono difficoltà. L'importante si faccia tutto nel rispetto della salute perché questo virus, nonostante ciò che si racconta, non è una passeggiata e può creare disturbi anche a fisici allenati e atletici come quello dei calciatori. Poi ovviamente ci sono regioni in cui tale problema è percepito maggiormente che in altre zone: se pensiamo che metà squadre è nelle tre regioni più colpite e che la Lombardia ne ha 4 nelle province dove più alto è stato il numero dei deceduti come Brescia Bergamo, Milano capiamo ci sia anche qualche riserva. Chi è a Roma o Napoli non ha la stessa percezione. Ma speriamo che tutto vada bene e sia una estate piena di gol per gli italiani. Con prudenza e gradualità chiuderemo questa stagione calcistica e faremo contenti tanti appassionati di calcio, me compreso, in crisi di astinenza”.
Che effetto le ha fatto per esempio rivedere la Bundesliga a porte chiuse? Il calcio a porte chiuse perde un po' il suo fascino… “Sì, ho visto il Borussia Dortmund nella partita iniziale e continuo a registrare partite della Bundesliga. A dire il vero la prima impressione che ho avuto è che la "mia" Juventus abbia perso una buona occasione non acquistando Haaland che mi sembra un ragazzo davvero interessante! Scherzi a parte, io sono un patito del calcio in tv e nonostante con mio figlio abbia visto tutte le partite registrate in questi mesi di quarantena, avevamo voglia di calcio vero e la Bundesliga ha in parte sopperito a questa mancanza. Mio figlio poi essendo un appassionato giocatore di playstation conosce tutti i giocatori. Confesso, per me grande tifoso della Juventus, questi tre mesi senza calcio è stata un po’ dura. Credo che dovremo per un po’ di tempo abituarci a vedere queste partite a porte chiuse anche se c’è anche qualche effetto positivo nel silenzio di que
ste gare senza tifosi: talvolta si sente chiamare lo scambio e l’uno dei due dei giocatori o si sente l’effetto della palla calciata e sembra davvero di essere dentro la partita. Non può essere il calcio del futuro e spero presto di rivedere le persone allo stadio, ma pur di vedere una partita per ora va benissimo così e il calcio giocato mantiene il suo fascino”.
Lei viene da una regione di grandi tradizioni calcistiche. Crotone e probabilmente Reggina in B, Cosenza e Catanzaro in Lega Pro. Quale è lo stato del calcio nella sua regione “Io sono nativo di un comune, Cotronei, che ha cambiato provincia da Catanzaro a provincia di Crotone e per me l’affetto va verso queste due squadre, Catanzaro e Crotone: una rappresenta il passato glorioso, l’altra il presente orgoglioso della Calabria. Il Catanzaro è i miei ricordi di bambino dove andavo con papà allo stadio ed ero abbonato. Era un grande Catanzaro quello dei primi anni ‘80 composto da grandi calciatori come Massimo Mauro, Ramon Turone, Celestini, Maldera, Santarini, Sabato. Ricordo un grande centravanti come Edy Bivi, Nastase e io li ricordo tutti: era una squadra straordinaria arrivata in semifinale in Coppa Italia con l’Inter in una epica sfida vinta 3-2. Sono i miei ricordi di tutta l’infanzia... prima ancora c’era Palanca. Negli anni successivi a questo ciclo importante purtroppo si è disperso tutto tra crisi economiche e finanziarie mentre piano piano è venuto in auge il Crotone, grazie ad una dirigenza forte partita dalla prima categoria, che l’ha portata fino alla Serie B e fino a quell’esperienza bellissima della Serie A. Anche qui sono passati calciatori che ora solcano palcoscenici più importanti come Florenzi e Bernardeschi. L’anno che abbiamo vinto il campionato in Serie B ho visto quasi tutte le partite, mentre ora è un po’ più difficile seguirlo. Devo essere onesto, mi sono più appassionato alla promozione dalla B alla A, che la Serie A stessa. Per me la promozione dalla B è stato il compimento del "grande sogno", mentre la retrocessione ingiusta del secondo anno fu una grande amarezza visto che il Chievo successivamente fu fortemente penalizzato, ma non retrocesso. Ovviamente tutto quello che è calcio calabrese lo seguo con affetto e sicuramente è positivo che anche la Reggina, che ha scritto pagine importanti del calcio italiano, torni nel calcio che conta”.
Il 23 maggio è stato l'anniversario dell'uccisione di Giovanni Falcone. Ci viene in mente una partita giocata con lei a Reggio Calabria per la legalità. Cosa significa questa parola e cosa può fare lo sport e il calcio per educare tanti ragazzi? “Mi hai ricordato una bellissima giornata giocata al Granillo con la Nazionale parlamentare dove giocammo contro una selezione di vecchie glorie della Reggina che, ovviamente, ci seppellirono di gol. Mi ricordo la partita fu organizzata da Rosanna Scopelliti, l’ex parlamentare figlia del giudice Scopelliti ucciso dalla ‘ndrangheta: fu un bellissimo pomeriggio anche se lo stadio era in uno stato un po’ di semi abbandono e la cosa mi aveva molto colpito essendo il Granillo uno stadio storico. Ma fu molto bello far rotolare oltre che la palla, la parola "legalità" che, nella mia regione, ha un valore estremamente importante. Lo sport può fare molto per la legalità grazie ai valori che insegna e io credo ci sia una stretta connessione tra le due cose e penso sia importante anche coinvolgere quei ragazzi più fortunati o semplicemente più bravi che hanno avuto successo nello sport e che possono diventare modelli positivi per tanti giovani. Il calcio è anche sacrificio, allenamenti e spesso è sacrificio per gli altri e mi viene in mente la famosa canzone "una vita da mediano" di Ligabue dove c'è davvero l'essenza di questo sport e del suo messaggio più nobile: "correre e sudare per gli altri". Se tutti imparassimo a correre e sudare per gli altri avremmo un paese migliore”.
Il libro di Luciano Castellini
Il segreto del Giaguaro
“All’inizio non sapevo, quasi quasi mi vergognavo, addirittura un libro… Poi ho detto sì, giusto perché a insistere era il figlio di un mio amico, lì sul lago di Como, io vengo da lì. Un paio di incontri a Torino, io raccontavo, un po’ di domande, poi ho visto la bozza, è andata”.
Ah, i tifosi del Toro… “Per me è proprio vero che i tifosi del Toro sono diversi, poco da fare. Si portano addosso comunque della sofferen
za. A partire da Superga, Meroni, lui che era di Como e ci conoscevamo e poi la morte del Capitano, di Ferrini. Ricordo una città felicissima quando vincemmo lo scudetto e quanto poi fossi arrabbiato quando me ne andai via. Poi il tempo passa, si capiscono più le cose… è pur vero che sono sempre stato un istintivo e so bene quanto ho dato, anche fisicamente: ho giocato pure con le dita rotte o con venti punti su una gamba. Mi colpisce sempre quando incontro i tifosi del Toro, avverto che per loro sembra giusto ieri, altro che 45 anni. Quasi non abbiano capito quanto sia cambiato il calcio, quanto possa essere in sé anche un dramma essere così legati al passato. Devo aggiungere però che un po’ capita pure a noi, dai, noi che ci troviamo ancora con mogli e nipoti, dopo tutti questi anni, era proprio un gruppo speciale il nostro. Ora mi capita di far vedere su YouTube qualche nostra partita ai miei nipotini, peccato che uno sia tifoso… della Juve, pensa te”.
Un ruolo, quello del portiere, un po’ in crisi ora da noi? “Per me no, sta crisi non c’è. Il fatto è che ai nostri tempi c’era solo la Rai, poi sono arrivate via via sempre più televisioni, se prima un errore lo si vedeva giusto una volta, ora te lo mostrano per una settimana intera. Per me insomma le cose non sono cambiate più di tanto; sì, ora si insiste tanto sull’iniziare l’azione da dietro, ma io resto sempre dell’idea che intanto la prima cosa che deve fare il portiere è parare. E guarda che noi del mio tempo, i cosiddetti piedi li avevamo, siamo cresciuti negli oratori, ci sapevamo fare, solo che non ce lo facevano fare, tutto qua”.
E adesso? Ancora in campo? “Sì, sono ancora qui che giro per l’Italia, andando per i Centri di Formazione collegati col settore giovanile dell’Inter, da Udine alla Sicilia. Ho modo così di vedere come vanno i ragazzini, come crescono, quanto imparano”.
Da via Lima, dove abitavamo quasi all’angolo con corso Sebastopoli, fino allo stadio Comunale, c’era poco più di un chilometro. Il Filadelfia, invece, era mille metri più giù e spesso la facevamo a piedi. La vita mia, di Luciano e Paolo ruotava attorno a quelle tre vie: la casa di via Lima, il campo di allenamento in via Filadelfia e lo stadio in corso Agnelli. Io e Luciano ci conoscevamo già ai tempi del Monza: Ciano ha due anni più di me e faceva il dodicesimo in prima squadra quando io giocavo ancora nel settore giovanile. Ci frequentavamo già in Brianza, ho sempre visto in lui un bravo ragazzo. Poi io andai al Napoli e arrivai al Toro in tempo per accoglierlo quando Pianelli fece il colpaccio di acquistarlo. Qualche anno dopo arrivò anche Gigi Radice e il gruppo di monzesi a Torino era completato, in tempo per vincere lo scudetto. Nel mio primo anno granata vivevo in quell’appartamento di via Lima con Emo Giannotti; l’attaccante toscano, però, quando arrivò Castellini fece la stessa strada in senso opposto, e finì al Monza. In casa, quindi, rimasi solo e l’andare a vivere assieme a Ciano fu la decisione più logica. Poi si aggiunse anche Pulici che voleva venire a vivere con noi a tutti i costi. Quello di via Lima, però, era un appartamento per due persone e quindi Pupi lo sistemammo su un letto a mezzaluna che doveva essere particolarmente scomodo. La prima
L’incipit
… Lui è Ciano, il mio portiere
notte Paolo dormì tutto rannicchiato, ma al mattino ci disse: “Ho dormito da favola”, e il trio era al completo. Ricordo che la sera spesso dicevo a Ciano: “Usciamo?”. La sua risposta, però, era sempre la stessa: “E se ci vedono in giro alle 22.30 che figura facciamo?”. Non voleva uscire, Ciano, preferiva stare a casa perché aveva grande rispetto per i tifosi e per la professione. Luciano pativa la tensione e quando le cose non andavano benissimo il compito di tranquillizzarlo spettava a me. Perché Ciano era un perfezionista e quelle poche volte che commetteva un errore tornava a casa e diceva: “Adesso faccio i bagagli e me ne torno a Menaggio: vado a giocare nel Mendrisio e stavolta faccio l’attaccante, mica il portiere. Ci sono troppe pressioni a fare il portiere". Io gli parlavo, lo calmavo e alla fine lo convincevo ad andare avanti più forte di prima.
Quel pezzo di traversa… “Qualche anno fa sono passato in quello che restava del Filadelfia. C’era la traversa della porta su cui mi allenavo. La traversa di legno alla quale mi appendevo dopo ogni balzo, ogni guizzo, ogni deviazione durante gli infiniti allenamenti. Era per terra, fra l’erba alta, le pietre e i fossi. Ora io in casa mia ho un pezzo di legno. È un pezzo della porta del Filadelfia. Quello è il mio più grande cimelio Quando qualcuno viene a trovarmi e fra coppe, medaglie e trofei vede quel pezzo di legno e mi chiede ‘Cos’è quell’affare lì?’, io rispondo che quello è il pezzo pregiato. È il mio orgoglio, quel pezzo di traversa del Fila. Una reliquia. È la cosa più importante che ho”.
Sfogliando … (pag. 21) Mi pagarono 218 milioni di lire, più il cartellino di quattro giocatori. Io avevo saputo della trattativa con la Lazio, ma Roma era tanto lontana, ecco perché quando mi dissero del Toro fui subito contento. Ma in quel momento io non sapevo dell’importanza del Toro, non sapevo cosa rappresentasse; quello lo avrei imparato successivamente. Io in verità non sapevo nemmeno quale fosse la mia valutazione; e comunque di quella cifra enorme non ho preso manco una lira. … (pag. 25) Gli osservatori granata, i cosiddetti Professori “Bida” Ussello, Bearzot, Cozzolino, Zambruni, mi avevano già visto nel Monza, dove si parlava di me già come di un portiere tutto genio e sregolatezza. Ma vennero e videro; e loro all’epoca raramente sbagliavano un acquisto. Probabilmente, oltre alle doti acrobatiche, al senso della posizione, alla guasconeria e alla spericolatezza nelle uscite, loro avevano intravisto quelle doti morali che sono necessarie a diventare un giocatore del Toro. Tant’è vero che fui accettato subito nel gruppo, ma in ogni caso ero uno che sapeva farsi rispettare. … (pag. 66) Ero bravo a bluffare. Sembravo tranquillo, anche se in realtà ero un vulcano.
Flavio Pieranni
Fabrizio Turco IO SONO IL GIAGUARO Prefazione di Claudio Sala Bradipolibri
Milanese, del dicembre 1945, Luciano Castellini ha giocato cinque campionati nel Monza (uno in C e quattro in B) e l’esordio in Serie A, con la maglia del Toro, l’ha fatto nel settembre del 1970. Otto i campionati in maglia granata, mettendo assieme 267 presenze (201 in campionato, 42 in Coppa Italia e 24 in Europa). Nell’estate del 1978 passa al Napoli, club con cui chiude poi la carriera nel 1985 dopo 258 presenze (202 in campionato, 45 in Coppa Italia e 12 in Europa). Nel suo palmares una Coppa Italia (70/71) e uno scudetto (75/76), entrambi con la maglia del Torino. In Nazionale A ha giusto una presenza, partecipando comunque alla spedizione per il Mondiale 1974 in Germania. Dopo il calcio giocato è stato il preparatore dei portieri, prima col Napoli e poi con l’Inter (e per un lungo periodo pure con l’Under 21). Attualmente osservatore sempre con l’Inter, dopo esserne stato il coordinatore dei portieri a livello di settore giovanile.
• Classe 1963, appassionato di storia dello sport e storico del Torino, Flavio Pieranni ha scritto diversi libri, tutti pubblicati da Bradipolibri. • Classe 1968, giornalista professionista, Fabrizio Turco da oltre vent’anni è corrispondente da Torino per la Repubblica e La Gazzetta dello Sport.
Questo mese parliamo di…
Il TAS ed un caso di “Res Judicata”
I fatti: un calciatore colombiano e il club ecuadoriano SC Barcelona di Guayaquil sottoscrivono un contratto con scadenza al 30 giugno 2014; è presente una clausola che riconosce la giurisdizione della FIFA e del TAS in sede di appello.
Il 26 novembre 2013, dopo che il club ha emesso tre assegni, rivelatisi scoperti, per le mensilità di settembre, ottobre e novembre, il calciatore chiede alla NDRC (Collegio Arbitrale) dell'Ecuador di condannare la società al pagamento dei tre stipendi pendenti. Con un provvedimento definito come “Providencia”, la NDRC esorta il club in data 13.12.13 a saldare gli arretrati entro 15 giorni ma trascorsi cinque giorni, cioè in data 18 dicembre, il calciatore risolve unilateralmente il contratto.
Il 27 dicembre il club, dopo aver pagato uno stipendio, si rivolge alla NDRC sostenendo che il calciatore – che nel frattempo ha firmato un contratto con un nuovo club – ha risolto il rapporto senza giusta causa ma il collegio ecuadoriano chiude il contenzioso affermando semplicemente che il club ha versato solo un 1/3 di quanto spettante al calciatore.
Il 17 marzo 2014 il giocatore presenta ricorso alla DRC della FIFA, richiedendo i due stipendi arretrati ed un risarcimento per la rottura del contratto con giusta causa; la società presenta domanda riconvenzionale sempre per risoluzione del contratto senza giusta causa.
La decisione della DRC
La Dispute Resolution Chamber delibera quanto segue: a) il ricorso è irricevibile in base al principio della res judicata, in quanto la richiesta di pagamento è già stata presentata attraverso la NDRC Ecuador la quale, pur se in maniera poco chiara, si è espressa; b) la DRC non è competente a decidere sulla giusta causa della risoluzione in applicazione del principio di congruenza procedurale; in alternativa, si avrebbe una doppia competenza (Ecuador NDRC e FIFA DRC).
Il TAS
Il 18 aprile 2017 il calciatore propone appello al TAS di Losanna chiedendo che la FIFA si dichiari competente e che al club sia ordinato di pagare gli importi arretrati ed un risarcimento del danno.
A) Con riferimento al tema dell'ammissibilità, il Panel (collegio) del TAS considera quanto segue: - ai sensi dell’art. 22, lettera b), del
Regolamento FIFA (RSTP), la dimensione internazionale del caso è palese in quanto la nazionalità del giocatore è colombiana mentre quella del club ecuadoriana; - la competenza della NDRC Ecuador non può essere affermata in quanto, come specificato dallo stesso TAS in diverse decisioni, le condizioni previste dalla FIFA -. indipendenza e terzietà – nel paese sudamericano non sono rispettate; inoltre, il Panel considera il tema come irrilevante in quanto la DRC, nella sua decisione, ha dichiarato di non aver preso in considerazione il caso a causa della sua inammissibilità (esistendo una precedente decisione) e non incompetenza; - nel contratto esiste una clausola specifica che devolve la competenza alla FIFA, e al TAS in appello; - infine, la decisione della NDRC
Ecuador non ha avuto l'effetto di res iudicata. Per avere questo effetto, la decisione deve essere vincolante e non impugnabile e, d’altra parte, "non necessariamente ogni procedura termina con una decisione con effetto di res iudicata, poiché questo effetto si verifica solo dopo una procedura in contraddittorio, al termine della quale uno ius dicere viene prodotto attraverso una risoluzione riguardante il merito del caso".
Ciò premesso il Panel ha convenuto che il principio del contradditorio non era stato rispettato dalla NDRC Ecuador, come evidenziato da numerosi elementi: la procedura (requerimiento, cioè richiesta), è prevista dai regolamenti della Federazione dell’Ecuador e non è quindi frutto di un accordo raggiunto dalle parti sindacali; dopo essere stata adita dal calciatore per il recupero degli stipendi non corrisposti, la NDRC ha espresso un documento, sottoscritto dal segretario, che si riferiva al parziale pagamento dell’importo senza quindi alcuna richiesta concreta e/o condanna nei confronti del club debitore. In particolare, il TAS evidenzia che “anche nell'ipotesi che fosse vero che la NDRC aveva già deciso, con effetto di res judicata, in merito alla retribuzione arretrata richiesta dal calciatore, ciò, in nessun caso, avrebbe impedito alla FIFA DRC dal decidere la questione relativa alla risoluzione del contratto”. Pertanto, sulla legittimità della risoluzione del contratto per giusta causa, va affermata senza dubbio la competenza della FIFA.
B) Per quanto riguarda la risoluzione del contratto, il Panel ha valutato i seguenti dati di fatto: - il club ha ripetutamente violato il contratto non corrispondendo né gli importi dovuti né quanto dovuto per le spese relative all’alloggio; - il calciatore ha ricevuto ben tre assegni privi di copertura, con ciò minando il reciproco obbligo della buona fede nell’esecuzione del contratto, essenziale in particolare nei rapporti contrattuali di lavoro; - il fatto che il calciatore abbia risolto il contratto prima della scadenza del termine di 15 giorni concesso dalla
NDRC Ecuador è considerato irrilevante, dal momento che il provvedimento chiamato “Providencia” citato nelle premesse non era obbligatorio né vincolante e non ha influito sulle motivazioni che hanno condotto il giocatore a risolvere il contratto.
Inoltre, nel momento in cui il termine è scaduto, il club doveva ancora al giocatore importanti somme di denaro.
La decisione
Il Tribunale Arbitrale dello Sport, riconosciuta la risoluzione del contratto per giusta causa, ha quindi ordinato allo SC Barcelona di pagare la retribuzione arretrata comprensiva degli interessi, con l’aggiunta di un risarcimento pari al valore residuo del contratto, dei costi totali dell'arbitrato a carico del club e delle spese legali sostenute dal calciatore.
C.U. n.1 del 5 luglio 2019
L’incidenza delle decisioni del TAS nell’ordinamento federale
Si segnala un’importantissima decisione presa dal Tribunale Nazionale Federale, Sezione disciplinare, e pubblicata nel Comunicato Ufficiale n.1 del 5 luglio 2019. Per la prima volta, infatti, i giudici prendono in considerazione la questione riguardante l’incidenza, all’interno dell’ordinamento sportivo federale italiano, di una decisione, che può essere definita “esterna”, presa dal Tribunale di Arbitrato per lo Sport di Losanna (di seguito solo TAS). Nel deferimento il Procuratore Federale chiedeva la condanna del presidente, e legale rappresentante della società calcistica, per la violazione dei generali doveri di lealtà, probità e correttezza per non aver correttamente adempiuto a quanto stabilito da un lodo arbitrale reso dal TAS in data 14 settembre 2016 e successivamente reso efficace nel territorio italiano da un decreto della Corte d’Appello di Palermo, entrambi correttamente notificati alla società stessa. In conseguenza di ciò veniva richiesta anche la condanna della società stessa. In particolare il lodo aveva stabilito che la società era ancora debitrice di altra società per non aver correttamente corrisposto l’importo stabilito tra le due da un contratto di trasferimento di un calciatore. I giudici, esaminati gli atti e rigettato le eccezioni preliminari avanzate dalle difese, hanno accolto il deferimento condannando presidente e società rispettivamente a quattro mesi di inibizione ed 1 punto di penalizzazione in classifica. Ciò che però rileva non sono le singole sanzioni ma quanto esposto nella motivazione posta alla base delle stesse. I giudici partono dal presupposto che il TAS è un organismo la cui giurisdizione è riconosciuta dall’ordinamento sportivo italiano e dai soggetti che ne fanno parte (secondo quanto disposto dall’art. 1, co. 5 lett. d) dello Statuto Federale). Il secondo presupposto è che le decisioni, prese da qualsiasi organo giurisdizionale riconosciuto, generano degli obblighi, in capo ai soggetti coinvolti, di adempimento a quanto stabilito in dette decisioni. Da questi punti base i giudici traggono la conclusione che ciò che rileva, al fine di ritenere fondato il deferimento presentato, è che una società facente parte dell’ordinamento federale non ha adempiuto correttamente a quanto stabilito, a seguito di regolare procedimento in contraddittorio, da un provvedimento emesso da un organismo (il TAS) la cui giurisdizione è chiaramente riconosciuta ed altresì non è stata adempiuta la decisione dell’Autorità Ordinaria (la Corte d’Appello di Palermo) che conferiva efficacia a detto provvedimento. In poche parole ciò che rileva è che l’inadempimento ad una decisione, sia questa presa da un organismo extra federale o facente parte della giustizia interna, comporta inevitabilmente l’applicabilità delle sanzioni previste dall’ordinamento sportivo. E ciò, chiariscono infine i giudici, indipendentemente dal fatto che la decisione arbitrale sia dotata o priva della cd. “esecutività” poiché l’eventuale difetto della stessa non fa venir meno l’obbligo nato in capo alla società di adempiere quanto stabilito dal TAS, obbligo che, come detto in precedenza, risulta essere il vero elemento rilevante per l’ordinamento sportivo.